Pagine

lunedì 10 aprile 2023

Giambettino Cignaroli. Memorie

 

Giambettino Cignaroli
Memorie
Trascrizione Bruno Chiappa
Saggio e annotazioni Andrea Tomezzoli


Verona, Scripta edizioni, 2017

Recensione di Giovanni Mazzaferro


In copertina: Giambettino Cignaroli, Leda, 1756, Collezione privata


Documenti su Giambettino Cignaroli

Su Giambettino Cignaroli (1706-1770), pittore veronese di pieno Settecento assai noto all’epoca a livello internazionale, sappiamo parecchie cose. Abbiamo, ad esempio, una lunga lettera autobiografica che l’artista scrisse nel 1768 a Tommaso Temanza perché fosse inoltrata a Pierre-Jean Mariette; nel 1771, un anno dopo la morte, Ippolito Bevilacqua, letterato e amico di una vita, pubblicò le Memorie della  vita di Giambettino Cignaroli eccellente dipintor veronese (con un nutrito elenco di opere dipinte dal biografato). Ci sono, inoltre, giunti tre album di disegni fatti rilegare dall’artista almeno dal 1769 (se non prima), e conservati presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano; i disegni contengono informazioni (a volte mutile) sugli anni della loro realizzazione. Sempre a ridosso della morte (nel 1771), su esplicita indicazione testamentaria del defunto, la sorella mise in vendita la ricca raccolta di modelletti (in prima approssimazione, di bozzetti) serviti al pittore come fase preparatoria per molti dei suoi quadri (soprattutto le pale d’altare), pubblicando un manifesto di vendita con una descrizione sufficientemente accurata dei medesimi. Molti, tuttavia, non furono venduti e questa volta fu il nipote, Saverio Dalla Rosa, a distanza di quasi trent’anni, a redigere un ulteriore inventario di quelli che erano rimasti (1798). Ci sono giunte sue composizioni poetiche d’occasione e molto sappiamo anche della sua vita ‘istituzionale’. Fu Cignaroli, infatti, a farsi promotore della nascita di un’Accademia di Belle Arti a Verona, nel 1764, di cui fu subito nominato presidente a vita. Non manca poi la corrispondenza, anche se raccolta in maniera più episodica, grazie alle missive rintracciate presso i destinatari (ad esempio Carlo Innocenzo Frugoni, segretario dell’Accademia di Parma).

Le sorprese, tuttavia, sono sempre all’ordine del giorno e attorno al 2010 Bruno Chiappa ha rinvenuto presso un archivio privato (quello della famiglia Monga) un manoscritto contenente le memorie autografe del pittore. Dalla loro analisi è emerso, innanzi tutto, che Ippolito Bevilacqua, scrivendo la biografia dell’amico appena defunto, doveva averle consultate, viste le somiglianze (o i veri e propri calchi) fra un testo e l’altro. Le Memorie sono state pubblicate nel 2017, con trascrizione di Bruno Chiappa, saggio iniziale e note di Andrea Tomezzoli, un ricchissimo e funzionale apparato iconografico e rappresentazione facsimilare del manoscritto (di non facile lettura).

Giambettino Cignaroli, Autoritratto, Vienna, Kunsthistorisches Museum
Fonte: Yelkrokoyade tramite Wikimedia Commons

 

Un testo difficile da collocare

Le Memorie non sono di facile collocazione, tant’è che Tomezzoli suggerisce che forse siano meglio definibili ‘in negativo’ (p. 11). Certamente non si tratta di un diario nel senso classico del termine, in cui l’autore prende nota dei principali accadimenti generali e personali (non si parla, ad esempio, della nascita dell’Accademia veronese, né dell’assunzione del suo incarico apicale nell’ambito dell’istituto); non compaiono, allo stesso modo, considerazioni di teoria artistica né affermazioni che permettano di comprendere cosa fosse l’arte per Cignaroli: i principi guida dell’arte del classicismo del veronese, semmai, sono esposti in una lettera a Innocenzo Frugoni del 22 febbraio 1761. In realtà le Memorie sono un manoscritto in cui Giambettino annotò i nomi o, comunque, i ruoli di ‘personaggi illustri’ che visitarono il suo studio. Proprio all’inizio del testo, che copre un periodo che va dal 1754, quando l’artista era già celebre, e giunge sino a pochi giorni prima della morte, nel 1770, Cignaroli scrisse che iniziava a tener nota degli ospiti su consiglio del marchese Michele Emilio Sagramoso, personalità di spicco dell’aristocrazia cittadina, ma soprattutto, all’epoca, il suo concittadino più cosmopolita, uomo che viaggiò tantissimo, giungendo fino in Russia e frequentando le corti di tutto il continente europeo. Il pittore si applicò all’impegno, a volte con maggiore, altre con minor zelo. Se la maggiore frequenza delle visite ricevute dalla primavera all’autunno di ogni anno si spiega bene con la stagionalità degli spostamenti dei viaggiatori, resa difficile in inverno, vi sono periodi (ad esempio dal 13 agosto 1761 al 4 maggio 1762) in cui non è citato nessuno, circostanza che induce a sospettare una momentanea cessazione della pratica di registrazione degli ospiti da parte del pittore.

Giambettino Cignaroli, Morte di Socrate, 1762, Budapest, Museo di Belle Arti
Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Giambettino_Cignaroli_-_The_Death_of_Socrates_-_WGA04876.jpg

 

Il valore delle Memorie

Che valenza hanno le Memorie? Tomezzoli sottolinea almeno due aspetti. In primo luogo, incrociate anche con le fonti che ho già citato e con molte altre che risultano nelle note (l’autore, in questo senso, è davvero formidabile) permettono di precisare ulteriormente date di realizzazione delle opere, modalità di commissione, trattative non andate a buon fine. In seconda istanza rendono perfettamente l’idea di un mondo di viaggiatori che si sposta a volte di pochi, altre volte di migliaia di chilometri; viaggiatori di cui non sempre conosciamo il nome, o perché Cignaroli non lo cita o perché lo storpia e ci dà pochi elementi per individuare i tourists. Cert’è che, ogni qual volta vi sia un minimo appiglio per giungere a un’identificazione, Tomezzoli interviene con un’erudizione sorprendente e riesce a farlo. Vi sono pochi dubbi che la vera protagonista delle Memorie sia la varia umanità (aristocratici, uomini d’armi, religiosi, letterati, eruditi) che popola lo studio dell’artista, colta in un momento brevissimo facente parte di viaggi che, in precedenza, non sempre ci erano noti. Così, fra questa varia umanità, troviamo, ad esempio, «il sig Leopoldo Mozart con il figlio Amadio, di età d’anni tredici, che viene ammirato qual portento nel suonare il clavicembalo ed il violino eccellentemente in sì tenera età» (p. 227). A volte ci sono annotazioni che suscitano autentico stupore, come ad esempio quando (è il 26 aprile 1768) arriva «Il signor Cespi romano, scultore e ristauratore di statue, con altro romano dilettante» (p. 214). Il ‘signor Cespi’ è chiaramente Bartolomeo Cavaceppi e l’altro ‘romano dilettante’, con ogni probabilità è Johann Joachim Winckelmann, all’inizio di quel viaggio che, l’8 giugno, avrebbe visto il tedesco (ma romano d’adozione) assassinato in quel di Trieste. Fu un fatto epocale, di cui parlarono tutte le corti d’Europa, eppure nelle memorie di Cignaroli la visita di Cavacappi e Winckemann si perde, forse indice di una sua scarsa frequentazione col mondo artistico romano (non sono testimoniati suoi viaggi nell’Urbe) [1]. Ė comunque inutile girarci intorno: quello che conta veramente, per essere registrati nel taccuino dell’artista, è soprattutto essere nobili, famosi, ricchi. Un’eccezione è fatta semmai per i religiosi, come i nugoli di cappuccini che nella primavera del 1768 fanno tappa (verrebbe da dire, quasi una tappa obbligata) da Cignaroli, diretti a Roma per il capitolo generale dell’ordine.

Che giudizio esprimere, dunque, sulle Memorie? A parte i dettagli che ci permette di meglio conoscere sulla tempistica della realizzazione delle opere, una delusione? Io, francamente, non la penso così. Credo però che vada spostata l’ottica con cui le si legge, e che vadano valutate (Tomezzoli lo sottolinea bene) come una forma di autorappresentazione di un artista di pieno Settecento. In fondo non si tratta altro che dell’ennesima declinazione di discorsi secolari sulla nobiltà della pittura e – quindi – dell’artista. L’ambientazione è, appunto, lo studio del pittore, ma delle dinamiche lavorative o delle tecniche artistiche utilizzate al suo interno noi non sappiamo praticamente nulla; a stento veniamo a conoscere che vi erano degli allievi. Eppure lo studio ha una sua valenza simbolica. I personaggi che lo visitano sono uomini o donne ‘illustri’ che, recandovisi, rendono omaggio alla nobiltà dell’arte e, naturalmente, alla nobiltà d’animo di Cignaroli, né più né meno di re Francesco I di Francia che si reca al capezzale di Leonardo morente o di Papa Giulio che cerca in ogni modo di vedere cosa stia dipingendo Michelangelo nella Sistina (ma, naturalmente, potrei tornare indietro a Plinio il vecchio). In questo. In questo senso non è certo da stupirsi che gli ospiti (quasi tutti) siano entusiasti nel visitare lo studio e vedere i frutti del lavoro dell’artista; un effetto che doveva probabilmente essere amplificato dai bozzetti delle opere già eseguite e spedite, che facevano bella mostra di loro sulle pareti dell’atelier. In questo processo di ‘beatificazione’ dell’artista ‘in generale’ e di sé stesso in particolare, c’è un culmine ed è la visita dell’imperatore Giuseppe II d’Asburgo Lorena (21 luglio 1769). Si tratta dell’episodio su cui Cignaroli si sofferma più a lungo e vale la pena trascriverne alcune righe: “Entrato appena, con una stupendidissima [sic] grazia ed umanità mi complimentò con dirmi provar estremo contento in conoscer persona di sì grande riputazione e di cui aveva ammirata l’opera rarissima e che era il primo onor de’ presenti pittori, con altre espressioni sorprendenti” (p. 221). Nel carteggio di Anton Maria Zanetti il vecchio, integralmente pubblicato di recente, è compreso un manoscritto, oggi conservato in Marciana, in cui sono raccolte lettere relative al soggiorno dell’erudito veneziano a Vienna nel 1736. Il manoscritto fu allestito personalmente da Zanetti a testimonianza del proprio successo. Si tratta di missive dal tono trionfalistico, in cui l’apice del successo è raggiunto al momento della partenza, quando Anton Maria è ammesso al bacio delle mani dei regnanti. Pur nella differenza dei ruoli (Zanetti era un ‘intendente’, Cignaroli un pittore) e del materiale raccolto (da un lato delle lettere, dall’altro delle memorie) il meccanismo di autorappresentazione è identico e sintomo di un’epoca (fra le carte zanettiane e quelle del veronese ci sono vent’anni di differenza) che in queste occasioni riconosceva un momento essenziale del proprio riconoscimento sociale. In quest’ottica va (ri)letta l’indicazione secondo cui fu Sagramoso a consigliare Cignaroli di scrivere le Memorie. Che sia vero oppure no, è la caratura del personaggio da cui proviene la sollecitazione (un uomo noto in tutte le corti europee) che conta: è il cosmopolita che conosce il mondo che si rivolge all’artista noto in quel mondo che ha avuto modo di visitare nei suoi viaggi. Ancora una volta, una forma di autorappresentazione di sé.

Le Memorie di Cignaroli, insomma, ci raccontano un’epoca e lo fanno usando strumenti perfettamente funzionali a dinamiche sociali all’epoca perfettamente comprensibili e oggi difficilmente apprezzabili se considerate fuori contesto. Soprattutto per questo, per la loro testimonianza su quel mondo, devono essere lette e apprezzate.


NOTE

[1] Va detto, per correttezza, che la mancata identificazione del viaggiatore romano in Winckelmann è meno stupefacente di quanto si pensi. Viaggiare in incognito (per motivi che non sto qui a elencare) era prassi ed è possibilissimo che così facesse anche Winckelmann. Molti casi simili risultano anche nelle memorie di Cignaroli. In ogni caso il fatto dimostra che il tedesco era uno straniero molto ben integrato in Italia. 


Nessun commento:

Posta un commento