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Occhiello del quinto tomo di 'Fuentes' con dedica dell'autore alla storica dell'arte spagnola Maria Luisa Catrula (1888-1984). Esemplare di mia proprietà |
I trattati
presentati nell’antologia. Tomo primo (1923)
Diego de Sagredo, Medidas del Romano, 1526.
Le ‘misure del Romano’ sono il primo scritto della bibliografia artistica
spagnola e testimoniano, in forma di dialogo, l’arrivo dello studio di Vitruvio
in Spagna. Come vedremo ripetere in infinite occasioni, Sánchez Cantón abdica alla discussione delle idee
artistiche e riporta estratti contenenti «notizie
brevi, ma gustose» per il lettore (p. 6).
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Tavola sulle proporzioni del corpo umano dalle Medidas del Romano Fonte: http://www.artifexbalear.org/sagredo/sag10.jpg tramite Wikimedia Commons |
Cristóbal de Villalón, Ingeniosa
comparación entre lo antiguo y lo presente, 1539.
Come regola generale l’autore accolse nell’antologia solo scritti di artisti in
senso stretto. Cristóbal de Villalon fu, invece, un umanista. Nel caso
specifico, l’eccezione è giustificata perché vi si trovano «menciones
concretas» (p. 23). Lo scritto si colloca all’interno della tendenza (che sarà anche
vasariana) a valutare i conseguimenti artistici moderni degni, se non superiori
rispetto a quelli degli antichi greci e romani. Sánchez Cantón
nota anche un’attenzione non banale nei confronti dell’architettura
gotica: «Las noticias artisticas que de Villalón son interesantisimas;
denotan un gusto depurado y rara afición a los monumentos, las citas de
Berruguete, Julio de Aquiis, Andino, etcétera, prueban nada vulgares
entusiasmos artisticos» (p. 24).
Francisco de Holanda, Diálogos de la
Pintura, 1548.
I quattro dialoghi del portoghese sono riportati pressoché per intero,
eccezione fatta per l’elogio storico della pittura classica che compare
nell’ultimo, per essere «un elegante, ma inutile intreccio di luoghi comuni
dell’epoca» (p. 40). L’opera del campione iberico del michelangiolismo viene presa
in considerazione perché ne fu elaborata una traduzione spagnola dal portoghese
pochi anni dopo, ma soprattutto perché presenta una lista di artisti
contemporanei degni di ogni lode, fra i quali compaiono anche i nomi di artisti
spagnoli (pp. 116-122).
Sebastián Serlio, Tercero y quarto
libro de Architectura, 1552.
Don Felipe de Guevara, Comentarios de
la Pintura, 1560?
Dell’appassionata apologia dell’arte greca – scrive il curatore – a noi
interessano proprio i momenti in cui l’autore, grande collezionista dell’epoca,
se ne discosta e tratta di Bosch o quando «con velate allusioni critica gli
artisti del suo tempo» (p. 149). Dell’opera è uscita
un’edizione critica moderna nel 2016, alla quale
si rimanda.
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Lázaro de Velasco, Traducción de los Diez libros de Arquitectura de Vitrubio,
1550-1565?
La prima traduzione a stampa in castigliano del
De architectura di Vitruvio risaliva (all’epoca) al 1582, a opera dell’architetto Miguel de Urrea,
Nel 1899 fu rivenuto un manoscritto che si ritenne essere quello da cui
proveniva la pubblicazione. Studiandolo proprio in questa occasione, Sánchez Cantón si rese conto che così non era. Si trattava
di una precedente traduzione, operata da Lázaro de
Velasco, architetto di Granada, ricondotta agli anni fra il 1550 e il 1565. Il
curatore segnala (e trascrive) «le importantissime notizie che il prologo del
codice fornisce per la storia dell’arte spagnola» (p. 186).
Fray Juan de San Gerónimo, Memorias,
1563-1591.
Primo annalista del monastero di San Lorenzo all’Escorial, frate Juan de San
Gerónimo redasse un memoriale, in un arco temporale che va dal 1563 al 1591, da
cui si estraggono le notizie relative alle arti.
Juan de Arfe, De varia commensuración para la Esculptura y Architectura, 1585.
La struttura del
De varia commensuración, dell’orafo, scultore e architetto di origini tedesche Juan de Arfe, si
spiega fondamentalmente con la sua destinazione didattica. Siamo di fatto di
fronte a un manualetto in cui i precetti fondamentali sono scritti in forma
poetica (per essere ricordati meglio) e spiegati in prosa. Più libero dei suoi
colleghi – scrive Sánchez Cantón – rispetto alle
pedanterie di derivazione pliniana, l’autore elabora
una breve storia dell’oreficeria in Spagna, con lo scopo evidente di
valorizzare il ruolo che, in questa, svolsero suo nonno, suo padre ed
egli stesso. Gli estratti presenti nell’antologia, di
fatto, riproducono questa parte dell’opera.
Diego de Villalta, De las estatuas
antiguas, 1590.
Inedito fino alla pubblicazione di ‘Fuentes’ il trattato sulle statue antiche
di Diego de Villalta in realtà non è altro che un prologo a un testo
manoscritto sulla fortezza di Martos, in Andalusia. Villalta quasi si scusa col
lettore e dice di essere stato indotto a presentarlo perché nessuno aveva
parlato delle statue antiche, almeno in lingua castigliana, fino a quel momento.
A Sánchez
Cantón
interessano soprattutto due parti: la prima, in cui parla dei collezionisti
spagnoli di statue e delle statue rappresentanti i reali di Spagna; la seconda
in cui illustra, in una digressione nella digressione, il (perduto) trattato
del pittore Hernando de Avila intitolato Arte de la pintura, a cui è
dedicato il capitolo seguente dell’antologia.
Hernando de Avila, Del Arte de la
Pintura (a. de 1594).
Fra tutte le scelte operate da Sánchez Cantón in ‘Fuentes’ questa è, senza dubbio, la più
discutibile. Nel suo scritto sulle statue antiche Diego de Villalta citò una
serie di pittori spagnoli che, a suo dire, furono biografati dal pittore
Hernando de Avila in uno scritto intitolato Arte de la pintura. La lista
comprende Rincón, Becerra, Urbina, Carvajal, Lorenzo de Ávila, Barroso, i due Berruguete, Hernando Yáñez de la Almedina,
Correa, Luis de Morales, Navarrete detto el Mudo e Sánchez Coello. È certo che nessuno dei
trattatisti spagnoli successivi conobbe questo testo. Sánchez Cantón giudica l’opera di
importanza capitale, e lo fa ‘sulla fiducia’ perché il manoscritto non era noto
all’epoca, né lo è ora. Anche ammettendo che le notizie fornite da Villalta
siano vere, è poco comprensibile la scelta di dedicare un capitolo di
un’antologia a un’opera di cui non è noto il testo.
Gutiérrez de los Ríos, Noticia general para la
estimación
de las artes (1600)
Testo antologizzato anche da Calvo Serraller in
Teoría de la Pintura del Siglo de Oro e pubblicato in edizione critica nel 2006.
Primo documento da inquadrarsi nella lunga battaglia degli artisti (e, a volte,
anche fra diversi tipi di artisti) per veder riconosciuta la liberalità delle
arti. Le motivazioni sono di ordine giuridico; se considerati artigiani, gli
artisti erano costretti a pagare tasse al governo. Ancora una volta Sánchez Cantón estrapola elementi
fattuali da un’opera sostanzialmente teorica.
Fr. José de Sigüenza, Historia de la
Orden de San Gerónimo, 1602.
Opera antologizzata anche da
Calvo Serraller. Sia quest’ultimo sia Sánchez Cantón convengono sull’assoluta
eccezionalità del testo (descrizione delle opere conservate all’Escorial) per
le capacità critiche e la libertà di giudizio dimostrata da Sigüenza. In
particolare il curatore della presente antologia così si esprime: «Giudizio sveglio, occhio finissimo per osservare paesaggi e dipinti,
gusto raffinatissimo, acuta sensibilità nella percezione del colore, immensa
erudizione relativamente alle Scritture e ai classici, penna svelta,
singolarmente adatta per le descrizioni: forse in nessuno [n.d.r. il giudizio
riguarda anche tutti i trattatisti successivi] si son trovate riunite le
qualità che adornarono in maniera elevatissima il cronista gerolamino» (p.
322).
I trattati
presentati nell’antologia. Tomo secondo (1933)
Pablo de Céspedes, Discurso de la comparación de la antigua y
moderna Pintura y Escultura, 1604.
Antologizzato anche da
Calvo Serraller. Sánchez Cantón fornisce estratti dal
Discurso,
l’opera credibilmente più completa fra le quattro che scrisse Céspedes e che
però ci sono giunte solo in frammenti. A suo parere lo scrittore mostra di essere
attardato e di fare ricorso ad argomenti ancora cinquecenteschi.
Don Juan de Butrón, Discursos
apologéticos en que se defiende la ingenuidad de la Pintura, 1626.
Antologizzato anche da
Calvo Serraller. Lo scritto rientra
nell’ambito delle liti giuridiche sullo status delle arti liberali (si veda Gutiérrez de los Ríos). Sánchez Cantón richiama direttamente
le parole di Menendez Pelayo, che definisce le argomentazioni pesanti e
farraginose, autentica degenerazione della letteratura giuridica spagnola.
Memorial informatorio por los pintores,
1629.
Antologizzarto anche da
Calvo Serraller. Ancora uno scritto
che dà conto di una lite processuale sorta in seguito alle pretese
dell’amministrazione finanziaria di tassare i pittori in quanto considerati
meri artigiani. Entrambi gli autori delle antologie segnalano che il
Memorial
fu riprodotto da Carducho al termine dei suoi
Diálogos de la pintura.
Sono riprodotti, per estratti, i pareri (ossia le testimonianze) forniti da Lope
de Vega, José de Valdivielso e Lorenzo Vanderhamen y Leon.
Francisco Pacheco, Libro de retratos,
1599-1616
Dal
Libro de retratos di Francisco Pacheco, che all’epoca era noto solo
in versione incompleta, Sánchez Cantón, sempre attento a
qualsiasi notizia fattuale riportata negli scritti che esamina, estrae i
testi illustrativi dei soli cinque ritratti di artisti che Pacheco inserì nella
sua raccolta di ‘uomini illustri’. Per un inquadramento assai più aggiornato
sull’opera (oggi nota nella sua integrità) si veda
Marta P. Cacho Casal, Francisco Pacheco y
su Libros de retratos,
edito nel 2011.
Vicencio Carducho, Diálogos de la
Pintura, 1633
Antologizzato nel 1981 anche da
Calvo Serraller, che due anni prima
ne aveva pubblicato l’edizione critica (che non ho avuto modo di consultare). Secondo
Calvo Serraller, il trattato di Carducho è stato, storicamente, uno dei più
penalizzati dalla storiografia di fine Otto e inizio Novecento, un po’ per
motivi campanilistici (Vicente Carducho era in realtà il fiorentino Vincenzo
Carducci), un po’ perché di Carducho si sottolineava la rivalità con Velázquez.
Secondo Sánchez Cantón, «Carducho scrisse, nella
forma classica del dialogo, un libro che è una testimonianza eccellente delle
conoscenze e delle idee coltivate nell’area artistica che potremmo definite
‘conservatrice’» (p. 61). Non c’è da stupirsi quando il curatore della presente opera
aggiunge che «maggior utilità ricoprono le notizie sopra i dipinti dei palazzi regi di Spagna; sono molto curiosi i riferimenti ad
amatori e collezionisti madrileni» (p. 62).
Francisco Pacheco, Arte de la Pintura,
1649
Antologizzato anche da
Serraller. Si veda l’esemplare edizione critica
moderna
a cura di Bonaventura Bassegoda I Hugas. Scrive Sánchez Cantón: «Il libro di Pacheco è il più importante della bibliografia artistica
spagnola del XVII secolo. E lo è sia per la completezza e la selezione delle
sue informazioni sia per il buon senso che sta alla base dei suoi consigli,
come pure pe le notizie che somministra e i giudizi che contiene su pittori e
scultori, in particolare quelli sivigliani» (p. 119). Da notare che lo stesso Sánchez Cantón dichiara in queste pagine di aver ricevuto
l’incarico, nel 1925, di realizzare un’edizione critica dell’opera condotta non
sull’
editio princeps della stessa, ma sul manoscritto originale che
portò alla stampa, tornato alla luce, all’epoca, di recente. L’edizione «è in preparazione in
questi giorni». Uscì solamente nel 1956.
Fr. Francisco de los Santos, Descripción
del Escorial, 1657 – Cuarta
parte de la Historia de la Orden de San Jerónimo, 1680
Terzo autore che si confronta (questa volta con due testi) con la storia e la
descrizione dell’Escorial: «il libro del P.[adre] Santos è di manifesta
utilitià e di una qualche novità, sia perché registra e giudica accuratamente i
dipinti acquisiti dopo l’edizione della Historia del P.[adre] Sigüenza e
impiega vari capitoli (che chiama «Discorsi») per trattare la costruzione del
Pantheon, realizzata sotto Filippo II e suo figlio, sia perché nelle parti già
studiate dal Padre Sigüenza non si limita a essere una mera copia» (p. 221).
Tuttavia Santos – continua Sánchez Cantón – non dimostra acume
critico pari a quello di Sigüenza.
Lázaro Díaz del Valle, Epilogo y
Nomenclatura de algunos artifices; Apuntes varios, 1656-1659.
Antologizzato anche da
Calvo Serraller. Si veda la
monografia con edizione moderna del manoscritto
a opera di David García López. Il testo
di Díaz del Valle, all’epoca, era poco noto e, certo, non aiutava lo stato di
confusione in cui erano custodite le sue carte. Per Sánchez Cantón la maggior parte del materiale contenutovi
è copiato da Pacheco e Carducho, e il principale punto di forza dell’opera è
costituito dalle biografie (incomplete) di vari pittori della scuola madrilena
come Pereda, Alonso Cano, Camilo, Arias.
I trattati
presentati nell’antologia. Tomo terzo (1934)
Continua la
presentazione di fonti del XVII secolo:
Fray Lorenzo de San
Nicolas, Arte y uso de Arquitectura,
1663.
Il giudizio di Sánchez Cantón è quasi impietoso: il trattato dell’architetto spagnolo è un’opera precipuamente
tecnica e non meriterebbe di essere inserito nell’antologia perché non cita
edifici o artefici. Viene riportato, per estratti, l’ultimo capitolo, che narra
la vita dell’artista e di suo padre (anch’egli architetto) «con áspera sinceridad», specie se depurata di
tutti i paludamenti che caratterizzano queste pagine. Per ben altro giudizio
si veda l’edizione moderna (2008), commentata da Félix Díaz Moreno.
Jusepe Martínez, Discursos Practibales del
Nobilisimo Arte de la Pintura, 1675?
Riportato anche da
Calvo Serraller. L’antologizzatore apprezza particolarmente
il trattato di Martinez (da sempre facente parte della triade dei grandi
scritti del Seicento, assieme a Carducho e Pacheco) per la quantità di aneddoti
riferiti agli artisti. Il ritrovamento di un manoscritto apografo, ma comunque
originale di Martinez ha portato, in anni recenti, a una rivisitazione di
quest’approccio, con la messa in evidenza degli aspetti teorici che l’autore
intendeva veicolare nel suo scritto. Si veda
la recensione all’edizione moderna (2006), a cura di María Elena Manrique Ara.
Vicente Salvador Gómez, Cartilla y fundamentales
reglas de Pintura, 1674.
Quello di Vicente Salvator Gómez è un rarissimo (e incompleto) esempio di
manuale spagnolo per l’insegnamento del disegno. Sull’argomento, alla luce di
ritrovamenti successivi e tenendo conto di altri esempi di album prodotti in ambito
accademico, si è tenuta una mostra al Prado fra 2019 e 2020, che ha portato
alla pubblicazione di El maestro del papel. Cartillas para aprender a
dibujar de los siglos XVII al XIX, a cura di José Manuel Matilla Rodríguez, María Luisa Cuenca García e Ana Hernández Pugh.
Don Félix de Lucio Espinosa, El Pincel,
1681.
Sia Sánchez
Cantón
sia
Calvo Serraller, che lo antologizza, convergono sulla
pomposità dello scritto e sulla relazione che lo lega ai testi relativi alle
liti giudiziarie sulla liberalità della pittura.
José García Hidalgo, Principios para estudiar el Arte de la Pintura,
1691.
Antologizzato anche da
Calvo Serraller. Testo assimilabile alla ‘cartilla’ di Gómez appena esaminata, ma
dato alle stampe e quindi più noto. Sánchez Cantón riporta integralmente le undici pagine del
prologo «perché mostrano in maniera precisa di
quali fossero considerati i rudimenti imprescindibili per un pittore del secolo
XVIII» (p. 102). Aggiunge che l’opera presenta anche notizie preziose, non
utilizzate fino a quel momento e apprezza varietà e qualità delle incisioni.
Domingo de Andrade, Excelencias de la Arquitectura,
1695.
L’antologizzatore ne parla come libro deludente e lo assimila alla maggior
parte dei trattati d’arte spagnoli dell’epoca: «quasi nessuno parla estesamente di ciò che
più ci potrebbe interessare – i propri personali punti di vista, notizie
personali o relative a coloro che lo circondano – preferisce esibire erudizione
di seconda mano e acutezza nei ragionamenti, annegando i dati utili e gustosi in
un mucchio di luoghi comuni, citazioni e ragionamenti» (p. 131).
Antonio Palomino, El Museo Pictorico,
Tomos I y II, 1715-1724.
Naturalmente compreso anche nell’antologia di
Calvo Serraller. Si è già detto
che l’opera di Palomino si divide in tre parti e due volumi. Il primo tomo
contiene la prima sezione teorica, sotto il titolo di
El Museo pictorico y
escala optica e risale al 1715. Il secondo volume contiene la seconda parte
teorica e, a seguire, ma con numerazione di pagine che ricomincia dall’inizio,
El
Parnaso español pictoresco laureado.
Uscì nel 1724. Nella seconda parte del terzo volume della sua antologia Sánchez Cantón riporta tutte quelle
notizie fattuali che, sparse nelle prime due sezioni teoriche, rischierebbero
di andare perse, mentre esclude tutto ciò che non è ‘pratico’. Si tratta di
scelta esattamente opposta a quella di Calvo Serraller che prende in
considerazione solo gli assunti teorici del
Museo pictorico e non
riporta nemmeno una pagina del
Parnaso.
I trattati
presentati nell’antologia. Tomo quarto (1936)
Il volume presenta
la trascrizione integrale del Parnaso español di Palomino.
I trattati
presentati nell’antologia. Tomo quinto (1941)
Già nel 1936 Sánchez Cantón aveva annunciato l’uscita di un quinto
volume, ulteriore rispetto al piano originale dell’opera. I cinque anni di
tempo passati per pubblicarlo sono probabilmente il frutto della guerra civile
e dello spostamento temporaneo dei materiali archivistici di molte biblioteche
in ripari di fortuna per evitare la loro distruzione in seguito agli eventi
bellici.
Il quinto tomo ha
una struttura particolare. Inizialmente presenta trattati e scritti del
Settecento successivi a Palomino, ma comunque assimilabili a quelli del Secolo
d’oro (in sostanza scritti di epoca o gusto barocco). Vi sono poi tre
appendici: nella prima sono inclusi scritti che avrebbero meritato di essere inseriti
in ordine cronologico nei quattro volumi precedenti, ma che furono scoperti o
giunsero all’attenzione del curatore solo dopo che tali tomi erano stati
stampati. La seconda appendice presenta invece citazioni di opere d’arte o di
artisti (informazioni ‘positive’ per restare col linguaggio di Sánchez Cantón) che sono tratte da
opere prettamente letterarie. Gli esempi sono centinaia e spesso si limitano a
una sola riga. Nella terza appendice è aggiunto infine un ultimo scritto
teorico, aggiunto evidentemente all’ultimo minuto, circostanza che avrebbe
comportato la ricomposizione della parte finale del volume, cosa che per,
motivi di tempo e di spesa, fu evitata.
Nella rassegna che
riporto qui sotto sono esclusi tutti i testi dell’appendice seconda.
Fray Juan Interián de Ayala, El pintor cristiano y erudito
(1730).
Sánchez
Cantón
nota come sia molto strano che, in un paese come la Spagna, si sia scritto così
poco in tema di ‘errori’ dei pittori, ossia sia stata così scarsa la
letteratura che riportava le osservazioni religiose in materia di iconografia,
tanto che, appunto, il primo testo ‘indigeno’ in materia (a parte una sezione
del trattato di Pacheco) sembra essere quello di Fray Interián de Ayala del 1730. La
motivazione che dà della circostanza è molto debole: in un paese così cattolico
come la Spagna «le scelte e gli errori nella
rappresentazione pittorica o scultorea degli assunti religiosi risaltavano
davanti agli occhi di tutti, senza bisogno che i critici lo segnalassero».
Molto più banalmente, gli scritti in materia non erano ancora stati riscoperti.
Una produzione controriformata ci fu, e fu anche consistente. Si veda Javier
Portús, Tratados de pintura y tratados de imágenes sagradas en la España del
Siglo de Oro in José Riello (a cura di), La teoría de la pintura en el
siglo de oro (1560-1724), Museo Nacional del Prado, 2012.
D. Felipe de Castro, Prólogo a su versión
de la
Lección que hizo B. Barqui (1753).
Il B. Barqui del titolo non è altri che Benedetto Varchi. L’antologizzatore
riporta il prologo all’edizione della disputa sulla nobiltà fra scultura e
pittura, edita dallo scultore Felipe de Castro nel 1753, perché «contribuisce a disegnare
l’ambiente artistico spagnolo negli anni che videro nascere l’accademismo» (p. 47). Sulla disputa
in sé Sánchez Cantón rimanda all’illustrazione della questione svolta da Schlosser nella
Letteratura artistica, definendolo «libro importante, si bien no muy enterado
[n.d.r. esperto] de la bibliografia española».
Fray Andrés Ximénez, Descripción del Escorial (1764).
Quarta descrizione dell’Escorial presentata nell’antologia. Valida per gli
aggiornamenti successivi alla precedente descrizione di Santos del 1657. Sánchez Cantón segnala che i tempi
stanno cambiando, Mengs è in Spagna da tre anni e si avverte un certo imbarazzo
nel dedicare a Carlo III una descrizione piena di entusiasmo per realizzazioni
barocche precedenti.
Francisco Preciado de la Vega, Carta a
G.B. Ponfredi sobre la pintura española (1765).
Preciado de la Vega (1712-1789) è nome molto noto in Italia, posto che, con
qualche interruzione, visse a Roma dal 1733 fino alla morte. Dal 1758 fu
direttore dei pensionati dell’Accademia di San Fernando nella città eterna. Fu
inoltre principe dell’Accademia di San Luca. La ‘carta’ a Giovan Battista
Ponfredi, artista allievo di Marco Benefial, è una brevissima storia dell’arte
spagnola, tratta per lo più da Palomino ed è famosa perché inclusa
dal Bottari nel sesto tomo della sua Raccolta
di lettere (1768). Secondo
Sánchez
Cantón lo
scritto è «testimonianza di una personalità artistica modesta e nobile alla quale
gli splendori romani non diedero alla testa al punto di disconoscere i punti di
riferimento e gli artisti connazionali» (p. 109).
D. Diego de Villanueva, Colleción de diferentes papeles críticos sobre todas las partes de la Arquitectura (1766).
Lo scritto di Villanueva ha importanza perché è probabilmente il primo di
provenienza accademica che critica palesemente il gusto barocco (in questo caso
in architettura). Critiche sì, ma in maniera cauta. L’autore non fa mai nomi
spagnoli e prende a esempio per le sue argomentazioni edifici barocchi
francesi.
D. Gregorio Mayans y Siscar, Arte del
pintar (1776).
Sull’opera Sánchez Cantón richiama le parole di Menendez Pelayo: «La sua Arte del pintar è l’opera di un
erudito, derivata molto più dai libri che dall’osservazione personale delle
opere d’arte, e, a giudicare dalla sua data [1776] è collocabile (come tutte le
opere di Mayans) dentro la tipica tradizione spagnola, potendo considerarsi in
gran parte come un accorto compendio di Carducho, Sigüenza, Pacheco e Palomino,
incrementato nella parte storica con molte notizie provenienti dalle sue
letture infaticabili e curiose» (p. 161).
Francisco Preciado de la Vega, La
Arcadia pictórica (1789)
Ancora uno scritto di Preciado de la Vega, spagnolo vissuto prevalentemente a
Roma. L’Arcadia pittorica, pubblicata nell’anno della rivoluzione
francese, è ancora uno scritto di gusto barocco, in cui l’autore simula un
sogno, scrivendo un ‘poema prosaico’ sulla teoria e la pratica della pittura. Sánchez Cantón non ne discute il
valore letterario, ma sottolinea che è preziosa per le notizie storiche che
fornisce.
Appendice I
Federico Zuccaro, Relación de un viaje al Escorial, Aranjuez y Toledo (1586).
Unico resoconto di viaggio presente nell’antologia (si è già detto che Sánchez Cantón aveva deciso di
escluderli dalla rassegna), riemerso nel 1927, segnalato de Adolfo Venturi nel
nono tomo della sua Storia dell’arte italiana (1938) e quindi inserito
in appendice. Scritto in italiano, l’autore lo traduce in castigliano e,
naturalmente, ne apprezza le notizie che contiene.
Francisco Pacheco, A los profesores
del arte de la pintura. Réplica a Montañes
(1622).
Breve e raro scritto ancora una volta giustificato da una lite giudiziaria, è
stato
antologizzato anche da Calvo Serraller, che lo considera uno dei testi più lucidi
sul paragone delle arti apparsi in Spagna nel Seicento.
P. Juan Carlos de la Faille, Tratado
de Arquitectura (1636).
Trattato di architettura pressoché sconosciuto e senza troppe pretese, di
chiaro gusto barocco, che però mostra, curiosamente, un apprezzamento per le
soluzioni ornamentali ‘gotiche’.
D. Juan Andrés de Uztarroz y D. Vincencio Juan de Lastanosa, Descripciones de la Casa de Lastanosa en Huesca
(1650? – 1662).
Descrizione della casa-museo appartenuta a Vincencio Juan de Lastanosa, uno dei
principali collezionisti del Seicento spagnolo. Per l’ennesima volta Sánchez Cantón apprezza le notizie 'positive' che
vi possono leggere.
Fray Juan de la Chica y Olmo, Iconología o tratado de imaginería, de esculture y pintura (1722).
Il trattato è preso in considerazione solo per le informazioni che fornisce sullo
scultore José de Mora.
Appendice III
P. Gabriel de
Aranda, El artéfice perfecto
(1696)
Proprio come ultimo testo, giunto alla sua attenzione nell’imminenza della
pubblicazione, Sánchez Cantón inserisce l’unica ‘monografia’ presente nella sua antologia. Si tratta
della biografia di Francisco Díaz del Ribero, artista gesuita, scritta da
Padre Gabrile de Aranda, anch’egli dello stesso ordine. Opera non eccezionale,
ma che – scrive il curatore – è scritta con stile semplice, estraneo al
barocchismo imperante all’epoca anche in letteratura.
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