Emma Santi
«L’amor dell’arte è una febbre che mi aggitta continuamente». Il viaggio di Giovanni Battista Cavalcaselle in Spagna (1852)
Pubblicato in
«Horti Hesperidum» 2022, 2, pp. 333-378
Giovan Battista Cavalcaselle, Disegno del quadro in Fondo Cavalcaselle, Biblioteca Nazionale Marciana, Ms. It, IV, 2037 [=12278], tacc. VIII, f. 42v. |
Belle sorprese (con ammissioni di errori)
Mi si perdoni se in questa recensione sarò più autoreferenziale del solito. Quando, a settembre 2023, ho pubblicato Il giovane Cavalcaselle. «Il più curioso, il più intrepido, il più appassionato di tutti gli affamati di pittura» speravo (e lo scrissi) che la mia ricerca avrebbe stimolato altri giovani studiosi a proseguire nelle indagini sul grande conoscitore di Legnago. Mai mi sarei immaginato che ci fosse qualcuno che l’aveva già fatto; si tratta di Emma Santi, che nell’anno accademico 2021/2022 ha conseguito la laurea magistrale in Storia dell’Arte con una tesi intitolata «L’amor dell’arte è una febbre che mi aggitta continuamente». Il viaggio di Giovanni Battista Cavalcaselle in Spagna (1852). Il taccuino n. 8 del codice It. IV 2037 [12278] della Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia (relatore Marsel Grosso). Ho letto quella tesi in ritardo, a pubblicazione avvenuta, e l’ho trovata magistrale non tanto dal punto di vista ‘burocratico’, quanto sotto un profilo contenutistico. Da quel lavoro è ora tratto il saggio che Santi pubblica sull’ultimo numero di «Horti Hesperidum», oggetto di questa recensione. Lo potete leggere cliccando qui.
A essere onesti, non avrei nemmeno creduto di dover ammettere così
presto di aver fatto un errore nel mio libro. Sia chiaro: quando si fa una
ricerca, ci si espone sempre a errori, e la cosa migliore è riconoscerlo serenamente.
Mi riferisco in particolare al rapporto fra Cavalcaselle e il tenore Mario (al
secolo Giovanni Matteo De Candia), all’epoca uno dei cantanti lirici più famosi
d’Europa. Mario (1810-1883), cagliaritano, era un patriota, come Cavalcaselle;
in realtà aveva lasciato il Regno di Sardegna abbastanza presto (ben prima di
Cavalcaselle), a quanto pare per le sue simpatie mazziniane, ma anche per debiti.
Nel 1838 iniziò a Parigi la sua carriera lirica, che fu divisa soprattutto fra
Francia e Inghilterra (ma lo vide cantare in tutta Europa). È noto che Mario fu
particolarmente munifico nei confronti dei mazziniani esuli, e Cavalcaselle,
dal 1849 fino al 1857, visse questa situazione. Nelle sue memorie, Joseph
Archer Crowe, amico di una vita del legnaghese, scrisse che Cavalcaselle fu
inviato in Spagna da Mario, a sue spese, per comprare quadri per la sua
collezione. Io, a questa affermazione, ho creduto poco, innanzi tutto perché
collocata nel periodo in cui Crowe era in Crimea (e quest’ultimo ci andò nel
1853, mentre il viaggio spagnolo di Cavalcaselle fu certamente del 1852) e poi
perché mi pareva circostanza poco in linea col ‘personaggio’ Cavalcaselle,
certo non alieno dal dare consulenze, ma totalmente privo, a mio avviso, della
capacità di fare il ‘mercante’.
Per dirla tutta, ho pensato che il nome ‘Mario’ fosse una
copertura, per nascondere una collaborazione con Charles
Eastlake, all’epoca direttore della Royal Academy e poi della National
Gallery; è appena evidente che l’inglese, vista la sua posizione, poteva avere
qualche scrupolo a rendere palese i suoi rapporti con un esule mazziniano. Per non
sbilanciarmi troppo, ho scritto che le due cose non si escludevano a vicenda,
ma al ruolo di Mario non credevo proprio.
E invece Emma Santi si è presa la briga di andare a studiare di
persona il fondo di De Candia (è così che si fa ricerca), che si trova presso
l’Archivio di Stato di Roma, e ha trovato due lettere di Cavalcaselle a Mario
che confermano i rapporti fra i due. A essere onesti, non sembrano dimostrare
che il legnaghese abbia comprato quadri per Mario, ma certamente avvalorano la
tesi che Cavalcaselle abbia fruito dell’aiuto finanziario del cagliaritano per
il viaggio europeo del 1852 (quanto meno per il segmento che riguardò la
Spagna). In particolare nella prima, di ritorno dal viaggio spagnolo,
Cavalcaselle dice di essere pronto a fare un resoconto dei quadri di Madrid,
della Spagna e del Louvre; nella seconda (e siamo nel 1853) appare chiaro che
Cavalcaselle è sentito per un parere su quadri già comprati da Mario («Ora
adunque che siete tornato scrivetemi se mi permettete di passare da casa
vostra, così nel mentre vedrò i quadri, avrò il piacere di salutarvi»). Da
segnalare, en passant, che la prima missiva contiene questa stupenda
definizione che Cavalcaselle dà di sé stesso, come di un uomo divorato in
continuazione dalla febbre dell’arte, che è un’immagine che si attaglia
perfettamente al personaggio
Che tipo di collezionista fu, il tenore Mario? Dal pochissimo che
sappiamo (e qui si spera che si possa andare avanti nella ricerca) sembra
essere stato un bulimico (o, se si preferisce, un eclettico), che comprava un
po’ di tutto e che probabilmente non aveva un occhio da conoscitore. Non è
fatto escluso, insomma, che De Candia sia stato ‘vittima’ di qualche
attribuzione molto ardita e che Cavalcaselle, sotto questo punto di vista, rappresentasse
un punto di riferimento importante per operare un’oculata selezione fra ciò che
poteva valere e ciò che, invece, era ciarpame. Ciò detto, è evidente che il
rapporto fra i due si instaurò sulla base della comune fede politica. Di questi
aspetti sappiamo pochissimo, facendo i due parte di un’associazione segreta; è
ormai possibile, tuttavia, delineare una rete di solidarietà fra compatrioti
che vide coinvolti artisti come Mario e come l’incisore Luigi Calamatta (si
veda il mio libro su Cavalcaselle)
La Spagna come esempio del metodo cavalcaselliano
Mi fa molto piacere che Santi condivida con me la convinzione che,
quello europeo del 1852 e, in particolare, il periodo passato in Spagna
costituisca un unicum particolarmente importante nell’ambito del Fondo
Cavalcaselle conservato alla Biblioteca Nazionale Marciana. Il motivo è
evidente: siamo certi, qui, che il legnaghese non aveva mai visto le opere
prima, e quindi possiamo valutare il suo metodo di lavoro. Naturalmente gli
errori non mancano (si pensi solo alla Fonte della Grazia, vista al
Prado e data con una tale certezza ai Van Eyck da meritarsi l’onore del
controfrontespizio negli Early Flemish Painters del 1857, mentre oggi è relegata
a opera di bottega), ma a Santi non sfugge la versatilità e l’innata curiosità
di Cavalcaselle, che in un momento ancora formativo, trova manifestazione in
una serie di disegni ‘eccentrici’ rispetto a quanto ci aspetteremo di vedere: «A
Valladolid lo sguardo dello studioso sembra essere catalizzato più che dalla
produzione pittorica, dalle architetture della città: sono, infatti, schizzati
l’imponente apparato scultoreo della facciata di San Pablo e della facciata del
Collegio domenicano di San Gregorio, il suo soffitto mistilineo e le trine di
pietra che ornano le bifore del raffinato porticato che ne perimetra il cortile.
L’attenzione per le composizioni tridimensionali si manifesta anche a Burgos presso
la Certosa di Miraflores: schizzi e disegni più rifiniti del monumentale
sepolcro in cui riposano Giovanni di Castiglia e Isabella di Portogallo, opera
di Gil De Siloè, occupano ben cinque fogli del taccuino n. 2» (p. 339). Nel
catalogo del Prado la prospettiva si mantiene ampia e riguarda anche la pittura
spagnola in generale, con particolare riferimento al Secolo d’oro e a Murillo e
Velázquez. Ma è nel taccuino n. 8 del codice It. IV 2037 [12278] che
l’attenzione si concentra su quattro argomenti in particolare: la pittura
fiamminga, la pittura nord-italiana, Raffaello e Tiziano (p. 346).
Tiziano
Giovan Battista Cavalcaselle, Disegno del quadro in Fondo Cavalcaselle, Biblioteca Nazionale Marciana, Ms. It, IV, 2037 [=12278], tacc. VIII, f. 29v. |
Pagine iniziali dello stesso taccuino (risalenti a mio
avviso agli anni Quaranta) mostrano come Cavalcaselle, sin da giovane, si
focalizzi sulla pittura veneta, su Tiziano e sulle tecniche esecutive delle
opere. L’autrice, giustamente, scrive che «i disegni dai dipinti del Vecellio
conservati al Prado rivelano la sottile comprensione dello stile di Tiziano:
Cavalcaselle traduce diligentemente le sue opere con dovizia di particolari,
intonandone di volta in volta il suo segno, il quale si adatta ora alla linea
sinuosa, quasi raffaellesca dei quadri giovanili, ora al tratto mosso, vibrante
dei capolavori tardi» (p. 347). Per quanto mi riguarda ho trascritto ne Il
giovane Cavalcaselle, a mo’ di esempio, le note straripanti apposte alla Venere
con organista e cagnolino. Qui la rassegna si allarga alla Danae,
all’Adamo e Eva (e alla copia secentesca dell’opera eseguita da Rubens),
ma anche a dipinti che vengono espunti dal catalogo del cadorino e ricondotti a
bottega, allievi, seguaci. Santi evidenzia come in questo taccuino, del 1852,
si possano trovare le radici della monografia che Cavalcaselle, in coppia con
Crowe, dedicò a Tiziano nel 1877. Naturalmente non tutto resta uguale, e, anzi,
possiamo assistere ad assestamenti e ripensamenti scanditi in altri taccuini
successivi, negli appunti del conoscitore e nelle opere a stampa intermedie, ma
resta il fatto che gli appunti spagnoli del 1852 rivestono un ruolo importante
«e rappresentano un imprescindibile punto di partenza per le descrizioni e i
commenti delle opere del cadorino, tanto più per quanto riguarda i fogli
prodotti nel corso del viaggio in Spagna dove né Cavalcaselle né tantomeno
Crowe ebbero occasione di tornare prima dell’uscita del Tiziano del 1877» (p.
352).
Quest’aspetto, mi permetto di aggiungere, apre un discorso sulla
formazione di Cavalcaselle e sulla sua percezione di sé. Se il legnaghese non
tornò in Spagna prima del 1883 non fu perché non ne ebbe modo, ma perché
evidentemente valutava i suoi appunti già ‘maturi’. In parole povere, li
considerava già quelli di un conoscitore all’altezza. Quand’è che effettivamente
lo divenne? Certamente gli anni 1849-1852 in Inghilterra furono importanti, ma
è altrettanto logico pensare che l’uomo ritenesse di avere già una buona
cultura visiva quando, nel 1847, intraprese il suo primo viaggio all’estero (e
conobbe Crowe a Berlino). Purtroppo, le sue carte di quel periodo sono andate
perdute, ma è del tutto logico che i primi corpo a corpo con le opere d’arte (e
con Tiziano in particolare) risalgano a metà degli anni Quaranta. Forse, un
giorno, Emma Santi riuscirà a trovare anche quegli appunti (ed è quello che le
auguro).
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