Giovanni Mazzaferro
Le postille a un'edizione Torrentiniana delle Vite di Vasari a Napoli e un possibile nome per un ritratto di Andrea del Sarto.
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Andrea del Sarto, Ritratto di uomo, 1528-1529, Metropolitan Museum of Art, New York Fonte: https://www.metmuseum.org/art/collection/search/437610 |
La Biblioteca Universitaria di Napoli conserva un esemplare dell'edizione Torrentiniana delle Vite di Vasari che contiene alcune postille. Non l'ho vista personalmente. Le immagini che vedrete mi sono state inviate cortesemente nove anni fa dal Dr. Antonio Borrelli, che ringrazio quindi pubblicamente, sia pur con enorme ritardo. Il punto è che, all'epoca, diedi un'occhiata alle annotazioni manoscritte che non mi parvero particolarmente significative. Rilette oggi, a distanza di tempo, mi sembra che abbiano qualcosa da dire.
L'esemplare in questione è conservato in Sala Viti Rari 2.19.1-2. Non ne conosciamo la storia collezionistica, così come non sappiamo chi vergò le poche postille che vi si trovano. Poche, ma attendibili, Non sappiamo inoltre quando le annotazioni furono apportate. E' evidente che ogni postilla su un'edizione Torrentiniana è di particolare interesse perché potrebbe testimoniare un precoce interesse per l'opera, precedente alla seconda edizione Giuntina del 1568. Qui, l'impressione, anche esaminando la calligrafia dello scrivente, è che le postille possano essere precedenti a quella data, o, comunque, di poco successive.
La prima segnalazione di un certo interesse è relativa alle notazioni di Vasari in merito alle opere di Michelozzo, nella relativa biografia. Qui Vasari scrive (tomo I pp. 353-354):
"Fu chiamato dopo questo a Perugia a fare la cittadella vecchia; et a più signori in Italia fece modelli di palazzi e di mura per città e ripari infiniti, et in Fiorenza la casa di Giovanni Tornabuoni in sul modello di quella de’ Medici. Per Cosimo fece ancora di marmo la cappella di San Miniato dove è il Crocifisso, e per Italia fece infinite cose di marmo, di bronzo e di legno. [354] A San Miniato al Tedesco egli e Donato insieme lavorarono alcune figure di rilievo; et in Lucca fece egli solo una sepoltura di marmo in San Martino, dirimpetto al Sacramento. A Genova mandò alcune figure. E di ogni sua fatica fece facultà onesta, che diè comodo alla casa sua non meno che fama et utile a se medesimo. Finalmente, divenuto già vecchio e non operando più nulla se non per suo passatempo, fu assalito repentinamente da una febbre che in pochissimi dì gli tolse la vita, essendo pure di LXVIII anni; et accompagnato da’ suoi più cari a la sepoltura, ebbe onorate esequie e grandissimo onore per le sustanzie ch’aveva lasciate. "
Il postillatore corregge di lato:
"la seppoltura fu di mano di matteo civitali, et similmente le 6 figure della cappella del batista di Genova et non di michelozzo"
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Giorgio Vasari, Vite 1550, Biblioteca Universitaria di Napoli, Sala Viti Rari, 2.19.1.2, p. 354 Su gentile concessione della Biblioteca |
Le informazioni sono entrambe corrette. Civitali scolpì, attorno al 1470, la tomba di Pietro da Noceto nella cattedrale lucchese di San Martino. Si noti che l'attribuzione certa a Civitali è moderna e risale al 1960 circa; in precedenza, sulla scorta di Vasari, l'opera fu data a Michelozzo e, siccessivamente, a Pagno di Lapo Portigiani.
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Matteo Civitali, Monumento sepolcrale a Pietro di Noceto, entro il 1472, Lucca, Cattedrale di San Martino Foto: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Duomo_di_Lucca_-_Tomba_di_Pietro_da_Noceto.jpg |
Analogamente sono di Civitali le sei statue conservate ancor oggi nella Cappella di San Giovanni Battista nella cattedrale di San Lorenzo a Genova.
Colpisce la sicurezza con cui il postillatore parla di opere eseguite circa un'ottantina di anni prima. Viene da pensare che l'autore delle note sia lucchese; certamente è ben informato sui fatti artistici della zona.
La postilla successiva su cui vorrei richiamare l'attenzione è a p. 360 del Tomo I, in coincidenza con il medaglione biografico di Piero della Francesca, che si apre con la condanna di coloro che rubano le idee e i sudori di chi muore e, così facendo ricoprono la loro pelle d'asino con le spoglie di un leone. La frase prelude, nel discorso vasariano, al plagio di Luca Pacioli nei confronti delle opere di Piero della Francesca:
"Molto sono infelici quelli che, esercitandosi negli studii et attendendo il giorno e la notte a descrivere et a dichiarare le cose difficili delle belle arti per lasciar fama di sé al mondo, o la infermità proibisce loro il dar fine e perfezzione alle onorate e somme fatiche, o sopravenendo la morte, la prosunzione di altrui ruba loro i lunghissimi loro sudori, et attribuendosi l’altrui pregio ricuopre la pelle dello asino con le gloriosissime spoglie del leone."
Qui la postilla è corrosiva. Il suo autore si limita a scrivere: "come hai fatto tu Giorgio da Rezzo".
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Giorgio Vasari, Vite 1550, Biblioteca Universitaria di Napoli, Sala Viti Rari, 2.19.1.2, p. 360 Su gentile concessione della Biblioteca |
Noi siamo abituati a leggere postille denigratorie nei confronti di Giorgio. Quelle contenute nelle versioni Torrentiniane, a dire il vero, sono pochissime (mi viene in mente le parole di un annotatore vicino agli ambienti di Domenico Campagnola studiate da Marco Ruffini) o di un ancora misterioso pittore ferrarese che potrebbe essere in realtà uno pseudonimo di Anton Francesco Doni). In questi casi parliamo di primi segnali di reazione antivasariana, che si consolideranno con la pubblicazione della Giuntina (ed effettivamente, nella Giuntina, il materiale offre molti più spunti per commenti acidi specie da ambienti lombardo-veneti). In questo caso, invece, ci troveremmo di fronte a una sorta di 'opposizione interna', ossia a una figura di erudito lucchese (ma informato anche su Pisa, come vedremo), che evidentemente non ha in particolare simpatia Giorgio, o per motivi campanilistici o per incompatibilità di carattere. L'ipotesi che il postillatore scriva quando Vasari è ancora vivo, peraltro, potrebbe essere corroborata dai tempi e dalla seconda persona singolare: l'annotatore usa il passato prossimo ("come hai fatto tu") e non il passato remoto ("come facesti tu").
Assolutamente attendibile è un'ulteriore postilla, questa volta nel secondo tomo delle Vite, p. 664, all'interno della vita di Raffaello. Qui, parlando delle Logge Vaticane, Vasari scrive:
"Per che volendo papa Leone mostrare la grandezza della magnificenzia e generosità sua, Raffaello fece i disegni degli ornamenti di stucchi e delle storie che vi si dipinsero, e similmente de’ partimenti; et allo stucco et alle grottesche fece capo di quella opera Giovanni da Udine, e per le figure Giulio Romano, ancora che poco vi lavorasse; così Giovan Francesco, il Bologna, Perin del Vaga, Pellegrino da Modona, Vincenzio da San Gimignano e Polidoro da Caravaggio, con molti altri pittori che feciono storie e figure et altre cose che scadevano per tutto quel lavoro".
L'anonimo postillatore evidenzia tutto e aggiunge il nome di Baldassarre Peruzzi.
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Giorgio Vasari, Vite 1550, Biblioteca Universitaria di Napoli, Sala Viti Rari, 2.19.1.2, p. 664 Su gentile concessione della Biblioteca |
Ma la postilla più interessante è certamente quella relativa ad Andrea del Sarto (Tomo II p. 766). Qui Vasari scrive:
"Ritrasse un canonico pisano, suo amicissimo, che fu una testa molto naturale e ben fatta, oggi in Pisa".
Sull'identificazione dell'opera si è discusso molto. Buona parte della critica, semplicemente su fondamenti ipotetici legati all'abbigliamento, ritiene che quest'opera possa essere il Ritratto di uomo al Metropolitan Museum of Art di New York (1982.60.9). Si veda l'immagine in alto. Non ne ho alcuna certezza. Ciò che è certo, invece, è che l'anonimo postillatore identifica il modello.
La postilla, purtroppo, è slavata e si legge male, ma con un po' di pazienza, si riesce a decifrare: "mr [monsignor o messer?] franc[esc]o murcj". Di Francesco Sanseverino Murci non so moltissimo, né ho fatto studi particolari sulla sua figura, che andrebbe ricostruita per avere ulteriori conferme. Si tratta comunque di Francesco Sanseverino, fuoriuscito napoletano (immagino ai tempi del Sacco, poco prima o poco dopo), che a Pisa cambiò il suo nome in Murci, divenne canonico del Duomo e il cui monumento funebre fu scolpito da Francesco Mosca detto il Moschino. Murci morì nel 1570. Non so quando nacque; probabilmente era più giovane di Andrea del Sarto che - va ricordato - si spense comunque giovane, nel 1530, a 44 anni. Una possibile frequentazione e amicizia, negli ultissimi anni di vita del pittore, è assolutamente compatibile coi dati cronologici. Se poi si tiene buona l'ipotesi che le postille siano precedenti alla Giuntina del 1568, appare addirittura possibile che l'annotatore abbia conosciuto Murci e il livello di attendibilità dell'informazione diventa massimo.
Intendiamoci bene: io non sono affatto certo che il ritratto oggi al Metropolitan sia quello di Francesco Murci; sono convinto, tuttavia, che il canonico pisano di cui parla Vasari fosse il Murci, grazie alla testimonianza del postillatore della Torrentiniana oggi a Napoli; mi auguro che la cosa abbia una qualche rilevanza per gli studiosi dell'opera di Andrea del Sarto.
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