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martedì 2 maggio 2023

F.J. Sánchez Cánton. Fuentes literarias para la historia del arte español. Parte Seconda

 

Storia delle antologie di letteratura artistica


Francisco Javier Sánchez Cánton
Fuentes literarias para la historia del arte español


Junta para ampliación e investigaciones científicas. Centro de estudios históricos (poi Consejo Superior de Investigaciones Científicas)
5 volumi, Madrid, 1923-1941

Recensione di Giovanni Mazzaferro
Parte Seconda
(Leggi dall'inizio)

Occhiello del quinto tomo di 'Fuentes' con dedica dell'autore alla storica dell'arte spagnola Maria Luisa Catrula (1888-1984). Esemplare di mia proprietà

I trattati presentati nell’antologia. Tomo primo (1923)


Diego de Sagredo, Medidas del Romano, 1526.
Le ‘misure del Romano’ sono il primo scritto della bibliografia artistica spagnola e testimoniano, in forma di dialogo, l’arrivo dello studio di Vitruvio in Spagna. Come vedremo ripetere in infinite occasioni, Sánchez Cantón abdica alla discussione delle idee artistiche e riporta estratti contenenti «notizie brevi, ma gustose» per il lettore (p. 6).

Tavola sulle proporzioni del corpo umano dalle Medidas del Romano
Fonte: http://www.artifexbalear.org/sagredo/sag10.jpg tramite Wikimedia Commons


Cristóbal de Villalón, Ingeniosa comparación entre lo antiguo y lo presente, 1539.
Come regola generale l’autore accolse nell’antologia solo scritti di artisti in senso stretto. Cristóbal de Villalon fu, invece, un umanista. Nel caso specifico, l’eccezione è giustificata perché vi si trovano «menciones concretas» (p. 23). Lo scritto si colloca all’interno della tendenza (che sarà anche vasariana) a valutare i conseguimenti artistici moderni degni, se non superiori rispetto a quelli degli antichi greci e romani. Sánchez Cantón  nota anche un’attenzione non banale nei confronti dell’architettura gotica: «Las noticias artisticas que de Villalón son interesantisimas; denotan un gusto depurado y rara afición a los monumentos, las citas de Berruguete, Julio de Aquiis, Andino, etcétera, prueban nada vulgares entusiasmos artisticos» (p. 24).

Francisco de Holanda, Diálogos de la Pintura, 1548.
I quattro dialoghi del portoghese sono riportati pressoché per intero, eccezione fatta per l’elogio storico della pittura classica che compare nell’ultimo, per essere «un elegante, ma inutile intreccio di luoghi comuni dell’epoca» (p. 40). L’opera del campione iberico del michelangiolismo viene presa in considerazione perché ne fu elaborata una traduzione spagnola dal portoghese pochi anni dopo, ma soprattutto perché presenta una lista di artisti contemporanei degni di ogni lode, fra i quali compaiono anche i nomi di artisti spagnoli (pp. 116-122).

Sebastián Serlio, Tercero y quarto libro de Architectura, 1552.
Con la traduzione castigliana del terzo e quarto libro del trattato di architettura di Sebastiano Serlio diventano per la prima volta accessibili al pubblico spagnolo testi e immagini degli edifici antichi in Italia e di quelli che venivano costruiti in epoca moderna in base al dettato vitruviano. La traduzione fu operata da Francisco de Villalpando. Sulla fortuna di Serlio in Spagna si veda Agustín Bustamante e Fernando Marías, Les éditions de la traduction espagnole par Francisco de Villalpando, Tercero y Quarto Libro de Architectura, chez Juan de Ayala à Tolède en 1552, 1563 et 1573 in Silvye Deswarte Rosa (a cura di), Sebastiano Serlio a Lyon. Architecture et imprimerie, Vol. 1 (2004).

Don Felipe de Guevara, Comentarios de la Pintura, 1560?
Dell’appassionata apologia dell’arte greca – scrive il curatore – a noi interessano proprio i momenti in cui l’autore, grande collezionista dell’epoca, se ne discosta e tratta di Bosch o quando «con velate allusioni critica gli artisti del suo tempo» (p. 149). Dell’opera è uscita un’edizione critica moderna nel 2016, alla quale si rimanda.





Lázaro de Velasco, Traducción de los Diez libros de Arquitectura de Vitrubio, 1550-1565?
La prima traduzione a stampa in castigliano del De architectura di Vitruvio risaliva (all’epoca) al 1582, a opera dell’architetto Miguel de Urrea, Nel 1899 fu rivenuto un manoscritto che si ritenne essere quello da cui proveniva la pubblicazione. Studiandolo proprio in questa occasione, Sánchez Cantón si rese conto che così non era. Si trattava di una precedente traduzione, operata da Lázaro de Velasco, architetto di Granada, ricondotta agli anni fra il 1550 e il 1565. Il curatore segnala (e trascrive) «le importantissime notizie che il prologo del codice fornisce per la storia dell’arte spagnola» (p. 186).

Fray Juan de San Gerónimo, Memorias, 1563-1591.
Primo annalista del monastero di San Lorenzo all’Escorial, frate Juan de San Gerónimo redasse un memoriale, in un arco temporale che va dal 1563 al 1591, da cui si estraggono le notizie relative alle arti.

Juan de Arfe, De varia commensuración para la Esculptura y Architectura, 1585.
La struttura del De varia commensuración, dell’orafo, scultore e architetto di origini tedesche Juan de Arfe, si spiega fondamentalmente con la sua destinazione didattica. Siamo di fatto di fronte a un manualetto in cui i precetti fondamentali sono scritti in forma poetica (per essere ricordati meglio) e spiegati in prosa. Più libero dei suoi colleghi – scrive Sánchez Cantón – rispetto alle pedanterie di derivazione pliniana, l’autore elabora una breve storia dell’oreficeria in Spagna, con lo scopo evidente di valorizzare il ruolo che, in questa, svolsero suo nonno, suo padre ed egli stesso. Gli estratti presenti nell’antologia, di fatto, riproducono questa parte dell’opera.

Diego de Villalta, De las estatuas antiguas, 1590.
Inedito fino alla pubblicazione di ‘Fuentes’ il trattato sulle statue antiche di Diego de Villalta in realtà non è altro che un prologo a un testo manoscritto sulla fortezza di Martos, in Andalusia. Villalta quasi si scusa col lettore e dice di essere stato indotto a presentarlo perché nessuno aveva parlato delle statue antiche, almeno in lingua castigliana, fino a quel momento. A Sánchez Cantón interessano soprattutto due parti: la prima, in cui parla dei collezionisti spagnoli di statue e delle statue rappresentanti i reali di Spagna; la seconda in cui illustra, in una digressione nella digressione, il (perduto) trattato del pittore Hernando de Avila intitolato Arte de la pintura, a cui è dedicato il capitolo seguente dell’antologia.

Hernando de Avila, Del Arte de la Pintura (a. de 1594).
Fra tutte le scelte operate da Sánchez Cantón in ‘Fuentes’ questa è, senza dubbio, la più discutibile. Nel suo scritto sulle statue antiche Diego de Villalta citò una serie di pittori spagnoli che, a suo dire, furono biografati dal pittore Hernando de Avila in uno scritto intitolato Arte de la pintura. La lista comprende Rincón, Becerra, Urbina, Carvajal, Lorenzo de Ávila, Barroso, i due Berruguete, Hernando Yáñez de la Almedina, Correa, Luis de Morales, Navarrete detto el Mudo e Sánchez Coello. È certo che nessuno dei trattatisti spagnoli successivi conobbe questo testo. Sánchez Cantón giudica l’opera di importanza capitale, e lo fa ‘sulla fiducia’ perché il manoscritto non era noto all’epoca, né lo è ora. Anche ammettendo che le notizie fornite da Villalta siano vere, è poco comprensibile la scelta di dedicare un capitolo di un’antologia a un’opera di cui non è noto il testo.

Gutiérrez de los Ríos, Noticia general para la estimación de las artes (1600)
Testo antologizzato anche da Calvo Serraller in Teoría de la Pintura del Siglo de Oro e pubblicato in edizione critica nel 2006. Primo documento da inquadrarsi nella lunga battaglia degli artisti (e, a volte, anche fra diversi tipi di artisti) per veder riconosciuta la liberalità delle arti. Le motivazioni sono di ordine giuridico; se considerati artigiani, gli artisti erano costretti a pagare tasse al governo. Ancora una volta Sánchez Cantón estrapola elementi fattuali da un’opera sostanzialmente teorica.

Fr. José de Sigüenza, Historia de la Orden de San Gerónimo, 1602.
Opera antologizzata anche da Calvo Serraller. Sia quest’ultimo sia Sánchez Cantón convengono sull’assoluta eccezionalità del testo (descrizione delle opere conservate all’Escorial) per le capacità critiche e la libertà di giudizio dimostrata da Sigüenza. In particolare il curatore della presente antologia così si esprime: «Giudizio sveglio, occhio finissimo per osservare paesaggi e dipinti, gusto raffinatissimo, acuta sensibilità nella percezione del colore, immensa erudizione relativamente alle Scritture e ai classici, penna svelta, singolarmente adatta per le descrizioni: forse in nessuno [n.d.r. il giudizio riguarda anche tutti i trattatisti successivi] si son trovate riunite le qualità che adornarono in maniera elevatissima il cronista gerolamino» (p. 322).

 

I trattati presentati nell’antologia. Tomo secondo (1933)

Pablo de Céspedes, Discurso de la comparación de la antigua y moderna Pintura y Escultura, 1604.
Antologizzato anche da Calvo Serraller. Sánchez Cantón fornisce estratti dal Discurso, l’opera credibilmente più completa fra le quattro che scrisse Céspedes e che però ci sono giunte solo in frammenti. A suo parere lo scrittore mostra di essere attardato e di fare ricorso ad argomenti ancora cinquecenteschi.

Don Juan de Butrón, Discursos apologéticos en que se defiende la ingenuidad de la Pintura, 1626.
Antologizzato anche da Calvo Serraller. Lo scritto rientra nell’ambito delle liti giuridiche sullo status delle arti liberali (si veda Gutiérrez de los Ríos). Sánchez Cantón richiama direttamente le parole di Menendez Pelayo, che definisce le argomentazioni pesanti e farraginose, autentica degenerazione della letteratura giuridica spagnola.

Memorial informatorio por los pintores, 1629.
Antologizzarto anche da Calvo Serraller. Ancora uno scritto che dà conto di una lite processuale sorta in seguito alle pretese dell’amministrazione finanziaria di tassare i pittori in quanto considerati meri artigiani. Entrambi gli autori delle antologie segnalano che il Memorial fu riprodotto da Carducho al termine dei suoi Diálogos de la pintura. Sono riprodotti, per estratti, i pareri (ossia le testimonianze) forniti da Lope de Vega, José de Valdivielso e Lorenzo Vanderhamen y Leon.

Francisco Pacheco, Libro de retratos, 1599-1616
Dal Libro de retratos di Francisco Pacheco, che all’epoca era noto solo in versione incompleta, Sánchez Cantón, sempre attento a qualsiasi notizia fattuale riportata negli scritti che esamina, estrae i testi illustrativi dei soli cinque ritratti di artisti che Pacheco inserì nella sua raccolta di ‘uomini illustri’. Per un inquadramento assai più aggiornato sull’opera (oggi nota nella sua integrità) si veda Marta P. Cacho Casal, Francisco Pacheco y su Libros de retratos, edito nel 2011.

Vicencio Carducho, Diálogos de la Pintura, 1633
Antologizzato nel 1981 anche da Calvo Serraller, che due anni prima ne aveva pubblicato l’edizione critica (che non ho avuto modo di consultare). Secondo Calvo Serraller, il trattato di Carducho è stato, storicamente, uno dei più penalizzati dalla storiografia di fine Otto e inizio Novecento, un po’ per motivi campanilistici (Vicente Carducho era in realtà il fiorentino Vincenzo Carducci), un po’ perché di Carducho si sottolineava la rivalità con Velázquez. Secondo Sánchez Cantón, «Carducho scrisse, nella forma classica del dialogo, un libro che è una testimonianza eccellente delle conoscenze e delle idee coltivate nell’area artistica che potremmo definite ‘conservatrice’» (p. 61). Non c’è da stupirsi quando il curatore della presente opera aggiunge che «maggior utilità ricoprono le notizie sopra i dipinti dei palazzi regi  di Spagna; sono molto curiosi i riferimenti ad amatori e collezionisti madrileni» (p. 62).

Francisco Pacheco, Arte de la Pintura, 1649
Antologizzato anche da Serraller. Si veda l’esemplare edizione critica moderna a cura di Bonaventura Bassegoda I Hugas. Scrive Sánchez Cantón: «Il libro di Pacheco è il più importante della bibliografia artistica spagnola del XVII secolo. E lo è sia per la completezza e la selezione delle sue informazioni sia per il buon senso che sta alla base dei suoi consigli, come pure pe le notizie che somministra e i giudizi che contiene su pittori e scultori, in particolare quelli sivigliani» (p. 119). Da notare che lo stesso Sánchez Cantón dichiara in queste pagine di aver ricevuto l’incarico, nel 1925, di realizzare un’edizione critica dell’opera condotta non sull’editio princeps della stessa, ma sul manoscritto originale che portò alla stampa, tornato alla luce, all’epoca, di recente. L’edizione «è in preparazione in questi giorni». Uscì solamente nel 1956.



Fr. Francisco de los Santos, Descripción del Escorial, 1657 – Cuarta parte de la Historia de la Orden de San Jerónimo, 1680
Terzo autore che si confronta (questa volta con due testi) con la storia e la descrizione dell’Escorial: «il libro del P.[adre] Santos è di manifesta utilitià e di una qualche novità, sia perché registra e giudica accuratamente i dipinti acquisiti dopo l’edizione della Historia del P.[adre] Sigüenza e impiega vari capitoli (che chiama «Discorsi») per trattare la costruzione del Pantheon, realizzata sotto Filippo II e suo figlio, sia perché nelle parti già studiate dal Padre Sigüenza non si limita a essere una mera copia» (p. 221). Tuttavia Santos – continua Sánchez Cantón – non dimostra acume critico pari a quello di Sigüenza.

Lázaro Díaz del Valle, Epilogo y Nomenclatura de algunos artifices; Apuntes varios, 1656-1659.
Antologizzato anche da Calvo Serraller. Si veda la monografia con edizione moderna del manoscritto a opera di David García López. Il testo di Díaz del Valle, all’epoca, era poco noto e, certo, non aiutava lo stato di confusione in cui erano custodite le sue carte. Per Sánchez Cantón la maggior parte del materiale contenutovi è copiato da Pacheco e Carducho, e il principale punto di forza dell’opera è costituito dalle biografie (incomplete) di vari pittori della scuola madrilena come Pereda, Alonso Cano, Camilo, Arias.  



I trattati presentati nell’antologia. Tomo terzo (1934)

Continua la presentazione di fonti del XVII secolo:

Fray Lorenzo de San Nicolas, Arte y uso de Arquitectura, 1663.
Il giudizio di Sánchez Cantón è quasi impietoso: il trattato dell’architetto spagnolo è un’opera precipuamente tecnica e non meriterebbe di essere inserito nell’antologia perché non cita edifici o artefici. Viene riportato, per estratti, l’ultimo capitolo, che narra la vita dell’artista e di suo padre (anch’egli architetto) «con áspera sinceridad», specie se depurata di tutti i paludamenti che caratterizzano queste pagine. Per ben altro giudizio si veda l’edizione moderna (2008), commentata da Félix Díaz Moreno.

Jusepe Martínez, Discursos Practibales del Nobilisimo Arte de la Pintura, 1675?
Riportato anche da Calvo Serraller. L’antologizzatore apprezza particolarmente il trattato di Martinez (da sempre facente parte della triade dei grandi scritti del Seicento, assieme a Carducho e Pacheco) per la quantità di aneddoti riferiti agli artisti. Il ritrovamento di un manoscritto apografo, ma comunque originale di Martinez ha portato, in anni recenti, a una rivisitazione di quest’approccio, con la messa in evidenza degli aspetti teorici che l’autore intendeva veicolare nel suo scritto. Si veda la recensione all’edizione moderna (2006), a cura di María Elena Manrique Ara.



Vicente Salvador Gómez, Cartilla y fundamentales reglas de Pintura, 1674.
Quello di Vicente Salvator Gómez è un rarissimo (e incompleto) esempio di manuale spagnolo per l’insegnamento del disegno. Sull’argomento, alla luce di ritrovamenti successivi e tenendo conto di altri esempi di album prodotti in ambito accademico, si è tenuta una mostra al Prado fra 2019 e 2020, che ha portato alla pubblicazione di El maestro del papel. Cartillas para aprender a dibujar de los siglos XVII al XIX, a cura di José Manuel Matilla Rodríguez, María Luisa Cuenca García e Ana Hernández Pugh.

Don Félix de Lucio Espinosa, El Pincel, 1681.
Sia Sánchez Cantón sia Calvo Serraller, che lo antologizza, convergono sulla pomposità dello scritto e sulla relazione che lo lega ai testi relativi alle liti giudiziarie sulla liberalità della pittura. 

José García Hidalgo, Principios para estudiar el Arte de la Pintura, 1691.
Antologizzato anche da Calvo Serraller. Testo assimilabile alla ‘cartilla’ di Gómez appena esaminata, ma dato alle stampe e quindi più noto. Sánchez Cantón riporta integralmente le undici pagine del prologo «perché mostrano in maniera precisa di quali fossero considerati i rudimenti imprescindibili per un pittore del secolo XVIII» (p. 102). Aggiunge che l’opera presenta anche notizie preziose, non utilizzate fino a quel momento e apprezza varietà e qualità delle incisioni. 

Domingo de Andrade, Excelencias de la Arquitectura, 1695.
L’antologizzatore ne parla come libro deludente e lo assimila alla maggior parte dei trattati d’arte spagnoli dell’epoca: «quasi nessuno parla estesamente di ciò che più ci potrebbe interessare – i propri personali punti di vista, notizie personali o relative a coloro che lo circondano – preferisce esibire erudizione di seconda mano e acutezza nei ragionamenti, annegando i dati utili e gustosi in un mucchio di luoghi comuni, citazioni e ragionamenti» (p. 131).

Antonio Palomino, El Museo Pictorico, Tomos I y II, 1715-1724.
Naturalmente compreso anche nell’antologia di Calvo Serraller. Si è già detto che l’opera di Palomino si divide in tre parti e due volumi. Il primo tomo contiene la prima sezione teorica, sotto il titolo di El Museo pictorico y escala optica e risale al 1715. Il secondo volume contiene la seconda parte teorica e, a seguire, ma con numerazione di pagine che ricomincia dall’inizio, El Parnaso español pictoresco laureado. Uscì nel 1724. Nella seconda parte del terzo volume della sua antologia Sánchez Cantón riporta tutte quelle notizie fattuali che, sparse nelle prime due sezioni teoriche, rischierebbero di andare perse, mentre esclude tutto ciò che non è ‘pratico’. Si tratta di scelta esattamente opposta a quella di Calvo Serraller che prende in considerazione solo gli assunti teorici del Museo pictorico e non riporta nemmeno una pagina del Parnaso.

 

I trattati presentati nell’antologia. Tomo quarto (1936)

Il volume presenta la trascrizione integrale del Parnaso español di Palomino.

  

I trattati presentati nell’antologia. Tomo quinto (1941)

Già nel 1936 Sánchez Cantón aveva annunciato l’uscita di un quinto volume, ulteriore rispetto al piano originale dell’opera. I cinque anni di tempo passati per pubblicarlo sono probabilmente il frutto della guerra civile e dello spostamento temporaneo dei materiali archivistici di molte biblioteche in ripari di fortuna per evitare la loro distruzione in seguito agli eventi bellici.

Il quinto tomo ha una struttura particolare. Inizialmente presenta trattati e scritti del Settecento successivi a Palomino, ma comunque assimilabili a quelli del Secolo d’oro (in sostanza scritti di epoca o gusto barocco). Vi sono poi tre appendici: nella prima sono inclusi scritti che avrebbero meritato di essere inseriti in ordine cronologico nei quattro volumi precedenti, ma che furono scoperti o giunsero all’attenzione del curatore solo dopo che tali tomi erano stati stampati. La seconda appendice presenta invece citazioni di opere d’arte o di artisti (informazioni ‘positive’ per restare col linguaggio di Sánchez Cantón) che sono tratte da opere prettamente letterarie. Gli esempi sono centinaia e spesso si limitano a una sola riga. Nella terza appendice è aggiunto infine un ultimo scritto teorico, aggiunto evidentemente all’ultimo minuto, circostanza che avrebbe comportato la ricomposizione della parte finale del volume, cosa che per, motivi di tempo e di spesa, fu evitata.

Nella rassegna che riporto qui sotto sono esclusi tutti i testi dell’appendice seconda.

Fray Juan Interián de Ayala, El pintor cristiano y erudito (1730).
Sánchez Cantón nota come sia molto strano che, in un paese come la Spagna, si sia scritto così poco in tema di ‘errori’ dei pittori, ossia sia stata così scarsa la letteratura che riportava le osservazioni religiose in materia di iconografia, tanto che, appunto, il primo testo ‘indigeno’ in materia (a parte una sezione del trattato di Pacheco) sembra essere quello di Fray Interián de Ayala del 1730. La motivazione che dà della circostanza è molto debole: in un paese così cattolico come la Spagna «le scelte e gli errori nella rappresentazione pittorica o scultorea degli assunti religiosi risaltavano davanti agli occhi di tutti, senza bisogno che i critici lo segnalassero». Molto più banalmente, gli scritti in materia non erano ancora stati riscoperti. Una produzione controriformata ci fu, e fu anche consistente. Si veda Javier Portús, Tratados de pintura y tratados de imágenes sagradas en la España del Siglo de Oro in José Riello (a cura di), La teoría de la pintura en el siglo de oro (1560-1724), Museo Nacional del Prado, 2012.

D. Felipe de Castro, Prólogo a su versión de la Lección que hizo B. Barqui (1753).
Il B. Barqui del titolo non è altri che Benedetto Varchi. L’antologizzatore riporta il prologo all’edizione della disputa sulla nobiltà fra scultura e pittura, edita dallo scultore Felipe de Castro nel 1753, perché «contribuisce a disegnare l’ambiente artistico spagnolo negli anni che videro nascere l’accademismo» (p. 47). Sulla disputa in sé Sánchez Cantón rimanda all’illustrazione della questione svolta da Schlosser nella Letteratura artistica, definendolo «libro importante, si bien no muy enterado [n.d.r. esperto] de la bibliografia española».

Fray Andrés Ximénez, Descripción del Escorial (1764).
Quarta descrizione dell’Escorial presentata nell’antologia. Valida per gli aggiornamenti successivi alla precedente descrizione di Santos del 1657. Sánchez Cantón segnala che i tempi stanno cambiando, Mengs è in Spagna da tre anni e si avverte un certo imbarazzo nel dedicare a Carlo III una descrizione piena di entusiasmo per realizzazioni barocche precedenti.

Francisco Preciado de la Vega, Carta a G.B. Ponfredi sobre la pintura española (1765).
Preciado de la Vega (1712-1789) è nome molto noto in Italia, posto che, con qualche interruzione, visse a Roma dal 1733 fino alla morte. Dal 1758 fu direttore dei pensionati dell’Accademia di San Fernando nella città eterna. Fu inoltre principe dell’Accademia di San Luca. La ‘carta’ a Giovan Battista Ponfredi, artista allievo di Marco Benefial, è una brevissima storia dell’arte spagnola, tratta per lo più da Palomino ed è famosa perché inclusa dal Bottari nel sesto tomo della sua Raccolta di lettere (1768). Secondo Sánchez Cantón lo scritto è «testimonianza di una personalità artistica modesta e nobile alla quale gli splendori romani non diedero alla testa al punto di disconoscere i punti di riferimento e gli artisti connazionali» (p. 109).

D. Diego de Villanueva, Colleción de diferentes papeles críticos sobre todas las partes de la Arquitectura (1766).
Lo scritto di Villanueva ha importanza perché è probabilmente il primo di provenienza accademica che critica palesemente il gusto barocco (in questo caso in architettura). Critiche sì, ma in maniera cauta. L’autore non fa mai nomi spagnoli e prende a esempio per le sue argomentazioni edifici barocchi francesi.

D. Gregorio Mayans y Siscar, Arte del pintar (1776).
Sull’opera Sánchez Cantón richiama le parole di Menendez Pelayo: «La sua Arte del pintar è l’opera di un erudito, derivata molto più dai libri che dall’osservazione personale delle opere d’arte, e, a giudicare dalla sua data [1776] è collocabile (come tutte le opere di Mayans) dentro la tipica tradizione spagnola, potendo considerarsi in gran parte come un accorto compendio di Carducho, Sigüenza, Pacheco e Palomino, incrementato nella parte storica con molte notizie provenienti dalle sue letture infaticabili e curiose» (p. 161).

Francisco Preciado de la Vega, La Arcadia pictórica (1789)
Ancora uno scritto di Preciado de la Vega, spagnolo vissuto prevalentemente a Roma. L’Arcadia pittorica, pubblicata nell’anno della rivoluzione francese, è ancora uno scritto di gusto barocco, in cui l’autore simula un sogno, scrivendo un ‘poema prosaico’ sulla teoria e la pratica della pittura. Sánchez Cantón non ne discute il valore letterario, ma sottolinea che è preziosa per le notizie storiche che fornisce.

 

Appendice I

Federico Zuccaro, Relación de un viaje al Escorial, Aranjuez y Toledo (1586).
Unico resoconto di viaggio presente nell’antologia (si è già detto che Sánchez Cantón aveva deciso di escluderli dalla rassegna), riemerso nel 1927, segnalato de Adolfo Venturi nel nono tomo della sua Storia dell’arte italiana (1938) e quindi inserito in appendice. Scritto in italiano, l’autore lo traduce in castigliano e, naturalmente, ne apprezza le notizie che contiene.

Francisco Pacheco, A los profesores del arte de la pintura. Réplica a Montañes (1622).
Breve e raro scritto ancora una volta giustificato da una lite giudiziaria, è stato antologizzato anche da Calvo Serraller, che lo considera uno dei testi più lucidi sul paragone delle arti apparsi in Spagna nel Seicento.

P. Juan Carlos de la Faille, Tratado de Arquitectura (1636).
Trattato di architettura pressoché sconosciuto e senza troppe pretese, di chiaro gusto barocco, che però mostra, curiosamente, un apprezzamento per le soluzioni ornamentali ‘gotiche’.

D. Juan Andrés de Uztarroz y D. Vincencio Juan de Lastanosa, Descripciones de la Casa de Lastanosa en Huesca (1650? – 1662).
Descrizione della casa-museo appartenuta a Vincencio Juan de Lastanosa, uno dei principali collezionisti del Seicento spagnolo. Per l’ennesima volta Sánchez Cantón apprezza le notizie 'positive' che vi possono leggere.

Fray Juan de la Chica y Olmo, Iconología o tratado de imaginería, de esculture y pintura (1722).
Il trattato è preso in considerazione solo per le informazioni che fornisce sullo scultore José de Mora.

 

Appendice III

P. Gabriel de Aranda, El artéfice perfecto (1696)
Proprio come ultimo testo, giunto alla sua attenzione nell’imminenza della pubblicazione, Sánchez Cantón inserisce l’unica ‘monografia’ presente nella sua antologia. Si tratta della biografia di Francisco Díaz del Ribero, artista gesuita, scritta da Padre Gabrile de Aranda, anch’egli dello stesso ordine. Opera non eccezionale, ma che – scrive il curatore – è scritta con stile semplice, estraneo al barocchismo imperante all’epoca anche in letteratura.

 



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