Elisa Spataro
«Di gratia, dichiararsi di ogni soggetto la sua particolarità».
Il perduto trattato sulla pittura di Giuseppe Valeriano e il ms. Ges.688 della Biblioteca Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele II” di Roma
In
Storia della critica d’arte
Annuario della S.I.S.C.A. 2023, pp. 39-73
Recensione di Giovanni Mazzaferro
Giuseppe Valeriano, Sant'Agostino, 1592, Roma, Chiesa di Santo Spirito in Sassia Fonte: Sailko tramite Wikimedia Commons |
Un manoscritto ritrovato
Ritrovare un manoscritto inedito sulla pittura, oggi, non è
cosa comunissima. Lo ha fatto Elisa Spataro, a cui vanno subito i miei
complimenti, rinvenendo all’interno del Fondo Gesuitico della Biblioteca
Nazionale Centrale di Roma, un manoscritto anonimo segnato Ges.688. Spataro lo
presenta sull’ultimo numero, appena pubblicato, di Storia della critica
d’arte. Annuario della S.I.S.C.A., in attesa dell’edizione integrale commentata,
a cui sta già lavorando. Più che recensire un’opera, quindi, in questa circostanza
mi limiterò a riassumere in breve i contenuti del saggio (che potete leggere a
questo link: http://www.siscaonline.it/joomla/2019/2019/02/27/annuario-della-s-i-s-c-a),
augurandomi che il Della pittura possa essere presto dato alle stampe.
Nell’indice topografico del Catalogo dei manoscritti
gesuitici della B.N.C. di Roma il manoscritto è indicato come risalente al
XVIII secolo, elemento che, assieme all’assenza del nome dell’autore, alla
fitta presenza di note a margine e al fatto che i fascicoli che lo compongono
rispecchiano diversi stati di lavorazione, ha comportato grande difficoltà a
interpretarlo in maniera corretta. Una serie di tracce tutte coincidenti (dalle
filigrane a evidenze interne) ha portato Spataro a rivedere il
periodo in cui l’opera fu estesa, che l’autrice circoscrive, in sostanza,
all’ultimo decennio del Cinquecento; altre tracce, inconfutabili, hanno
condotto all’identificazione del suo autore in Giuseppe Valeriano (1542-1596). Valeriano
fu, probabilmente, la figura di maggior spicco dell’arte dei gesuiti italiani
sul finire del Cinquecento (un ordine 'giovane', nato solo nel 1534); è più noto come architetto che come pittore, per il
numero degli interventi edilizi che condusse non solo a Roma (ad esempio l’allargamento
del Collegio Romano), ma in tutta la penisola al servizio dell’ordine. La memoria
di un trattato scritto dal padre gesuita è giunta sino ai nostri giorni, ma,
forse perché la fama dell’artista è stata legata soprattutto all’attività
architettonica, si è pensato che l’opera si occupasse proprio di questi temi.
Così, ad esempio, Nicola
Aricò nella sua edizione commentata del Libro di Architettura del
gesuita Alfio Vinci. Sia chiaro: non è affatto escluso che il religioso di
origini aquilane abbia scritto anche un trattato di architettura.
Quello che è certo è che ne scrisse uno di pittura. Così testimonia Gaspare
Celio, nelle sue Vite, anch’esse perdute, ritrovate e pubblicate da Riccardo
Gandolfi solo nel 2021 (pp. 305-306): «Componeva [Valeriano] un libro della
qualità, e quantità delle tinte, secondo le usava Raffaello Sanzio, e il
Correggio, et Tiziano, dal quale ne haveva hauto notizia, vi trattava anco del
modo di comporre le storie. Per il che fece disegnare al Celio [n.d.r. cioè
allo scrivente] molte storie di Sanzio, e di altri, per farle intagliare in
esso libro».
Celio continuava indicando che alla morte di Valeriano il manoscritto era passato
in mano a un suo confratello, anch’egli pittore e che poi non se ne seppe più
nulla, se non che i disegni erano stati dispersi. Che Celio, con riferimento a
Valeriano, sia fonte attendibile è dimostrato dal fatto che attorno al 1590 i
due lavorarono insieme per la cappella della Passione nella Chiesa del Gesù. Nelle
Vite, poi, Celio scrisse della sua amicizia con Valeriano e a questo
punto non c’è da stupirsi che il manoscritto (che è incompleto) contenga un Dialogo
tra ms. Gasparo Celio e l’Auttore che non fa che confermare come lo
scrivente sia Valeriano.
La prima carta del manoscritto (su cortese concessione dell'autrice) |
La testimonianza di Celio, tuttavia, non è del tutto corretta, e non lo è probabilmente perché il progetto di Valeriano si andò ampliando nel corso degli anni, interrompendosi con tutta evidenza per via della sua morte, nel 1596 (se ho capito bene Spataro ritiene che la stesura di quanto giunto sino a noi sia circoscrivibile a un periodo fra il 1593 e il 1596). Dell’opera ci sono giunti quattro libri, numerati 1, 2, 4 e 5. Quest’ultimo è incompleto; manca, inoltre, il terzo. All’interno del secondo compare un elenco che, tuttavia, prefigura un vero e proprio trattato della pittura non limitato soltanto al colore, ma esteso in maniera sistematica a questioni teoriche (in misura limitata), iconografiche e pratiche, a configurare un vero e proprio manuale per i giovani che desideravano incamminarsi nella professione. Così, dopo un primo libro di natura teorica, che definisce cosa sia la pittura e che fini persegua, il secondo è dedicato allo studio delle parti che compongono il volto e la figura umana. Il progetto prefigurava una stretta relazione fra testo e immagine; più di novanta dovevano essere le figure, tratte dai disegni di Michelangelo e dalla scultura antica, a corredo della trattazione e Valeriano indica gli spazi in cui esse dovevano essere inserite. Tutto l’insieme dei disegni (probabilmente da riferire ancora a Celio), purtroppo, è andato perso. Ma ecco l’elenco dei libri successivi proposto da Valeriano nell’ambito del secondo libro:
«Nel terzo poi si trattarà della compositione de corpi
intieri, della intelligenza et movimento di quelli, et del uso di rilievo.
Nel quarto della inventione et componimento delle
historie.
Nel quinto della perspettiva, et casamenti.
Nel sesto dell’arte del tingere.
Nel settimo del modo di fare et vestire i modelli,
del modo di imitare i drappi di seta et d’oro, delli panni, delli cambianti et
lor colori.
Nel ottavo delli paesi lontani mezzi vicini, acque,
splendori et simili.
Nel nono, de gl’animali, pesci et uccelli, et delli
frutti, et fiori.
Nel decimo, delli secreti da fare i colori più
principali: delle vernici, et degli olii chiari.
Nel undecimo, del modo di apparecchiar le tavole, le
tele et altre cose.
Nel duodecimo, del modo di lavorare a fresco, a
tempera, ad olii, et quale più durabile, et più perfetto».
Come detto, ci sono giunti in realtà solo quattro libri: oltre al primo (che è indicato essere una terza bozza), il secondo (seconda bozza), il quarto, che parla appunto dell’invenzione, e un incompleto libro V, che parla Dell’arte del tingere, ossia dei colori. Il fatto che, nell’elenco sopra trascritto, dovesse essere contrassegnato come sesto libro, indica che, chiaramente, il manoscritto di Valeriano rispeocchia date e fasi di redazione fra loro differenti. Non sappiamo, relativamente al materiale scomparso, se mai sia stato scritto e poi perduto o se, come possibile, l’artista (che morì a 54 anni) non abbia avuto il tempo di mettervi mano.
Un progetto ambizioso
Naturalmente rimando al saggio per i dettagli. Quanto mi
preme qui sottolineare è che il progetto di Valeriano fu, evidentemente,
ambizioso, perché delinea un vero e proprio programma didattico da proporre a giovani allievi. Se ne possono riconoscere sezioni che hanno corrispettivi in
produzioni coeve: ad esempio, lo studio delle parti del corpo umano ricorda
quello dei cosiddetti Essemplari che furono editi a stampa agli inizi
del Seicento, come la Scuola perfetta per imparare a disegnare tutto il
corpo humano dei Carracci (1600), Il vero modo et ordine per dissegnar
tutte le parti et membra del corpo humano di Odoardo Fialetti, l’Essemplario
della nobile arte del dissegno di Francesco Cavazzoni (rimasto inedito e
risalente grosso modo al 1612). Tuttavia, il disegno di mani, piedi etc. si
combina (o doveva farlo) con quello della figura intera e con lo studio del
movimento del corpo umano, legato a quello della forza di gravità, secondo
criteri che puntano a insegnare il concetto di baricentro e di distribuzione
dei pesi che non possono non ricordare gli studi di Leonardo. Sappiamo
benissimo, in merito, che a Roma circolavano apografi incompleti del trattato
leonardiano (stampato solo nel 1651). Molto importante, naturalmente, anche lo
studio della composizione vera e propria, di cui Raffaello, senza alcuna
sorpresa è proclamato massimo artefice. Tutt’altro che trascurabile, poi, la
parte finale destinata ai colori. Nel dialogo finale, Celio invita l’autore a
spiegare il colorire come se lo stesse facendo a viva voce (cioè in maniera
chiara e didascalica), ma senza nulla tralasciare: «Di gratia dichiararsi di ogni
soggetto la sua particolarità» (ed ecco quindi spiegato il titolo del
presente saggio); non è trascurabile che, implicitamente, Valeriano bocci il
meccanismo dei ‘segreti’, ossia della trasmissione in ambito di bottega da
maestro a discepolo di quei “segreti” che, di fatto, costituivano, in termini
economici, l’avviamento d’impresa.
La questione porta ad affrontare un altro aspetto (questa è
una mia considerazione personale e non coinvolge quindi le tesi dell’autrice): pur nella
sua incompletezza il trattato di Valeriano è, chiaramente, un manuale di
insegnamento ‘accademico’. Scrivo ‘accademico’ fra virgolette perché non è
affatto detto che fosse destinato a costituire il ‘programma di studi’
dell’appena ricostituita Accademia di San Luca. Semmai potrebbe essere stato,
nelle intenzioni, un testo da proporre nell’ambito dell’insegnamento dei
gesuiti. La connotazione controriformata e gesuitica del manoscritto è
evidente. Il fatto che Valeriano scriva, grosso modo, fra il 1593 e il 1596 e
che l’Accademia di San Luca si ricostituisca nel 1593 è una coincidenza troppo
grande per pensare che due progetti didattici sostanzialmente simili
viaggiassero, di fatto, all’insaputa l’uno dell’altra. Furono progetti paralleli,
complementari o in concorrenza fra loro? Sarebbe bello capire quali furono i
rapporti di Valeriano con i membri dell’Accademia, a partire, ovviamente, dal
suo primo Principe, ossia Federico Zuccari, ma anche con Romano Alberti. Basti
qui ricordare che nel 1599 raccolse in un volume i discorsi accademici di
Zuccari sotto l’estenuante titolo di Origine e Progresso dell’Accademia del
disegno de’ Pittori, Scultori e Architetti in Roma, dove si contengono molti
utilissimi discorsi e filosofici ragionamenti appartenenti alle suddette
Professioni, ed in particolare ad alcune nuove definizioni del Disegno, della
Pittura, Scultura ed Architettura, ed al modo d’incamminare i giovani e
perfezionar i provetti etc… Se era questo – teorico e filosofico – il
tenore dei discorsi che Zuccari pronunciava in Accademia, possibile che
Valeriano volesse rispondere scrivendo «nell’istesso modo che con parole et
con colori s’insegnano [n.d.r. le cose della pittura] con viva voce»?
Non ci resta che attendere la pubblicazione dell’edizione
commentata, sperando di avere risposta.
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