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lunedì 4 marzo 2024

Eliana Carrara. Prima e dopo Vasari. Celebrazioni, programmi e apparati effimeri nella Firenze dei Medici

 

Eliana Carrara
Prima e dopo Vasari
Celebrazioni, programmi e apparati effimeri nella Firenze dei Medici


Trascrizioni a cura di Veronica Vestri
Edizione critica a cura di Eliana Carrara

Con un’introduzione di Eliana Carrara
e schede di Veronica Vestri

Pisa, Edizioni ETS, 2020

Recensione di Giovanni Mazzaferro

 


 

Feste e apparati effimeri

La civiltà delle feste, degli apparati effimeri, delle rappresentazioni teatrali organizzate in occasione di eventi di particolare importanza nelle grandi città italiane è ben nota, ed è stata ampiamente studiata sia per ciò che attiene il Cinque sia per il Seicento. Me ne sono occupato, ad esempio, poco tempo fa, in occasione della pubblicazione del programma iconografico degli archi trionfali stilato da Guido Mazenta a Milano in previsione dell’ingresso in città di Gregoria Massimiliana d’Austria (1597). In quel libro Silvio Leydi ha tracciato un panorama degli ingressi di membri della famiglia Asburgo (ramo d’Austria o di Spagna) a Milano nel corso del Cinquecento.

Eliana Carrara (con il fattivo contributo di Veronica Vestri) affronta in questo volume le vicende delle feste fiorentine, tema anch’esso ben noto, ma a cui si aggiungono ora altri materiali d’archivio (quasi tutti inediti) relativi rispettivamente alla rappresentazione della commedia I Bernardi nella Sala Grande (ora Salone dei Cinquecento) in Palazzo Vecchio; alle celebrazioni in occasione dell’ingresso di Giovanna d’Asburgo in città per il suo matrimonio con Francesco I (1565-1566); e, infine, alle nozze fra Ferdinando I con Cristina di Lorena (1589). Molto conosciamo già: ne restano testimonianze anche visive (disegni e incisioni); così come pubblicazioni a stampa d’occasione (ma, nel caso dell’ingresso di Giovanna a Firenze, il resoconto – scritto da Giovan Battista Cini - fu inserito all’ultimo momento addirittura nell’edizione Giuntina delle Vite vasariane). Tuttavia i documenti d’archivio sono sempre importanti perché, oltre a fornire informazioni sempre più puntuali, danno un’idea della complessità delle varie fasi delle celebrazioni, dalla progettazione all’esecuzione, allo spettacolo vero e proprio. Marco Collareta, nella sua prefazione, ricorda che, in una situazione standard, «tutto parte da un committente, prende forma verbale nel programma di un consigliere erudito, viene tradotto in percorso urbanistico e/o progetto architettonico d’insieme da un artista esperto nel disegno, s’incarna nella concreta realtà dei manufatti, accoglie gli attori umani che gli conferiscono vita e significato, per offrirsi infine agli occhi di un pubblico variegato e complesso, cui spetta il primo e personale giudizio critico» (p. 11). Difficile trovare qualcosa di analogo oggi, a quasi cinque secoli di distanza; forse, spostandosi in ambito sportivo, si potrebbe fare un paragone con l’organizzazione e le cerimonie d’inaugurazione delle Olimpiadi.

 

Un mondo al lavoro

Di quei manufatti, naturalmente, resta nulla, se non in casi del tutto eccezionali. Ma consultare le carte ci permette di ricostruire un ambiente artistico e artigianale in maniera straordinariamente completa. Il caso delle nozze fra Francesco I e Giovanna d’Asburgo, in questo senso, è particolarmente fortunato e la nostra fortuna è dovuta – ironia della sorte – proprio alle vicissitudini amministrative successive allo svolgimento dei fatti. Raffaello Guidi, detto ‘dello Scheggia’ aveva infatti ricevuto 1240 scudi dalle casse granducali per le spese della ‘mascherata’ e della commedia (la Cofanaria) tenutasi per quell’occasione. Sennonché, mentre in un suo libretto personale, risultavano spese per 1234, era stato in grado di produrre pezze d’appoggio solo per 703 scudi. Si impose, dunque, la sistematica revisione di tutte le notule da parte dell’organo preposto (la Magistratura dei Soprassindaci)  e, in assenza di tutti i riscontri, si fece ricorso alle testimonianze di tutti gli attori coinvolti, dal pittore Bernardo Buontalenti, che senza dubbio ebbe un ruolo di primo piano nell’allestimento degli apparati, fino ai letterati che realizzarono versi di occasione (Antonio Ceccherelli) e al mondo artigiano che si vide coinvolto nei preparativi. I nomi di Marco Giachini e Antonio Nichi, merciai; di Agnolo Alessandrini e compagni, linaioli; di Bartolomeo da Verrazzano e compagni, tessitori; di Giovanni Battista Losetti e compagni, velatai; del bergamasco Francesco di Giorgio Lottotti, venditore di maschere e burattini e così via, per pagine e pagine, di ricamatori, brigliai, di venditori di pelli, di calzolai, di sellai, di filatori d’oro, cappellai, setaioli, venditori di perle e quant’altro, non passeranno alla storia. Ce ne dimenticheremo subito e ben poco potremo dire sulle loro biografie e sulle loro attività. Ma tutti assieme, questi attori, di molta o nessuna fama, costituiscono il tessuto produttivo della Firenze del Cinquecento: sono la Firenze vera, quella su cui potranno contare non solo i granduchi, ma anche gli artisti di maggior successo (come Vasari) per la realizzazione di commissioni e opere. E quindi, per una volta, più che ai documenti veri e propri, che naturalmente saranno particolarmente preziosi per coloro che si occupano di storia materiale e di storia dello spettacolo, vale la pena leggere le schede biografiche finali del libro, che riguardano una parte (quella di cui si è riusciti a sapere qualcosa) degli artigiani, commercianti, manovali che costituivano la nervatura del mondo artigiano della città. Ci sono veramente tante cose da imparare. 


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