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lunedì 29 gennaio 2024

Julius Schlosser. The Literature of Art

 

Julius Schlosser
The Literature of Art
A Manual for Source Work in the History of Early Modern European Art Theory
Traduzione di Karl Johns
A cura di Karl Johns e Barbara Gable
Riverside (California), Ariadne Press, 2023

 


Premessa di Giovanni Mazzaferro

A 99 anni di distanza dall’uscita di Die Kunstliteratur, viene pubblicata – finalmente – la prima traduzione inglese di quella che in Italia è nota come La Letteratura artistica (prima edizione 1935). Ho chiesto il permesso a Karl Johns di tradurre in italiano e presentarvi le poche pagine introduttive da Lui aggiunte per l’occasione (pp. XXIX- XXXIII). Le trovate qui sotto. Prima, però, lasciatemi svolgere alcune considerazioni, a partire dal sottotitolo, che è nuovo e diverso rispetto a quelli che già ci erano noti. Nel 1924 si parlava, infatti, di «Ein Handbuch zur Quellenkunde der neuren Kunstgeschichte», che in italiano diventava letteralmente «Manuale delle fonti della storia dell’arte moderna» (ma con un temporaneo cambiamento, nel 1937, in Contributi alla bibliografia delle fonti della storia dell’arte). Johns mantiene la definizione di ‘manuale’ ma aggiunge un paio di informazioni ulteriori; il libro riguarda l’Art Theory ed è limitato alla European Art. Le ragioni della scelta mi sembrano evidenti: il volume è stampato negli Stati Uniti, e una delle più fortunate antologie americane di fonti di storia dell'arte si intitola Art in Theory. Il primo volume di quest’ultima copre gli anni dal 1648 al 1815 e, in qualche modo, mi pare probabile che si voglia proporre l’opera al pubblico americano come una sorta di ‘antefatto’.

Doveroso un chiarimento sulla successione delle edizioni: la prima edizione è austriaca (Vienna 1924); seguono tre edizioni italiane: 1935, 1937 (entrambe con Schlosser ancora in vita) e 1956 (postuma); quest'ultima fa curata da un allievo di Schlosser, Otto Kurz, che cercò di emendare gli errori della princeps e propose un aggiornamento della già sterminata bibliografia schlosseriana. Nel 1984 viene pubblicata la prima traduzione francese, ossia La litterature artistique: manuel des sources de l’histoire de l’art moderne, traduzione di Jacques Chavy, prefazione di André Chastel, Parigi, Flammarion, 1984 ried. 1996. Tale edizione è estremamente criticata, pur presentando un ulteriore aggiornamento bibliografico che, di fatto, arriva a fine anni Settanta, perché piena di migliaia di refusi e perché l’aggiornamento riguarda solo alcune sezioni dell’opera, ma non altre. Si veda in merito la recensione di Max Marmor scritta per The Burlington Magazine Vol. 130, n. 1027 (ottobre 1988), pp. 783-784 (http://www.jstor.org/stable/883515). Addirittura, i curatori della versione francese sono ripartiti dalla princeps tedesca, senza tener conto che vi erano state correzioni apportate nelle edizioni italiane, tornando quindi a riproporre errori già emendati.

Karl Johns opera, ora, oltre alla traduzione inglese (già di per sé non poca cosa) una bonifica sistematica di tutti gli errori che è riuscito a identificare, naturalmente tenendo conto delle informazioni aggiunte sia nella versione italiana sia in quella francese. Verifica, inoltre, tutti i riferimenti bibliografici, aggiunge i nomi propri degli autori, quelli degli editori, i riferimenti alle pagine nelle citazioni. “To the best of my abilities”, come scrive nella sua introduzione, svolge un immenso lavoro di bonifica che è davvero meritorio. A tutto ciò, ovviamente, aggiunge l’abbattimento della barriera linguistica e offre la possibilità al mondo anglosassone di conoscere Schlosser non solo e non tanto tramite i ricordi di suoi allievi (molti dei quali fuggiti in America in coincidenza con le persecuzioni razziali), ma direttamente sul testo. L’aggiornamento resta, più o meno, quello della versione francese, ma sono poste fattivamente le condizioni per poter riprendere i fili di una matassa che si era ingarbugliata eccessivamente.

Ed ecco il testo della presentazione di Johns:

 

Karl Johns
Julis Schlosser: fra arte e letteratura

Ancor oggi vale ancora la pena leggere la Kunstliteratur di Julius Schlosser perché non c’è probabilmente mai stato nessun altro nella storia, prima o dopo, a raggiungere una conoscenza così completa delle pubblicazioni di teoria dell’arte, per estensione e profondità, arrivando allo stesso tempo a una simile consistenza critica. Schlosser, in origine, si era formato sulla letteratura antica e nutrì un interesse costante per la filosofia e il metodo scientifico con, fra l’altro, una buona conoscenza di Platone e Tommaso d’Aquino, letti sugli originali. Nel mondo di lingua inglese, gli insegnamenti di Schlosser sono meglio noti tramite l’opera di Ernst Gombrich e Otto Kurz; per altri aspetti, e in minor misura, grazie a Ernst Kris, Erica Tietze e altri, ma non nel loro contesto originale [1]. Dopo quattro decenni di una carriera di insegnamento di particolare successo, la morte di Schlosser, neppure un mese dopo l’Anschluß austriaco, dissolse il gruppo dei suoi allievi più devoti; la guerra può probabilmente essere vista come un altro motivo ancillare che causò il ritorno della sua disciplina accademica a un livello relativamente modesto, quasi sciatto, di empirismo e l’abbandono della sintesi su cui si fondavano le basi intellettuali della materia.

Alois Riegl (1858-1905), collega più anziano e amico di Schlosser, era convinto che lo stile di un’opera d’arte costituisse l’unico aspetto per convalidare il requisito empirico della ripetibilità e che le forme stesse dovessero quindi fornire il punto di accesso privilegiato per gli storici dell’arte. Al contrario, Schlosser, nel 1888, scelse il caso dei chiostri delle abbazie cristiane e mostrò [n.d.r nella sua tesi di dottorato] che questa struttura convenzionale, antica di quasi due millenni, era stata mutuata dai colonnati quadrangolari che circondavano i mercati ellenistici. Dal momento che non vi erano esempi di strutture cristiane precedenti al periodo romanico, le descrizioni letterarie fornirono l’unica prova per quello che fu uno dei più importanti cambiamenti artistici registrati nella storia. Il suo esempio mostra come la trasmissione e le influenze artistiche implichino molti presupposti culturali taciti che vengono persi in caso di eccessiva enfasi sulle qualità stilistiche e che possono essere recuperati solo tramite le testimonianze letterarie. Sulla base delle annotazioni fatte per questo e altri studi, Schlosser passò a pubblicare antologie di fonti scritte sull’arte carolingia e, più in generale, sull’epoca medievale (da Prudenzio, a metà del IV secolo a testi della metà del XV) [n.d.r. si tratta delle Schriftquellen zur Geschichte der Karolingischen Kunst (1892) e del Quellenbuch für Kunstgchichte und Kunsttechnik des Mittelalters und der Neuzeit (1896)]. Le sue lunghe introduzioni, i commenti e le stesse due antologie ancor oggi forniscono un’introduzione molto utile all’arte medievale. Continuano a essere stampate un secolo dopo la loro prima pubblicazione

Anche se vi erano altre sedi di insegnamento, a Berlino e a Bonn, ad esempio, l’università di Vienna era nota in tutti i paesi di lingua tedesca e oltre come fondativa dello studio della storia dell’arte universitaria come disciplina critica su base oggettiva. Schlosser vi lavorò dal 1893, in qualità di docente a contratto; poi assunse la titolarità della cattedra, non senza molti dubbi, quando ritenne che la tradizione locale fosse posta in pericolo dalla personalità di Josef Strzygowski (1862-1941). La decisione di accettare lo portò a essere il successore del suo amico, studente e più giovane collega Max Dvořák (1874-1921). Una volta disse che aveva già trovato un posto che gli era perfettamente congeniale in qualità di professore associato, meglio di essere docente a contratto, ma senza essere schiavo dalla maggior parte dei doveri burocratici che avrebbero potuto distoglierlo dalle sue occupazioni in qualità di curatore di museo, studioso e topo di biblioteca. Quasi tutti gli studenti più ambiziosi delle varie università tedesche passarono almeno uno o due semestri a Vienna e, fra le varie possibilità, frequentarono il seminario di Schlosser, ricorrente nei suoi ultimi anni, intitolato “Vasari-Lektüre.” A parte i Vasaristudien, di cui curò la pubblicazione a partire dal lascito del suo caro amico Wolfgang Kallab, i suoi obiettivi sul tema sono illustrati al meglio in un articolo di Otto Kurz, in cui dimostrò che Vasari aveva riutilizzato, adattandola, la leggenda di Sinbad (“Zu Vasaris Vita des Filippo Lippi”, Mitteilungen des österreichischen Instituts für Geschichtsforschung, vol. 47, 1933, pp. 82-93). Molti altri articoli, come quelli di Otto Pächt (“Eine Ducento-Madonna” in Belvedere Kunst und Kultur der Vergangenheit Zeitschrift für Sammler und Kunstfreunde, vol. 5, n. 25, agosto 1924, pp. 7-14), di Ernst Gombrich (“Eine verkannte karolingische Pyxis im Wiener Kunsthistorischen Museum” in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien, nuova serie, vol. 7, 1933, pp. 1-14) o di Erica Tietze-Conrat (“Die Erfindung im Relief, ein Beitrag zur Geschichte der Kleinkunst” in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien, vol. 35, n. 3, 1920, pp. 99-176) sembrano avere avuto le loro origini nei seminari di Schlosser dedicati a opere di scultura conservate al Kunsthistorisches Museum o in altre collezioni locali. Alcuni, come Julian Held e Erica Tietze-Conrat, lo riconobbero tra i loro docenti più importanti, anche se sostennero i rispettivi dottorati con altri. Uno studioso come Philipp Fehl fu chiaramente influenzato dalle lezioni di Schlosser anche se non risulta essere stato iscritto ufficialmente all’Università prima della sua fuga negli Stati Uniti. In questo modo, Schlosser ebbe un ruolo nell’educazione della maggior parte dei più seri studiosi in lingua tedesca di storia dell’arte a partire dal cambio di secolo e fino (ma anche oltre) il suo pensionamento nel 1936. A parte i molti suoi allievi, come Christian Hülsen, Ludwig Schudt e altri che ne condivisero gli interessi più specifici, anche la maggior parte dei personaggi più influenti della cultura tedesca, come Wilhelm Bode, Aby Warburg, Heinrich Wölfflin e Erwin Panofsky, fu con lui in stretti rapporti, intrattenendo fitte corrispondenze.

Studente formatosi sul finire del XIX secolo, Schlosser ricevette un’educazione completa in filologia nel vicino ginnasio Piaristen di Vienna (viveva coi suoi genitori nell’8° distretto della città) e scopri di essere molto dotato per le lingue antiche e moderne prima di diventare uno studente di letteratura antica e archeologia all’Università. Anche se sosteneva che la sua mediocrità nelle scienze matematiche gli aveva impedito di dare maggior peso ai trattati sulla prospettiva e simili, non si può far passare sotto silenzio il fatto che sembra aver letto tutta la letteratura mondiale come pure quella della sua materia e di filosofia in maniera molto più esaustiva, intima e critica di qualsiasi altro storico dell’arte. Padroneggiava la letteratura positivista in maniera totale.

Fra le figure che diedero forma alla storia dell’arte come disciplina universitaria, Schlosser avrebbe potuto essere unico già come medievalista in senso stretto e preferendo il lavoro curatoriale nei musei all’insegnamento. Era arrivato alla storia dell’arte molto presto, per la precisione quando due suoi colleghi e amici, Franz Wickhoff (1853-1909) e Alois Riegl produssero le loro pubblicazioni più monumentali e significative. Una delle sue motivazioni più profonde rimase quella di rettificare, in maniera cortese, le loro contraddizioni. La sua preparazione per le lingue e la filologia era accompagnata da un interesse inesauribile per la filosofia e l’estetica che si concentrò in maniera sorprendentemente tenace sulla teoria dell’arte come “espressione”; pochi, se non nessuno, dei suoi colleghi avevano studiato i testi della filosofia antica e medievale così da vicino come aveva fatto lui.

La letteratura secondaria non era ancora così sconfinata da rendere impossibile che un singolo la potesse leggere tutta nella pace del suo ufficio, al Kunsthistorisches Museum, alla biblioteca dell’Augustinerlesesaal o a casa. Si lamentava della crescente pletora di pubblicazioni ridondanti su Goethe e Leonardo, ma perseguì sempre un aggiornamento così dettagliato da giungere sino al livello bibliografico delle pubblicazioni sui quotidiani, come risulta evidente nel suo saggio sul ritratto in cera e altrove.

Nella dedica [n.d.r. della Kunstliteratur] Schlosser definì il presente volume come un’opera di filologia. Pur pensato come un libro di consultazione a livello popolare, pensiero e lessico di Schlosser rimasero molto personali; il risultato fu una riflessione coerente sui tentativi brillanti, ma anche su quelli inaccettabili, che venivano pubblicati nell’ambito della materia di cui si occupava e anche in altre discipline..

La Kunstliteratur, i suoi scritti sulla storia del collezionismo, sulla numismatica o su altri argomenti oggi sono abitualmente giudicati da un punto di vista meramente empirico, ma i suoi obiettivi erano, in realtà, molto più vasti. Le prime manifestazioni del collezionismo e della critica facevano luce sulla lenta scoperta e sulla definizione dell’arte in sé. A parte questi interessi e la sua naturale predisposizione per le lingue antiche, romanze e altre ancora, Schlosser fu animato anche da un profondo interesse filosofico che lo accompagnò dalla scuola secondaria fino alla fine dei suoi giorni e che sfociò in un’amicizia personale con Benedetto Croce (1866-1952), col quale mantenne una corrispondenza pressoché bisettimanale o, negli ultimi anni, mensile. È nel contesto di questa corrispondenza che fa un uso insolito di certe concezioni, o forse sarebbe meglio dire Leitmotifs, per chi era stato un giovane wagneriano. Fu costantemente originale e non dovrebbe essere identificato completamente con Croce. In effetti le differenze sono per noi più importanti con riferimento alla letteratura artistica. Sono abbastanza chiare nelle valutazioni delle tesi sostenute negli stessi anni, tanto che recenti riferimenti scritti in inglese relativamente alla sua opera si sono dimostrati poco accurati e scorretti. Presentiamo qui il testo dell’opera come correttivo. L’arte non può essere separata dall’artigianato. Schlosser, naturalmente, distingue l’aspetto creativo dell’arte da quello ricettivo, rimane relativamente sbrigativo nei confronti di quest’ultimo e insiste fors’anche troppo sul fatto che la tradizione è plasmata da una sequenza di singoli individui dalle doti particolari, mentre personaggi come Paolo Uccello e L.B. Alberti non avrebbero avuto esperienza pratica e sarebbero stati artisti in senso stretto. È attento ai materiali e alle condizioni che richiedono. Il suo esempio ideale di artista di successo fu Lorenzo Ghiberti che riuscì, in ultimo, a raggiungere l’obiettivo fondamentale di far rivivere la fusione in bronzo su larga scala, a sviluppare l’illusionismo pittorico, a studiare l’ottica, a rielaborare modelli antichi con una sottigliezza non sempre immediatamente riconoscibile e, infine, a scrivere quella che Schlosser considerava la prima vera storia dell’arte. Giorgio Vasari, in seguito, avrebbe sepolto questa intuizione rivolgendosi ai singoli artisti in termini principalmente biografici con troppa poca attenzione al lavoro reale e allo sviluppo storico. Per come la vede Schlosser, la letteratura artistica costituisce la preistoria della materia accademica della storia dell’arte prima dell’inizio del XIX secolo, quando ritiene che chi si ispirò a Winckelmann abbia ripristinato il vero senso della disciplina. Questo è il senso per cui seguì Heinrich von Brunn nel distinguere fra “storia degli artisti individuali” e “storia dell’arte”, fra Künstlergeschichte e Kunstgeschichte. Ci dice anche che, in origine, aveva intenzione di limitare la trattazione della materia all’Italia, dal momento che tutte le idee rilevanti avevano avuto qui la loro nascita, ma l’opera significativa di artisti come Karel van Mander aveva reso la circostanza non praticabile. Ciò che potrebbe apparire come avversità nei confronti di alcune pubblicazioni francesi potrebbe forse essere considerata tipica della sua generazione (suo padre ebbe un incarico amministrativo nell’esercito prima della guerra franco-prussiana, apparentemente di stanza con il nonno materno nella fortezza di Mainz, negli anni in cui si attendeva un attacco francese) in realtà ci segnala che considerava le idee espresse in Francia come derivanti da precedenti autori italiani.

Il suo periodare peripatetico, con forme di ridondanza che derivavano dal genere della lezione universitaria, è tipicamente lungo, ellittico, intrecciato e difficile e costituisce una sfida a mantenere nel periodo fra le due guerre almeno qualche traccia di uno stile tipico del periodo monarchico. Max Dvořák, suo predecessore, era noto fra gli studenti universitari per le sue frasi interminabili e elaborate in forte accento boemo, che finivano per fargli mancare il respiro in attesa che, in fondo a esse, arrivasse il verbo.  Anche Schlosser mormorava sottovoce frasi particolarmente lunghe, con incisi che riflettevano e spesso citavano di nascosto la letteratura tedesca che amava; in tal caso anche i più devoti fra i suoi ‘studenti più importanti’ non sempre riuscivano a seguire i suoi antichi vezzi retorici, gli epitheta ornans, che gli permettevano di mantenere un carattere congenitamente garbato anche quando criticava aspramente aspetti della sua disciplina. Ci è stato detto che le sue circonlocuzioni spesso impedivano all’uditorio di riconoscere il bersaglio delle sue critiche. Mentre note e trascrizioni di Dvořák, e molte di quelle di Riegl, sono sopravvissute, Schlosser ritenne che le pubblicazioni a stampa dovessero essere essenziali e scartò i propri appunti e la sua corrispondenza. Ci resta lo stile che scelse per esprimersi con le sue complicatissime divagazioni in lunghe frasi involute. Ernst Gombrich, tuttavia, ci ha esortato a sforzarci di capirlo e il suo amico Arpád Weixlgärtner ha ricordato che, quando lo incontrò per la prima volta, si rese immediatamente conto di poter imparare da lui e “non ne rimase deluso”. Il suo lavoro deve essere letto e compreso in sé, indipendentemente dall’irritante confusione di argomenti ad hominem che contiene, come abbiamo avuto modo di sperimentare.

Prima di finire la curatela del testo per l’ultima edizione della Die Kunstliteratur, Schlosser aveva avuto almeno un infarto e soffriva di un cancro in fase terminale; aveva peraltro raggiunto l’età limite per il pensionamento e si rivolgeva a lettori che erano più giovani di lui di almeno una generazione. Burocrate di idee conservatrici, si era arreso all’irrecuperabilità della relativa tranquillità in cui la piccola nobiltà aveva potuto prosperare quando era giovane, in età monarchica. Potrebbe apparire “moderno” ad alcuni di noi per aver scritto una storia dell’arte senza illustrazioni e per i suoi saggi, che non avevano un inizio, uno svolgimento e una fine scontati. Studenti dell’ultimo periodo della sua carriera mi hanno assicurato che le sue lezioni erano davvero difficili da seguire. Eva Frodl-Kraft ritenne che, a parte le preoccupazioni relative alla conoscenza della filosofia, alcuni dei suoi potenziali studenti furono indotti a cambiare percorso per via della sua insistenza affinché tutti, in una fase più avanzata, partecipassero al rigoroso corso biennale in scienze storiche ausiliare (normalmente di nessuna importanza) che si teneva all’Institut für österreichischte Geschichtsforschung; Schlosser si lamentava spesso, inoltre, coi suoi studenti, della loro debolezza nel greco antico. Eppure, in un periodo già caratterizzato da sprezzanti recensioni di libri, fu anche ricordato come persona insolitamente educata e persino introversa, che dopo i suoi giorni da studente, si rifiutò di pubblicare anche solo una recensione del genere. Pensava che la repubblica delle lettere venisse prima di ogni altra circostanza e che gli studi storici potessero contribuire a risolvere molti dei problemi del mondo. Si espresse chiaramente su questioni religiose, dicendo che era insofferente nei confronti di coloro che erano devoti alla religione e che era meglio lasciare la purezza ai puritani. I suoi candidati al dottorato, a ogni modo, provenivano da ambienti e nazionalità diverse, focalizzarono i loro studi su molti argomenti che coprivano l’arco di molti secoli e furono ben lontani dall’essere omologati nel loro approccio alla ricerca. Nelle note amministrative non destinate al pubblico, possiamo vedere che, quando conosceva personalmente gli studenti, accettava le dissertazioni quando erano ancora in forma grezza ed era contento che “avessero compreso i termini del problema”. Possiamo convenire con Ernst Gombrich che anche ora, a un secolo di distanza, valga la pena comprendere il pensiero di Schlosser e sperare che questa revisione inglese possa essere utile al riguardo.

Cercando di fare del mio meglio, ho incorporato tutte le aggiunte operate nelle edizioni italiane e francese, mentre ho limitato le mie al minimo cercando, invece, di correggere tutte le inesattezze che ho potuto individuare. Quasi ogni singola referenza bibliografica è stata emendata in qualche modo con l’intenzione di fornire una base per la transizione dell’opera nell’era del formato elettronico, dove i i motori di ricerca (non tutti) non sempre correggono errori di scarsa rilevanza. La Österreichische Nationalbibliothek di Vienna sta scansionando e mettendo a disposizione un numero sempre maggiore delle proprie pubblicazioni della prima età moderna e di altri libri a stampa. Sono disponibili sul suo catalogo online e si tratta spesso delle copie che lo stesso Schlosser consultò; non infrequentemente presentano parti o peculiarità che non sono presenti in altri esemplari conservati altrove. Sono consapevole di aver condotto una traduzione più letterale e meno idiomatica del solito e di aver incluso qualche elemento sintattico non ortodosso. Dall’edizione italiana, curata da Schlosser assieme a un collega curatore di scultura a Firenze [n.d.r. Filippo Rossi] sappiamo che una traduzione di questo tipo, ossia molto letterale, era la preferita dall’autore. Una volta rivide uno dei suoi saggi più brevi per The Burlington Magazine e lo ripubblicò in tedesco in seguito a una correzione editoriale.

Questa edizione è dedicata a Jorun B. e Donald C. Johns. Anche se le grandi case editrici universitarie e le principali fondazioni d’arte non hanno supportato questo progetto, sono stato fortunato ad avere dei familiari con la loro testa sulle spalle. I miei genitori hanno una buona esperienza editoriale nelle loro lingue originarie. Andreas Johns è stato in grado di assistermi con le lingue slave, col francese e con le ambiguità legate al folklore; Alessa Johns con l’inglese di prima età moderna e del XVIII secolo; Christopher Reynolds con l’italiano, la teoria musicale e la codicologia. John Randon mi ha inoltre aiutato col latino e il greco; Bonnie Blackburn con i passi scritti in italiano di prima età moderna; George Paganelis con la bibliografia greca e Barbara Gable con l’inglese più recente. Gloria Kaiser, Marti Hueting, Hans-Ulrich Kessler, Chizu Morihara e Raphael Rosenberg mi hanno aiutato verificando da lontano le referenze delle pagine e le segnature delle opere. Schlosser fu un curatore isolato e un linguista che dimostrò di non scrivere desiderando di essere traducibile. Tuttavia, abbiamo scelto di evitare una parafrasi del testo e di preservare almeno qualcosa della sua personalità, della sua ironia e, occasionalmente, dello humour della sua prosa.

 

Note

[1] Otto Kurz e Ernst Gombrich hanno pubblicato memorie sul periodo in cui ne furono allievi: Otto Kurz,. “Julius von Schlosser Personalità – metodo – lavoro” in Critica d’arte, vol. 11-12, nuova serie, vol. I, 1955, pp. 402-419, ristampato in Schlosser, L’arte del Medioevo, Torino: Einaudi 1961, pp. IX-XXVIII e nella traduzione francese dello Schlosser, La Litérature artistique, Paris: Flammarion, 1984, pp. 15-26; Ernst Gombrich, “Einige Erinnerungen an Julius von Schlosser als Lehrer,” in Kritische Berichte, vol. 16, n. 4, 1988, pp. 5-9; in inglese sulla rivista in open access Journal of Art Historiography, a cura di Richard Woodfield, dicembre 2020. Gombrich, inoltre, ha fornito la definizione più chiara del concetto schlosseriano di Kunstiteratur: “Kunstwissenschaft, Kunstliteratur” in Atlantisbuch der Kunst, Zurich: Atlantis, 1952, pp. 653-679, commentato da Max Marmor, “The Literatur of Art: Select Bibliography of Sources in English” in Art documentation, 11, 1992, pp. 9-11.


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