Erminia Gentile Ortona (a cura di)
Le lettere di Pierre-Jean Mariette
«eccellente nella intelligenza delle tre arti»
a Giovanni Gaetano Bottari
Il Codice 1606 (32-E-27) della Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana
Roma, Bardi Edizioni, 2022
Il carteggio Mariette – Bottari
Pierre-Jean Mariette (1694-1774) e Mons. Giovanni Gaetano
Bottari (1689-1775) non si conobbero mai di persona. Eppure furono protagonisti
di un fitto carteggio dal 1756 fino, almeno, al 1772. Il carteggio è, per molti
versi, ben noto; Bottari lo trascrisse in alcuni volumi (a partire dal terzo)
della sua Raccolta
di lettere sulla pittura, scultura ed architettura [1], come pure vi presentò lettere che Mariette
aveva ricevuto da artisti (ad esempio, da Rosalba Carriera) e che aveva girato
al corrispondente italiano perché fossero edite. Perché, dunque, provvedere a
una nuova, impeccabile edizione, di cui è curatrice Erminia Gentile Ortona e
patrocinatrice l’Accademia Nazionale dei Lincei? I motivi sono tanti. Partiamo
dai dati oggettivi: il codice 1606 (32-E-27) della Biblioteca Corsiniana
dell’Accademia dei Lincei contiene, rilegate in unico tomo, le lettere di
Mariette spedite fra il 1756 e il 1766 (in tutto una settantina). Non tutte le
lettere di Mariette furono trascritte da Bottari nella sua Raccolta; non
tutte, fra quelle trascritte, lo furono integralmente; in molti casi il
monsignore ricorse a operazioni di ‘smontaggio’ e ‘rimontaggio’ delle lettere,
unendole o spezzandole arbitrariamente (o, meglio, secondo una logica del tutto
normale, all’epoca, che privilegiava lo svolgimento logico del discorso alla
trascrizione filologica dei documenti). Gli originali delle missive furono
rilegati nell’Ottocento nel codice corsiniano per ordine di mese (sic) e non di
anno, per cui spesso e volentieri si sono verificati problemi nella datazione
di allegati e quant’altro; nel codice non compaiono le risposte di Bottari,
che, pur pochissime, ci sono e che Gentile Ortona riporta in appendice. La
curatrice, questa volta, presenta integralmente il testo delle missive, riordinate
cronologicamente; ne aggiunge altre (reperite anche fuori dalla Corsiniana)
rendendo più completo il carteggio e allungandolo fino al 1772; arricchisce il
tutto con un fittissimo apparato di note che contestualizza i temi affrontati
nelle missive in maniera esemplare e presenta, infine, un ricchissimo Indice
ragionato dei nomi e degli argomenti principali (pp. 693-797) le cui
dimensioni spiegano già l’accuratezza con cui è redatto. Sicché su un aspetto
non c’è il minimo dubbio: d’ora in poi l’edizione di riferimento per coloro che
vorranno studiare il carteggio sarà questa.
Due esponenti della Repubblica delle lettere
A livello di studi, Mariette è più frequentato di Bottari. Lo è in virtù della sua straordinaria
collezione di stampe e disegni, dispersa dopo la sua morte, sulla quale Pierre
Rosenberg ha pubblicato diversi volumi fra 2011 e 2022; lo è per una monografia
del 1856 a lui dedicata [2] e, in tempi molto più recenti, per un interessantissimo
volume pubblicato da Kristel Smentiek (Mariette
and the Science of the Connoisseur in Eighteenth-Century Europe). Molto
meno, mi pare di poter dire, è stato scritto su Bottari, che attende ancora
qualcuno che gli renda pienamente giustizia con uno studio monografico.
Fu Mariette a cercare Bottari. È certo che il francese
conoscesse l’abate di nome, per le sue opere e perché probabilmente citato dal
fiorentino Gabburri, con cui si scambiava lettere sin dal 1730. Senza dubbio fu
ben felice di intraprendere una corrispondenza diretta quando, a inizio 1856,
incaricò l’amico Jean-Jacques Barthélemy di trovargli qualcuno a Roma che lo
potesse aiutare nelle sue ricerche collezionistiche. All’epoca Pierre-Jean era
un uomo ‘arrivato’. Proveniente da una famiglia che si occupava da quattro
generazioni del commercio di stampe, disegni e quadri, dopo anni giovanili in
cui aveva riordinato a Vienna le collezioni di stampe del principe Eugenio di
Savoia e un viaggio italiano di pochi mesi (l’unica occasione in cui visitò la
nostra penisola), Mariette continuò la tradizione mercantile di famiglia,
legandosi contemporaneamente agli ambienti eruditi che gravitavano attorno a
Pierre Crozat (1661-1740). In questi circoli conobbe anche coetanei (e
protettori) cui rimase legato per tutta la vita, a partire dal conte di Caylus
(1692-1765). Si tratta di frequentazioni importanti, che, sommate a un
indiscutibile talento e a una passione smisurata per belle arti e collezionismo
lo portarono a salire nella considerazione degli ambienti colti parigini e a
essere nominato prima socio dell’Académie royale de peinture et de sculpture
(1750) e poi ‘amatore onorario’ (1767). [3] In sostanza, Mariette divenne arbitro
del gusto, e arbitro ufficiale, perché riconosciuto tale dall’Accademia;
personaggio deputato a giudicare le opere d’arte, ma anche ad agire a monte,
consigliando gli artisti prima della realizzazione delle loro opere. Tutto
questo comportò una scelta obbligata, ossia l’abbandono della pratica del
commercio. L’arbitro del gusto non poteva sporcarsi col mercato né essere in
aperto conflitto d’interesse consigliando il pubblico verso questo o
quell’artista di cui, magari, deteneva delle opere. Il ‘ripudio’ avvenne,
appunto, nel 1750 e secondo i maligni, che non mancarono, si trattò in realtà
di operazione di mera facciata.
Il fiorentino Bottari, invece, era stato a servizio dei
Corsini nella sua città natale, occupandosi di molti temi, non solo artistici,
ma anche religiosi (fu figura di spicco del giansenismo italiano), letterari e
scientifici. Il trasferimento a Roma avvenne nel 1730, in coincidenza con
l’elezione a Papa di Lorenzo Corsini (Clemente XII). A Roma Bottari lavorò per
il cardinal Neri Corsini e divenne presto un punto di riferimento
imprescindibile per gli ambienti eruditi della città; la sua produzione
letteraria è sconfinata e sicuramente trasse giovamento dagli incarichi presso
la biblioteca vaticana, ma soprattutto dall’essere il deus ex machina di
quella corsiniana.
L’inizio del carteggio fra Mariette e Bottari, fra due
membri autorevoli della cosmopolita Repubblica delle lettere, era nell’ordine
delle cose e prometteva – come effettivamente fu – di essere proficuo per
entrambi.
L’avvicinamento a un carteggio
Un carteggio (qualsiasi carteggio) può essere studiato con
decine di approcci differenti. Mi si lasci dire che il grande merito di Gentile
Ortona è quello di permettere al lettore di perseguirli tutti approntando
un’edizione che è, innanzi tutto, piacevole nelle scelte operate. Ottocento
pagine sono tante, ma qui non ci si stanca di leggere e l’apparato di note è
così funzionale al testo che viene sempre la voglia di andare avanti e di
passare alla missiva successiva. Siamo di fronte a un’opera che può essere letta
non solo per motivi di studio, ma per il semplice piacere di farlo. Non capita
spesso.
Ciò detto, provo a citare alcune delle possibili prospettive
di studio. Il carteggio può essere considerato come esemplare nell’ambito dei
rapporti fra eruditi appartenenti alla Repubblica delle lettere. Si deve tenere
presente che molte di queste missive (opportunamente cassate) finivano per
essere stampate e quindi è lecito chiedersi fino a che punto il loro testo rispecchi
totalmente il pensiero ‘genuino’ dello scrivente o sia una forma di
autorappresentazione. Faccio un esempio: il 5 gennaio 1765 Mariette scrive a Bottari.
Sa già – perché è già successo in volumi precedenti – che l’italiano
pubblicherà molto probabilmente la sua lettera, opportunamente tradotta dal
francese. A un certo punto, commentando le sue numerose richieste e in
particolare quella – reiterata – di entrare in possesso di disegni di Marco
Benefial, scrive: «Peut-être vous paroitray-je importun de vous en parler si
souvent mais il faut que vous m’excusiez en faveur de l’amour que j’ai pour les
arts et dont je suis en quelque façon dévoré. Toutes mes Lettres le
respirent et les questions frequentes, les demandes continuelles dont je vous
fatigue ne vous le montrent que trop» (pp. 568-569). Chi sta parlando, in
questo momento? L’amico che si scusa per i fastidi che procura al destinatario
o un uomo che pensa già alla pubblicazione della lettera (che sarà inserita nel
V tomo della Raccolta) e dà una lettura di sé al pubblico? In quest’ultimo
caso, la descrizione è così perfetta, così esaustiva, che sa quasi di teatro;
difficilmente una lettera ci fornisce risposte esatte a ciò che stiamo
cercando, per un banalissimo motivo: perché non è scritta per soddisfare le
curiosità di chi legge a secoli di distanza. Qui, invece, le parole di Mariette
sono totalmente esaurienti, e, come tali, ponderate in vista della stampa.
Quella di Mariette non è una missiva; è un’autobiografia.
Molto interessante, poi, è considerare tutto il lavoro
redazionale relativo agli scritti di Bottari, con Mariette che dimostra
un’applicazione tutt’altro che di facciata nel rivedere e correggere (a volte
sbagliando, ma poco importa) le note del monsignore fiorentino relative alla
sua edizione delle Vite vasariane, alla Raccolta di lettere e alla
ristampa della guida di Roma opera del Titi. Ma al di là del lavoro
redazionale, il confronto fra missive e pubblicato permette anche di capire il
metodo di Bottari nella selezione e nella manipolazione dei documenti. Tendenzialmente
il bibliotecario della Corsiniana cerca di evitare le polemiche; cassa dalle
missive di Mariette le parti che possono procurargli imbarazzi (ad esempio,
nomi di cardinali e vescovi giansenisti); quando le lettere del francese
contengono aspetti chiaramente polemici nei confronti di altri eruditi italiani
o stranieri a volte non pubblica, a volte rimanda la pubblicazione a momenti
successivi, aspettando che i toni dialettici si siano stemperati; a volte,
ancora, cerca di farsi percepire come equidistante. È il caso, ad esempio, della
lettera 69, pubblicata solo nel sesto tomo, ossia nel 1768. Scritta il 28
novembre 1754, fu trasmessa da Mariette a Bottari dopo il 1762, chiaramente con
un unico intento; perché fosse pubblicata. Le circostanze sono note. Mariette aveva
stampato nel 1750 il Traité des Pierres gravées, che da un lato
illustrava le collezioni di pietre incise del re di Francia e dall’altro era
inteso come il primo capitolo di una storia delle belle arti che mai ebbe un
seguito. Fra le altre cose Mariette si schierava nettamente a favore della
superiorità dell’arte degli antichi greci rispetto a quella dei romani. L’affermazione
non mancò di creare grande scalpore in ambito italiano, a difesa di un ‘primato
delle arti’ che proprio in quegli anni veniva messo seriamente in discussione
da parte francese. Nel 1752, ad esempio, il marchese d’Argens pubblicava le sue
Réflexions
critiques sur les differentes écoles de peinture, in cui sosteneva che
era divenuta ormai inutile l’esistenza della succursale romana dell’Académie
de France, in cui i giovani artisti avevano la possibilità di confrontarsi
con l’antico, tenuto conto del livello di eccellenza raggiunto dalla Francia
sia da punto di vista propriamente artistico, sia da uno collezionistico. In
questo clima, nel 1753 l’abate Andrea Pietro Giulianelli aveva duramente
attaccato l’opera di Mariette nelle sue Memorie degl’Intagliatori moderni di
pietre dure, cammei, e gioie, non tanto sulla questione del primato arte
greca / arte romana, ma accusandolo di numerosi errori e di essere un
plagiario. La risposta di Mariette è appunto contenuta nella missiva del 1754,
che, come detto, non fu trasmessa a Bottari prima del 1762. Il religioso
italiano scelse di pubblicare la lettera solo dopo la morte di Giulianelli e
aggiunse in nota: «Il Giulianelli (ora defunto) non senza motivo, ma anche
con poca civiltà, criticò il Trattato qui accennato…» (p. 627). La scelta, dunque,
è sempre quella di un’equidistanza che, quando vengono pubblicate lettere
‘divisive’, riconosce ragioni da entrambe le parti.
L’aspetto più comune per cui il carteggio fra Mariette e
Bottari è stato storicamente analizzato è, comunque, legato alla ricostruzione
delle vicende collezionistiche delle stampe e dei disegni sia del francese sia
dell’italiano. Qui le informazioni sono migliaia ed è merito della curatrice
essere stata in grado di districarsi fra una selva di immagini scambiate o
semplicemente ricercate che avrebbero fatto girare la testa a molti altri.
Spigolature
A me, tuttavia, piace mettere in evidenza quattro elementi
che definirò ‘minori’ nell’ambito del carteggio, perché non occupano che poche
righe. Si tratta, in questo contesto, di vere e proprie ‘spigolature’ che però
rimandano a temi a mio giudizio molto interessanti. Provo ad esaminarli:
L’incisione in Spagna
Con una lettera (la numero 60) del 2 febbraio 1765, Mariette
diede a Bottari una notizia importante «per la storia dell’arte».
Un artista spagnolo, Luis Salvador Carmona, che aveva studiato in Francia (a
spese della monarchia spagnola) era finalmente tornato a Madrid per introdurre
anche lì l’arte incisoria, che in quel paese si trovava in condizioni di
particolare ritardo. Faccio notare che la consapevolezza di quel ritardo trova
una sua perfetta corrispondenza con le fonti letterarie spagnole già nel ‘600. Già
Jusepe Martinez, nei suoi Discursos
practicables del nobilísimo arte de la pintura (1675) si lamentava
della circostanza e ne individuava una causa nella scarsa propensione
all’insegnamento del disegno. Tale ridotta attitudine aveva un suo chiaro
effetto – a detta di Martinez –nella scarsità di manuali per l’apprendimento
del disegno. Francisco Javier Sánchez Cantón ne citò un paio nel
terzo tomo delle sue Fuentes
literarias para la historia del arte español. A ben vedere,
l’insegnamento del disegno, anche tramite l’uso di manuali a stampa con modelli
di teste, di mani, di braccia, di piedi è un momento fondante dell’esperienza
accademica. Mariette, uomo dell’Accademia, non può che rallegrarsi dell’
‘introduzione’ dell’incisione in Spagna perché ciò si traduce nel
consolidamento a livello europeo di un mondo che lo ha cooptato quale ‘arbitro
del gusto’. Non è un caso che l’Accademia reale spagnola fosse stata fondata
poco prima, nel 1752.
L’incisione parte integrante delle Belle Arti
Rispondendo a questa
lettera, il 16 ottobre dello stesso anno, Bottari scrisse: «Mi piace di sentire, che
l’arte d’intagliare in rame abbia passati
i Pirenei, che finora parevano inaccessibili alle belle arti» (p. 659). Qui bisogna
capirsi. A mio avviso Bottari non intendeva dire che la Spagna non avesse avuto
grandi artisti (quanto meno Velázquez gli era ben noto, così come gli erano conosciute
le Vite di Palomino, che cita in altra occasione), Qui, in realtà,
Bottari include l’arte incisoria all’interno delle belle arti. Si tratta di un
assunto fondamentale e che, del resto, percorre tutta la corrispondenza. Si
parla molto più spesso di stampe che di dipinti. Si affrontano argomenti legati
alle varie tecniche incisorie e alla fedeltà delle stampe di traduzione, che
deve essere massima soprattutto quando riguardi le opere degli antichi greci o
romani. In quest’ambito si collocano, ad esempio, le considerazioni sulla
delicatezza, la lentezza e il costo delle operazioni legate alla stampa del Recueil
de peintures antiques, di cui Ortona ha scritto già in collaborazione
con Mirco Modolo. Oppure si fluttua fra situazioni in cui si cerca di sostituire
il lavoro umano con le ‘macchine’ (nel caso specifico, un pantografo) ad altre
(molto più spesso) in cui si eleva la figura dell’incisore a quella
dell’artista. Sono temi molto noti (da ultima si veda, in questo blog, la
recensione a La storia dell’arte illustrata e la stampa di
traduzione tra XVIII e XIX secolo), ma che mi sembra giusto ribadire. Del resto è un dato di fatto che
Mariette, definito da Bottari «eccellente nella intelligenza delle tre arti» era soprattutto un
profondo conoscitore della ‘quarta’ arte, ossia dell’incisione.
Contro il rococò. Contro l’arte fiamminga
Come, da sempre,
fanno tutti (io compreso), Mariette si lamenta del presente e vagheggia i tempi
passati. Parlando con Bottari della possibilità di incidere la copia dell’Ultima
Cena di Leonardo fatta realizzare da re Francesco I, sostiene che non c’è
nulla di buono da aspettarsi dagli incisori: «tous ne sont occupés qu’à travailler pour le
profit […] C’est un malheur, mais on ne contraint point le public à changer de
goût et
à prendre un meilleur. Il lui faut des sujets gracieux et amusans, le serieux
n’est plus de mode» (p. 587). Quest’affermazione, in cui si condanna il ‘grazioso’ e il ‘divertente’
potrebbe essere una presa di posizione contro il rococò e per la riscossa del
classicismo. Sicuramente riguarda il favore con cui il pubblico francese guardava
sempre più all’arte fiamminga. Poche pagine dopo (p. 607), in una lettera del 12
ottobre 1765 possiamo leggere: «Vous avez en verité bien raison de dire que
l’on montre ici et dans les Pays-Bas trop de chaleur pour les ouvrages des
Peintres Flamands. Vous seriez surpris de l’argent qu’on vient de donner d’un
Recueil des Desseins presque tous Flamands dont un Curieux s’est défait. Il y
avoit parmi un beau dessein de Raphaël qui a eté payé 1500 [lire]; mais quelle
comparaison d’un pareil dessein, avec des Desseins d’yvrognes [ubriachi], de
tropeaux de Beufs [mandrie di buoi], et d’arbres, qui se sont vendus des 8 à
900 [lire] chacun.» La condanna di Mariette è la condanna dell’arbitro ufficiale
dell’Accademia che sposa classicismo e pittura di storia contro i quadri di
genere fiamminghi. Fra 1753 e 1763 Jean-Baptiste Descamps ha pubblicato i
quattro tomi di La vie des peintres flamands, allemands et
hollandais; nel 1764 (probabilmente
qualcosa di inconcepibile per Mariette) è divenuto membro dell’Académie
Royale; quattro anni dopo la lettera che stiamo esaminando darà alle stampe
(1769) Le Voyage pittoresque de la Flandre et du
Brabant. Il mondo fiammingo ha il suo nuovo paladino,
ma anche un nuovo mercante che si propone come intermediario e rivende a Parigi
i quadri comprati nelle Fiandre. I giudizi di Mariette riflettono,
probabilmente, proprio questi avvenimenti.
Piccolo è bello
Fra le varie
ricerche collezionistiche, Mariette chiede a Bottari di procurargli disegni
originali di Marco Benefial per farli poi incidere. Il monsignore gli propone La
morte di Marcantonio, per cui il possessore chiede il pagamento di dieci
doppie (p. 658). Mariette ringrazia, ma preferirebbe altro perché il disegno
sarebbe «trop grand pour mes portefeuilles et trop cher pour moi» (p. 548). La questione
del prezzo è chiara, ma quel ««trop grand pour mes portefeuilles» fa riferimento agli
album su cui Mariette monta i disegni di sua proprietà, come è chiaramente
ribadito in una lettera successiva: «Il [La morte di Marcantonio] est d’un trop
haut prix et de plus, trop grand pour ma Collection» (p. 577). Tutto ciò
richiama l’ ‘interventismo saggio’ con cui il francese operava sui disegni che
si procurava e di cui parla diffusamente Kristel Smentek nel volume che ho già
citato. A parte il ricorso a montaggi su sfondi blu, in maniera tale che lo
scarto col bianco dei disegni sollecitasse lo sguardo dello spettatore a
concentrarsi sulla loro visione, vi è – come risulta chiaramente anche dal
carteggio – una problematica relativa alle dimensioni delle opere. Queste
devono essere sempre contenute. Trascrivo testualmente da quanto ebbi modo di
esporre nella recensione al libro di Smentek: «Un discorso analogo, ma contemporaneamente
diverso, riguarda quei casi in cui Mariette intenzionalmente allestisce fogli
in cui compaiono disegni in origine fra loro separati, con l’idea di favorire
l’esame comparato dei medesimi. Il tema è affascinante, perché chiama in causa
da un lato le idee sul ruolo del conoscitore da un lato e il tema della teoria
della visione in età settecentesca dall’altro: “L’impressione iniziale o coup
d’oeil giocava un ruolo chiave nella pratica attributiva del
conoscitore. Resta [n.d.r. Padre Sebastiano Resta], Richardson,
Dezallier d’Argenville e Mariette descrivono tutti, nell’osservazione di un
disegno, una sequenza di due fasi, in base alla quale l’attenzione passa
dall’immediata comprensione del soggetto al riconoscimento immediato
dell’autografia. Per Richardson, non solo il soggetto di un quadro di un
disegno o di una stampa dovrebbe essere immediatamente visibile allo spettatore,
ad un primo colpo d’occhio, ma l’autografia, almeno nel caso di artisti che
hanno stili particolarmente riconoscibili, dovrebbe essere immediatamente
riconosciuta da un conoscitore degno di questo nome” (p. 159). Tutto ciò può
essere però messo in discussione se le dimensioni del supporto su cui è, o sono
montati i disegni fossero di dimensioni tali da eccedere il campo visivo dello
spettatore. Ecco perché Mariette si produce in una serie di interventi di
smontaggio e rimontaggio di disegni di un medesimo autore o di mano diverse fra
loro, tutti volti però a garantire l’immediatezza del ‘colpo d’occhio’, ovvero
non andando oltre a determinate dimensioni.» Le eccessive dimensioni del disegno di
Benefial, dunque, non sono frutto di mancanza di spazio nelle raccolte del
francese, ma coerente applicazione di un metodo; mi pareva giusto segnalare
questa circostanza concludendo la recensione.
NOTE
[1] Già nel secondo volume Bottari pubblicò scritti di
Mariette che però erano relativi a carteggi avuti decenni prima col Gabburri.
[2] A.J. Dusmenil, Histoire des plus célèbres Amateurs
français
et de leurs relations avec les artistes, vol. I, Pierre.Jean Mariette,
Paris, 1856.
[3] Sulla figura del ‘conoscitore’ o ‘amatore’ ufficiale,
deputato a fornire un’interpretazione autentica del gusto si veda S. Costa e G.
Perini Folesani, I
savi e gli ignoranti. Dialogo del pubblico con l’arte (XVI-XVIII secolo).
Nessun commento:
Posta un commento