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venerdì 22 novembre 2024

Giovanni Mazzaferro. Una polemica su Malvasia e Vasari

 

Giovanni Mazzaferro
Una polemica su Malvasia e Vasari



Ho appena finito di seguire, in presenza, il convegno 'Carlo Cesare Malvasia. Storia e teoria delle Arti nella Bologna del Seicento, a cura di Elizabeth Cropper, Lorenzo Pericolo e Maria Luisa Pacelli, con coordinamento scientifico di Emanuela Fiori, tenutosi a Bologna tra il 20 e il 22 novembre 2024. Convegno interessantissimo, che, peraltro, avete modo di rivedere qui: https://www.youtube.com/playlist?list=PLf2tGbDYEUrnKnkLGC_qvStvOLmKr2sI6.

Non ho tuttavia nessuna difficoltà a mostrare delle riserve sull'intervento del prof. Stefano Pierguidi, Ordinario di Storia dell'Arte all'Università La Sapienza, che nel pomeriggio di giovedì 21 ha parlato sul tema 'In dialogo con Vasari: la lunga stagione dei primitivi bolognesi nella Felsina pittrice'. Potete vedere l'intervento qui (è il primo): https://www.youtube.com/watch?v=RuvirIUsPfA&list=PLf2tGbDYEUrnKnkLGC_qvStvOLmKr2sI6&index=3&t=1231s

Faccio una doverosa premessa. Adoro sia Vasari sia Malvasia, nelle loro specificità. Al primo avrò dedicato almeno una ventina di recensioni e saggi, in particolare sulle postille apposte sia all'edizione torrentiniana sia alla giuntina. Su Malvasia ho pubblicato recensioni per ognuno dei volumi dell'edizione critica della Felsina pittrice curati da Elizabeth Cropper e Lorenzo Pericolo. In particolare, in oltre dieci anni di recensioni una cosa ho imparato: le fonti vanno apprezzate per quello che in esse si può leggere; non per quello che si sarebbe voluto leggere. Ciò detto, ho ben presente che Pierguidi è ordinario di storia dell'arte e io un dilettante. 

Qual è, dunque, il pomo della discordia? Un pomo di dimensioni limitate, se volete, tenendo conto che io condivido almeno il 90% di quello che ha detto Pierguidi, che chiaramente ed esplicitamente esprime una preferenza nei confronti di Vasari in virtù della difficoltà malvasiana ad inquadrare alcune epoche, in particolare per ciò che riguarda il periodo da Marco Zoppo al Francia. Di dimensioni limitate, ma concettualmente fondamentale, perché presenta una lettura orientata tutta in una direzione delle fonti, senza beneficio del dubbio. Pierguidi, nell'ambito di un giudizio diminutivo su Malvasia, lo accusa di essere un falsario. Un falsario non nel senso di De Dominici a Napoli, che si inventa artisti e opere nelle sue Vite, ma letteralmente un uomo che appone date false ai quadri e si inventa documenti. 

Qui di seguito, trascrivo parola per parola le parole di Pierguidi, che comunque possono essere riascoltate dal minuto 17.40: https://www.youtube.com/watch?v=RuvirIUsPfA&list=PLf2tGbDYEUrnKnkLGC_qvStvOLmKr2sI6&index=3&t=1236s. Mi scuso per la lunghezza

"Sulla sua obiettività e correttezza [n.d.r. di Malvasia] io continuo a nutrire i più profondi dubbi. Il caso della Madonna col Bambino oggi riferito a Simone dei Crocefissi [n.d.r. fig. 1], su cui sono già intervenuto, è quello che più deve far riflettere, secondo me, ed è per questo che lo ripropongo in questa sede. Notate subito, in basso, la presenza di un'iscrizione [...]. 

Fig. 1) Simone dei Crocefissimi, Madonna col Bambino
Fonte: https://www.pinacotecabologna.beniculturali.it/it/sala-1-dal-duecento-al-gotico/item/338-madonna-col-bambino-angeli-e-il-donatore-giovanni-da-piacenza

Malvasia riferì questo dipinto a Vitale da Bologna, di cui si conosceva un'opera importante e datata, la Madonna dei denti [n.d.r. fig. 2] del 1345, datata da un'iscrizione. 



Mentre raccoglieva materiale per la Felsina pittrice, Malvasia appuntò, nelle sue carte appuntate all'Archiginnasio: "Non ho dubio della stessa mano esser la Madonna su l'asse che è nel tondo della Madonna del Monte a mano dritta a entrar dentro, che non si può vedere la più bella, modesta e gentile. E' coperta di sotto da un ornamento nel muro, onde non si possono vedere le lettere che sotto vi sono forse". Poi qualche tempo dopo aggiunse: "L'ho tornata a vedere e ben considerare, e non è della stessa mano. Sono differentissime. Pure fà che siano [n.d.r. sembra, a prima vista, che lo siano], essendovi qualche similitudine e fà riflessione a lo scorcio che fa il Putto per fugirsene et all'essere vestito così trasparente che dunque Vitale fu il primo anch'egli presso di noi che usò gli scorciabili e fece vedere sotto il nudo, come il primo presso a fiorentini pretende il Vasari essere stato Stefano, discepolo di Giotto ch'anch'egli fu negli stessi anni di Vitale [n.d.r. etc...]" Da una parte è sempre interessante e ammirevole l'attenzione di Malvasia alle date, alla successione cronologica delle opere degli artisti anche di contesti diversi che egli cerca di stabilire. Dall'altra, qui abbiamo, secondo me, la pistola fumante: Malvasia dice a se stesso di falsare i dati di fatto, di riportare cioè che quel dipinto era di Vitale da Bologna, anche se al suo occhio di conoscitore, qui evidentemente molto fine, la cosa sembrava inaccettabile. A spingerlo era, come sempre, la necessità di rispondere a Vasari [...]. Poi improvvisamente, e sintomaticamente, spuntò la data su quel dipinto. La data che Malvasia fece in tempo a riportare sulla Felsina pittrice: 1320 [...]. Tanto più importante questa data in quanto Malvasia aveva espressamente appuntato che sperava di trovare un'iscrizione sul margine inferiore della tavola. L'iscrizione autentica effettivamente c'era ed indicava la committenza. ma non c'era la data. Quella data, falsa, che retrodatava il dipinto di oltre cinquant'anni venne aggiunta da qualcuno ed è stata poi rimossa da restauri forse troppo disinvolti [...]. Io sono convinto che fosse Malvasia a far rimuovere il dipinto e poi ad apporvi quella data, ma ovviamente non ho le prove."

La tesi mi piare chiarissima, anche se minata dalla contraddizione fra l'affermazione iniziale di aver trovato una 'pistola fumante' e quella finale di non averne le prove. 

Provo, a questo punto, a raccontare il mio punto di vista: negli Scritti originali (appunti di lavoro preparatori alla Felsina) Malvasia si appunta di aver visto la Madonna col Bambino; gli ricorda la Madonna dei denti di Vitale. Segnala inoltre che il bordo inferiore è coperto da un 'ornamento', probabilmente una qualche decorazione barocca, incastrata nel muro, di maniera tale che, togliendola, se vi fosse una scritta, si potrebbe capirne l'autografia. Malvasia fa una seconda visita, questa volta manifestando seri dubbi che l'opera sia di Vitale. La ricorda per qualche aspetto, ma si convince che non sia sua E infine, nella Felsina, scrive che in fondo all'opera c'è l'indicazione "Vitalis de Bononia fecit anno 1320" e quindi la dà a Vitale. Mi pare semplice supporre - e lo pensa anche Pierguidi - che Carlo Cesare abbia fatto rimuovere l' "ornamento' (certamente non coevo alla tavola). Semplicemente io ritengo che abbia letto la dicitura (falsa) "Vitalis de Bononia fecit anno 1320". Convinto dalla dicitura, nella Felsina indica la scritta e dà l'opera a Vitale. A tal proposito - divago - ricordo che è esattamente lo stesso ragionamento che fecero nel settembre 1858 Charles Eastlake e Giovan Battista Cavalcaselle davanti alla Madonna di Senigallia di Piero della Francesca. Convinti che fosse di Piero, lo scrivono nei rispettivi taccuini (e se volete potete trovarli qui), salvo dare l'opera - Cavalcaselle nella New History, nel caso specifico - a Fra Carnevale sulla base dell'attribuzione 'certa' a quest'ultimo della Pala di Montefeltro a Brera da parte del Pungileoni (1822). Casi come questi, fra conoscitori - insomma - se ne trovano a centinaia, senza per questo tirar in ballo falsificazioni. 

La domanda, in ultima analisi, è: esiste una benché minima prova che Malvasia abbia fatto dipingere una dicitura falsa? Pierguidi si è già dato la risposta. Ma se una scritta falsa c'era già, chi la appose? Non ne ho la più pallida idea. Quello che però posso ricordare è che la tradizione dell'antichità delle Madonne miracolose bolognesi e della loro maggiore antichità rispetto ad altre, non solo fiorentine, non nasce certo con Malvasia. E' testimoniata, ad esempio, da Francesco Cavazzoni in Pitture et sculture et altre cose notabile [sic] che sono in Bologna e dove si trovano del 1603 e in Corona di grazie del medesimo (1608). Non si tratta, nello specifico, di reazione antivasariana, ma di una rivendicazione della 'primogenitura' cultuale che può aver indotto qualcuno a scrivere nome e anno falsi in un momento purtroppo imprecisato, perché la scritta non c'è più (e sono dispostissimo a credere che la falsificazione possa essere secentesca, sull'onda dello scritto di Cavazzoni). Non è affatto, detto, insomma, che il falso abbia a che fare con Vasari, a meno che non si voglia credere che anche la rivendicazione della Madonna dipinta da San Luca non abbia a che fare col Vasari stesso. Se però si vuole ricondurre la falsificazione alla 'reazione antivasariana', faccio presente che essa era presente in città e in Emilia, di fatto, dall'uscita quanto meno della Giuntina, nel 1568. C'è un lasso di oltre un secolo di tempo per collocare la figura del colpevole. La Biblioteca Universitaria di Bologna, per fare un caso, conserva un esemplare della Giuntina in cui, nel secondo volume, Francesco Manzuoli, pittore modenese di metà Seicento commenta il seguente passo di Vasari: "... era in un Paese mirabile: ne mai Lombardo fu, che meglio facesse queste cose di lui”, aggiungendo a matita: "Né Toscano".

Foto dello scrivente

Insomma, davvero chiunque potrebbe essere il malfattore. Non si vede perché proprio Malvasia. Ma la questione non si esaurisce qui: dalla sua convinzione (senza prove, e non lo dico io) Pierguidi fa discendere una serie di altre presunte falsificazioni di Malvasia. E qui ricomincio a trascrivere le sue parole: 

"Così come non ho le prove che fosse Malvasia a scrivere il celebre sonetto di Agostino Carracci sulla cosiddetta teoria dell'eclettismo e l'ancor più nota lettera di Raffaello a Francesco Francia del 1508, tutti testi pubblicati nella Felsina pittrice la cui autenticità resta sub iudice. Io credo che Malvasia procedesse sempre nello stesso modo: cercava documenti e testimonianze, tanto lettere di artisti quanto iscrizioni di dipinti (in questo senso la sua attività è encomiabile) però poi si sentiva autorizzato a integrarli e manipolarle".

Quella di Pierguidi - a me pare - è la lettura sistematicamente orientata e non oggettiva di una serie di documenti e non posso che non dichiararmi in aperto contrasto con questo metodo. Ci si potrebbe chiedere perché. Perché questo 'retropensiero' sistematico, che si scontra con ipotesi ben più semplici e ragionevoli? La risposta è stata data, questa mattina, in maniera chiarissima, da Daniele Benati nel corso di un intervento in cui ha semplicemente dimostrato perché merita la fama incondizionata che ha: perché nell'Officina ferrarese Roberto Longhi aveva sollevato l'idea che Malvasia fosse un falsificatore. Ora, io ho ben chiaro di quale statura sia stato il magistero di Roberto Longhi. Ciò detto, credo che fosse un essere umano e che, come tutti noi, compreso il sottoscritto, sbagliasse. Nella fattispecie ritengo si possa dire, a novant'anni di distanza, che su questo punto specifico non avesse ragione.

Grazie

P.S. Naturalmente avviserò Stefano Pierguidi di questo post e gli sarà data totale possibilità di rispondere su questo blog, ammesso che lo ritenga opportuno. Non conoscendolo personalmente non posso dire di avere nei suoi confronti qualsiasi prevenzione e - come ripeto - so bene quale sia il diverso livello di autorevolezza. 


Per un ulteriore chiarimento cliccare qui







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