Riverside (California), Ariadne Press, 2023
Premessa di Giovanni Mazzaferro
A 99 anni di distanza dall’uscita di Die Kunstliteratur,
viene pubblicata – finalmente – la prima traduzione inglese di quella che in
Italia è nota come La Letteratura artistica (prima edizione 1935). Ho chiesto
il permesso a Karl Johns di tradurre in italiano e presentarvi le poche pagine introduttive
da Lui aggiunte per l’occasione (pp. XXIX- XXXIII). Le trovate qui sotto.
Prima, però, lasciatemi svolgere alcune considerazioni, a partire dal sottotitolo,
che è nuovo e diverso rispetto a quelli che già ci erano noti. Nel 1924 si
parlava, infatti, di «Ein Handbuch zur Quellenkunde der neuren Kunstgeschichte»,
che in italiano diventava letteralmente «Manuale delle fonti della storia dell’arte
moderna» (ma con un temporaneo cambiamento, nel 1937, in Contributi alla
bibliografia delle fonti della storia dell’arte). Johns mantiene la
definizione di ‘manuale’ ma aggiunge un paio di informazioni ulteriori; il
libro riguarda l’Art Theory ed è limitato alla European Art. Le ragioni della
scelta mi sembrano evidenti: il volume è stampato negli Stati Uniti, e una
delle più fortunate antologie americane di fonti di storia dell'arte si intitola Art in Theory. Il
primo volume di quest’ultima copre gli anni dal 1648 al 1815 e, in qualche
modo, mi pare probabile che si voglia proporre l’opera al pubblico americano
come una sorta di ‘antefatto’.
Doveroso un chiarimento sulla successione delle edizioni: la
prima edizione è austriaca (Vienna 1924); seguono tre edizioni italiane: 1935, 1937 (entrambe con Schlosser ancora in vita) e 1956 (postuma); quest'ultima fa curata da
un allievo di Schlosser, Otto Kurz, che cercò di emendare gli errori della
princeps e propose un aggiornamento della già sterminata bibliografia
schlosseriana. Nel 1984 viene pubblicata la prima traduzione francese, ossia La
litterature artistique: manuel des sources de l’histoire de l’art moderne,
traduzione di Jacques Chavy, prefazione di André Chastel, Parigi, Flammarion, 1984
ried. 1996. Tale edizione è estremamente criticata, pur presentando un ulteriore
aggiornamento bibliografico che, di fatto, arriva a fine anni Settanta, perché
piena di migliaia di refusi e perché l’aggiornamento riguarda solo alcune
sezioni dell’opera, ma non altre. Si veda in merito la recensione di Max Marmor
scritta per The Burlington Magazine Vol. 130, n. 1027 (ottobre 1988), pp. 783-784
(http://www.jstor.org/stable/883515).
Addirittura, i curatori della versione francese sono ripartiti dalla princeps
tedesca, senza tener conto che vi erano state correzioni apportate nelle
edizioni italiane, tornando quindi a riproporre errori già emendati.
Karl Johns opera, ora, oltre alla traduzione inglese (già di
per sé non poca cosa) una bonifica sistematica di tutti gli errori che è
riuscito a identificare, naturalmente tenendo conto delle informazioni aggiunte
sia nella versione italiana sia in quella francese. Verifica, inoltre, tutti i
riferimenti bibliografici, aggiunge i nomi propri degli autori, quelli degli
editori, i riferimenti alle pagine nelle citazioni. “To the best of my
abilities”, come scrive nella sua introduzione, svolge un immenso lavoro di
bonifica che è davvero meritorio. A tutto ciò, ovviamente, aggiunge l’abbattimento
della barriera linguistica e offre la possibilità al mondo anglosassone di
conoscere Schlosser non solo e non tanto tramite i ricordi di suoi allievi
(molti dei quali fuggiti in America in coincidenza con le persecuzioni razziali),
ma direttamente sul testo. L’aggiornamento resta, più o meno, quello della
versione francese, ma sono poste fattivamente le condizioni per poter
riprendere i fili di una matassa che si era ingarbugliata eccessivamente.
Ed ecco il testo della presentazione di Johns:
Ancor oggi vale ancora la pena leggere la Kunstliteratur di Julius Schlosser perché non c’è probabilmente mai stato nessun altro nella storia, prima o dopo, a raggiungere una conoscenza così completa delle pubblicazioni di teoria dell’arte, per estensione e profondità, arrivando allo stesso tempo a una simile consistenza critica. Schlosser, in origine, si era formato sulla letteratura antica e nutrì un interesse costante per la filosofia e il metodo scientifico con, fra l’altro, una buona conoscenza di Platone e Tommaso d’Aquino, letti sugli originali. Nel mondo di lingua inglese, gli insegnamenti di Schlosser sono meglio noti tramite l’opera di Ernst Gombrich e Otto Kurz; per altri aspetti, e in minor misura, grazie a Ernst Kris, Erica Tietze e altri, ma non nel loro contesto originale [1]. Dopo quattro decenni di una carriera di insegnamento di particolare successo, la morte di Schlosser, neppure un mese dopo l’Anschluß austriaco, dissolse il gruppo dei suoi allievi più devoti; la guerra può probabilmente essere vista come un altro motivo ancillare che causò il ritorno della sua disciplina accademica a un livello relativamente modesto, quasi sciatto, di empirismo e l’abbandono della sintesi su cui si fondavano le basi intellettuali della materia.
Alois Riegl (1858-1905), collega più anziano e amico di
Schlosser, era convinto che lo stile di un’opera d’arte costituisse l’unico
aspetto per convalidare il requisito empirico della ripetibilità e che le forme
stesse dovessero quindi fornire il punto di accesso privilegiato per gli
storici dell’arte. Al contrario, Schlosser, nel 1888, scelse il caso dei
chiostri delle abbazie cristiane e mostrò [n.d.r nella sua tesi di dottorato] che
questa struttura convenzionale, antica di quasi due millenni, era stata mutuata
dai colonnati quadrangolari che circondavano i mercati ellenistici. Dal momento
che non vi erano esempi di strutture cristiane precedenti al periodo romanico,
le descrizioni letterarie fornirono l’unica prova per quello che fu uno dei più
importanti cambiamenti artistici registrati nella storia. Il suo esempio mostra
come la trasmissione e le influenze artistiche implichino molti presupposti
culturali taciti che vengono persi in caso di eccessiva enfasi sulle qualità
stilistiche e che possono essere recuperati solo tramite le testimonianze
letterarie. Sulla base delle annotazioni fatte per questo e altri studi,
Schlosser passò a pubblicare antologie di fonti scritte sull’arte carolingia e,
più in generale, sull’epoca medievale (da Prudenzio, a metà del IV secolo a
testi della metà del XV) [n.d.r. si tratta delle Schriftquellen zur
Geschichte der Karolingischen Kunst (1892) e del Quellenbuch für
Kunstgchichte und Kunsttechnik des Mittelalters und der Neuzeit (1896)]. Le
sue lunghe introduzioni, i commenti e le stesse due antologie ancor oggi
forniscono un’introduzione molto utile all’arte medievale. Continuano a essere
stampate un secolo dopo la loro prima pubblicazione
Anche se vi erano altre sedi di insegnamento, a Berlino e a
Bonn, ad esempio, l’università di Vienna era nota in tutti i paesi di lingua
tedesca e oltre come fondativa dello studio della storia dell’arte
universitaria come disciplina critica su base oggettiva. Schlosser vi lavorò
dal 1893, in qualità di docente a contratto; poi assunse la titolarità della
cattedra, non senza molti dubbi, quando ritenne che la tradizione locale fosse
posta in pericolo dalla personalità di Josef Strzygowski (1862-1941). La
decisione di accettare lo portò a essere il successore del suo amico, studente
e più giovane collega Max Dvořák (1874-1921). Una volta disse che aveva già
trovato un posto che gli era perfettamente congeniale in qualità di professore
associato, meglio di essere docente a contratto, ma senza essere schiavo dalla
maggior parte dei doveri burocratici che avrebbero potuto distoglierlo dalle
sue occupazioni in qualità di curatore di museo, studioso e topo di biblioteca.
Quasi tutti gli studenti più ambiziosi delle varie università tedesche
passarono almeno uno o due semestri a Vienna e, fra le varie possibilità,
frequentarono il seminario di Schlosser, ricorrente nei suoi ultimi anni,
intitolato “Vasari-Lektüre.” A parte i Vasaristudien, di cui curò la
pubblicazione a partire dal lascito del suo caro amico Wolfgang Kallab, i suoi
obiettivi sul tema sono illustrati al meglio in un articolo di Otto Kurz, in
cui dimostrò che Vasari aveva riutilizzato, adattandola, la leggenda di Sinbad
(“Zu Vasaris Vita des Filippo Lippi”, Mitteilungen des österreichischen
Instituts für Geschichtsforschung, vol. 47, 1933, pp. 82-93). Molti altri articoli,
come quelli di Otto Pächt (“Eine Ducento-Madonna” in Belvedere Kunst und
Kultur der Vergangenheit Zeitschrift für Sammler und Kunstfreunde, vol. 5,
n. 25, agosto 1924, pp. 7-14), di Ernst Gombrich (“Eine verkannte karolingische
Pyxis im Wiener Kunsthistorischen Museum” in Jahrbuch der Kunsthistorischen
Sammlungen in Wien, nuova serie, vol. 7, 1933, pp. 1-14) o di Erica
Tietze-Conrat (“Die Erfindung im Relief, ein Beitrag zur Geschichte der
Kleinkunst” in Jahrbuch der Kunsthistorischen Sammlungen in Wien, vol.
35, n. 3, 1920, pp. 99-176) sembrano avere avuto le loro origini nei seminari
di Schlosser dedicati a opere di scultura conservate al Kunsthistorisches
Museum o in altre collezioni locali. Alcuni, come Julian Held e Erica
Tietze-Conrat, lo riconobbero tra i loro docenti più importanti, anche se
sostennero i rispettivi dottorati con altri. Uno studioso come Philipp Fehl fu
chiaramente influenzato dalle lezioni di Schlosser anche se non risulta essere
stato iscritto ufficialmente all’Università prima della sua fuga negli Stati
Uniti. In questo modo, Schlosser ebbe un ruolo nell’educazione della maggior
parte dei più seri studiosi in lingua tedesca di storia dell’arte a partire dal
cambio di secolo e fino (ma anche oltre) il suo pensionamento nel 1936. A parte
i molti suoi allievi, come Christian Hülsen, Ludwig Schudt e altri che ne
condivisero gli interessi più specifici, anche la maggior parte dei personaggi
più influenti della cultura tedesca, come Wilhelm Bode, Aby Warburg, Heinrich
Wölfflin e Erwin Panofsky, fu con lui in stretti rapporti, intrattenendo fitte
corrispondenze.
Studente formatosi sul finire del XIX secolo, Schlosser
ricevette un’educazione completa in filologia nel vicino ginnasio Piaristen di
Vienna (viveva coi suoi genitori nell’8° distretto della città) e scopri di essere
molto dotato per le lingue antiche e moderne prima di diventare uno studente di
letteratura antica e archeologia all’Università. Anche se sosteneva che la sua
mediocrità nelle scienze matematiche gli aveva impedito di dare maggior peso ai
trattati sulla prospettiva e simili, non si può far passare sotto silenzio il
fatto che sembra aver letto tutta la letteratura mondiale come pure quella
della sua materia e di filosofia in maniera molto più esaustiva, intima e
critica di qualsiasi altro storico dell’arte. Padroneggiava la letteratura
positivista in maniera totale.
Fra le figure che diedero forma alla storia dell’arte come
disciplina universitaria, Schlosser avrebbe potuto essere unico già come
medievalista in senso stretto e preferendo il lavoro curatoriale nei musei
all’insegnamento. Era arrivato alla storia dell’arte molto presto, per la
precisione quando due suoi colleghi e amici, Franz Wickhoff (1853-1909) e Alois
Riegl produssero le loro pubblicazioni più monumentali e significative. Una
delle sue motivazioni più profonde rimase quella di rettificare, in maniera cortese,
le loro contraddizioni. La sua preparazione per le lingue e la filologia era
accompagnata da un interesse inesauribile per la filosofia e l’estetica che si concentrò
in maniera sorprendentemente tenace sulla teoria dell’arte come “espressione”;
pochi, se non nessuno, dei suoi colleghi avevano studiato i testi della
filosofia antica e medievale così da vicino come aveva fatto lui.
La letteratura secondaria non era ancora così sconfinata da
rendere impossibile che un singolo la potesse leggere tutta nella pace del suo
ufficio, al Kunsthistorisches Museum, alla biblioteca dell’Augustinerlesesaal o
a casa. Si lamentava della crescente pletora di pubblicazioni ridondanti su
Goethe e Leonardo, ma perseguì sempre un aggiornamento così dettagliato da
giungere sino al livello bibliografico delle pubblicazioni sui quotidiani, come
risulta evidente nel suo saggio sul ritratto in cera e altrove.
Nella dedica [n.d.r. della Kunstliteratur] Schlosser definì
il presente volume come un’opera di filologia. Pur pensato come un libro di
consultazione a livello popolare, pensiero e lessico di Schlosser rimasero
molto personali; il risultato fu una riflessione coerente sui tentativi
brillanti, ma anche su quelli inaccettabili, che venivano pubblicati
nell’ambito della materia di cui si occupava e anche in altre discipline..
La Kunstliteratur, i suoi scritti sulla storia del
collezionismo, sulla numismatica o su altri argomenti oggi sono abitualmente
giudicati da un punto di vista meramente empirico, ma i suoi obiettivi erano,
in realtà, molto più vasti. Le prime manifestazioni del collezionismo e della
critica facevano luce sulla lenta scoperta e sulla definizione dell’arte in sé.
A parte questi interessi e la sua naturale predisposizione per le lingue
antiche, romanze e altre ancora, Schlosser fu animato anche da un profondo
interesse filosofico che lo accompagnò dalla scuola secondaria fino alla fine
dei suoi giorni e che sfociò in un’amicizia personale con Benedetto Croce
(1866-1952), col quale mantenne una corrispondenza pressoché bisettimanale o,
negli ultimi anni, mensile. È nel contesto di questa corrispondenza che fa un
uso insolito di certe concezioni, o forse sarebbe meglio dire Leitmotifs,
per chi era stato un giovane wagneriano. Fu costantemente originale e non
dovrebbe essere identificato completamente con Croce. In effetti le differenze sono
per noi più importanti con riferimento alla letteratura artistica. Sono
abbastanza chiare nelle valutazioni delle tesi sostenute negli stessi anni,
tanto che recenti riferimenti scritti in inglese relativamente alla sua opera
si sono dimostrati poco accurati e scorretti. Presentiamo qui il testo
dell’opera come correttivo. L’arte non può essere separata dall’artigianato. Schlosser,
naturalmente, distingue l’aspetto creativo dell’arte da quello ricettivo,
rimane relativamente sbrigativo nei confronti di quest’ultimo e insiste
fors’anche troppo sul fatto che la tradizione è plasmata da una sequenza di
singoli individui dalle doti particolari, mentre personaggi come Paolo Uccello
e L.B. Alberti non avrebbero avuto esperienza pratica e sarebbero stati artisti
in senso stretto. È attento ai materiali e alle condizioni che richiedono. Il
suo esempio ideale di artista di successo fu Lorenzo Ghiberti che riuscì, in
ultimo, a raggiungere l’obiettivo fondamentale di far rivivere la fusione in
bronzo su larga scala, a sviluppare l’illusionismo pittorico, a studiare
l’ottica, a rielaborare modelli antichi con una sottigliezza non sempre
immediatamente riconoscibile e, infine, a scrivere quella che Schlosser
considerava la prima vera storia dell’arte. Giorgio Vasari, in seguito, avrebbe
sepolto questa intuizione rivolgendosi ai singoli artisti in termini
principalmente biografici con troppa poca attenzione al lavoro reale e allo
sviluppo storico. Per come la vede Schlosser, la letteratura artistica costituisce
la preistoria della materia accademica della storia dell’arte prima dell’inizio
del XIX secolo, quando ritiene che chi si ispirò a Winckelmann abbia ripristinato
il vero senso della disciplina. Questo è il senso per cui seguì Heinrich von
Brunn nel distinguere fra “storia degli artisti individuali” e “storia
dell’arte”, fra Künstlergeschichte e Kunstgeschichte. Ci dice
anche che, in origine, aveva intenzione di limitare la trattazione della
materia all’Italia, dal momento che tutte le idee rilevanti avevano avuto qui
la loro nascita, ma l’opera significativa di artisti come Karel van Mander aveva
reso la circostanza non praticabile. Ciò che potrebbe apparire come avversità
nei confronti di alcune pubblicazioni francesi potrebbe forse essere
considerata tipica della sua generazione (suo padre ebbe un incarico
amministrativo nell’esercito prima della guerra franco-prussiana,
apparentemente di stanza con il nonno materno nella fortezza di Mainz, negli
anni in cui si attendeva un attacco francese) in realtà ci segnala che considerava
le idee espresse in Francia come derivanti da precedenti autori italiani.
Il suo periodare peripatetico, con forme di ridondanza che
derivavano dal genere della lezione universitaria, è tipicamente lungo,
ellittico, intrecciato e difficile e costituisce una sfida a mantenere nel
periodo fra le due guerre almeno qualche traccia di uno stile tipico del
periodo monarchico. Max Dvořák, suo predecessore, era noto fra gli studenti
universitari per le sue frasi interminabili e elaborate in forte accento boemo,
che finivano per fargli mancare il respiro in attesa che, in fondo a esse,
arrivasse il verbo. Anche Schlosser mormorava
sottovoce frasi particolarmente lunghe, con incisi che riflettevano e spesso
citavano di nascosto la letteratura tedesca che amava; in tal caso anche i più
devoti fra i suoi ‘studenti più importanti’ non sempre riuscivano a seguire i
suoi antichi vezzi retorici, gli epitheta ornans, che gli permettevano
di mantenere un carattere congenitamente garbato anche quando criticava
aspramente aspetti della sua disciplina. Ci è stato detto che le sue
circonlocuzioni spesso impedivano all’uditorio di riconoscere il bersaglio
delle sue critiche. Mentre note e trascrizioni di Dvořák, e molte di quelle di
Riegl, sono sopravvissute, Schlosser ritenne che le pubblicazioni a stampa
dovessero essere essenziali e scartò i propri appunti e la sua corrispondenza. Ci
resta lo stile che scelse per esprimersi con le sue complicatissime divagazioni
in lunghe frasi involute. Ernst Gombrich, tuttavia, ci ha esortato a sforzarci
di capirlo e il suo amico Arpád Weixlgärtner ha ricordato che, quando lo
incontrò per la prima volta, si rese immediatamente conto di poter imparare da
lui e “non ne rimase deluso”. Il suo lavoro deve essere letto e compreso in sé,
indipendentemente dall’irritante confusione di argomenti ad hominem che
contiene, come abbiamo avuto modo di sperimentare.
Prima di finire la curatela del testo per l’ultima edizione
della Die Kunstliteratur, Schlosser aveva avuto almeno un infarto e
soffriva di un cancro in fase terminale; aveva peraltro raggiunto l’età limite
per il pensionamento e si rivolgeva a lettori che erano più giovani di lui di
almeno una generazione. Burocrate di idee conservatrici, si era arreso
all’irrecuperabilità della relativa tranquillità in cui la piccola nobiltà aveva
potuto prosperare quando era giovane, in età monarchica. Potrebbe apparire “moderno”
ad alcuni di noi per aver scritto una storia dell’arte senza illustrazioni e
per i suoi saggi, che non avevano un inizio, uno svolgimento e una fine
scontati. Studenti dell’ultimo periodo della sua carriera mi hanno assicurato
che le sue lezioni erano davvero difficili da seguire. Eva Frodl-Kraft ritenne
che, a parte le preoccupazioni relative alla conoscenza della filosofia, alcuni
dei suoi potenziali studenti furono indotti a cambiare percorso per via della
sua insistenza affinché tutti, in una fase più avanzata, partecipassero al
rigoroso corso biennale in scienze storiche ausiliare (normalmente di nessuna
importanza) che si teneva all’Institut für österreichischte Geschichtsforschung;
Schlosser si lamentava spesso, inoltre, coi suoi studenti, della loro debolezza
nel greco antico. Eppure, in un periodo già caratterizzato da sprezzanti recensioni
di libri, fu anche ricordato come persona insolitamente educata e persino
introversa, che dopo i suoi giorni da studente, si rifiutò di pubblicare anche
solo una recensione del genere. Pensava che la repubblica delle lettere venisse
prima di ogni altra circostanza e che gli studi storici potessero contribuire a
risolvere molti dei problemi del mondo. Si espresse chiaramente su questioni
religiose, dicendo che era insofferente nei confronti di coloro che erano
devoti alla religione e che era meglio lasciare la purezza ai puritani. I suoi
candidati al dottorato, a ogni modo, provenivano da ambienti e nazionalità
diverse, focalizzarono i loro studi su molti argomenti che coprivano l’arco di
molti secoli e furono ben lontani dall’essere omologati nel loro approccio alla
ricerca. Nelle note amministrative non destinate al pubblico, possiamo vedere
che, quando conosceva personalmente gli studenti, accettava le dissertazioni quando
erano ancora in forma grezza ed era contento che “avessero compreso i termini
del problema”. Possiamo convenire con Ernst Gombrich che anche ora, a un secolo
di distanza, valga la pena comprendere il pensiero di Schlosser e sperare che
questa revisione inglese possa essere utile al riguardo.
Cercando di fare del mio meglio, ho incorporato tutte le
aggiunte operate nelle edizioni italiane e francese, mentre ho limitato le mie
al minimo cercando, invece, di correggere tutte le inesattezze che ho potuto
individuare. Quasi ogni singola referenza bibliografica è stata emendata in
qualche modo con l’intenzione di fornire una base per la transizione dell’opera
nell’era del formato elettronico, dove i i motori di ricerca (non tutti) non
sempre correggono errori di scarsa rilevanza. La Österreichische Nationalbibliothek
di Vienna sta scansionando e mettendo a disposizione un numero sempre maggiore
delle proprie pubblicazioni della prima età moderna e di altri libri a stampa.
Sono disponibili sul suo catalogo online e si tratta spesso delle copie che lo
stesso Schlosser consultò; non infrequentemente presentano parti o peculiarità
che non sono presenti in altri esemplari conservati altrove. Sono consapevole
di aver condotto una traduzione più letterale e meno idiomatica del solito e di
aver incluso qualche elemento sintattico non ortodosso. Dall’edizione italiana,
curata da Schlosser assieme a un collega curatore di scultura a Firenze [n.d.r.
Filippo Rossi] sappiamo che una traduzione di questo tipo, ossia molto
letterale, era la preferita dall’autore. Una volta rivide uno dei suoi saggi più
brevi per The Burlington Magazine e lo ripubblicò in tedesco in seguito
a una correzione editoriale.
Questa edizione è dedicata a Jorun B. e Donald C. Johns.
Anche se le grandi case editrici universitarie e le principali fondazioni
d’arte non hanno supportato questo progetto, sono stato fortunato ad avere dei
familiari con la loro testa sulle spalle. I miei genitori hanno una buona
esperienza editoriale nelle loro lingue originarie. Andreas Johns è stato in
grado di assistermi con le lingue slave, col francese e con le ambiguità legate
al folklore; Alessa Johns con l’inglese di prima età moderna e del XVIII secolo;
Christopher Reynolds con l’italiano, la teoria musicale e la codicologia. John
Randon mi ha inoltre aiutato col latino e il greco; Bonnie Blackburn con i
passi scritti in italiano di prima età moderna; George Paganelis con la
bibliografia greca e Barbara Gable con l’inglese più recente. Gloria Kaiser, Marti
Hueting, Hans-Ulrich Kessler, Chizu Morihara e Raphael Rosenberg mi hanno
aiutato verificando da lontano le referenze delle pagine e le segnature delle
opere. Schlosser fu un curatore isolato e un linguista che dimostrò di non
scrivere desiderando di essere traducibile. Tuttavia, abbiamo scelto di evitare
una parafrasi del testo e di preservare almeno qualcosa della sua personalità,
della sua ironia e, occasionalmente, dello humour della sua prosa.
Note
[1] Otto Kurz e Ernst Gombrich hanno pubblicato memorie sul
periodo in cui ne furono allievi: Otto Kurz,. “Julius von Schlosser Personalità
– metodo – lavoro” in Critica d’arte, vol. 11-12, nuova serie, vol. I,
1955, pp. 402-419, ristampato in Schlosser, L’arte del Medioevo, Torino:
Einaudi 1961, pp. IX-XXVIII e nella traduzione francese dello Schlosser, La
Litérature artistique, Paris: Flammarion, 1984, pp. 15-26; Ernst Gombrich,
“Einige Erinnerungen an Julius von Schlosser als Lehrer,” in Kritische
Berichte, vol. 16, n. 4, 1988, pp. 5-9; in inglese sulla rivista in open
access Journal of Art Historiography, a cura di Richard Woodfield,
dicembre 2020. Gombrich, inoltre, ha fornito la definizione più chiara del
concetto schlosseriano di Kunstiteratur: “Kunstwissenschaft,
Kunstliteratur” in Atlantisbuch der Kunst, Zurich: Atlantis, 1952, pp.
653-679, commentato da Max Marmor, “The Literatur of Art: Select Bibliography
of Sources in English” in Art documentation, 11, 1992, pp. 9-11.
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