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lunedì 12 febbraio 2024

Emma Santi, «L’amor dell’arte è una febbre che mi aggitta continuamente». Il viaggio di Giovanni Battista Cavalcaselle in Spagna (1852)

 

Emma Santi
«L’amor dell’arte è una febbre che mi aggitta continuamente». Il viaggio di Giovanni Battista Cavalcaselle in Spagna (1852)

Pubblicato in

«Horti Hesperidum» 2022, 2, pp. 333-378

 Recensione di Giovanni Mazzaferro

Tiziano, Madonna col Bambino e i santi Dorotea e Giorgio, Madrid, Museo del Prado
Fonte: https://www.museodelprado.es/en/the-collection/art-work/the-virgin-and-child-with-saints-dorothy-and/cb4b0922-04a4-4318-91ed-bbc4c7b60d78


Giovan Battista Cavalcaselle, Disegno del quadro in Fondo Cavalcaselle, Biblioteca Nazionale Marciana, Ms. It, IV, 2037 [=12278], tacc. VIII, f. 42v.


Belle sorprese (con ammissioni di errori)

Mi si perdoni se in questa recensione sarò più autoreferenziale del solito. Quando, a settembre 2023, ho pubblicato Il giovane Cavalcaselle. «Il più curioso, il più intrepido, il più appassionato di tutti gli affamati di pittura» speravo (e lo scrissi) che la mia ricerca avrebbe stimolato altri giovani studiosi a proseguire nelle indagini sul grande conoscitore di Legnago. Mai mi sarei immaginato che ci fosse qualcuno che l’aveva già fatto; si tratta di Emma Santi, che nell’anno accademico 2021/2022 ha conseguito la laurea magistrale in Storia dell’Arte con una tesi intitolata «L’amor dell’arte è una febbre che mi aggitta continuamente». Il viaggio di Giovanni Battista Cavalcaselle in Spagna (1852). Il taccuino n. 8 del codice It. IV 2037 [12278] della Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia (relatore Marsel Grosso). Ho letto quella tesi in ritardo, a pubblicazione avvenuta, e l’ho trovata magistrale non tanto dal punto di vista ‘burocratico’, quanto sotto un profilo contenutistico. Da quel lavoro è ora tratto il saggio che Santi pubblica sull’ultimo numero di «Horti Hesperidum», oggetto di questa recensione. Lo potete leggere cliccando qui.

A essere onesti, non avrei nemmeno creduto di dover ammettere così presto di aver fatto un errore nel mio libro. Sia chiaro: quando si fa una ricerca, ci si espone sempre a errori, e la cosa migliore è riconoscerlo serenamente. Mi riferisco in particolare al rapporto fra Cavalcaselle e il tenore Mario (al secolo Giovanni Matteo De Candia), all’epoca uno dei cantanti lirici più famosi d’Europa. Mario (1810-1883), cagliaritano, era un patriota, come Cavalcaselle; in realtà aveva lasciato il Regno di Sardegna abbastanza presto (ben prima di Cavalcaselle), a quanto pare per le sue simpatie mazziniane, ma anche per debiti. Nel 1838 iniziò a Parigi la sua carriera lirica, che fu divisa soprattutto fra Francia e Inghilterra (ma lo vide cantare in tutta Europa). È noto che Mario fu particolarmente munifico nei confronti dei mazziniani esuli, e Cavalcaselle, dal 1849 fino al 1857, visse questa situazione. Nelle sue memorie, Joseph Archer Crowe, amico di una vita del legnaghese, scrisse che Cavalcaselle fu inviato in Spagna da Mario, a sue spese, per comprare quadri per la sua collezione. Io, a questa affermazione, ho creduto poco, innanzi tutto perché collocata nel periodo in cui Crowe era in Crimea (e quest’ultimo ci andò nel 1853, mentre il viaggio spagnolo di Cavalcaselle fu certamente del 1852) e poi perché mi pareva circostanza poco in linea col ‘personaggio’ Cavalcaselle, certo non alieno dal dare consulenze, ma totalmente privo, a mio avviso, della capacità di fare il ‘mercante’.

Per dirla tutta, ho pensato che il nome ‘Mario’ fosse una copertura, per nascondere una collaborazione con Charles Eastlake, all’epoca direttore della Royal Academy e poi della National Gallery; è appena evidente che l’inglese, vista la sua posizione, poteva avere qualche scrupolo a rendere palese i suoi rapporti con un esule mazziniano. Per non sbilanciarmi troppo, ho scritto che le due cose non si escludevano a vicenda, ma al ruolo di Mario non credevo proprio.

E invece Emma Santi si è presa la briga di andare a studiare di persona il fondo di De Candia (è così che si fa ricerca), che si trova presso l’Archivio di Stato di Roma, e ha trovato due lettere di Cavalcaselle a Mario che confermano i rapporti fra i due. A essere onesti, non sembrano dimostrare che il legnaghese abbia comprato quadri per Mario, ma certamente avvalorano la tesi che Cavalcaselle abbia fruito dell’aiuto finanziario del cagliaritano per il viaggio europeo del 1852 (quanto meno per il segmento che riguardò la Spagna). In particolare nella prima, di ritorno dal viaggio spagnolo, Cavalcaselle dice di essere pronto a fare un resoconto dei quadri di Madrid, della Spagna e del Louvre; nella seconda (e siamo nel 1853) appare chiaro che Cavalcaselle è sentito per un parere su quadri già comprati da Mario («Ora adunque che siete tornato scrivetemi se mi permettete di passare da casa vostra, così nel mentre vedrò i quadri, avrò il piacere di salutarvi»). Da segnalare, en passant, che la prima missiva contiene questa stupenda definizione che Cavalcaselle dà di sé stesso, come di un uomo divorato in continuazione dalla febbre dell’arte, che è un’immagine che si attaglia perfettamente al personaggio

Che tipo di collezionista fu, il tenore Mario? Dal pochissimo che sappiamo (e qui si spera che si possa andare avanti nella ricerca) sembra essere stato un bulimico (o, se si preferisce, un eclettico), che comprava un po’ di tutto e che probabilmente non aveva un occhio da conoscitore. Non è fatto escluso, insomma, che De Candia sia stato ‘vittima’ di qualche attribuzione molto ardita e che Cavalcaselle, sotto questo punto di vista, rappresentasse un punto di riferimento importante per operare un’oculata selezione fra ciò che poteva valere e ciò che, invece, era ciarpame. Ciò detto, è evidente che il rapporto fra i due si instaurò sulla base della comune fede politica. Di questi aspetti sappiamo pochissimo, facendo i due parte di un’associazione segreta; è ormai possibile, tuttavia, delineare una rete di solidarietà fra compatrioti che vide coinvolti artisti come Mario e come l’incisore Luigi Calamatta (si veda il mio libro su Cavalcaselle)

 

La Spagna come esempio del metodo cavalcaselliano

Mi fa molto piacere che Santi condivida con me la convinzione che, quello europeo del 1852 e, in particolare, il periodo passato in Spagna costituisca un unicum particolarmente importante nell’ambito del Fondo Cavalcaselle conservato alla Biblioteca Nazionale Marciana. Il motivo è evidente: siamo certi, qui, che il legnaghese non aveva mai visto le opere prima, e quindi possiamo valutare il suo metodo di lavoro. Naturalmente gli errori non mancano (si pensi solo alla Fonte della Grazia, vista al Prado e data con una tale certezza ai Van Eyck da meritarsi l’onore del controfrontespizio negli Early Flemish Painters del 1857, mentre oggi è relegata a opera di bottega), ma a Santi non sfugge la versatilità e l’innata curiosità di Cavalcaselle, che in un momento ancora formativo, trova manifestazione in una serie di disegni ‘eccentrici’ rispetto a quanto ci aspetteremo di vedere: «A Valladolid lo sguardo dello studioso sembra essere catalizzato più che dalla produzione pittorica, dalle architetture della città: sono, infatti, schizzati l’imponente apparato scultoreo della facciata di San Pablo e della facciata del Collegio domenicano di San Gregorio, il suo soffitto mistilineo e le trine di pietra che ornano le bifore del raffinato porticato che ne perimetra il cortile. L’attenzione per le composizioni tridimensionali si manifesta anche a Burgos presso la Certosa di Miraflores: schizzi e disegni più rifiniti del monumentale sepolcro in cui riposano Giovanni di Castiglia e Isabella di Portogallo, opera di Gil De Siloè, occupano ben cinque fogli del taccuino n. 2» (p. 339). Nel catalogo del Prado la prospettiva si mantiene ampia e riguarda anche la pittura spagnola in generale, con particolare riferimento al Secolo d’oro e a Murillo e Velázquez. Ma è nel taccuino n. 8 del codice It. IV 2037 [12278] che l’attenzione si concentra su quattro argomenti in particolare: la pittura fiamminga, la pittura nord-italiana, Raffaello e Tiziano (p. 346).

 

Tiziano

Tiziano, Venere con un'organista e cagnolino, Madrid, Museo del Prado
Fonte: https://www.museodelprado.es/en/the-collection/art-work/venus-with-an-organist-and-a-dog/3318ce42-8836-4867-acf7-276e1870294c

Giovan Battista Cavalcaselle, Disegno del quadro in Fondo Cavalcaselle, Biblioteca Nazionale Marciana, Ms. It, IV, 2037 [=12278], tacc. VIII, f. 29v.

Pagine iniziali dello stesso taccuino (risalenti a mio avviso agli anni Quaranta) mostrano come Cavalcaselle, sin da giovane, si focalizzi sulla pittura veneta, su Tiziano e sulle tecniche esecutive delle opere. L’autrice, giustamente, scrive che «i disegni dai dipinti del Vecellio conservati al Prado rivelano la sottile comprensione dello stile di Tiziano: Cavalcaselle traduce diligentemente le sue opere con dovizia di particolari, intonandone di volta in volta il suo segno, il quale si adatta ora alla linea sinuosa, quasi raffaellesca dei quadri giovanili, ora al tratto mosso, vibrante dei capolavori tardi» (p. 347). Per quanto mi riguarda ho trascritto ne Il giovane Cavalcaselle, a mo’ di esempio, le note straripanti apposte alla Venere con organista e cagnolino. Qui la rassegna si allarga alla Danae, all’Adamo e Eva (e alla copia secentesca dell’opera eseguita da Rubens), ma anche a dipinti che vengono espunti dal catalogo del cadorino e ricondotti a bottega, allievi, seguaci. Santi evidenzia come in questo taccuino, del 1852, si possano trovare le radici della monografia che Cavalcaselle, in coppia con Crowe, dedicò a Tiziano nel 1877. Naturalmente non tutto resta uguale, e, anzi, possiamo assistere ad assestamenti e ripensamenti scanditi in altri taccuini successivi, negli appunti del conoscitore e nelle opere a stampa intermedie, ma resta il fatto che gli appunti spagnoli del 1852 rivestono un ruolo importante «e rappresentano un imprescindibile punto di partenza per le descrizioni e i commenti delle opere del cadorino, tanto più per quanto riguarda i fogli prodotti nel corso del viaggio in Spagna dove né Cavalcaselle né tantomeno Crowe ebbero occasione di tornare prima dell’uscita del Tiziano del 1877» (p. 352).

Quest’aspetto, mi permetto di aggiungere, apre un discorso sulla formazione di Cavalcaselle e sulla sua percezione di sé. Se il legnaghese non tornò in Spagna prima del 1883 non fu perché non ne ebbe modo, ma perché evidentemente valutava i suoi appunti già ‘maturi’. In parole povere, li considerava già quelli di un conoscitore all’altezza. Quand’è che effettivamente lo divenne? Certamente gli anni 1849-1852 in Inghilterra furono importanti, ma è altrettanto logico pensare che l’uomo ritenesse di avere già una buona cultura visiva quando, nel 1847, intraprese il suo primo viaggio all’estero (e conobbe Crowe a Berlino). Purtroppo, le sue carte di quel periodo sono andate perdute, ma è del tutto logico che i primi corpo a corpo con le opere d’arte (e con Tiziano in particolare) risalgano a metà degli anni Quaranta. Forse, un giorno, Emma Santi riuscirà a trovare anche quegli appunti (ed è quello che le auguro).

 

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