Eliana Carrara
Prima e dopo Vasari
Celebrazioni, programmi e apparati effimeri nella Firenze dei Medici
Trascrizioni a cura di Veronica Vestri
Edizione critica a cura di Eliana Carrara
Con un’introduzione di Eliana Carrara
e schede di Veronica Vestri
Pisa, Edizioni ETS, 2020
Recensione di Giovanni Mazzaferro
Feste e apparati effimeri
La civiltà delle feste, degli apparati effimeri, delle
rappresentazioni teatrali organizzate in occasione di eventi di particolare
importanza nelle grandi città italiane è ben nota, ed è stata ampiamente
studiata sia per ciò che attiene il Cinque sia per il Seicento. Me ne sono
occupato, ad esempio, poco tempo fa, in occasione della pubblicazione del
programma iconografico degli archi trionfali stilato da Guido Mazenta a Milano
in previsione dell’ingresso in città di Gregoria Massimiliana d’Austria (1597).
In quel libro Silvio Leydi ha tracciato un panorama degli ingressi di membri
della famiglia Asburgo (ramo d’Austria o di Spagna) a Milano nel corso del
Cinquecento.
Eliana Carrara (con il fattivo contributo di Veronica
Vestri) affronta in questo volume le vicende delle feste fiorentine, tema anch’esso
ben noto, ma a cui si aggiungono ora altri materiali d’archivio (quasi tutti
inediti) relativi rispettivamente alla rappresentazione della commedia I
Bernardi nella Sala Grande (ora Salone dei Cinquecento) in Palazzo Vecchio;
alle celebrazioni in occasione dell’ingresso di Giovanna d’Asburgo in città per
il suo matrimonio con Francesco I (1565-1566); e, infine, alle nozze fra
Ferdinando I con Cristina di Lorena (1589). Molto conosciamo già: ne restano testimonianze
anche visive (disegni e incisioni); così come pubblicazioni a stampa
d’occasione (ma, nel caso dell’ingresso di Giovanna a Firenze, il resoconto –
scritto da Giovan Battista Cini - fu inserito all’ultimo momento addirittura
nell’edizione Giuntina delle Vite vasariane). Tuttavia i documenti
d’archivio sono sempre importanti perché, oltre a fornire informazioni sempre
più puntuali, danno un’idea della complessità delle varie fasi delle
celebrazioni, dalla progettazione all’esecuzione, allo spettacolo vero e
proprio. Marco Collareta, nella sua prefazione, ricorda che, in una situazione
standard, «tutto
parte da un committente, prende forma verbale nel programma di un consigliere
erudito, viene tradotto in percorso urbanistico e/o progetto architettonico
d’insieme da un artista esperto nel disegno, s’incarna nella concreta realtà
dei manufatti, accoglie gli attori umani che gli conferiscono vita e
significato, per offrirsi infine agli occhi di un pubblico variegato e
complesso, cui spetta il primo e personale giudizio critico» (p. 11).
Difficile trovare qualcosa di analogo oggi, a quasi cinque secoli di distanza;
forse, spostandosi in ambito sportivo, si potrebbe fare un paragone con
l’organizzazione e le cerimonie d’inaugurazione delle Olimpiadi.
Un mondo al lavoro
Di quei manufatti, naturalmente, resta nulla, se non in casi
del tutto eccezionali. Ma consultare le carte ci permette di ricostruire un
ambiente artistico e artigianale in maniera straordinariamente completa. Il
caso delle nozze fra Francesco I e Giovanna d’Asburgo, in questo senso, è
particolarmente fortunato e la nostra fortuna è dovuta – ironia della sorte –
proprio alle vicissitudini amministrative successive allo svolgimento dei
fatti. Raffaello Guidi, detto ‘dello Scheggia’ aveva infatti ricevuto 1240
scudi dalle casse granducali per le spese della ‘mascherata’ e della commedia (la
Cofanaria) tenutasi per quell’occasione. Sennonché, mentre in un suo
libretto personale, risultavano spese per 1234, era stato in grado di produrre pezze
d’appoggio solo per 703 scudi. Si impose, dunque, la sistematica revisione di
tutte le notule da parte dell’organo preposto (la Magistratura dei
Soprassindaci) e, in assenza di tutti i
riscontri, si fece ricorso alle testimonianze di tutti gli attori coinvolti, dal
pittore Bernardo Buontalenti, che senza dubbio ebbe un ruolo di primo piano
nell’allestimento degli apparati, fino ai letterati che realizzarono versi di
occasione (Antonio Ceccherelli) e al mondo artigiano che si vide coinvolto nei
preparativi. I nomi di Marco Giachini e Antonio Nichi, merciai; di Agnolo
Alessandrini e compagni, linaioli; di Bartolomeo da Verrazzano e compagni,
tessitori; di Giovanni Battista Losetti e compagni, velatai; del bergamasco
Francesco di Giorgio Lottotti, venditore di maschere e burattini e così via,
per pagine e pagine, di ricamatori, brigliai, di venditori di pelli, di
calzolai, di sellai, di filatori d’oro, cappellai, setaioli, venditori di perle
e quant’altro, non passeranno alla storia. Ce ne dimenticheremo subito e ben
poco potremo dire sulle loro biografie e sulle loro attività. Ma tutti assieme,
questi attori, di molta o nessuna fama, costituiscono il tessuto produttivo
della Firenze del Cinquecento: sono la Firenze vera, quella su cui potranno
contare non solo i granduchi, ma anche gli artisti di maggior successo (come
Vasari) per la realizzazione di commissioni e opere. E quindi, per una volta,
più che ai documenti veri e propri, che naturalmente saranno particolarmente
preziosi per coloro che si occupano di storia materiale e di storia dello
spettacolo, vale la pena leggere le schede biografiche finali del libro, che
riguardano una parte (quella di cui si è riusciti a sapere qualcosa) degli
artigiani, commercianti, manovali che costituivano la nervatura del mondo
artigiano della città. Ci sono veramente tante cose da imparare.
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