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sabato 6 maggio 2023

Erminia Gentile Ortona. Le lettere di Pierre-Jean Mariette a Giovanni Gaetano Bottari

 

Erminia Gentile Ortona (a cura di)
Le lettere di Pierre-Jean Mariette
«eccellente nella intelligenza delle tre arti»
a Giovanni Gaetano Bottari
Il Codice 1606 (32-E-27) della Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana


Roma, Bardi Edizioni, 2022

Recensione di Giovanni Mazzaferro



Il carteggio Mariette – Bottari

Pierre-Jean Mariette (1694-1774) e Mons. Giovanni Gaetano Bottari (1689-1775) non si conobbero mai di persona. Eppure furono protagonisti di un fitto carteggio dal 1756 fino, almeno, al 1772. Il carteggio è, per molti versi, ben noto; Bottari lo trascrisse in alcuni volumi (a partire dal terzo) della sua Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura [1], come pure vi presentò lettere che Mariette aveva ricevuto da artisti (ad esempio, da Rosalba Carriera) e che aveva girato al corrispondente italiano perché fossero edite. Perché, dunque, provvedere a una nuova, impeccabile edizione, di cui è curatrice Erminia Gentile Ortona e patrocinatrice l’Accademia Nazionale dei Lincei? I motivi sono tanti. Partiamo dai dati oggettivi: il codice 1606 (32-E-27) della Biblioteca Corsiniana dell’Accademia dei Lincei contiene, rilegate in unico tomo, le lettere di Mariette spedite fra il 1756 e il 1766 (in tutto una settantina). Non tutte le lettere di Mariette furono trascritte da Bottari nella sua Raccolta; non tutte, fra quelle trascritte, lo furono integralmente; in molti casi il monsignore ricorse a operazioni di ‘smontaggio’ e ‘rimontaggio’ delle lettere, unendole o spezzandole arbitrariamente (o, meglio, secondo una logica del tutto normale, all’epoca, che privilegiava lo svolgimento logico del discorso alla trascrizione filologica dei documenti). Gli originali delle missive furono rilegati nell’Ottocento nel codice corsiniano per ordine di mese (sic) e non di anno, per cui spesso e volentieri si sono verificati problemi nella datazione di allegati e quant’altro; nel codice non compaiono le risposte di Bottari, che, pur pochissime, ci sono e che Gentile Ortona riporta in appendice. La curatrice, questa volta, presenta integralmente il testo delle missive, riordinate cronologicamente; ne aggiunge altre (reperite anche fuori dalla Corsiniana) rendendo più completo il carteggio e allungandolo fino al 1772; arricchisce il tutto con un fittissimo apparato di note che contestualizza i temi affrontati nelle missive in maniera esemplare e presenta, infine, un ricchissimo Indice ragionato dei nomi e degli argomenti principali (pp. 693-797) le cui dimensioni spiegano già l’accuratezza con cui è redatto. Sicché su un aspetto non c’è il minimo dubbio: d’ora in poi l’edizione di riferimento per coloro che vorranno studiare il carteggio sarà questa.

Jean-Baptiste Massé, Ritratto di Pierre-Jean Mariette, 1735, Oxford, Ashmolean Museum
Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Pierre-Jean_Mariette_by_Jean-Baptiste_Mass%C3%A9_-_Dictionary_of_Art_1998_vol20_p417.jpg


Due esponenti della Repubblica delle lettere

A livello di studi, Mariette è più frequentato di Bottari.  Lo è in virtù della sua straordinaria collezione di stampe e disegni, dispersa dopo la sua morte, sulla quale Pierre Rosenberg ha pubblicato diversi volumi fra 2011 e 2022; lo è per una monografia del 1856 a lui dedicata [2] e, in tempi molto più recenti, per un interessantissimo volume pubblicato da Kristel Smentiek (Mariette and the Science of the Connoisseur in Eighteenth-Century Europe). Molto meno, mi pare di poter dire, è stato scritto su Bottari, che attende ancora qualcuno che gli renda pienamente giustizia con uno studio monografico.

Fu Mariette a cercare Bottari. È certo che il francese conoscesse l’abate di nome, per le sue opere e perché probabilmente citato dal fiorentino Gabburri, con cui si scambiava lettere sin dal 1730. Senza dubbio fu ben felice di intraprendere una corrispondenza diretta quando, a inizio 1856, incaricò l’amico Jean-Jacques Barthélemy di trovargli qualcuno a Roma che lo potesse aiutare nelle sue ricerche collezionistiche. All’epoca Pierre-Jean era un uomo ‘arrivato’. Proveniente da una famiglia che si occupava da quattro generazioni del commercio di stampe, disegni e quadri, dopo anni giovanili in cui aveva riordinato a Vienna le collezioni di stampe del principe Eugenio di Savoia e un viaggio italiano di pochi mesi (l’unica occasione in cui visitò la nostra penisola), Mariette continuò la tradizione mercantile di famiglia, legandosi contemporaneamente agli ambienti eruditi che gravitavano attorno a Pierre Crozat (1661-1740). In questi circoli conobbe anche coetanei (e protettori) cui rimase legato per tutta la vita, a partire dal conte di Caylus (1692-1765). Si tratta di frequentazioni importanti, che, sommate a un indiscutibile talento e a una passione smisurata per belle arti e collezionismo lo portarono a salire nella considerazione degli ambienti colti parigini e a essere nominato prima socio dell’Académie royale de peinture et de sculpture (1750) e poi ‘amatore onorario’ (1767). [3] In sostanza, Mariette divenne arbitro del gusto, e arbitro ufficiale, perché riconosciuto tale dall’Accademia; personaggio deputato a giudicare le opere d’arte, ma anche ad agire a monte, consigliando gli artisti prima della realizzazione delle loro opere. Tutto questo comportò una scelta obbligata, ossia l’abbandono della pratica del commercio. L’arbitro del gusto non poteva sporcarsi col mercato né essere in aperto conflitto d’interesse consigliando il pubblico verso questo o quell’artista di cui, magari, deteneva delle opere. Il ‘ripudio’ avvenne, appunto, nel 1750 e secondo i maligni, che non mancarono, si trattò in realtà di operazione di mera facciata.

Il fiorentino Bottari, invece, era stato a servizio dei Corsini nella sua città natale, occupandosi di molti temi, non solo artistici, ma anche religiosi (fu figura di spicco del giansenismo italiano), letterari e scientifici. Il trasferimento a Roma avvenne nel 1730, in coincidenza con l’elezione a Papa di Lorenzo Corsini (Clemente XII). A Roma Bottari lavorò per il cardinal Neri Corsini e divenne presto un punto di riferimento imprescindibile per gli ambienti eruditi della città; la sua produzione letteraria è sconfinata e sicuramente trasse giovamento dagli incarichi presso la biblioteca vaticana, ma soprattutto dall’essere il deus ex machina di quella corsiniana.

L’inizio del carteggio fra Mariette e Bottari, fra due membri autorevoli della cosmopolita Repubblica delle lettere, era nell’ordine delle cose e prometteva – come effettivamente fu – di essere proficuo per entrambi.

Pier Leone Ghezzi, Caricatura di Mons. Giovanni Gaetano Bottari, 1749, Londra, The British Museum
Fonte: https://www.britishmuseum.org/collection/object/P_1859-0806-177 under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International

L’avvicinamento a un carteggio

Un carteggio (qualsiasi carteggio) può essere studiato con decine di approcci differenti. Mi si lasci dire che il grande merito di Gentile Ortona è quello di permettere al lettore di perseguirli tutti approntando un’edizione che è, innanzi tutto, piacevole nelle scelte operate. Ottocento pagine sono tante, ma qui non ci si stanca di leggere e l’apparato di note è così funzionale al testo che viene sempre la voglia di andare avanti e di passare alla missiva successiva. Siamo di fronte a un’opera che può essere letta non solo per motivi di studio, ma per il semplice piacere di farlo. Non capita spesso.

Ciò detto, provo a citare alcune delle possibili prospettive di studio. Il carteggio può essere considerato come esemplare nell’ambito dei rapporti fra eruditi appartenenti alla Repubblica delle lettere. Si deve tenere presente che molte di queste missive (opportunamente cassate) finivano per essere stampate e quindi è lecito chiedersi fino a che punto il loro testo rispecchi totalmente il pensiero ‘genuino’ dello scrivente o sia una forma di autorappresentazione. Faccio un esempio: il 5 gennaio 1765 Mariette scrive a Bottari. Sa già – perché è già successo in volumi precedenti – che l’italiano pubblicherà molto probabilmente la sua lettera, opportunamente tradotta dal francese. A un certo punto, commentando le sue numerose richieste e in particolare quella – reiterata – di entrare in possesso di disegni di Marco Benefial, scrive: «Peut-être vous paroitray-je importun de vous en parler si souvent mais il faut que vous m’excusiez en faveur de l’amour que j’ai pour les arts et dont je suis en quelque façon dévoré. Toutes mes Lettres le respirent et les questions frequentes, les demandes continuelles dont je vous fatigue ne vous le montrent que trop» (pp. 568-569). Chi sta parlando, in questo momento? L’amico che si scusa per i fastidi che procura al destinatario o un uomo che pensa già alla pubblicazione della lettera (che sarà inserita nel V tomo della Raccolta) e dà una lettura di sé al pubblico? In quest’ultimo caso, la descrizione è così perfetta, così esaustiva, che sa quasi di teatro; difficilmente una lettera ci fornisce risposte esatte a ciò che stiamo cercando, per un banalissimo motivo: perché non è scritta per soddisfare le curiosità di chi legge a secoli di distanza. Qui, invece, le parole di Mariette sono totalmente esaurienti, e, come tali, ponderate in vista della stampa. Quella di Mariette non è una missiva; è un’autobiografia.

Molto interessante, poi, è considerare tutto il lavoro redazionale relativo agli scritti di Bottari, con Mariette che dimostra un’applicazione tutt’altro che di facciata nel rivedere e correggere (a volte sbagliando, ma poco importa) le note del monsignore fiorentino relative alla sua edizione delle Vite vasariane, alla Raccolta di lettere e alla ristampa della guida di Roma opera del Titi. Ma al di là del lavoro redazionale, il confronto fra missive e pubblicato permette anche di capire il metodo di Bottari nella selezione e nella manipolazione dei documenti. Tendenzialmente il bibliotecario della Corsiniana cerca di evitare le polemiche; cassa dalle missive di Mariette le parti che possono procurargli imbarazzi (ad esempio, nomi di cardinali e vescovi giansenisti); quando le lettere del francese contengono aspetti chiaramente polemici nei confronti di altri eruditi italiani o stranieri a volte non pubblica, a volte rimanda la pubblicazione a momenti successivi, aspettando che i toni dialettici si siano stemperati; a volte, ancora, cerca di farsi percepire come equidistante. È il caso, ad esempio, della lettera 69, pubblicata solo nel sesto tomo, ossia nel 1768. Scritta il 28 novembre 1754, fu trasmessa da Mariette a Bottari dopo il 1762, chiaramente con un unico intento; perché fosse pubblicata. Le circostanze sono note. Mariette aveva stampato nel 1750 il Traité des Pierres gravées, che da un lato illustrava le collezioni di pietre incise del re di Francia e dall’altro era inteso come il primo capitolo di una storia delle belle arti che mai ebbe un seguito. Fra le altre cose Mariette si schierava nettamente a favore della superiorità dell’arte degli antichi greci rispetto a quella dei romani. L’affermazione non mancò di creare grande scalpore in ambito italiano, a difesa di un ‘primato delle arti’ che proprio in quegli anni veniva messo seriamente in discussione da parte francese. Nel 1752, ad esempio, il marchese d’Argens pubblicava le sue Réflexions critiques sur les differentes écoles de peinture, in cui sosteneva che era divenuta ormai inutile l’esistenza della succursale romana dell’Académie de France, in cui i giovani artisti avevano la possibilità di confrontarsi con l’antico, tenuto conto del livello di eccellenza raggiunto dalla Francia sia da punto di vista propriamente artistico, sia da uno collezionistico. In questo clima, nel 1753 l’abate Andrea Pietro Giulianelli aveva duramente attaccato l’opera di Mariette nelle sue Memorie degl’Intagliatori moderni di pietre dure, cammei, e gioie, non tanto sulla questione del primato arte greca / arte romana, ma accusandolo di numerosi errori e di essere un plagiario. La risposta di Mariette è appunto contenuta nella missiva del 1754, che, come detto, non fu trasmessa a Bottari prima del 1762. Il religioso italiano scelse di pubblicare la lettera solo dopo la morte di Giulianelli e aggiunse in nota: «Il Giulianelli (ora defunto) non senza motivo, ma anche con poca civiltà, criticò il Trattato qui accennato…» (p. 627). La scelta, dunque, è sempre quella di un’equidistanza che, quando vengono pubblicate lettere ‘divisive’, riconosce ragioni da entrambe le parti.

L’aspetto più comune per cui il carteggio fra Mariette e Bottari è stato storicamente analizzato è, comunque, legato alla ricostruzione delle vicende collezionistiche delle stampe e dei disegni sia del francese sia dell’italiano. Qui le informazioni sono migliaia ed è merito della curatrice essere stata in grado di districarsi fra una selva di immagini scambiate o semplicemente ricercate che avrebbero fatto girare la testa a molti altri.

 

Spigolature

A me, tuttavia, piace mettere in evidenza quattro elementi che definirò ‘minori’ nell’ambito del carteggio, perché non occupano che poche righe. Si tratta, in questo contesto, di vere e proprie ‘spigolature’ che però rimandano a temi a mio giudizio molto interessanti. Provo ad esaminarli:

 

L’incisione in Spagna

Con una lettera (la numero 60) del 2 febbraio 1765, Mariette diede a Bottari una notizia importante «per la storia dell’arte». Un artista spagnolo, Luis Salvador Carmona, che aveva studiato in Francia (a spese della monarchia spagnola) era finalmente tornato a Madrid per introdurre anche lì l’arte incisoria, che in quel paese si trovava in condizioni di particolare ritardo. Faccio notare che la consapevolezza di quel ritardo trova una sua perfetta corrispondenza con le fonti letterarie spagnole già nel ‘600. Già Jusepe Martinez, nei suoi Discursos practicables del nobilísimo arte de la pintura (1675) si lamentava della circostanza e ne individuava una causa nella scarsa propensione all’insegnamento del disegno. Tale ridotta attitudine aveva un suo chiaro effetto – a detta di Martinez –nella scarsità di manuali per l’apprendimento del disegno. Francisco Javier Sánchez Cantón ne citò un paio nel terzo tomo delle sue Fuentes literarias para la historia del arte español. A ben vedere, l’insegnamento del disegno, anche tramite l’uso di manuali a stampa con modelli di teste, di mani, di braccia, di piedi è un momento fondante dell’esperienza accademica. Mariette, uomo dell’Accademia, non può che rallegrarsi dell’ ‘introduzione’ dell’incisione in Spagna perché ciò si traduce nel consolidamento a livello europeo di un mondo che lo ha cooptato quale ‘arbitro del gusto’. Non è un caso che l’Accademia reale spagnola fosse stata fondata poco prima, nel 1752.

 

L’incisione parte integrante delle Belle Arti

Rispondendo a questa lettera, il 16 ottobre dello stesso anno, Bottari scrisse: «Mi piace di sentire, che l’arte d’intagliare in rame abbia passati  i Pirenei, che finora parevano inaccessibili alle belle arti» (p. 659). Qui bisogna capirsi. A mio avviso Bottari non intendeva dire che la Spagna non avesse avuto grandi artisti (quanto meno Velázquez gli era ben noto, così come gli erano conosciute le Vite di Palomino, che cita in altra occasione), Qui, in realtà, Bottari include l’arte incisoria all’interno delle belle arti. Si tratta di un assunto fondamentale e che, del resto, percorre tutta la corrispondenza. Si parla molto più spesso di stampe che di dipinti. Si affrontano argomenti legati alle varie tecniche incisorie e alla fedeltà delle stampe di traduzione, che deve essere massima soprattutto quando riguardi le opere degli antichi greci o romani. In quest’ambito si collocano, ad esempio, le considerazioni sulla delicatezza, la lentezza e il costo delle operazioni legate alla stampa del Recueil de peintures antiques, di cui Ortona ha scritto già in collaborazione con Mirco Modolo. Oppure si fluttua fra situazioni in cui si cerca di sostituire il lavoro umano con le ‘macchine’ (nel caso specifico, un pantografo) ad altre (molto più spesso) in cui si eleva la figura dell’incisore a quella dell’artista. Sono temi molto noti (da ultima si veda, in questo blog, la recensione a La storia dell’arte illustrata e la stampa di traduzione tra XVIII e XIX secolo), ma che mi sembra giusto ribadire. Del resto è un dato di fatto che Mariette, definito da Bottari «eccellente nella intelligenza delle tre arti» era soprattutto un profondo conoscitore della ‘quarta’ arte, ossia dell’incisione.

 

Contro il rococò. Contro l’arte fiamminga

Come, da sempre, fanno tutti (io compreso), Mariette si lamenta del presente e vagheggia i tempi passati. Parlando con Bottari della possibilità di incidere la copia dell’Ultima Cena di Leonardo fatta realizzare da re Francesco I, sostiene che non c’è nulla di buono da aspettarsi dagli incisori: «tous ne sont occupés qu’à travailler pour le profit […] C’est un malheur, mais on ne contraint point le public à changer de goût et à prendre un meilleur. Il lui faut des sujets gracieux et amusans, le serieux n’est plus de mode» (p. 587). Quest’affermazione, in cui si condanna il ‘grazioso’ e il ‘divertente’ potrebbe essere una presa di posizione contro il rococò e per la riscossa del classicismo. Sicuramente riguarda il favore con cui il pubblico francese guardava sempre più all’arte fiamminga. Poche pagine dopo (p. 607), in una lettera del 12 ottobre 1765 possiamo leggere: «Vous avez en verité bien raison de dire que l’on montre ici et dans les Pays-Bas trop de chaleur pour les ouvrages des Peintres Flamands. Vous seriez surpris de l’argent qu’on vient de donner d’un Recueil des Desseins presque tous Flamands dont un Curieux s’est défait. Il y avoit parmi un beau dessein de Raphaël qui a eté payé 1500 [lire]; mais quelle comparaison d’un pareil dessein, avec des Desseins d’yvrognes [ubriachi], de tropeaux de Beufs [mandrie di buoi], et d’arbres, qui se sont vendus des 8 à 900 [lire] chacun.» La condanna di Mariette è la condanna dell’arbitro ufficiale dell’Accademia che sposa classicismo e pittura di storia contro i quadri di genere fiamminghi. Fra 1753 e 1763 Jean-Baptiste Descamps ha pubblicato i quattro tomi di La vie des peintres flamands, allemands et hollandais; nel 1764 (probabilmente qualcosa di inconcepibile per Mariette) è divenuto membro dell’Académie Royale; quattro anni dopo la lettera che stiamo esaminando darà alle stampe (1769) Le Voyage pittoresque de la Flandre et du Brabant. Il mondo fiammingo ha il suo nuovo paladino, ma anche un nuovo mercante che si propone come intermediario e rivende a Parigi i quadri comprati nelle Fiandre. I giudizi di Mariette riflettono, probabilmente, proprio questi avvenimenti.

 

Piccolo è bello

Fra le varie ricerche collezionistiche, Mariette chiede a Bottari di procurargli disegni originali di Marco Benefial per farli poi incidere. Il monsignore gli propone La morte di Marcantonio, per cui il possessore chiede il pagamento di dieci doppie (p. 658). Mariette ringrazia, ma preferirebbe altro perché il disegno sarebbe «trop grand pour mes portefeuilles et trop cher pour moi» (p. 548). La questione del prezzo è chiara, ma quel ««trop grand pour mes portefeuilles» fa riferimento agli album su cui Mariette monta i disegni di sua proprietà, come è chiaramente ribadito in una lettera successiva: «Il [La morte di Marcantonio] est d’un trop haut prix et de plus, trop grand pour ma Collection» (p. 577). Tutto ciò richiama l’ ‘interventismo saggio’ con cui il francese operava sui disegni che si procurava e di cui parla diffusamente Kristel Smentek nel volume che ho già citato. A parte il ricorso a montaggi su sfondi blu, in maniera tale che lo scarto col bianco dei disegni sollecitasse lo sguardo dello spettatore a concentrarsi sulla loro visione, vi è – come risulta chiaramente anche dal carteggio – una problematica relativa alle dimensioni delle opere. Queste devono essere sempre contenute. Trascrivo testualmente da quanto ebbi modo di esporre nella recensione al libro di Smentek: «Un discorso analogo, ma contemporaneamente diverso, riguarda quei casi in cui Mariette intenzionalmente allestisce fogli in cui compaiono disegni in origine fra loro separati, con l’idea di favorire l’esame comparato dei medesimi. Il tema è affascinante, perché chiama in causa da un lato le idee sul ruolo del conoscitore da un lato e il tema della teoria della visione in età settecentesca dall’altro: “L’impressione iniziale o coup d’oeil giocava un ruolo chiave nella pratica attributiva del conoscitore. Resta [n.d.r. Padre Sebastiano Resta], Richardson, Dezallier d’Argenville e Mariette descrivono tutti, nell’osservazione di un disegno, una sequenza di due fasi, in base alla quale l’attenzione passa dall’immediata comprensione del soggetto al riconoscimento immediato dell’autografia. Per Richardson, non solo il soggetto di un quadro di un disegno o di una stampa dovrebbe essere immediatamente visibile allo spettatore, ad un primo colpo d’occhio, ma l’autografia, almeno nel caso di artisti che hanno stili particolarmente riconoscibili, dovrebbe essere immediatamente riconosciuta da un conoscitore degno di questo nome” (p. 159). Tutto ciò può essere però messo in discussione se le dimensioni del supporto su cui è, o sono montati i disegni fossero di dimensioni tali da eccedere il campo visivo dello spettatore. Ecco perché Mariette si produce in una serie di interventi di smontaggio e rimontaggio di disegni di un medesimo autore o di mano diverse fra loro, tutti volti però a garantire l’immediatezza del ‘colpo d’occhio’, ovvero non andando oltre a determinate dimensioni.» Le eccessive dimensioni del disegno di Benefial, dunque, non sono frutto di mancanza di spazio nelle raccolte del francese, ma coerente applicazione di un metodo; mi pareva giusto segnalare questa circostanza concludendo la recensione.

 

NOTE

[1] Già nel secondo volume Bottari pubblicò scritti di Mariette che però erano relativi a carteggi avuti decenni prima col Gabburri.

[2] A.J. Dusmenil, Histoire des plus célèbres Amateurs français et de leurs relations avec les artistes, vol. I, Pierre.Jean Mariette, Paris, 1856.

[3] Sulla figura del ‘conoscitore’ o ‘amatore’ ufficiale, deputato a fornire un’interpretazione autentica del gusto si veda S. Costa e G. Perini Folesani, I savi e gli ignoranti. Dialogo del pubblico con l’arte (XVI-XVIII secolo).

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