Giovanni Mazzaferro
Un esemplare ‘illustrato’ delle Vite torrentiniane di Vasari (1550) alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma
Fig. 1) Jacopo Zucchi (attribuito a), Ritratto di Giorgio Vasari, Firenze, Gallerie degli Uffizi Fonte: https://www.wga.hu/frames-e.html?/html/v/vasari/1/08selfpo.html |
Un esemplare conservato alla Biblioteca Nazionale
Centrale di Roma
Tutti sappiamo benissimo che Giorgio Vasari progettò di
inserire i ritratti degli artisti oggetto dei suoi medaglioni biografici sin
dalla prima edizione delle Vite, quella torrentianana del 1550.
Dell’argomento discusse ad esempio con Paolo Giovio, che in una lettera datata
31 marzo 1548 gli consigliava di recedere dai suoi intenti: «se
stamperete l’opera senza figure per non perdere tempo e denari, vi darà honor
in vita et dopo la morte» [1]. Così fu, e per vedere le effigi degli artefici si
dovette attendere la seconda edizione, ovvero la Giuntina del 1568.
Eppure un esemplare delle Vite torrentiniane conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma con segnatura 71.5 A 2 può definirsi, in qualche modo, ‘illustrato’, anche se con modalità e scopi completamente diversi da ciò che si proponeva in origine Vasari. Dico subito che quell’esemplare è mutilo. Si conserva, purtroppo, il solo secondo tomo (relativo alla parte III delle Vite) e, addirittura (ma forse non è un caso, come vedremo) tale tomo è privo del frontespizio, cominciando direttamente da p. 555 (vedi fig. 2). L’effetto iniziale è straniante. Senza un frontespizio, il ritratto a sinistra, che in realtà è dell’editore veneziano Francesco Marcolini, sembra essere quello dell’autore del libro; e non è immediato nemmeno il fatto che quell'autore non sia Vasari stesso (di cui comunque non si ebbero ritratti a stampa fino al 1568). Non avendo noi a disposizione il primo tomo non sappiamo se la cosa fosse una scelta deliberata o meno.
I timbri apposti nelle pagine iniziali non lasciano dubbi: il volume proviene
dalla Casa Professa dei Gesuiti e si trova presso la Biblioteca Nazionale sin
dai tempi della sua inaugurazione, nel 1876. [2] Non è dato sapere, invece,
come il secondo tomo giunse presso la Casa Professa e si vi giunse da solo, o
accompagnato dal primo.
Fig. 2) Ricostruzione virtuale del verso della terza carta di guarda anteriore e di p. 55 dell'esemplare 71.5 A 2 delle Vite torrentiniane (vedi nota [3]) |
Nella descrizione del libro mi sia consentito partire da
elementi di per loro importanti, ma che non saranno qui presi in considerazione
perché non direttamente attinenti all’argomento. A p. 581, incollato con
ceralacca al lato destro della pagina, si trova un ritaglio ovale di carta con disegno delle fattezze di Correggio; in corrispondenza del volto si può
leggere «Ant:o
da Corr.o Pittore 1512»; sul retro è invece indicato «disegnita
[sic] da Maurizio Sansiri Da Correggio L’ Anno 1675». I tratti somatici dell’effigiato
sono, nella sostanza, molto simili a quelli di Correggio che possiamo trovare nella
terza edizione delle Vite vasariane, ossia quella bolognese del Manolessi
del 1647 (ricordo che nella Giuntina l’ovale di Correggio era stato
lasciato vuoto perché Vasari non era stato in grado di individuare il ritratto
dell’artista). Relative a Correggio sono anche due postille che troviamo subito
dopo, alle p. 583 e 585. Sono anonime. Le riporto: «Nacque Antonio Alegri detto
il Correggio intorno all’Anno di Christo 1475 nacque fuori di Corregio in una
villa detta S. Martino in una casuccia povera ma’ tanpiù ricca di virtù
donateli dal Sommo Motore» (p. 583). «In Correggio sua patria nella Chiesa di
Santa Maria detta dei Bastardini, vi è un gran quadro serve per una Palla
d’Altare cosa di gran maraviglia, dove si scorgie un S. Pietro, un S. Lonardo
con Santa Marta e Santa M.a Madalena.» (p. 585) [4]. Le postille, che bene
fotografano l’interesse per Correggio in anni successivi alla stesura delle Vite,
sono anonime, ma di mano chiaramente risalente al Seicento inoltrato. Resta
inoltre da aggiungere che a p. 947, in corrispondenza dell’inizio della vita di
Michelangelo, sono ravvisabili altre tracce di ceralacca che inducono a pensare
che a quella pagina fosse incollato un altro ovale col ritratto del Buonarroti,
evidentemente andato perso.
Le xilografie incollate alle Vite
Tutto ciò premesso, il tomo si caratterizza perché presenta,
incollate, diciannove xilografie. Si tratta di vignette stampate, in
origine, in diversi volumi: nella seconda edizione de Le sorti di
Francesco Marcolini (Le ingeniose sorti composte per Francesco Marcolini da
Forlì intitulate Giardino di pensieri, Venezia, Marcolini, 1550); nella
prima edizione dello stesso volume (Le sorti di Francesco Marcolino da Forlì,
1540), nelle Prose antiche di Dante, Petrarcha et Boccaccio curate e
pubblicate da Anton Francesco Doni, nel 1547 a Firenze e altrove. In realtà non bisogna
pensare a un florilegio di xilografie da libri diversi. Secondo una prassi che
ben conosciamo il duo Doni – Marcolini, negli anni 1551-1553, provvide a
riutilizzare immagini che aveva già stampato in libro precedenti [5]. In
particolare tutte le xilografie incollate alle pagine dell’esemplare delle
Vite in questione provengono da La moral Filosophia del Doni, Tratta da gli
antichi scrittori unitamente con Trattati diversi di Sendebar indiano filosopho
morale [6]. Si tratta di due opere diverse edite da Marcolini nel 1552,
nello stesso volume (con numerazione delle pagine separata). Su questo fatto non vi sono
dubbi. Se si prende la prima vignetta xilografica incollata alle Vite, quella
relativa in origine al filosofo Eudosso, si vedrà che è ritagliata male e che,
sia sopra sia sotto, è rimasta una limitatissima porzione delle cornici con cui
era stata stampata nella Moral Filosophia. Si può anche notare che, sul
verso della vignetta, ci sono delle righe a stampa che, in tutta evidenza,
corrispondono al retro della relativa pagina nella Moral Filosophia.
Fig. 3) Vignetta del filosofo Eudosso nel verso della seconda carta di guardia anteriore dell'esemplare 71.5 A 2 (vedi nota [3]) |
Fig. 4) Vignetta del filosofo Eudosso a p. 24 dei Trattati del Doni (1552) Fonte: vedi nota [3] |
- Filosofo Eudosso (fig. 4). Vignetta incollata sul verso della II guardia anteriore, in alto;
- Filosofo Aristippo. Vignetta incollata sul verso della II guardia anteriore, in basso;
- Allegoria della Discordia (fig. 13). Vignetta incollata sul recto della III guardia anteriore;
- Ritratto di Francesco Marcolini (fig. 1) incollato sul verso della III guardia anteriore;
- Filosofo Stilpone (fig. 9). Vignetta incollata in prossimità del margine inferiore destro di p. 393 (ma in realtà 593), alla fine della vita di Piero di Cosimo;
- Filosofo Platone (fig. 10). Vignetta incollata in prossimità del margine inferiore destro di p. 682, in fondo alla vita di Guglielmo di Marcillat;
- Allegoria della Disgrazia (fig. 6). Vignetta incollata al centro nella parte bassa di p. 706;
- Allegoria del Destino (fig. 11). Vignetta incollata al centro nella parte bassa di p. 785;
- Filosofo Euriloco (fig. 14). Vignetta incollata al centro nella parte bassa di p. 809;
- Filosofo Zenone (fig. 15). Vignetta incollata al centro nella parte bassa, in fondo alla ‘Conclusione della opera a gli artefici et a lettori’;
- Filosofo Aristotele (fig. 12). Vignetta incollata al centro nella parte bassa, in fondo alla ‘Tavola delle vite degli artefici descritte in questa opera’;
- Stemma Medici-Toledo (fig. 18) incollato sul verso del colophon (pagina 3O5v);
- Allegoria della Pertinacia (fig, 5). Vignetta incollata a pagina 3O6v, in alto;
- Allegoria del Peccato (fig. 5). Vignetta incollata a pagina 3O6v, in basso;
- Filosofo Demetrio (fig. 8). Vignetta incollata sul recto della I guardia posteriore, in alto;
- Filosofo Eschino. Vignetta incollata sul recto della I guardia posteriore, in basso;
- Allegoria del Difetto. Vignetta incollata sul verso della I guardia posteriore, in alto;
- Filosofo Anassarco. Vignetta incollata sul verso della I guardia posteriore, in basso;
- Marca tipografica del Doni con la Virtù trionfante (fig. 17), incollata sul recto della II guardia posteriore.
Siamo di fronte, in sostanza, a uno strano fenomeno per cui
vivono in simbiosi (un po’ come il paguro bernardo nel suo anemone) il testo
delle Vite di Vasari e le immagini del libro del Doni.
La simbiosi si realizza tramite la presentazione delle figure in alcune carte
iniziali (dalla fig. 1 alla 4) e finali (dalla 15 alla 19) aggiunte; le
immagini dalla 5 alla 14 sono invece incollate a pagine delle Vite vere
e proprie.
Fig. 5) Ricostruzione della pagina 3O6verso con le allegorie della Pertinacia (in alto) e del Peccato (in basso) |
Fig. 6) Ricostruzione di p. 706 dell'esemplare 71.5 A 2 Fonte: vedi nota [3] |
Alcune ipotesi (e un’altra postilla)
Che senso ha tutto ciò? E, soprattutto, chi lo fece? Stiamo
parlando di vignette ritagliate da un libro a stampa e incollate su un altro
libro a stampa: in sostanza, potrebbe averlo fatto chiunque. Una prima, grande
biforcazione si presenta davanti ai nostri occhi: l’operazione fu effettuata prima
o dopo l’uscita della seconda edizione delle Vite (nel 1568)? Nel secondo caso saremmo di fronte a una scelta bizzarra, che, se l’aggiunta fosse
successiva di secoli, potremmo a buon titolo chiamare ‘antiquaria’; qualcuno si
sarebbe preso la briga di ritagliare le xilografie di Moral filosophia e
Trattati per incollarle nei due tomi delle Vite (tutto lascia
immaginare, come vedremo, che il resto delle xilografie comprese nella
pubblicazione del duo Doni-Marcolini sia stato inserito nel primo, perduto,
tomo dell’opera vasariana). Perché? L’unica spiegazione che mi viene in mente è
quella di cercare di salvare il salvabile (le vignette) da un libro ridotto in pessime
condizioni e altrimenti destinato al macero: ma le vignette sono, in realtà, in
ottime condizioni e nulla lascia presagire un’esigenza di questo tipo.
Diverso sarebbe il discorso se l’inserimento delle vignette
fosse avvenuto entro il 1568: in tal caso si potrebbe parlare della volontà di
rendere illustrato un libro che non lo era, in anni in cui l’illustrazione
a stampa conosceva grande fortuna presso il pubblico. Naturalmente le modalità
dell’illustrazione sarebbero ben diverse da quelle pensate da Vasari: non le
effigi degli artefici, ma illustrazioni ‘descrittive’ (in senso lato) dei
contenuti dell’opera. A farmi propendere per l’ipotesi dell’aggiunta operata
entro il 1568 è, in realtà, un’ulteriore postilla, la terza e ultima di
questo tomo, che si trova a p. 794, in coincidenza della vita del Pordenone.
Qui, in corrispondenza del testo vasariano, in cui si scrive genericamente che
l’artista morì a Ferrara, qualcuno, che si firma e mette anche una data scrive:
«non sa il scritore in qual Chiesa sia sepolto il Pordenone. Io vi dico essere
sepolto nella Chiesa de’ R.R.P.P. Carmelitani detti San P[a]olo e per(?) questo
se vede che il scritore à hauto pocho ò nulla di pratica. Io Gio: Ant.o
Zuccardini ferrarese Pittore 1562».
La calligrafia è cinquecentesca, l’informazione è corretta e va
aggiunto che la chiesa fu distrutta dal terremoto del 1570. Il fatto che il
postillatore ne parli al presente, come una testimonianza architettonica ancora
esistente non fa altro che avvalorare la credibilità cronologica di quanto si
può leggere. Fu Giovanni Antonio Zuccardini a ibridare Doni con Vasari? Se sì, c’è un problema: non abbiamo la minima idea
di chi egli fosse. Non solo: il cognome Zuccardini non è testimoniato nella
tradizione ferrarese. E se quel cognome fosse uno pseudonimo? Mi si lasci
fare un’osservazione: in vita mia ho esaminato (di persona o online) più di
venti esemplari postillati delle Vite vasariane e ho
presente un solo caso (quello di padre
Sebastiano Resta) in cui l’annotatore si sigla. Naturalmente in
molti casi è possibile ugualmente arrivare a stabilire chi scrisse, grazie, ad
esempio, alle note di possesso leggibili sui frontespizi, ma qui siamo di
fronte a un fatto strano: un fantomatico e sconosciuto Zuccardini definisce
Vasari ‘il scritore’ e gli si contrappone definendosi come ‘pittore’, chiarendo
di essere ferrarese, per rafforzare la credibilità delle sue informazioni.
Possibilissimo che sia esistito: certo non doveva essere un artigiano
qualsiasi, ma avere una cultura letteraria, tenuto conto che leggeva le Vite
e ci scriveva sopra. Il fatto che un personaggio di questo tipo non sia mai
testimoniato da documenti è incredibile. Ciò che non convince, in sostanza, è
l’eccesso di informazione: troviamo esattamente tutti i dati di cui abbiamo
bisogno, quando, in realtà, raramente chi scrive note lo fa avendo in mente di
rendersi riconoscibile per un lettore futuro. Queste cose, normalmente,
succedono quando siamo di fronte a un falso (si pensi al papiro di Artemidoro). Il cognome, poi, è particolarmente
strano, perché non può non ricordare la prima opera pubblicata da Anton
Francesco Doni col Marcolini (la ‘Zucca’) e nella sua desinenza (dini/doni) richiamarlo
ancora una volta. Chiunque sa che Doni indulgeva a questi tipi di ‘burle’;
chiunque sa che riciclava vignette da un’opera all’altra (esattamente come fece
nella Moral Filosophia e nei Trattati); chiunque sa che fu a
Ferrara nel 1557-1558 [8]; nulla sappiamo invece dei suoi spostamenti nel 1562
(ma una visita a Ferrara è possibilissima). [9]
A questo punto la domanda sorge spontanea: fu Doni a
‘illustrare’ le Vite torrentiniane del Vasari, usando lo pseudonimo ‘Zuccardini’?
Quel Doni che in una celebre lettera a Francesco Reveslà, giureconsulto
novarese datata 10 marzo 1547, anticipa che, fra i libri in lavorazione ‘nello
scrittoio’ della sua tipografia fiorentina ci sono, appunto, le Vite
fiorentine? Più un desiderio che una realtà - come chiarisce Giorgio Masi [10]
-, desiderio che comunque andò deluso per il fallimento della tipografia con
relativa fuga da Firenze. A stampare il testo fu Lorenzo Torrentino, suo
concorrente, che il duca Cosimo aveva preferito al Doni come proprio stampatore
ufficiale. Possibile che sia stato lui a eliminare il frontespizio, facendo
scomparire il nome di Vasari, inserendo nella carta precedente il ritratto di
Marcolini (si veda fig. 2), così come, in fondo, nel verso del colophon compare
la inconfondibile marca del Doni? Tutti elementi non riconoscibili al profano,
ma sicuramente noti nell’entourage (soprattutto veneziano) del pubblico
del poligrafo fiorentino, quasi a marcare una rivincita morale, condotta su
un’unica copia delle Vite?
In realtà, ci troviamo di fronte a un altro bivio. Mi pare
sufficientemente probabile che l’operazione sia stata eseguita prima del 1568. Se Doni ne
fu l’autore, valgono tutte le considerazioni qui di seguito riportate; se
non lo fu, è chiaro che bisogna pensare a un qualche personaggio che comunque
aveva gravitato nell’ambito della stamperia Doni - Marcolini, e che ne conosceva
bene le tecniche, tecniche su cui è il caso di tornare, facendo un passo
indietro.
Anton Francesco Doni, ‘artigiano della letteratura’
Come noto, Le sorti erano un libro-gioco di grande
successo; pubblicate in prima edizione nel 1540, furono riedite nel 1550.
Presentavano cento vignette, cinquanta riferite ad allegorie morali e altre
cinquanta aventi ad oggetto episodi della vita di filosofi tratti dalle biografie
di Diogene Laerzio. Come sua consuetudine, Doni ne riciclò diverse all’interno
della Filosofia morale + Trattati. Il termine ‘riciclaggio’ comprende,
in realtà, scelte di tipo diverso. Le vignette furono private delle loro
legende, che ne individuava il soggetto nelle Sorti, e vennero ad
assumerne un altro legato, in realtà, all’opera del 1552, che, semplificando al
massimo, è una raccolta di novelle. Si tenga conto, nel caso specifico, che
Doni stava di fatto attingendo dall’anonimo spagnolo Exemplario contra los
engaños y pelygros del mundo e dal volgarizzamento di quest’ultimo (solo
parziale) edito nel 1548 col titolo Prima veste dei discorsi degli animali
[11]. A loro volta il contenuto delle novelle derivava da un’antichissima
raccolta in origine scritta in sanscrito nei primi secoli dopo Cristo e poi
tradotta in varie lingue (fra le quali non poteva mancare il latino). La
presenza del testo dell’Exemplario (e, almeno per parte dell’opera)
dell’edizione italiana del 1548 ci permette di comprendere quanto Doni modificò
liberamente il contenuto dell’opera. In particolare, in corrispondenza delle
immagini, possiamo assistere a veri e propri stravolgimenti del testo, con
inserimento di episodi (o novelle dentro le novelle) che rendessero plausibile la
presenza di una figura. Si tratta dei casi più interessanti perché mostrano
proprio l’abilità artigianale del fiorentino nella composizione di un testo che
doveva veramente procedere di pari passo con l’inserimento delle figure. Più
volte le fonti riportano che Doni scriveva le sue opere in tipografia e mai
come in questa situazione è possibile rendersene conto. La ‘riscrittura’ è più
evidente in corrispondenza delle immagini con gli episodi delle vite dei filosofi.
A volte Doni ‘forza’ il contenuto delle vignette rispetto al testo; in altre
occasioni lo riscrive proprio. Vediamo due esempi: la vignetta in origine
riferita al filosofo Demetrio, nelle Sorti ne raffigurava la morte,
avvenuta a causa del morso di un serpente; nella Moral filosophia, il ritrattato
diventa Olofar, personaggio così pigro da farsi grattare i piedi da una serpe.
Il passaggio dalla tragica morte di un filosofo alla situazione umoristica
legata alla pigrizia di Olofar è enorme; si farebbe fatica a crederci se non
fosse atteggiamento tipico del Doni.
Fig. 7) Il filosofo Demetrio nelle Sorti (ed. 1550) Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 8) Il filosofo Demetrio, divenuto Olofar, nella Moral filosophia (1552) Fonte: vedi nota [3] |
Si è detto, tuttavia, che in alcune occasioni, Doni non riesce a rintracciare nelle vignette un minimo indizio che le accordi col testo da cui attinge (in spagnolo o italiano che sia), per cui riscrive in parte le novelle. Nel caso di Aristotele, ad esempio, Doni aggiunge due personaggi (il pittore e il filosofo) al racconto originario (che ne prevedeva quattro) per utilizzare la vignetta e giustificarne la presenza. Naturalmente il senso iniziale ne è completamente stravolto, ma poco importa.
Supponiamo, a questo punto, che Doni sia stato colui che ritagliò
le vignette dalla Moral filosophia + Trattati e le incollò alle Vite.
In base a quali ragionamenti determinò la loro posizione? Qui la
risposta si fa davvero difficile: nel caso delle vignette collocate nelle carte
di guardia anteriori e posteriori non si riesce a capire la scelta. A meno che
la scelta non sia stata proprio quella di collocare nelle pagine di guardia le
immagini per le quali non era riuscito a trovare un nesso con il testo. Operazione
particolarmente difficile, non c’è che dire, poiché in quest’occasione non
poteva modificarlo, essendo già stampato. Tuttavia, anche nel caso delle
figure inserite all’interno delle Vite si fatica, in tutta sincerità, a
trovare un nesso, anche minimo, con lo scritto vasariano. Ci ho provato, ma i
risultati non sono entusiasmanti. Nel caso di Stilpone, collocato a p. 393 (in
realtà 593) si potrebbe considerare l’immagine come una situazione ‘strana’,
abbinabile agli strani comportamenti di Piero di Cosimo; in quella di Platone
(p. 682) trovare un nesso tra il fuoco della vignetta e il fuoco che serviva a
Guglielmo di Marcillat per produrre le sue vetrate dipinte. E ancora, la
vignetta del Destino (p. 785) potrebbe presentare un nesso (anche qui molto
generico) con la fama di Girolamo da Santacroce, scultore napoletano morto
prematuramente; quella di Aristotele, collocata alla fine dell’indice, potrebbe
essere pertinente in quella posizione perché mostra un uomo che legge un libro.
Fig. 9) Vignetta del filosofo Stilpone incollata nell'esemplare 71.5 A 2 delle Vite Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 10) Vignetta del filosofo Platone incollata nell'esemplare 71.5 A 2 delle Vite Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 11) Vignetta con l'allegoria del Destino incollata nell'esemplare 71.5 A 2 delle Vite Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 12) Vignetta del filosofo Aristotele incollata nell'esemplare 71.5 A 2 delle Vite Fonte: vedi nota [3] |
Ma negli altri casi (l’allegoria della Disgrazia a p. 706, il
filosofo Euriloco nella biografia di Giovanni Antonio Sogliani, Zenone in fondo
alla Conclusione delle Vite) io, francamente non sono stato in grado di
individuare un ulteriore riutilizzo pertinente rispetto al testo.
Fig. 13) Vignetta con l'allegoria della Disgrazia incollata nell'esemplare 71.5 A 2 delle Vite Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 14) Vignetta del filosofo Euriloco incollata nell'esemplare 71.5 A 2 delle Vite Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 15) Vignetta del filosofo Zenone incollata nell'esemplare 71.5 A 2 delle Vite Fonte: vedi nota [3] |
Hanno invece un senso, a mio avviso, il ritratto di Marcolini
all’inizio e la marca del Doni alla fine, volti a ‘marcare il territorio’ e non
stona nemmeno lo stemma Medici-Toledo, che colloca l’opera in ambito
fiorentino.
Fig. 18) Stemma Medici-Toledo incollato nell'esemplare 71.5 A 2 delle Vite Fonte: vedi nota [3] |
Possiamo dunque stabilire con certezza che a incollare le vignette
fu Doni? Non credo, anche se l’ipotesi è suggestiva. Se non fu lui, fu comunque
un suo ‘imitatore’, uno che ne conosceva bene le abitudini. Sempre su Doni, va
aggiunto che a partire dal 1556, e a maggior ragione dopo la chiusura della
stamperia marcoliniana (1559), intraprese la redazione di manoscritti
illustrati a mano, non avendo più a disposizione una ‘sua’ tipografia. Esiste
un caso, ed è quello dell’Attavanta Villa del Doni (1560 circa) in cui l’autore
ritagliò le vignette con le allegorie del Tempo, del Desiderio e della Virtù in
origine nelle Sorti e le incollò al testo manoscritto [12]. Siamo in
una situazione diversa rispetto alle Vite, dove il testo è fisso, mentre
nel manoscritto è opera del fiorentino, ma non possiamo non cogliere il fatto
che la pratica del ritaglio fisico di immagini stampate non gli era inedita. A
ciò si aggiunga quanto scrive Masi a p. 652 della sua opera: «Il Doni di questi
anni sembra trovarsi in una condizione di precarietà che lo induce a
moltiplicare iniziative di vario genere allo scopo di ottenere un qualche
riscontro finanziario». In questo senso non trovo impossibile che il Nostro
possa aver venduto una copia delle Vite ‘illustrata’ con le xilografie
della Moral filosophia + Trattati, inserite anche solo per motivi
estetici, arricchendola peraltro con la postilla di un presunto pittore
ferrarese che, guarda caso, si chiamava Zuccardini.
Mai dire mai
Qualunque sia la spiegazione che si voglia dare per l’inserimento
delle xilografie nel secondo tomo delle Vite torrentiniane, una domanda
sorge spontanea: cosa c’era nel primo tomo? La risposta mi pare
scontata: le restanti xilografie pubblicate nella Moral filosophia +
Trattati. Tutte? Impossibile dirlo, anche se la possibile assenza di
una (ovvero il ritratto dell’Aretino) potrebbe essere rivelatrice del fatto che
a compiere il tutto sia stato proprio Doni. Come noto, Anton Francesco ruppe i
rapporti con l’Aretino alla fine del 1556, scrivendone poi di cotte e di crude
su quello che, fino a quel momento, era stato un suo sostenitore.
Non lo sapremo mai? Mai disperare. Nel 2016
redassi su questo blog un censimento degli esemplari postillati delle Vite,
segnalandone, in fondo alla lista, uno appartenuto ad Alessandro Saracini di
Siena, con postille di Federico Zuccari. Quella copia era stata vista
da Gaetano Milanesi, che aveva trascritto il testo delle postille nella sua
edizione Sansoni delle Vite. La cercai, ma inutilmente. Mi limitai
allora a trascrivere nel post le note a piè di pagina di Milanesi nella
speranza che, prima o poi, quell’esemplare tornasse a emergere sul mercato e
non fosse andato distrutto. Nel 2021 Chiara Nicolini, responsabile del settore
libro antico di Pandolfini Casa d’aste, si vide proporre proprio quell’esemplare
e, cercando su Internet, lesse il mio censimento, avendo conferma che aveva in
mano quel prezioso esemplare (oggi alla Biblioteca Nazionale degli
Intronati di Siena). Provo a ripetere quest’operazione, sperando che abbia
analogo esito.
Come potrebbe essere il primo tomo che stiamo cercando? Innanzi
tutto, potrebbe essere in coppia con un secondo tomo con una diversa storia
collezionistica, a un certo punto riunitasi con quella del primo. Potrebbe non
avere frontespizio. Dovrebbe avere, inoltre, delle pagine di guardia anteriori
e posteriori aggiunte da colui che ibridò le due opere. Nella
migliore delle ipotesi, potrebbe esserci anche una spiegazione dei propositi
perseguiti: non dimentichiamoci che quello custodito a Roma è un secondo tomo,
e viene naturale pensare che, se una qualche spiegazione fu data, essa sia
stata inserita nel primo volume.
Tutto ciò premesso, ecco la lista delle xilografie che
potrebbero esservi contenute, tutte provenienti – lo si ripete – da Moral
Filosophia + Trattati (ma certamente non nell’ordine di pubblicazione
dell’opera del 1552). Tenuto conto che sicuramente le xilografie saranno prive
di legenda, provvedo anche a pubblicarne le immagini.
1) Pezzo xilografico del frontespizio della Moral filosophia;
Fig. 19) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 20) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
3) Allegoria del Furto;
Fig. 21) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 22) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
5) Filosofo Pirone;
Fig. 23) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 24) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
7) Allegoria della Sterilità;
Fig. 25) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
8) Filosofo Anacarsi;
Fig. 26) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 27) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 28) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 29) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 30) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
13) Allegoria del Consiglio;
Fig. 31) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 32) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
15) Allegoria della Verità;
Fig. 33) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
16) Ritratto dell’Aretino;
Fig. 34) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 35) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 36) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
19) Filosofo Democrito;
Fig. 37) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
Fig. 38) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
21) Filosofo Polomone;
Fig. 39) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
22) Filosofo Menedemo;
Fig. 40) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
23) Allegoria dell’Onore;
Fig. 41) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
24) Marca tipografica del Doni.
Fig. 42) Xilografia probabilmente contenuta nel primo tomo delle Vite gemello del secondo conservato alla Biblioteca Nazionale di Roma Fonte: vedi nota [3] |
In conclusione
NOTE
[2] I timbri sono due, uno accanto all’altro: uno della Casa
Professa dei Gesuiti e l’altro della Biblioteca Nazionale. Ringrazio Elisabetta
Sciarra per averli identificati.
[3] Si precisa che, nel pieno rispetto delle assurde disposizione
ministeriali, le immagini proposte da qui in poi non sono riproduzioni
dell’esemplare descritto in questo testo, ma screenshot (eventualmente con
operazione di collage) tratte da esemplari digitali disponibili
online. Per questo motivo (si veda in fig. 2 la pagina destra dove compare il timbro
della Biblioteca Statale di Monaco di Baviera) non possono essere considerate
del tutto fedeli rispetto all’originale. Le fonti da cui sono state tratte le
immagini sono, per quanto riguarda le Vite di Vasari: https://www.google.it/books/edition/Le_vite_de_piu_eccellenti_architetti_pit/3Bo8AAAAcAAJ?hl=it&gbpv=0; per Le
ingeniose sorti (1550): https://catalog.hathitrust.org/Record/100242412 e per le
illustrazioni di Moral filosophia e Trattati: https://books.google.it/books?id=Lq5IBFW1e2MC&hl=it&source=gbs_navlinks_s
[4] Oggi al Metropolitan Museum of Art con numero di accessione
12211.
[5] Quando non diversamente indicato, le informazioni sul Doni
provengono dalla lettura di Giorgio Masi, «Cose rare
e mirabili». L’artigianato letterario di Anton Francesco Doni, 2 voll.
Manziana, Vecchiarelli editore, 2022.
[6] Su Moral Filosophia e Trattati ho letto Patrizia
Pellizzari, Riscrittura per immagini: la ‘Moral Filosofia’ e i ‘Trattati di
Anton Francesco Doni in «Levia Gravia», 2000, pp. 97-128 e Anton Francesco
Doni, Le Novelle. Tomo I. La moral filosofia. Trattati, a cura di
Patrizia Pellizzari, Roma, Salerno editrice, 2002.
[7] Per tutte le informazioni sull’aspetto fisico del volume devo ringraziare
sinceramente Saveria Rito, dell’Ufficio Catalogazione Incunaboli e Libro Antico
della B.N.C. di Roma.
[8] G. Masi, op. cit., v. II, p. 657.
[9] Una comparazione della calligrafia della postilla con
autografi del Doni, che non sono in grado di fare, sarebbe fortemente
auspicabile per togliersi il dubbio. Peraltro c'è da notare che 'Zuccardini' si dice ferrarese, ma non dice di stare scrivendo a Ferrara.
[10] G. Masi, op. cit., v. I, pp. 129-142.
[11] P. Pellizzari, Riscrittura per immagini… op. cit,. pp.
99-100.
[12] G. Masi, op. cit., v. I, p. 255. Non mi è chiaro se le
ritagliò da un libro a stampa. Da notare che le allegorie del Tempo, del
Desiderio e della Virtù non si trovano nella Moral Filosophia + Trattati.
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