Chiara Bombardini
Pietro Gradenigo e i Notatori
«Annotazioni curiose», notizie e appunti per l’arte a Venezia nel Settecento
SAGEP editore, Genova, 2023
Un erudito e i suoi manoscritti
Pietro Gradenigo (1695-1776), membro di una delle grandi
famiglie della nobiltà veneziana, è noto per la sua divorante passione erudita,
volta a celebrare la città lagunare in ogni aspetto che potesse servire a
tramandarne il lustro e le tradizioni. Fin dal 1715 iniziò a raccogliere notizie
e documenti soprattutto di argomento cittadino e ad approntare volumi
manoscritti che li contenevano. Non sembra che Gradenigo abbia mai ambito a
pubblicarli. I volumi erano conservati presso la biblioteca del palazzo di
famiglia, (o, meglio, del suo ramo della famiglia) a Santa Giustina ed erano di
fatto di consultazione semipubblica. Le cronache riportano che erano tantissimi
coloro che chiedevano il permesso di poterli consultare per i più disparati
motivi. Sembra che, nel 1752, la biblioteca contenesse più di 500 manoscritti,
per la maggior parte di natura miscellanea, contenenti, a loro volta, stampe,
disegni, lettere e copie di documenti d’archivio. Tramandati (non
integralmente) per via ereditaria, i manoscritti furono ceduti per lascito testamentario al Museo Correr,
dove attualmente se ne conservano trecentotrentasette (Fondo Gradenigo Dolfin
della Biblioteca del Museo Correr).
Fra i manoscritti di Gradenigo se ne distingue un gruppo col
nome Commemoriali, diario et annotationi curiose accorse in Venetia la
cui stesura fu intrapresa nel 1748 e proseguì fino a tutto il 1773. Sono meglio
conosciuti come Notatori: in totale sono 38, di cui 24 sono i Notatori
veri e propri, quattro (dal 25 al 28) le Appendici e dieci i Proseguimenti
(dal 29 al 38). Fin dai primi del Novecento fu chiaro che soprattutto (ma
non esclusivamente) all’interno dei Notatori si trovavano informazioni di
carattere artistico, che cominciarono a essere citate singolarmente. Nel 1915 Daniele
Bratti Racciotti selezionava alcune di esse e le pubblicava, suddivise per
artista, col titolo Notizie d’arte e d’artisti, in «Nuovo Archivio
Veneto» e, nel 1930, in «Miscellanea di storia veneta». Si deve, tuttavia, a
Lina Livan la prima operazione di scandaglio sistematico dei manoscritti in
questione, che portò alla pubblicazione, nel 1942, di Notizie d’arte tratte
dai Notatori e dagli Annali del N.H. Pietro Gradenigo: le ‘notizie’
artistiche erano 1123 e divenivano punto di riferimento per chiunque volesse
studiare la Venezia artistica del Settecento. Da allora, nulla di nuovo, fino
alla presente, monumentale opera di Chiara Bombardini, frutto della sua tesi di
dottorato del 2021.
I Notatori
«Il termine Notatorio era usato per indicare «a’
tempi veneti un libro particolare usato dalle magistrature, per notarvi alcuni
atti» (p. 155). Gradenigo lo conosceva molto bene, tenuto conto che ricoprì
moltissimi incarichi in quelle magistrature (incarichi rintracciati
dall’autrice, a cui si deve la sostanziale messa in discussione degli studi
precedenti, che lo volevano ben presto ritirato a vita privata). L’uso che si
prefiggeva Gradenigo, dando vita alla serie storica dei suoi manoscritti era
sostanzialmente analogo: prendere nota, in ordine cronologico, di tutto ciò che
avveniva in città redigendo una sorta di cronaca da consegnare ai posteri. A
essere sinceri, le informazioni cronachistiche si alternano agli affondi
storici; partendo da precisi avvenimenti (come, ad esempio, gli anniversari)
Gradenigo fece opera di scavo negli archivi andando a recuperare accadimenti,
funzionamento delle istituzioni, figure storiche del passato. L’obiettivo era chiaro:
far sì che tutto il patrimonio storico della Serenissima non andasse perduto.
Si potrebbe discutere se l’operazione del nobile fosse legato alla
consapevolezza della decadenza politica della repubblica sullo scacchiere
internazionale, che si sarebbe concluso con la caduta della medesima a fine
secolo. Mi sembra improbabile. Gradenigo sembra, piuttosto, animato da un
dovere civico al cui interno ha un peso importante l’esaltazione del ruolo
della sua famiglia nell’ambito della storia cittadina.
Bombardini amplia ulteriormente la selezione di Livan,
arrivando a presentare quasi duemila ‘notizie’ pertinenti a pittura, scultura,
architettura, grafica, arti decorative e collezionismo. Avvisa che (p. 194),
salvo eccezioni di particolare importanza, ha preso in considerazione solo
accadimenti relativi a Venezia e ai territori della Serenissima, con una serie
di esclusioni per la quale si rimanda alle sue spiegazioni. Ne emerge un quadro
inevitabilmente frazionato e composito, che tuttavia può essere consultato
agilmente (e presumo che questo sarà il destino del libro) grazie agli indici
ragionati dei nomi di persona e dei luoghi posti in fondo all’opera. La
caratteristica principale di quel quadro è la possibilità di conoscere più da
vicino il sistema delle arti non solo e non tanto nelle sue espressioni più
famose e note (da Tiepolo a Canaletto, che peraltro è citato pochissimo) ma nelle
sue manifestazioni ‘minori’, che altrimenti sarebbero molto più sfuggenti: «Uno
degli obiettivi di Gradenigo era quello di documentare quanto egli riteneva
utile a eternare la gloria della Serenissima, spesso dando spazio a personaggi
e opere meno note; oppure fornendo notizie del tutto inedite. Per questo motivo
non sempre capolavori dell’arte veneta trovarono posto nei Notatori,
dove è invece possibile avere notizia dei dipinti custoditi nelle sacrestie
delle chiese veneziane. Spesso si tratta di ritratti di parroci che, a causa di
soppressioni o demolizioni successive, non sono giunti fino a noi, ma che
Pietro censì con grande attenzione».
Un lavoro di gruppo
Emerge inoltre chiaramente che il progetto di Gradenigo è da
lui ispirato e finanziato, ma non condotto da solo. I manoscritti contengono
diverse grafie. Pietro, specie in tarda età, aveva dei segretari che scrivevano sotto dettatura, ma la realtà è molto più complessa: «tanto per la stesura
dei Notatori quanto per il recupero delle informazioni in essi
contenute, Gradenigo si avvalse di una équipe di collaboratori, ai quali poteva
affidare il compito di svolgere ricerche su specifici argomenti, anche al di fuori
di Venezia» (p. 168). Il territorio, insomma, era ‘coperto’ da una rete di
collaboratori che presidiava, ad esempio, le principali magistrature per ‘arrivare
sulla notizia’, o che lo perlustrava in cerca di oggetti ritenuti degni di
essere inseriti nei manoscritti. Di questo gruppo facevano parte anche artisti
che si occuparono di illustrare con disegni i volumi o di realizzare copie
degli oggetti presi in considerazione. Bombardini è davvero stupefacente nel
restituire la ricchezza di questa fitta rete di collaboratori, il più
importante dei quali fu, probabilmente, Jan II van Grevenbroeck (1731-1807), olandese
nato a Venezia da una famiglia di artisti che vi si era trasferita: meglio noto
come Giovanni Grevembroch, la sua mano si riconosce in molti di quei disegni,
così come è evidente, più in generale, l’attività di ricerca di notizie per i
manoscritti.
Epistolario e fonti
L’incessante opera di raccolta delle informazioni su Venezia
avveniva, peraltro, grazie anche a una rete epistolare che teneva informato
Gradenigo da fuori laguna di tutto ciò che riguardava comunque la città.
L’epistolario completo del nobile è andato perso, ma può essere comunque
ricostruito almeno in parte grazie alle lettere custodite all’interno dei
manoscritti. Anche qui Bombardini dimostra di avere pazienza infinita e ci
fornisce preziose indicazioni in merito, con un quadro sinottico
dell’epistolario (pp. 141-154) che, pur non completo, consente comunque di
avere un’idea dei meccanismi tramite quali avvenivano scambi di notizie;
meccanismi, peraltro, molto simili a quelli già esplorati nella bellissima
collana dedicata alle Lettere artistiche del Settecento veneziano, di
cui, in questo blog, si è recensito l’epistolario di Anton
Maria Zanetti il vecchio. Vi è poi tutto lo sconfinato mondo relativo alle
fonti a stampa, fra cui, ad esempio, possiamo senz’altro citare gli scritti di
Marco Boschini e di Carlo
Ridolfi. Ma la cosa più importante – segnala Bombardini – è che, al di là
del fatto che le informazioni di Gradenigo siano inedite o no, venga operata
una selezione, «poiché, anche se in taluni casi è possibile reperire materiale simile
in archivi o biblioteche pubbliche, i manoscritti di Pietro offrono una
panoramica complessiva su un dato argomento, non altrimenti godibile. Il suo è
stato un incredibile lavoro di sintesi, basato sulla consultazione capillare di
un altissimo numero di fonti e, a diritto, molti dei suoi codici possono essere
considerati unici nel loro genere» (p. 52).
In un’ottica più ampia
Il discorso vale, a maggior ragione, se i Notatori sono
presi in considerazione non isolatamente, ma in rapporto a tutti gli altri
manoscritti della biblioteca di Gradenigo, uno dei temi a cui Bombardini tiene
di più. Non conosciamo l’ordine con cui tutti i codici erano ordinati nella
biblioteca di Pietro. Il fatto poi che ce ne sia giunta solo una parte (sia pur
consistente) ci priva, inevitabilmente, di uno sguardo complessivo. Conosciamo,
tuttavia, un inventario postumo dei manoscritti di Gradenigo dato alle stampe
nel 1809, ossia trent’anni dopo la sua morte e una settantina prima che
giungessero al Correr: «Nel suo elenco Moschini suddivise i manoscritti
Gradenigo in sette categorie: »cronache e storie», «vite», «famiglie», «chiesa
veneta», «magistrati e dignità», «città diverse» e «manoscritti di vario
argomento» (p. 47). Moschini, insomma, raggruppò i codici per interessi, senza
tuttavia riuscire a dar conto della ricchezza degli interessi di Pietro; basti
pensare che i Notatori sono inseriti nella categoria ‘residuale’ dei
‘manoscritti di vario argomento’. La realtà dei fatti è che quella di Pietro fu
una sorta di bulimia archivistico-documentaria organizzata secondo schemi
personali che, oggi, non ci sono noti. Tuttavia, lavori come quelli di Livian
nel 1942 e di Bombardini permettono di tornare ad apprezzarne la preziosità
grazie a studi certosini e alla redazione di indici preziosissimi.
Una riserva
Come tutte le volte in cui un libro mi piace veramente,
vorrei esplicitare una riserva: fra introduzione, trascrizione delle notizie e
loro, indici e quant’altro il volume supera le 600 pagine. Purtroppo 600 pagine
scritte in caratteri minuscoli che rendono la lettura davvero difficile. Mi
rendo perfettamente conto che, usando un corpo maggiore le pagine avrebbero
superato le mille, e quindi invito tutti ad avere benevolenza nei confronti
delle scelte dell’editore.
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