Lettere d’artista
Per una storia transnazionale dell’arte (XVIII-XIX secolo)
A cura di Giovanna Capitelli, Maria Pia Donato, Carla Mazzarelli, Susanne Adina Meyer, Ilaria Miarelli Mariani
Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2022
Recensione di Giovanni Mazzaferro
Storia di un progetto
Lettere d’artista rappresenta il momento conclusivo di un
progetto di ricerca partito nel 2014 che il sottoscritto ha, colpevolmente,
seguito poco nel suo dipanarsi. Particolarmente utile, quindi, ricostruirne le
vicende alla luce dell’appendice finale che Maria Pia Donato propone al termine
del volume (l’indice dei saggi contenuti nel libro è consultabile in fondo alla
presente recensione).
In sostanza, l’idea
parte dalla constatazione della grande fortuna che hanno conosciuto gli studi
sugli epistolari nella ricerca internazionale in tempi recenti; naturalmente, il
progetto, facente capo a diverse università in Europa e che ha preso il nome di
Lettres d’artistes. Pour une nouvelle histoire transnationale de l’art,
XVIIIe-XIXe siècles, intende occuparsi precipuamente delle lettere
scambiate fra artisti, prendendo in considerazione varie tipologie di artefici
(ad esempio, anche gli incisori- si veda il saggio di Teresa Montefusco – o i
restauratori – si rimanda a Chiara Piva), ma escludendo, mi pare di capire, i
carteggi fra conoscitori, dilettanti, mercanti: il focus, insomma, è sempre sugli
artisti, anche se in realtà il mercato è spesso sullo sfondo delle missive (e
molti artisti vi partecipano in prima persona).
Il tentativo è stato quello di riscrivere (o rivalutare) le reti sociali esistenti fra artisti a livello transnazionale, tenendo conto non solo di quelle più note, che si muovono sull’asse Roma-Parigi-Londra e Roma-Monaco-Stoccarda-Berlino. Per questo, ad esempio, possiamo leggere nel volume un saggio sul carteggio intrattenuto fra José de Madrazo e suo figlio Federico (Carolina Brook), mentre quest’ultimo si trovava a Roma.
José de Madrazo, Autoritratto, 1840, Madrid, Museo del Prado https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Autorretrato_(Jos%C3%A9_de_Madrazo).jpg |
L’esperienza di Roma è, quasi sempre, almeno nelle prime due parti del volume, in cui si fa riferimento più diretto a epistolari e non a pubblicazioni a stampa che li presentino o a fenomeni collezionistici, il comune denominatore che unisce gli artisti, il luogo in cui hanno passato tempo in comune, studiando presso le accademie o frequentando ateliers, instaurando spesso episodi di 'cameratismo' che Stefano Cracolici indaga da un punto di vista linguistico nel suo contributo. Le lettere in questione possono essere di vario tipo: si va, appunto, da quelle fra ex-compagni di permanenza romana, alle missive di ex-allievi dirette a maestri particolarmente apprezzati. Il caso di Tommaso Minardi, per cui l’insegnamento fu soprattutto passione, e passione percepita da centinaia di allievi che lo tennero poi informato delle loro vicende personali o ne chiesero di volta in volta il patrocinio è, sotto questo punto di vista, esemplare (Ilenia Falbo). Ma vi sono poi lettere più intime, di natura familiare, che lasciano trasparire aspetti più personali, come il dovere di indirizzare il fratello minore a scelte corrette nel suo percorso di formazione artistica appena iniziato (è la situazione di Joseph Michael Gandy, presa in esame da Tiziano Casola).
In generale,
comunque, e non poteva essere altrimenti, le lettere sono fenomeno di
autorappresentazione; sono pagine in cui l’artista propone al lettore
un’immagine di sé; sono – mi si passi l’orribile analogia – le nostre moderne
pagine Facebook, in cui ognuno di noi è come gli piace voler apparire. Ci sono
almeno tre contributi, e mi scuso con chi dimentico, che mettono bene in chiaro
quest’aspetto e si tratta dei saggi di Liliana Barroero su Pompeo Batoni, di quello
di Valeria Rotili su Carlo Albacini e la sua corrispondenza con la Russia e la
corte di Napoli e infine le pagine di Maria Pia Donato sulle lettere d’arte
spedite da Roma fra Rivoluzione e Restaurazione. Quest’ultimo caso mi sembra
più intrigante perché evidenzia come l’autorappresentazione taccia o cambi, a
volte repentinamente, in un momento in cui l’artista è costretto ad adeguarsi
ad accadimenti storici che stravolgono una routine secolare come, appunto, la permanenza
a Roma per motivi di studio o di lavoro. L’autorappresentazione, insomma, mi
pare di poter dire, risente delle condizioni sociali in cui si muove chi
scrive.
Pompeo Batoni, Autoritratto, 1773 circa, Firenze, Galleria degli Uffizi https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Pompeo-batoni-painting-self-portrait.jpg |
Ed è proprio sugli aspetti sociali evidenziati dalle lettere – quindi sulla storia sociale dell’arte in senso lato – che è il focus del volume, come scrive Donato in appendice. Mentre un primo volume, intitolato Il carteggio d’artista «seguiva ancora complessivamente un criterio contenutistico nello studio dei carteggi, i successivi lavori [n.d.r. compreso questo] promossi nel quadro di LettresArt hanno privilegiato uno sguardo più attento agli aspetti semiotici e ideologici e agli usi sociali delle corrispondenze» (p. 348).
La piattaforma EMLO
In concreto, l’aspetto più rilevante del progetto è stato, senza dubbio, l’inserimento di migliaia di lettere (attualmente 3678), edite o inedite, all’interno di una piattaforma collaborativa già esistente, chiamata EMLO (Early Modern Letters Online), gestita dalla Bodleian Library e dall’Università di Oxford. La piattaforma, naturalmente, è dedicata ad epistolari di ogni tipo e la corrispondenza di artisti ne costituisce una sezione.
Occorre spiegarsi bene: non sono
consultabili i testi delle missive, ma per ogni lettera sono stati creati
metadati, ossia informazioni organizzate nel linguaggio dell’archivio digitale,
che permettono agli interessati di interrogare il database avendo risposte certe
cercando fra un numero elevato di documenti. Mi spiegherò con un esempio personale: i
metadati comprendono non solo i nomi di mittente e destinatario (quando
disponibili), ma anche quelli di personaggi terzi citati all’interno delle
lettere. Il sottoscritto sta scrivendo un libro sugli anni giovanili di
Giovanni Battista Cavalcaselle e si è trovato a confrontarsi con l’ipotesi che
il conoscitore italiano conoscesse Tommaso Minardi. Bene, nella parte di
carteggio di Minardi caricata in EMLO (relativa a anni che vanno dal 1809 al
1849), Cavalcaselle non è mai citato; e l’interrogazione può essere fatta in un
attimo, grazie ai metadati. In una situazione analoga, riferita alla possibile
conoscenza col senese Carlo Pini, l’alternativa (anch’essa senza risultati
concreti) è stata quella di consultare personalmente e sistematicamente tutte
le lettere di Pini degli anni Quaranta conservate a Siena presso la Biblioteca comunale degli
Intronati.
Proseguirò, e mi si
scusi, a ragionare su un piano personale, dato che per studi precedenti ho
accumulato qualche esperienza nella consultazione di carteggi. I metadati
esauriscono tutte le potenziali curiosità del ricercatore e,
contemporaneamente, finiscono per sminuire la reale importanza di ogni singola
missiva? Naturalmente no. Mi dicono, oggi, che Cavalcaselle non compare nel
carteggio di Minardi (almeno, in quello caricato su EMLO); ma io, domani,
potrei essere interessato ad altri aspetti di quelle lettere, aspetti – ahimè –
non sempre evidenziabili ‘destrutturando’ una lettera. La realtà – e il bello –
di ogni ricerca è che ciò che per me non è di alcun interesse, potrebbe esserlo
per chiunque altro, non necessariamente storico dell’arte. Farò l’esempio del carteggio intercorso fra 1845 e 1846 fra Mary
Merrifield, storica delle tecniche artistiche che si trovava in Italia, e il
marito, che la leggeva da
Brighton. Le missive, oltre a una serie di questioni legate alla ricerca di
manoscritti sulle tecniche degli antichi maestri, contengono una fitta serie di
informazioni sulla coltivazione del mais e la ricetta della polenta nell’Italia
settentrionale. Non si tratta di passione culinaria, ma del diretto riflesso
della disastrosa carestia delle patate che, in quegli anni, fece milioni di
vittime e spinse un numero ancora maggiore di irlandesi a emigrare negli Stati
Uniti. Di fronte al disastro, i Merrifield ragionavano sulla possibilità di
introdurre la coltivazione del mais in Irlanda, passando a una dieta basata
sulla polenta che permettesse agli irlandesi di sostentarsi. Tutte queste
informazioni non hanno nessuna importanza per uno storico dell’arte, mentre ne
hanno molte per uno storico dell’economia. Il problema è che ben difficilmente
uno storico dell’economia avrà modo di accorgersi che sono contenute nel
carteggio di una storica delle tecniche artistiche. Non sempre, insomma, i
metadati riescono a veicolare tutta l’importanza di una lettera.
Ancora
sull’autorappresentazione
A questo penso,
quando Donato ricorda che, dopo una stagione di straordinaria fioritura, a fine
Ottocento emerse fra gli storici dell’arte che studiavano le missive di grandi
artisti «la consapevolezza che la corrispondenza degli artisti è per lo più restia
a svelare i segreti d’atelier, respinti sullo sfondo dalle lettere di
“cerimonia” scritte ai propri committenti o dalle lettere di “confidenza che
non va più al di là d’un affetto, nobilissimo certamente, ma superficiale”
anche nel caso di missive scambiate fra pari» (p. 350). Non vi è dubbio che tale speranza sia stato alimentata sin da metà Settecento dalla pubblicazione
antologica di missive nell’ambito delle raccolte di Giovanni Gaetano Bottari, poi ampliate abusivamente dal Crespi e riedite, incrementate, da Ticozzi. La serie potrebbe continuare a
lungo, ad esempio coi carteggi di Giovanni Gaye e quelli pubblicati da
Michelangelo Gualandi ( si veda Annalisa Laganà). La verità è che le lettere
non contengono mai risposte chiare ed esaurienti rispetto a ciò che vorremmo
sapere. Se lo fanno è perché, nel caso degli antichi, sono false o, nel caso
dei moderni, perché sono finte lettere, ossia testi in forma epistolare
pensati, in realtà, per la pubblicazione. Ci sono, naturalmente, eccezioni: nel
caso delle missive inviate in occasione della mostra di pittori nazareni in
Campidoglio nel 1819, Susanne Adina Meyer, ad esempio, rintraccia non solo la
possibilità di completare le nostre conoscenze su un evento altrimenti
testimoniato unicamente dalla stampa periodica, ma anche una sorta di
‘consapevolezza professionale di gruppo’ che porta all’organizzazione
dell’evento. Emerge anche una particolare attenzione, nel caso specifico, alla
pittura di paesaggio che è indagata in un saggio successivo da Giovanna
Capitelli. Al di là degli aspetti economici, è molto suggestivo che Roma (non
solo l'Urbe, ma anche la sua campagna) sia riconosciuta come il
centro ideale per praticare la pittura di paesaggio. In fondo, quando nel 1791
Quatremère de Quincy scrive (non in una lettera, a dire il vero) che «Ce genre de peinture ne
peut se flatter de trouver dans les sites de notre pays, dans son climat, dans
sa confirmation, les grands modèles qui lui sont nécessaires. L’Italie le
réunit tous.» (p. 78), sta ponendo le basi delle sue Lettere a Miranda.
Ma, eccezioni a
parte, la vera intuizione del gruppo di lavoro sopra citato è che anche le
lettere di ‘cerimonia’ e di ‘confidenza’ hanno una loro importanza in una
prospettiva sociale. Si pensi al fiorire di una manualistica dedicata
specificamente alla redazione delle lettere, che, cominciata pensando a un
pubblico di ‘segretari’, si allarga ben presto a una platea assai più ampia. Si
pensi, ancora, a un sottogenere come quello delle ‘lettere di presentazione’,
di cui scrive Carla Mazzarelli. Le lettere di presentazione costituiscono un
fenomeno dilagante nel corso del Sette e, soprattutto, dell’Ottocento. Si
caratterizzano dalla normale missiva perché mentre quest’ultima è inviata da un
mittente e raggiunge il destinatario a distanza, esse in realtà viaggiano con
un terzo (il ‘raccomandato’) e con lui giungono al destinatario: «la raccomandazione
‘parla’ (letteralmente) attraverso la voce del “raccomandato” nel momento in
cui lo spazio e il tempo dell’artista si avvicina a quello del ricevente, dando
avvio, così, a una nuova comunicazione tra il pittore, scultore o architetto e
il suo interlocutore che, auspicabilmente, potrà proseguire senza l’ausilio di
penna e carta.» (p. 184). Con il passare degli anni e l’avanzare dell’Ottocento, diventa
sempre più «oggetto di ordinario consumo nella città dei Papi» (p. 185) specie quando
la raccomandazione diventa strumento obbligatorio per l’accesso ai musei
pubblici della città (e in fondo non c’è grande differenza con le lettere di
malleveria che mi venivano chieste per l’ingresso nelle biblioteche quand’ero
ancora giovane).
Le lettere come
patrimonio
L’ultima parte del
volume prende in considerazione la patrimonializzazione delle missive. In un
clima generale che tende prima a riscoprire le ‘piccole patrie’ dei grandi
artisti e (dopo l’Unità d’Italia) a farli divenire personaggi esemplari nella
storia di una nazione, anche le lettere degli artisti diventano ‘monumenti’,
specie quando manchino ritratti (veri o presunti) delle loro fattezze o il
territorio sia stato depredato delle opere che vi si trovavano. È il caso, molto famoso,
delle due lettere di Perugino rinvenute a Città della Pieve nel 1837 (si veda
il contributo di Erminia Irace), oggetto di un vero e proprio culto laico che,
in ultima analisi, fu il motivo della loro distruzione. Inserite in una sorta
di teca-reliquario conobbero, per mancanza d’aria, un processo di degradazione
materiale che già cinquant’anni dopo le rese illeggibili e portò poi alla loro
distruzione. Uno dei momenti più importanti della santificazione dei personaggi
(e quindi anche degli artisti) famosi era costituito dalla celebrazione dei
centenari di nascita o morte. Simona Troilo prende in considerazione quello di
Michelangelo, tenutosi a Firenze nel 1875. In quest’ambito va considerata la
pubblicazione di una serie di libri dedicati al Buonarroti, comprese Le lettere di Michelangelo Buonarroti coi
ricordi ed i contratti artistici, a cura di Gaetano Milanesi,
Mi si consenta una
divagazione: il processo di ‘beatificazione’ degli uomini illustri in ottica
patriottica sempre più nazionalista proseguì per tutto l’Ottocento (e oltre) e
riguardò anche chi era appena scomparso. Tornando per un attimo a Cavalcaselle,
testimonianze successive al suo decesso (siamo nel 1897) assicurarono che già
quindicenne, all’Accademia di Belle Arti di Venezia, era stato vittima dell’oscurantismo
austroungarico, per cui, scoperto a disegnare in Galleria dagli ‘sgherri’ della
polizia, fu espulso dall’istituto. La cosa più curiosa è che queste sciocchezze
(manifestamente senza senso) si siano tramandate sino a oggi. Il rapporto di
polizia relativo alla vicenda (custodito presso l’Accademia) segnalava invece
che un gruppo di studenti della scuola di Ornato (fra cui fu successivamente
individuato Cavalcaselle) molestava, all’uscita serale dalla scuola, le ‘donne
anche di modesta condotta e accompagnate da uomini’. Il conoscitore fu sospeso
per otto giorni e questo è tutto quello che risulta del suo curriculum
scolastico.
In ambito
anglosassone la celebrazione delle glorie passate (scomparse di recente o
antiche) assunse la caratteristica forma editoriale chiamata “Life and letters”
(in genere, un paio di volumi di cui uno dedicato alla vita del celebrato e
l’altro che presentava documenti o lettere del medesimo. Donata Levi espone il
fenomeno e spiega come si declinò nell’ambito della storiografia artistica
inglese (e tedesca) fino alle monografie di Crowe e Cavalcaselle su Tiziano e
Raffaello.
La
patrimonializzazione delle lettere nell’Ottocento seguì, in sostanza, due
direttive (meno separate l’una dall’altra di quanto non si possa pensare). Da
un lato l’inserimento dei carteggi negli archivi pubblici, nelle biblioteche e,
in minor misura, vista la loro mansione, nelle accademie (si veda il caso di
Hayez a Brera esposto da Francesca Valli); dall’altro il collezionismo privato
che diede vita a un numero infinito di raccolte di lettere di uomini e artisti più
o meno illustri (le cosiddette autografoteche). Il filone pubblico è analizzato
da Leonardo Mineo, quello privato da Ilaria Miarelli Mariani che rende
benissimo l’idea di quanto capillare e diffusa fosse la ‘mania’ di raccogliere
autografi e ne esplora le ricadute commerciali (falsi e furti compresi).
Conosciamo benissimo alcune di queste immense raccolte, come la Piancastelli a
Forlì o la raccolta Campori a Modena. Mi permetto di segnalare, a pure titolo
di curiosità, che almeno anche Gaetano Giordani, a Bologna, era proprietario di
una collezione di autografi non indifferente che fu poi costretto a mettere in
vendita a fine anni Cinquanta per traversie di ordine economico. È molto probabile che si
tratti degli autografi che Michelangelo Gualandi propose in acquisto a Charles Eastlake nel 1862 (a meno che non fossero addirittura quelli di Campori, con
cui Gualandi era in ottimi rapporti). La minuta della lettera non è
disponibile, mentre ci è giunta la risposta del direttore inglese che,
evidentemente, non condivideva la passione generale per questo tipo di raccolte
e rispose, il 2 luglio di quell’anno: «Per
quel che riguarda i 60,000 autografi, l’importante è di sapere di chi sono,
ché, essendo di Mastro Peppe o Mastro Antonio, né il numero né l’autenticità
costituirebbero un merito sufficiente. Ma parlando sul serio, se vi sono de’
MSS. importanti VS. non farebbe male di informare il Sig. Panizzi, al Museo
Britannico».
In tutta onestà, non so che fine fece la raccolta di Giordani, ma è appena
evidente che un’altra fondamentale raccolta di lettere, ossia l’epistolario di
Gualandi, che giace sostanzialmente inesplorato a Francoforte, potrebbe dare
risposta.
Infine...
Mi si permetta di ricordare che il volume è dedicato a
Serenella Rolfi Ožvald, che del progetto è stata una promotrice e che è scomparsa prematuramente nel 2020.
Indice
- Giovanna Capitelli, Maria Pia Donato, Carla Mazzarelli, Susanne Adina Meyer, Ilaria Miarelli Mariani, Prefazione.
Incontri, transiti,
geografie
- Stefano Cracolici, “Costoro non vogliono malinconie”: il regime brillante nelle lettere d’artista (primi sondaggi su carteggi etereglossi a base italiana);
- Chiara Piva, “La mando o non la mando?”: considerazioni sul rapporto tra Pietro Edwards e Antonio Canova attraverso la corrispondenza tra Venezia e Roma;
- Susanne Adina Meyer, “Servo di due padroni”: la mostra dei Nazareni nel 1819 nelle lettere degli artisti;
- Arnold Witte, Epistolary exchanges, academic training, and social capital: Joseph Anton Koch at the Hohe Karlsschule in Stuttgart;
- Giovanna Capitelli, Scrivere di paesaggio nella Roma cosmopolita d’età di Restaurazione;
- Carolina Brook, Roma 1839-1842 nelle lettere fra Federico e José de Madrazo.
Generi e tipologie
- Liliana Barroero, L’autoritratto di un pittore attraverso le sue lettere: il caso Batoni;
- Teresa Montefusco, Esercitare con impegno la professione “in un Paese ove regna l’emulazione”: il mestiere dell’incisore a Roma attraverso le lettere;
- Tiziano Casola, Le corrispondenze familiari degli artisti in viaggio: le lettere romane di Joseph Michael Gandy nel Gandy Green Book;
- Maria Pia Donato, “La pittura non è mestiere per disgrazia”: scrivere di arte e politica tra Rivoluzione e Restaurazione;
- Carla Mazzarelli, Gli artisti a Roma, l’esperienza del museo e la necessità di una raccomandazione: topoi, pratiche e discipline di un modello epistolare;
- Valeria Rotili, La lettera di autopromozione e narrazione di sé: Carlo Albacini, scultore, restauratore e copista;
- Ilenia Falbo, Raccontarsi al maestro nel carteggio di Tommaso Minardi (1809-1849).
La lettera come
patrimonio nazionale
- Erminia Irace, Un caso di patrimonializzazione e distruzione: gli autografi di Perugino rinvenuti nel 1835;
- Simona Troilo, Miti locali, manie transnazionali: commemorare Michelangelo nell’Ottocento borghese;
- Valter Rosa, Francesca Valli, Lettere di artisti nell’Archivio Storico dell’Accademia di Brera;
- Annalisa Laganà, La Nuova raccolta di lettere sulla pittura, scultura e architettura di Michelangelo Gualandi;
- Donata Levi, “Life and letters” nella storiografia artistica inglese e tedesca nell’Ottocento;
- Leonardo Mineo, Collezionismo di autografi e archivi nell’Ottocento italiano: le lettere d’artista;
- Ilaria Miarelli Mariani, “VS fa ricerca di lettere autografe di uomini chiari per dottrina, o scienze”: circolazione, raccolta e culto delle scritture di artisti nel XIX secolo.
Appendice
- Maria Pia Donato, Il programma Lettres d’artistes, un bilancio.
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