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domenica 3 novembre 2024

Chiara Bombardini. Pietro Gradenigo e i 'Notatori'. «Annotazioni curiose», notizie e appunti per l’arte a Venezia nel Settecento



Chiara Bombardini
Pietro Gradenigo e i Notatori
«Annotazioni curiose», notizie e appunti per l’arte a Venezia nel Settecento


SAGEP editore, Genova, 2023

Recensione di Giovanni Mazzaferro




Un erudito e i suoi manoscritti

Pietro Gradenigo (1695-1776), membro di una delle grandi famiglie della nobiltà veneziana, è noto per la sua divorante passione erudita, volta a celebrare la città lagunare in ogni aspetto che potesse servire a tramandarne il lustro e le tradizioni. Fin dal 1715 iniziò a raccogliere notizie e documenti soprattutto di argomento cittadino e ad approntare volumi manoscritti che li contenevano. Non sembra che Gradenigo abbia mai ambito a pubblicarli. I volumi erano conservati presso la biblioteca del palazzo di famiglia, (o, meglio, del suo ramo della famiglia) a Santa Giustina ed erano di fatto di consultazione semipubblica. Le cronache riportano che erano tantissimi coloro che chiedevano il permesso di poterli consultare per i più disparati motivi. Sembra che, nel 1752, la biblioteca contenesse più di 500 manoscritti, per la maggior parte di natura miscellanea, contenenti, a loro volta, stampe, disegni, lettere e copie di documenti d’archivio. Tramandati (non integralmente) per via ereditaria, i manoscritti furono ceduti  per lascito testamentario al Museo Correr, dove attualmente se ne conservano trecentotrentasette (Fondo Gradenigo Dolfin della Biblioteca del Museo Correr).

Fra i manoscritti di Gradenigo se ne distingue un gruppo col nome Commemoriali, diario et annotationi curiose accorse in Venetia la cui stesura fu intrapresa nel 1748 e proseguì fino a tutto il 1773. Sono meglio conosciuti come Notatori: in totale sono 38, di cui 24 sono i Notatori veri e propri, quattro (dal 25 al 28) le Appendici e dieci i Proseguimenti (dal 29 al 38). Fin dai primi del Novecento fu chiaro che soprattutto (ma non esclusivamente) all’interno dei Notatori si trovavano informazioni di carattere artistico, che cominciarono a essere citate singolarmente. Nel 1915 Daniele Bratti Racciotti selezionava alcune di esse e le pubblicava, suddivise per artista, col titolo Notizie d’arte e d’artisti, in «Nuovo Archivio Veneto» e, nel 1930, in «Miscellanea di storia veneta». Si deve, tuttavia, a Lina Livan la prima operazione di scandaglio sistematico dei manoscritti in questione, che portò alla pubblicazione, nel 1942, di Notizie d’arte tratte dai Notatori e dagli Annali del N.H. Pietro Gradenigo: le ‘notizie’ artistiche erano 1123 e divenivano punto di riferimento per chiunque volesse studiare la Venezia artistica del Settecento. Da allora, nulla di nuovo, fino alla presente, monumentale opera di Chiara Bombardini, frutto della sua tesi di dottorato del 2021.



I Notatori

«Il termine Notatorio era usato per indicare «a’ tempi veneti un libro particolare usato dalle magistrature, per notarvi alcuni atti» (p. 155). Gradenigo lo conosceva molto bene, tenuto conto che ricoprì moltissimi incarichi in quelle magistrature (incarichi rintracciati dall’autrice, a cui si deve la sostanziale messa in discussione degli studi precedenti, che lo volevano ben presto ritirato a vita privata). L’uso che si prefiggeva Gradenigo, dando vita alla serie storica dei suoi manoscritti era sostanzialmente analogo: prendere nota, in ordine cronologico, di tutto ciò che avveniva in città redigendo una sorta di cronaca da consegnare ai posteri. A essere sinceri, le informazioni cronachistiche si alternano agli affondi storici; partendo da precisi avvenimenti (come, ad esempio, gli anniversari) Gradenigo fece opera di scavo negli archivi andando a recuperare accadimenti, funzionamento delle istituzioni, figure storiche del passato. L’obiettivo era chiaro: far sì che tutto il patrimonio storico della Serenissima non andasse perduto. Si potrebbe discutere se l’operazione del nobile fosse legato alla consapevolezza della decadenza politica della repubblica sullo scacchiere internazionale, che si sarebbe concluso con la caduta della medesima a fine secolo. Mi sembra improbabile. Gradenigo sembra, piuttosto, animato da un dovere civico al cui interno ha un peso importante l’esaltazione del ruolo della sua famiglia nell’ambito della storia cittadina.

Bombardini amplia ulteriormente la selezione di Livan, arrivando a presentare quasi duemila ‘notizie’ pertinenti a pittura, scultura, architettura, grafica, arti decorative e collezionismo. Avvisa che (p. 194), salvo eccezioni di particolare importanza, ha preso in considerazione solo accadimenti relativi a Venezia e ai territori della Serenissima, con una serie di esclusioni per la quale si rimanda alle sue spiegazioni. Ne emerge un quadro inevitabilmente frazionato e composito, che tuttavia può essere consultato agilmente (e presumo che questo sarà il destino del libro) grazie agli indici ragionati dei nomi di persona e dei luoghi posti in fondo all’opera. La caratteristica principale di quel quadro è la possibilità di conoscere più da vicino il sistema delle arti non solo e non tanto nelle sue espressioni più famose e note (da Tiepolo a Canaletto, che peraltro è citato pochissimo) ma nelle sue manifestazioni ‘minori’, che altrimenti sarebbero molto più sfuggenti: «Uno degli obiettivi di Gradenigo era quello di documentare quanto egli riteneva utile a eternare la gloria della Serenissima, spesso dando spazio a personaggi e opere meno note; oppure fornendo notizie del tutto inedite. Per questo motivo non sempre capolavori dell’arte veneta trovarono posto nei Notatori, dove è invece possibile avere notizia dei dipinti custoditi nelle sacrestie delle chiese veneziane. Spesso si tratta di ritratti di parroci che, a causa di soppressioni o demolizioni successive, non sono giunti fino a noi, ma che Pietro censì con grande attenzione».

 

Un lavoro di gruppo

Emerge inoltre chiaramente che il progetto di Gradenigo è da lui ispirato e finanziato, ma non condotto da solo. I manoscritti contengono diverse grafie. Pietro, specie in tarda età, aveva dei segretari che scrivevano sotto dettatura, ma la realtà è molto più complessa: «tanto per la stesura dei Notatori quanto per il recupero delle informazioni in essi contenute, Gradenigo si avvalse di una équipe di collaboratori, ai quali poteva affidare il compito di svolgere ricerche su specifici argomenti, anche al di fuori di Venezia» (p. 168). Il territorio, insomma, era ‘coperto’ da una rete di collaboratori che presidiava, ad esempio, le principali magistrature per ‘arrivare sulla notizia’, o che lo perlustrava in cerca di oggetti ritenuti degni di essere inseriti nei manoscritti. Di questo gruppo facevano parte anche artisti che si occuparono di illustrare con disegni i volumi o di realizzare copie degli oggetti presi in considerazione. Bombardini è davvero stupefacente nel restituire la ricchezza di questa fitta rete di collaboratori, il più importante dei quali fu, probabilmente, Jan II van Grevenbroeck (1731-1807), olandese nato a Venezia da una famiglia di artisti che vi si era trasferita: meglio noto come Giovanni Grevembroch, la sua mano si riconosce in molti di quei disegni, così come è evidente, più in generale, l’attività di ricerca di notizie per i manoscritti.

 

Epistolario e fonti

L’incessante opera di raccolta delle informazioni su Venezia avveniva, peraltro, grazie anche a una rete epistolare che teneva informato Gradenigo da fuori laguna di tutto ciò che riguardava comunque la città. L’epistolario completo del nobile è andato perso, ma può essere comunque ricostruito almeno in parte grazie alle lettere custodite all’interno dei manoscritti. Anche qui Bombardini dimostra di avere pazienza infinita e ci fornisce preziose indicazioni in merito, con un quadro sinottico dell’epistolario (pp. 141-154) che, pur non completo, consente comunque di avere un’idea dei meccanismi tramite quali avvenivano scambi di notizie; meccanismi, peraltro, molto simili a quelli già esplorati nella bellissima collana dedicata alle Lettere artistiche del Settecento veneziano, di cui, in questo blog, si è recensito l’epistolario di Anton Maria Zanetti il vecchio. Vi è poi tutto lo sconfinato mondo relativo alle fonti a stampa, fra cui, ad esempio, possiamo senz’altro citare gli scritti di Marco Boschini e di Carlo Ridolfi. Ma la cosa più importante – segnala Bombardini – è che, al di là del fatto che le informazioni di Gradenigo siano inedite o no, venga operata una selezione, «poiché, anche se in taluni casi è possibile reperire materiale simile in archivi o biblioteche pubbliche, i manoscritti di Pietro offrono una panoramica complessiva su un dato argomento, non altrimenti godibile. Il suo è stato un incredibile lavoro di sintesi, basato sulla consultazione capillare di un altissimo numero di fonti e, a diritto, molti dei suoi codici possono essere considerati unici nel loro genere» (p. 52).

 

In un’ottica più ampia

Il discorso vale, a maggior ragione, se i Notatori sono presi in considerazione non isolatamente, ma in rapporto a tutti gli altri manoscritti della biblioteca di Gradenigo, uno dei temi a cui Bombardini tiene di più. Non conosciamo l’ordine con cui tutti i codici erano ordinati nella biblioteca di Pietro. Il fatto poi che ce ne sia giunta solo una parte (sia pur consistente) ci priva, inevitabilmente, di uno sguardo complessivo. Conosciamo, tuttavia, un inventario postumo dei manoscritti di Gradenigo dato alle stampe nel 1809, ossia trent’anni dopo la sua morte e una settantina prima che giungessero al Correr: «Nel suo elenco Moschini suddivise i manoscritti Gradenigo in sette categorie: »cronache e storie», «vite», «famiglie», «chiesa veneta», «magistrati e dignità», «città diverse» e «manoscritti di vario argomento» (p. 47). Moschini, insomma, raggruppò i codici per interessi, senza tuttavia riuscire a dar conto della ricchezza degli interessi di Pietro; basti pensare che i Notatori sono inseriti nella categoria ‘residuale’ dei ‘manoscritti di vario argomento’. La realtà dei fatti è che quella di Pietro fu una sorta di bulimia archivistico-documentaria organizzata secondo schemi personali che, oggi, non ci sono noti. Tuttavia, lavori come quelli di Livian nel 1942 e di Bombardini permettono di tornare ad apprezzarne la preziosità grazie a studi certosini e alla redazione di indici preziosissimi.

 

Una riserva

Come tutte le volte in cui un libro mi piace veramente, vorrei esplicitare una riserva: fra introduzione, trascrizione delle notizie e loro, indici e quant’altro il volume supera le 600 pagine. Purtroppo 600 pagine scritte in caratteri minuscoli che rendono la lettura davvero difficile. Mi rendo perfettamente conto che, usando un corpo maggiore le pagine avrebbero superato le mille, e quindi invito tutti ad avere benevolenza nei confronti delle scelte dell’editore.

 

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