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lunedì 24 aprile 2023

F.J. Sánchez Cánton. Fuentes literarias para la historia del arte español. Parte Prima

 

Storia delle antologie di letteratura artistica


Francisco Javier Sánchez Cánton
Fuentes literarias para la historia del arte español


Junta para ampliación e investigaciones científicas. Centro de estudios históricos (poi Consejo Superior de Investigaciones Científicas)
5 volumi, Madrid, 1923-1941

Recensione di Giovanni Mazzaferro
Parte Prima

  


Un’opera fondativa e il suo autore

Esattamente cent’anni fa, nel 1923, Francisco Javier Sánchez Cantón (1891-1971) pubblicava il primo volume di un'antologia dedicata alle fonti di storia dell’arte spagnola, le Fuentes literarias para la historia del arte español. A scadenze irregolari (1923, 1933, 1934, 1936 e 1941) sarebbero comparsi complessivamente cinque volumi, per più di 2000 pagine, che, in ambito spagnolo, avrebbero cambiato per sempre la disciplina (o, meglio, l’avrebbero definita e indirizzata per molti decenni). Complessivamente Sánchez Cantón antologizzò 44 scritti di varia natura, dai trattati alle liti processuali, pubblicandone estratti più o meno corposi o addirittura trascrivendoli integralmente: un lavoro enorme, che personalmente (in epoche e contesti completamente differenti) mi ricorda gli Scritti d’arte del Cinquecento di Paola Barocchi, editi da Ricciardi fra 1971 e 1977. Va precisato inoltre che, nell’ambito della serie ‘Fuentes’, fu pubblicato nel 1930 un ulteriore volume curato da Xavier de Salas, che presentava il testo della Biografía pictórica valentina di Marcos Antonio de Orellana (1731-1813), quasi si trattasse di uno spin-off. Non ne terrò conto in questa sede.

Quando pubblicò il primo volume di ‘Fuentes’ Sánchez Cantón non aveva ancora trent’anni [1]. Si era laureato nel 1913 e aveva frequentato successivamente il Centro de Estudios Históricos, istituzione che dipendeva dalla Junta para ampliación e investigaciones científicas. Il Centro fu creato nel 1910 e aveva lo scopo ambizioso di permettere alla Spagna di recuperare il ritardo accumulato nella ricerca storica rispetto agli altri paesi d’Europa, promuovendo lo spoglio sistematico di archivi e documenti. Uno dei fini statutari del Centro - trascrivo letteralmente dalla corrispondente voce di Wikipedia - era «Investigar las fuentes, preparando la publicación de ediciones críticas de documentos inéditos o defectuosamente publicados (como crónicas, obras literarias, cartularios, fueros, etc.), glosarios, monografías, obras filosóficas, históricas, literarias, filológicas, artísticas o arqueológicas». A dirigere la sezione del Centro dedicata all’ ‘Arte escultórico y pictórico de España en la Edad Media y el Renacimiento’ fu chiamato Elías Tormo (1869-1957), cattedratico di storia dell’arte presso l’Università di Madrid e, successivamente, ministro della cultura dal 1930 al 1931. Sánchez Cantón lo considerò sempre, e pubblicamente, il suo maestro (vol. V p. 479). Da qui il suo coinvolgimento nel Centro, da qui il progetto della pubblicazione delle ‘Fuentes’ e questo il motivo per cui, sia pure con stampatori diversi, i primi quattro dei cinque volumi furono pubblicati sotto l’egida della Junta para ampliación e investigaciones científicas. Centro de Estudios Históricos. Nel 1939 il Centro fu sciolto dal franchismo e sostituito dal Consejo Superior de Investigaciones Científicas, che risulta infatti patrocinatore dell’ultimo tomo. Nel frattempo lo studioso si diede all’insegnamento universitario, prima a Granada, poi a Madrid, assumendo incarichi sempre più importanti nelle istituzioni artistiche spagnole: dal 1956 fino alla morte fu direttore della Real Academia Española e dal 1960 al 1968 del museo del Prado. Non ne conosco le idee politiche, ma il fatto stesso che abbia assunto tali responsabilità in anni franchisti mi induce a pensare che, quanto meno, non fosse ostile al regime.

El Greco, Veduta di Toledo, 1596-1600 circa, New York, Metropolitan Museum of  Art
Fonte: Wikimedia Commons


Le caratteristiche dell’antologia

Il progetto antologico che sta alla base di ‘Fuentes’ risulta sufficientemente chiaro dalla prefazione al primo volume, anche se vi saranno tentennamenti e modifiche in corso d’opera. Da evidenze interne risulta che cominciò attorno al 1920. L’antologia era concepita come opera di consultazione, non come un libro da leggere tutto di seguito. Il piano dell’opera prevedeva quattro tomi, in cui presentare le fonti del Cinquecento (tomo I), quelle del Seicento (tomi II e III) e, in un ultimo volume, le biografie relative ad artisti spagnoli pubblicate da Palomino come terza parte del suo Parnaso español pintoresco laureado con las Vidas de los Pintores y Estatuarios eminentes españoles. Nell’introduzione al secondo tomo sembrò che Sánchez Cantón tornasse sui suoi passi, progettando di riuscire a comprimere il tutto in tre volumi, poi desistette e non solo rispolverò la formula a quattro volumi, ma ne aggiunse un quinto, in cui presentò fonti del Settecento, inizialmente non previste nel progetto. La motivazione addotta era semplice: «i libri posteriori a Palomino mantengono i caratteri che presentano i trattati dei secoli XVI e XVII. Per incontrare un nuovo e fondamentale genere nella Bibliografia artistica spagnola, bisogna aspettare l’Ottocento» (vol. IV p, V). Per ‘tipo nuovo’ si intendevano opere basate, fondamentalmente, sulla visione diretta delle opere e dei documenti; il capostipite fu individuato in Juan Agustin Ceán Bermúdez, anche se chiari sintomi del cambiamento comparivano già negli scritti del suo maestro Jovellanos (e come tali, furono esclusi dall’antologia). In sostanza, le fonti presentate da Sánchez Cantón andavano dal rinascimento alla fine del barocco (in quella particolare declinazione rococò che in Spagna prende il nome di Churriguerismo, dal nome del pittore e architetto José Benito de Churriguera (1665-1725)).

Da notare che l’autore, nonostante il titolo di Fuentes literarias, usa sempre l’espressione ‘bibliografia artistica’ e non ‘letteratura artistica’, come impostasi con il manuale dello Schlosser. Quel manuale, ossia la Kunstliteratur, non era ancora uscito nel momento in cui Sánchez Cantón pubblicò il primo tomo della sua opera; sarebbe stato stampato solo l’anno dopo. L’impressione, peraltro, è che lo spagnolo lo legga solo grazie all’edizione italiana del 1935, probabilmente non essendo in grado di comprendere il tedesco. Banale dire che la principale differenza fra ‘Fuentes’ e ‘Kunstliteratur’ è che, nel primo caso, ci troviamo di fronte a un’antologia e nel secondo a un manuale di destinazione universitaria. Più interessante semmai notare che lo spagnolo si attenne alla regola di non far rientrare in ‘Fuentes’ «le storie e descrizioni particolari di città e monumenti» (vol. V, p. 57), a parte l’Escorial, per cui addirittura gli estratti pubblicati fanno riferimento a quattro testi scalati fra fine Cinquecento e Settecento. La cosiddetta ‘letteratura dei Ciceroni’, che nello Schlosser trova a pieno titolo diritto di cittadinanza, qui non è presa in alcuna considerazione.

Ma torniamo a Palomino. Anche se, giustamente, Sánchez Cantón reputa scorretto considerarlo il ‘Vasari spagnolo’, in quanto confronti fra opere distanti fra loro cronologicamente e geograficamente non hanno senso, è evidente che si tratta dell’opera di riferimento della bibliografia artistica spagnola: «è noto che le biografie dei pittori spagnoli scritte da Palomino – ad esempio – si basano su notizie fornite da trattatisti precedenti per trasmissione diretta o mediata; ma, poiché l’esattezza nel tradurre non è solitamente qualità comune, conviene, in ogni caso, confrontare i testi, dal momento che spesso capitano cambi originati da cattiva lettura o da difficoltà d’interpretazione» (vol. 1 p. X). L’approccio dell’autore sembra essere, dunque, di tipo filologico: «Da qui si capisce la necessità di pubblicare i manoscritti noti e rieditare le vecchie edizioni a stampa; ma sarebbe lavoro di gran spesa, gran lavoro, molto tempo e… scarsa utilità» (vol. I pp. X-XI). Da un piano filologico si passa a uno contenutistico e il giudizio sui trattati di ‘bibliografia artistica’ è quanto meno riduttivo: l’autore assicura che solo una quinta parte di un qualsiasi trattato interessa effettivamente al lettore. E qui emerge il nocciolo della questione: a interessare il lettore (e il curatore) devono essere solo quelle parti degli scritti che forniscono elementi fattuali, positivi, sulle biografie degli artisti, sulle loro opere, sul loro pensiero. Tutto il resto, tutta la parte teorica, altro non sarebbe che espressione di un’inutile e spesso paludata erudizione che rimescola in forme diverse luoghi comuni derivanti, in ultima analisi, da Vitruvio e Plinio. Da qui la necessità della scelta antologica: permettere al lettore di consultare informazioni ‘concrete’, spesso disperse in decine o centinaia di pagine senza alcuna originalità. Il caso di Palomino è utile per fare un esempio completo: l’artista spagnolo pubblicò il suo Parnaso in tre parti, le prime due di ordine teorico e la terza relativa alle biografie degli artisti spagnoli. Sánchez Cantón si comportò in questo modo: nella seconda parte del terzo tomo di ‘Fuentes’ pubblicò una selezione dalle prime due parti. Rivendicò il fatto che si trattava di una «selezione accurata delle notizie storiche che vi si trovano, sparpagliate e poco note» (vol. III p. 145): le cinquecentocinquanta pagine dello scritto originario erano divennero meno di centocinquanta; l’intero tomo IV (con le biografie e, quindi, con dati ‘storici’) fu invece dedicato alla trascrizione completa della parte terza dello scritto dell’artista.

Francisco de Zurbaran, Agnus Dei, 1635-1640 circa, Madrid, Museo del Prado
Fonte: Wikimedia Commons


Sánchez Cantón e Marcelino Menéndez Pelayo

Non si potrebbe capire pienamente la posizione di Sánchez Cantón se non facessi riferimento al pensiero di Marcelino Menéndez Pelayo (1856-1912), filosofo e storico delle idee, autore di una Historia de las ideas estéticas en España, pubblicata fra 1883 e 1889 e ripresentata, in seconda edizione, dal 1901 in poi. A quest’ultima edizione, e in particolare al tomo IV, fa spesso riferimento Sánchez Cantón nelle sue ‘Fuentes’. In sostanza, per Menéndez Pelayo, era evidente, nella bibliografia artistica spagnola, una dicotomia fra aspetti teorici della riflessione sull’arte, legati al classicismo italiano, e naturalismo dell’arte spagnola e dei suoi principali interpreti (in primo luogo Vélazquez). In sostanza, la teoria non rifletteva la pratica, ma era solo stanca ripetizione di modelli provenienti dall’estero. Di queste convinzioni Sánchez Cantón fu interprete così fedele che spesso, nella presentazione dei trattati, si limitò a rimandare agli scritti di Menéndez Pelayo per gli aspetti estetici e si dilungò su questioni meramente bibliografiche. Ancora una volta il caso di Palomino è illuminante. Nel volume III, alle pagine 147-148, possiamo leggere: «Le idee che presidiano l’opera di Palomino sono state segnalate in maniera magistrale da Menéndez Pelayo, che scrive: «la sua estetica, come quella di quasi tutti i nostri trattatisti d’arte è … l’estetica idealista [n.d.r. del bello ideale] professata e diffusa dai pintori eclettici italiani e accettata teoricamente dai nostri, anche da parte di coloro che meno peccavano di idealismo. […] Nessuno legge oggi – prosegue il medesimo Maestro – i primi due tomi dell’opera di Palomino»; ma chi riesce a mandar giù una così stanca marea di erudizione e luoghi comuni, è ricompensato da notizie e osservazioni meritevoli di essere raccolte e ricordate.»

Più in generale, è evidente che Menéndez Pelayo fu per Sánchez Cantón quello che Benedetto Croce fu per Schlosser, ossia un punto di riferimento imprescindibile in ambito filosofico. Da notare, peraltro, che Menéndez Pelayo e Croce si conobbero e si scrissero spesso, considerato anche il grande interesse che l’italiano nutrì per il mondo spagnolo. Non sono in grado, per mia ignoranza, di puntualizzare consonanze e differenze nel pensiero estetico dei due; mi pare però molto probabile che le strade percorse da Sánchez Cantón e da Schlosser (simili per certi aspetti, ma divergenti in altri) siano effetto proprio delle divergenze estetiche fra i loro due ‘maestri’.


Diego Velazquez, Venere allo specchio, 1650, Londra, National Gallery
Fonte: Wikimedia Commons


Sánchez Cantón e Francisco Calvo Serraller

Nella seconda parte di questa recensione segnalerò, scusandomi sin d’ora per la prolissità, le opere antologizzate da Sánchez Cantón, aggiungendo qualche nota di illustrazione. Per ora, tuttavia, mi sembra giusto mantenere una prospettiva storica. Nel 1981 (il franchismo era caduto da pochi anni) fu pubblicata un’altra celeberrima antologia di fonti di storia dell’arte spagnola, questa volta a cura di Francisco Calvo Serraller (1948-2018), anch’egli, in anni successivi, direttore del Prado. Il titolo è già un programma: Teoría de la Pintura del Siglo de Oro. Concentrandosi su un lasso di tempo più contenuto, ovvero il Seicento, Calvo Serraller sosteneva due tesi: da un lato (e si tratta di acquisizioni di Julían Gallego) che, nel concreto delle opere, il ‘realismo’ spagnolo si trovò a convivere con le istanze classiciste dominanti in Europa; dall’altro che una teoria dell’arte specificamente spagnola esistette veramente. La sistematica sottovalutazione della medesima aveva portato a un risultato paradossale, ossia che non esistevano edizioni critiche integrali dei principali trattati artistici spagnoli; sino ad allora, infatti, si erano accettate acriticamente le scelte antologiche di Sánchez Cantón. Nel momento in cui scriveva, in effetti, era a disposizione del pubblico un’unica edizione critica, quella dei Diálogos de la Pintura di Vicente Carducho, fatta uscire dallo stesso Calvo Serraller nel 1979, ossia due anni prima. Si trattò di una vera e propria rivoluzione. Le scelte antologiche di Calvo Serraller erano eseguite su criteri esattamente opposti rispetto a quelli di Sánchez Cantón. Nel caso di Palomino, ad esempio, furono presentati solo estratti dalla prima e dalla seconda parte, tralasciando completamente la terza (quella delle biografie). Ne risulta – secondo il curatore – che l’opera di Palomino “si caratterizza, in generale, per il suo spirito straordinariamente liberale, per non dire semplicemente eclettico. Certamente mantiene (come la maggioranza dei trattati scritti nel secolo XVII) una concezione dottrinale classicista, anche se aperta a ogni tipo di concessione alla libertà teatrale di una sensibilità barocca che ha trionfato in pieno” (p. 621). Ho già avuto modo di recensire l’antologia; nella lista delle opere citate da Sánchez Cantón indicherò anche se furono antologizzate anche da Calvo Serraller e vi rimanderò. Ma, soprattutto, il risultato più concreto della svolta fu la straordinaria serie di edizioni critiche integrali di trattati spagnoli che fiorirono negli ultimi decenni del Novecento e col nuovo millennio, molte delle quali recensite in questo blog (anche se non escludo che qualcosa possa essermi sfuggito). A oggi, per quanto ne sappia, l’unica opera priva di un commento integrale è proprio il Parnaso di Palomino che, anche per questo, continua a essere percepito dagli osservatori stranieri molto più simile alle Vite di Vasari di quanto, in realtà non sia.


Bartolomé Esteban Murrillo, Due donne alla finestra, 1670, Washington, National Gallery
Fonte: Wikimedia Commons

La (s)fortuna internazionale delle ‘Fuentes’

Ho appena detto che le ‘Fuentes’ furono per decenni punto di partenza imprescindibile per la ricerca in ambito spagnolo. Altrettanto non si può dire per la loro fortuna nel resto di Europa. Va detto che furono edite in anni molto difficili per il paese, fra la Seconda repubblica spagnola (dal 1931) al colpo di Stato del 1936, alla guerra civile e alla vittoria del franchismo sostenuto da nazisti e fascisti. Di tutti questi fatti, nell’opera, restano solo poche righe nell’introduzione del tomo quinto, laddove l’autore riferisce dello smarrimento di un manoscritto in biblioteca: «dopo la vittoria, [n.d.r il servizio bibliotecario] fu ripristinato…» (vol. V p. XII). Il fatto che le ‘Fuentes’ fossero esclusivamente spagnole certamente non conferì all’opera un appeal internazionale; sicuramente l’isolazionismo franchista complicò ulteriormente le cose.  

Tutto sommato, Sánchez Cantón dimostra interesse per gli studi prodotti dalla critica d’arte italiana (comunque riguardanti aspetti aventi a che fare col mondo spagnolo) e cita Achille Pellizzari, Adolfo Venturi e Roberto Longhi. Non mi pare che quest’interesse sia stato ricambiato con pari attenzione del mondo italiano nei confronti della sua antologia. Nel nostro catalogo collettivo delle biblioteche del Servizio Nazionale risultano essere presenti, in Italia, nove copie di ‘Fuentes’. Stranamente tre sono in Sardegna (due a Cagliari e una a Sassari), una a Napoli, una a Roma, una a Firenze (presso la Fondazione Memofonte), una a Torino e due a Venezia. I numeri sono eloquenti. Naturalmente ci sono poi gli esemplari in mano a privati (come quello del sottoscritto), ma mi stupirei se si giungesse ad altri dieci.

Uno dei motivi dell’insuccesso dell’antologia è probabilmente legato allo scarso spazio che ebbe nella Letteratura artistica di Schlosser. Lo spagnolo ebbe a lamentarsene proprio nel quinto volume, al termine della sua prefazione. Ricordò che tutte le recensioni spagnole ai suoi tomi erano state più che lusinghiere, ma, molto elegantemente, aggiunse che, per difetto di comunicazione, la loro uscita non era stata registrata nel capolavoro dello Schlosser edito in versione italiana nel 1935. In realtà, non fu del tutto esatto. Nel 1924 non vi fu alcuna citazione; nel 1935, invece, lo studioso austriaco fece aggiungere personalmente (seguì lui la redazione dell’edizione italiana) alcune righe di elogio, in cui si citava il tomo del 1923 e si parlava dell’opera come «pubblicazione importantissima che contiene ristampe o estratti dei seguenti trattati» (p. 285). Schlosser continuò elencando i trattati presentati nell’antologia. Con ogni evidenza non gli era noto che erano stati stampati anche i volumi II (1933) e III (1934). E tuttavia - come detto - Sánchez Cantón scrisse che l'austriaco non aveva citato la sua fatica editoriale. Credo che una possibile spiegazione possa essere la seguente: la premessa della Letteratura artistica si intitolava 'Idea e e estensione delle fonti della storia dell'arte'; al termine di essa Schlosser scriveva alcune pagine dedicate alla bibliografia delle fonti. Qui, le 'Fuentes' non compaiono; ed è senz'altro qui che Sánchez Cantón avrebbe voluto che fossero inserite. Erano invece richiamate, nei termini sopra indicati, nella sezione bibliografica nel capitolo IV ('Primi influssi della teoria italiana all'estero') e relativamente solo al tomo del 1923; aldilà del fatto che con ogni probabilità Schlosser non conosceva (o non aveva consultato i volumi secondo e terzo, editi nel 1933 e 1934) si trattava di una collocazione diminutiva di quella che (giustamente) Sánchez Cantón percepiva come la reale importanza dell'opera.

 

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NOTE

[1] I dati biografici di Sánchez Cantón sono tratti dalla corrispondente voce a cura di José Manuel Pita Andrade della Enciclopedia del Museo del Prado consultabile online sul sito del museo.

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