Leon Battista Alberti
Cantieri dell’Umanesimo
A cura e con un saggio introduttivo di Giulio Busi
Un grande rischio
Lo scrive lo stesso Giulio Busi: «se
mi sono accinto a questa curatela, e ne ho accettato i rischi e l’avvenuta, lo
devo all’entusiasmo, e allo sprone, di Renata Colorni. Alberti è un antagonista
non facile da affrontare» (p. LXXXV). Vista con gli occhi di chi si interessa di
fonti di storia dell’arte, è la prima volta (se non sbaglio) che un artista si
vede dedicato un Meridiano (fatta eccezione per Marinetti). Ho ben presenti
alcuni volumi della collana dedicati a storici e critici dell’arte (da Roberto Longhi ad Anna
Banti, da Mario Praz a Emilio Cecchi), ma il caso di Alberti, sinora, è unico.
Per una valutazione credo che ci si debba rifare allo spirito con cui la
collana nacque nel 1969: «la storica raccolta di volumi fondata da Vittorio Sereni
nel 1969; una biblioteca ideale di opere complete di grandi classici italiani e
stranieri in edizioni prestigiose e raffinate, caratterizzate da importanti
apparati critici e curate dai massimi studiosi contemporanei di letteratura»
(si veda https://www.oscarmondadori.it/collana/meridiani-mondadori/).
Ecco, ho l’impressione che, per dare un giudizio, si debba considerare che
Alberti, da decenni, non è più considerato solo un ‘artista’ (ricordo le
dispute sulla possibilità che, oltre a essere architetto, sia stato
concretamente pittore e scultore), ma, sempre più, un ‘letterato’. Il successo
di opere come le Intercenali, di cui sono uscite diverse edizioni negli
ultimi vent’anni, sta, del resto a dimostrarlo.
Quella che Busi propone, dunque,
a partire dal suo saggio introduttivo, è una visione ‘larga’ di Battista (poi
Leon Battista, con l’aggiunta del primo nome) Alberti, uomo poliedrico,
enigmatico, versatile. Naturalmente ci sono delle rinunce da fare. Mi riferisco
non tanto al fatto che non siamo di fronte all’opera letteraria completa
dell’autore (è del tutto normale: i ‘Meridiani’ presentano opere complete, ma
sulla base di scelte antologiche), quanto, ad esempio, alla circostanza che la
scelta di proporre tutte le opere in italiano (basandosi quindi su traduzioni
per quelle in origine in latino o proponendo solo le versioni in volgare anche
quando esistano in latino, come nel caso del De pictura) finiscono per
appiattire un po’ la ricchezza del prisma letterario a cui Alberti fu capace di
dar vita. Mancano poi apparati di note a commento delle opere tecniche
(leggersi il De re aedificatoria senza note non è esattamente una
passeggiata di salute) e anche questo era inevitabile. Complessivamente,
tuttavia, a me l’operazione di Busi pare del tutto riuscita, fors’anche per la
piacevolezza del suo saggio introduttivo e delle finali Notizie sui testi
(pp. 1647-1691), che consiglio vivamente di leggere prima di affrontare i
singoli testi albertiani. Non si tralasci poi che l’apparato dei riferimenti
bibliografici, sia pur forzatamente ridotto, è preciso e prezioso, dando la
possibilità a chiunque voglia approfondire, di sapere dove andare a cercare e
cosa leggere.
Le opere presentate
Il ‘Meridiano’ è diviso in quattro sezioni. Nessuna delle
opere incluse nel volume (come logico) presenta nuove traduzioni; tutte, per
dirla alla rovescia, sono la riproposizione di edizioni già pubblicate. Qui sotto
trovate l’elenco. Lasciatemi solo sottolineare che riuscire ad avere
sottomano tutte queste opere in un unico volume è di grande utilità, anche per
chi (come il sottoscritto) segua le fonti. Non esistono, infatti, altri testi
(a mia conoscenza) che propongano il De pictura, il De statua e
il De re aedificatoria in un unico volume. A puro titolo di esempio, l’edizione
del Polifilo del De re aedificatoria, tradotta da Orlandi e proposta da
Busi, è introvabile e sul mercato costa svariate centinaia di euro.
OPERE COMICO-UMORISTICHE
- Intercenali. È proposta la traduzione dal latino di Maria Letizia Bracciali Magnini in Leon Battista Alberti, Intercenales, editio minor, a cura di Roberto Cardini, Polistampa, Firenze 2022;
- Momo. Anche qui la traduzione dal latino è di Maria Letizia Bracciali Magnini in Leon Battista Alberti, Opere latine, a cura di Roberto Cardini, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 2010.
TRATTATISTICA MORALE
- I libri della famiglia (De familia). È utilizzata l’edizione Romano -Tenenti che, nella sua prima versione, risale al 1969 (Einaudi editore);
- Della tranquillità dell’animo (Profugiorum ab ærumna). Si utilizza il testo proposto da Cecyl Grayson in Leon Battista Alberti, Opere volgari, Laterza 1966;
- La villa. Trascrizione da Ex Baptistae de Albertis Villa ad Laurentium Victorium, edizione critica e commentario di Francesco Furlan, Fabrizio Serra, Pisa-Roma 2022.
TRATTATISTICA D’ARTE
- De pictura. È proposta la versione volgare stabilita da Lucia Bertolini nell’ambito dell’Edizione nazionale delle opere di Leon Battista Alberti (Polistampa, Firenze, 2011);
- Della statua (De statua). La trascrizione è condotta su Leon Battista Alberti, De statua, a cura di Marco Collareta, Sillabe, Livorno 1998;
- L’architettura (De re aedificatoria). Il testo è quello proposto in traduzione dal latino da Giovanni Orlandi nell’edizione in due volumi del trattato albertiano per i tipi de Il Polifilo (1966).
AMORE E VITA
- Rime. Pubblicate seguendo il testo volgare proposto in Leon Battista Alberti, Rime / Poèmes. Suivis de la Protesta / Protestation. Introduzione e note di Guglielmo Gorni. Les Belles Lettres, Parigi, 2002;
- Autobiografia. Tratto da Leon Battista Alberti, Autobiografia e altre opere latine. A cura di Loredana Chines e Andrea Severi, Rizzoli, 2012.
Umanesimo sperimentale
Non si tratta, però, di fare un discorso meramente utilitaristico. Non siamo qui per lodare la comodità di trovare i trattati d’arte albertiani nel ‘Meridiano’ appena pubblicato. Non è nemmeno questa l’occasione per approfondire gli aspetti prettamente artistici (come la prima esposizione della teoria prospettica nel De pictura, a puro titolo di esempio). È giusto chiedersi, invece, perché mai Alberti scriva e cosa voglia dire scrivere per lui: autorappresentazione? Sogni di gloria? Esigenza ineludibile di fissare le idee su carta? Tutto questo e molto altro. Parlando del De re aedificatoria, Busi sottolinea: «Nei dieci libri del trattato si discute di edifici, di templi, di città, ricorrendo a tutta la scienza umanistica e a non poca pratica costruttiva; il tema travalica i limiti, seppur ampi, di una singola disciplina, giacché edificare è, per l’autore, fondamento di umanità e civiltà. […] Senza l’arte dell’edificare non vi sarebbe società, così come la vita sociale non potrebbe esistere senza il linguaggio. Lingua e costruzione s’intrecciano tanto strettamente che, per tutto il lavoro, Battista rifugge dal disegno, e descrive ogni cosa verbalmente» (p. 1672) [1]. La lingua è comunicazione e comunicazione sperimentale, tanto più che si tratta in molti casi di inventarsi neologismi in volgare per farsi capire. Cosa c’è di diverso fra lo ‘sperimentatore’ Alberti e uno scrittore contemporaneo che affronta e influenza la letteratura alla luce di un approccio personale? Assai poco, direi. Siamo in un cantiere. E quello di Alberti è, senza dubbio, il cantiere dell’umanesimo, come del resto il titolo del ‘Meridiano’ esplicita programmaticamente. Non semplici esercizi di stile, non un umanesimo avulso dalla realtà, ma una lingua che propone un approccio fortemente pratico e pragmatico al lettore. In fondo è quanto scrisse già Lucia Bertolini nella sua edizione critica del De pictura albertiano. [2]
Mi permetto di citare da quel testo (da cui – come visto – Busi
attinge per il suo lavoro): «Il rischio dell’interpretazione tradizionale, di
un De pictura nato e promosso dall’esclusiva humus umanistica, è
di perdere di vista per la gran parte la forza propulsiva e l’innovatività di
quest’opera […] La lettura (alternativa alla presente) che finisce per vedere
nel De pictura un trattato che piega la pittura alla retorica e a
quest’ultima in definitiva asservisce la prima, corrispondendo alla supposta
priorità della redazione latina, non rende giustizia al dato storico e
letterale, né prende in carico la natura eccentrica dell’umanesimo albertiano. Le
analogie, i richiami, l’utilizzo esplicito di fonti retoriche, che non possono
essere negate, vanno infatti interpretate (e non solo messe a registro),
valutate per qualità (e non esclusivamente nel numero) e per il loro
significato strategico e complessivo: a me paiono (…) il portato ineludibile
del percorso culturale dell’autore che guarda alla pittura insieme come
teorico e pittore» (pp. 52-53). Quando Alberti scrive il De pictura sono
passati meno di quarant’anni dalla stesura del Libro dell’Arte di
Cennino Cennini; la differenza d’impostazione, però, è a dir poco abissale.
Alberti ripudia l’approccio specialistico e propone una visione complessiva estremamente
lungimirante. Altrettanto si può dire dell’Architettura (come la chiama
Busi). Alberti distingue innanzi tutto fra progettista e mero esecutore del
progetto; l’architetto rientra, ovviamente, nel novero ristrettissimo del primo
gruppo: «architetto chiamerò colui che con metodo sicuro e perfetto sappia
progettare razionalmente e realizzare praticamente, attraverso lo spostamento
dei pesi e mediante la riunione e la congiunzione dei corpi, opere che nel modo
migliore si adattino ai più importanti bisogni dell’uomo. A tale fine gli è
necessaria la padronanza delle più alte discipline» (p. 1042). Lo specialista è
ridimensionato nel suo fare artigianale, il progettista diventa quasi uomo di
governo. Scrive ancora Busi: «Benché l’osservazione degli edifici antichi sia
fondamentale [n.d.r. sappiamo quali e quanti fossero gli interessi di Leon
Battista in proposito], L’architettura non è una rassegna dei monumenti
del passato né una storia delle pratiche costruttive ma un sussidio per chi
voglia progettare con consapevolezza e cognizione di causa.» (p. 1681) E se il
lettore moderno potrà dire che i principi della ‘firmitas’, della ‘utilitas’ e
della ‘venustas’ a cui Alberti fa riferimento altri non sono che quelli già
enunciati da Vitruvio nel De Architectura, non posso che replicare che
si tratta del metodo albertiano: il riuso consapevole (non meramente
utilitaristico) dell’antico a fini sperimentali. Destrutturare i testi antichi
e ricomporli in forme nuove è, del resto, la cifra stilistica della letteratura
albertiana, come del resto ha evidenziato Roberto Cardini sin dal 1990 circa.
Leggere per il piacere di farlo
Probabilmente ho ingarbugliato le cose. Nella sua introduzione, in
maniera estremamente piacevole, Busi ci parla del ‘personaggio’ Alberti, di
quest’uomo che non si riesce mai a inquadrare perfettamente, nelle sue opere e
nei suoi comportamenti privati. Un ‘camaleonte’, è stato detto tante volte, a
ragione. Ma un camaleonte che sa come scrivere e intrattenere il lettore. Il
Proemio al Libro I delle Intercenali, con cui si apre l’antologia di
Busi, recita testualmente: «Ho incominciato a raccogliere e ordinare in
libriccini le mie Intercenali, perché si possano più agevolmente e
compiutamente leggere, durante le cene, tra un bicchiere e l’altro. Tu
certamente, mio dolcissimo Paolo, come tutti gli altri medici, somministri ai
corpi ammalati medicine amare fino a provocare la nausea; io invece con questi
miei scritti propongo per alleviare le malattie dell’animo un modo che passa
attraverso il riso e l’allegria» (p. 5). È difficile resistere a un uomo che
scrive così. La cosa migliore da fare, allora, è leggerlo per il semplice
piacere di farlo (magari un poco alla volta, perché ci attendono 1600 pagine). Solo
allora capiremo veramente perché Leon Battista Alberti meritava il suo
‘Meridiano’.
NOTE
[1] Discorso del tutto analogo alla Descriptio Urbis Romae.
[2] Nel 2000 Lucia Bertolini ha mostrato, per via filologica, che la redazione volgare del De pictura precede quella in latino. La tesi è ormai accettata da tutti. Sono uscite di recente due edizioni di tale versione volgare: Il nuovo De Pictura di Leon Battista Alberti, a cura di Rocco Sinisgalli, Edizioni Kappa, 2006 (già recensita in questo blog) e l'edizione critica a cura della Bertolini all'interno dell'Edizione nazionale delle opere di Leon Battista Alberti (Edizioni Polistampa, 2011). Ecco cosa scrive la stessa Bertolini a proposito della versione Sinisgalli (p. 78); "L'editore, ottimo conoscitore della prospettiva, si attribuisce il merito di aver dimostrato, nel 2006, la precedenza della redazione volgare su quella latina, pur citando il lavoro in cui quella priorità era già stata acclarata per via filologica nel 2000".
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