Giambettino Cignaroli
Memorie
Trascrizione Bruno Chiappa
Saggio e annotazioni Andrea Tomezzoli
Verona, Scripta edizioni, 2017
In copertina: Giambettino Cignaroli, Leda, 1756, Collezione privata |
Documenti su Giambettino Cignaroli
Su Giambettino Cignaroli (1706-1770), pittore veronese di pieno
Settecento assai noto all’epoca a livello internazionale, sappiamo parecchie
cose. Abbiamo, ad esempio, una lunga lettera autobiografica che l’artista
scrisse nel 1768 a Tommaso Temanza perché fosse inoltrata a Pierre-Jean Mariette; nel 1771, un anno dopo la morte, Ippolito
Bevilacqua, letterato e amico di una vita, pubblicò le Memorie della vita di Giambettino Cignaroli eccellente
dipintor veronese (con un nutrito elenco di opere dipinte dal biografato).
Ci sono, inoltre, giunti tre album di disegni fatti rilegare dall’artista
almeno dal 1769 (se non prima), e conservati presso la Biblioteca Ambrosiana di
Milano; i disegni contengono informazioni (a volte mutile) sugli anni della
loro realizzazione. Sempre a ridosso della morte (nel 1771), su esplicita indicazione
testamentaria del defunto, la sorella mise in vendita la ricca raccolta di
modelletti (in prima approssimazione, di bozzetti) serviti al pittore come fase
preparatoria per molti dei suoi quadri (soprattutto le pale d’altare),
pubblicando un manifesto di vendita con una descrizione sufficientemente
accurata dei medesimi. Molti, tuttavia, non furono venduti e questa volta fu il
nipote, Saverio Dalla Rosa, a distanza di quasi trent’anni, a redigere un ulteriore
inventario di quelli che erano rimasti (1798). Ci sono giunte sue composizioni
poetiche d’occasione e molto sappiamo anche della sua vita ‘istituzionale’. Fu
Cignaroli, infatti, a farsi promotore della nascita di un’Accademia di Belle
Arti a Verona, nel 1764, di cui fu subito nominato presidente a vita. Non manca
poi la corrispondenza, anche se raccolta in maniera più episodica, grazie alle
missive rintracciate presso i destinatari (ad esempio Carlo Innocenzo Frugoni,
segretario dell’Accademia di Parma).
Le sorprese, tuttavia, sono sempre all’ordine del giorno e attorno al
2010 Bruno Chiappa ha rinvenuto presso un archivio privato (quello della
famiglia Monga) un manoscritto contenente le memorie autografe del pittore. Dalla
loro analisi è emerso, innanzi tutto, che Ippolito Bevilacqua, scrivendo la
biografia dell’amico appena defunto, doveva averle consultate, viste le somiglianze
(o i veri e propri calchi) fra un testo e l’altro. Le Memorie sono state
pubblicate nel 2017, con trascrizione di Bruno Chiappa, saggio iniziale e note
di Andrea Tomezzoli, un ricchissimo e funzionale apparato iconografico e
rappresentazione facsimilare del manoscritto (di non facile lettura).
Giambettino Cignaroli, Autoritratto, Vienna, Kunsthistorisches Museum Fonte: Yelkrokoyade tramite Wikimedia Commons |
Un testo difficile da collocare
Le Memorie non sono di facile collocazione, tant’è che
Tomezzoli suggerisce che forse siano meglio definibili ‘in negativo’ (p. 11).
Certamente non si tratta di un diario nel senso classico del termine, in cui
l’autore prende nota dei principali accadimenti generali e personali (non si
parla, ad esempio, della nascita dell’Accademia veronese, né dell’assunzione
del suo incarico apicale nell’ambito dell’istituto); non compaiono, allo stesso
modo, considerazioni di teoria artistica né affermazioni che permettano di
comprendere cosa fosse l’arte per Cignaroli: i principi guida dell’arte del
classicismo del veronese, semmai, sono esposti in una lettera a Innocenzo
Frugoni del 22 febbraio 1761. In realtà le Memorie sono un manoscritto
in cui Giambettino annotò i nomi o, comunque, i ruoli di ‘personaggi illustri’
che visitarono il suo studio. Proprio all’inizio del testo, che copre un
periodo che va dal 1754, quando l’artista era già celebre, e giunge sino a
pochi giorni prima della morte, nel 1770, Cignaroli scrisse che iniziava a
tener nota degli ospiti su consiglio del marchese Michele Emilio Sagramoso,
personalità di spicco dell’aristocrazia cittadina, ma soprattutto, all’epoca,
il suo concittadino più cosmopolita, uomo che viaggiò tantissimo, giungendo
fino in Russia e frequentando le corti di tutto il continente europeo. Il
pittore si applicò all’impegno, a volte con maggiore, altre con minor zelo. Se
la maggiore frequenza delle visite ricevute dalla primavera all’autunno di ogni
anno si spiega bene con la stagionalità degli spostamenti dei viaggiatori, resa
difficile in inverno, vi sono periodi (ad esempio dal 13 agosto 1761 al 4
maggio 1762) in cui non è citato nessuno, circostanza che induce a sospettare
una momentanea cessazione della pratica di registrazione degli ospiti da parte
del pittore.
Giambettino Cignaroli, Morte di Socrate, 1762, Budapest, Museo di Belle Arti Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Giambettino_Cignaroli_-_The_Death_of_Socrates_-_WGA04876.jpg |
Il valore delle Memorie
Che valenza hanno le Memorie? Tomezzoli sottolinea almeno due
aspetti. In primo luogo, incrociate anche con le fonti che ho già citato e con
molte altre che risultano nelle note (l’autore, in questo senso, è davvero
formidabile) permettono di precisare ulteriormente date di realizzazione delle
opere, modalità di commissione, trattative non andate a buon fine. In seconda
istanza rendono perfettamente l’idea di un mondo di viaggiatori che si sposta a
volte di pochi, altre volte di migliaia di chilometri; viaggiatori di cui non
sempre conosciamo il nome, o perché Cignaroli non lo cita o perché lo storpia e
ci dà pochi elementi per individuare i tourists. Cert’è che, ogni qual volta vi
sia un minimo appiglio per giungere a un’identificazione, Tomezzoli interviene
con un’erudizione sorprendente e riesce a farlo. Vi sono pochi dubbi che la
vera protagonista delle Memorie sia la varia umanità (aristocratici,
uomini d’armi, religiosi, letterati, eruditi) che popola lo studio
dell’artista, colta in un momento brevissimo facente parte di viaggi che, in
precedenza, non sempre ci erano noti. Così, fra questa varia umanità, troviamo,
ad esempio, «il sig Leopoldo Mozart con il figlio Amadio, di età d’anni tredici, che
viene ammirato qual portento nel suonare il clavicembalo ed il violino
eccellentemente in sì tenera età» (p. 227). A volte ci sono annotazioni che
suscitano autentico stupore, come ad esempio quando (è il 26 aprile 1768)
arriva «Il signor Cespi romano, scultore e
ristauratore di statue, con altro romano dilettante» (p. 214). Il ‘signor
Cespi’ è chiaramente Bartolomeo Cavaceppi e l’altro ‘romano
dilettante’, con ogni probabilità è Johann Joachim Winckelmann, all’inizio di
quel viaggio che, l’8 giugno, avrebbe visto il tedesco (ma romano d’adozione)
assassinato in quel di Trieste. Fu un fatto epocale, di cui parlarono tutte le
corti d’Europa, eppure nelle memorie di Cignaroli la visita di Cavacappi e Winckemann si perde, forse indice di una
sua scarsa frequentazione col mondo artistico romano (non sono testimoniati
suoi viaggi nell’Urbe) [1]. Ė comunque inutile girarci intorno: quello che conta
veramente, per essere registrati nel taccuino dell’artista, è soprattutto essere
nobili, famosi, ricchi. Un’eccezione è fatta semmai per i religiosi, come i
nugoli di cappuccini che nella primavera del 1768 fanno tappa (verrebbe da
dire, quasi una tappa obbligata) da Cignaroli, diretti a Roma per il capitolo
generale dell’ordine.
Che giudizio
esprimere, dunque, sulle Memorie? A parte i dettagli che ci permette di
meglio conoscere sulla tempistica della realizzazione delle opere, una
delusione? Io, francamente, non la penso così. Credo però che vada spostata
l’ottica con cui le si legge, e che vadano valutate (Tomezzoli lo sottolinea
bene) come una forma di autorappresentazione di un artista di pieno Settecento.
In fondo non si tratta altro che dell’ennesima declinazione di discorsi
secolari sulla nobiltà della pittura e – quindi – dell’artista. L’ambientazione
è, appunto, lo studio del pittore, ma delle dinamiche lavorative o
delle tecniche artistiche utilizzate al suo interno noi non sappiamo
praticamente nulla; a stento veniamo a conoscere che vi erano degli allievi. Eppure
lo studio ha una sua valenza simbolica. I personaggi che lo visitano sono
uomini o donne ‘illustri’ che, recandovisi, rendono omaggio alla nobiltà
dell’arte e, naturalmente, alla nobiltà d’animo di Cignaroli, né più né meno di
re Francesco I di Francia che si reca al capezzale di Leonardo morente o di
Papa Giulio che cerca in ogni modo di vedere cosa stia dipingendo Michelangelo
nella Sistina (ma, naturalmente, potrei tornare indietro a Plinio il vecchio).
In questo. In questo senso non è certo da stupirsi che gli ospiti (quasi tutti)
siano entusiasti nel visitare lo studio e vedere i frutti del lavoro
dell’artista; un effetto che doveva probabilmente essere amplificato dai
bozzetti delle opere già eseguite e spedite, che facevano bella mostra di loro
sulle pareti dell’atelier. In questo processo di ‘beatificazione’
dell’artista ‘in generale’ e di sé stesso in particolare, c’è un culmine ed è
la visita dell’imperatore Giuseppe II d’Asburgo Lorena (21 luglio 1769). Si
tratta dell’episodio su cui Cignaroli si sofferma più a lungo e vale la pena
trascriverne alcune righe: “Entrato appena, con una stupendidissima [sic]
grazia ed umanità mi complimentò con dirmi provar estremo contento in conoscer
persona di sì grande riputazione e di cui aveva ammirata l’opera rarissima e
che era il primo onor de’ presenti pittori, con altre espressioni sorprendenti”
(p. 221). Nel carteggio di Anton Maria Zanetti il vecchio, integralmente pubblicato di recente, è compreso
un manoscritto, oggi conservato in Marciana, in cui sono raccolte lettere
relative al soggiorno dell’erudito veneziano a Vienna nel 1736. Il manoscritto fu
allestito personalmente da Zanetti a testimonianza del proprio successo. Si
tratta di missive dal tono trionfalistico, in cui l’apice del successo è
raggiunto al momento della partenza, quando Anton Maria è ammesso al bacio
delle mani dei regnanti. Pur nella differenza dei ruoli (Zanetti era un
‘intendente’, Cignaroli un pittore) e del materiale raccolto (da un lato delle
lettere, dall’altro delle memorie) il meccanismo di autorappresentazione è
identico e sintomo di un’epoca (fra le carte zanettiane e quelle del veronese ci
sono vent’anni di differenza) che in queste occasioni riconosceva un momento
essenziale del proprio riconoscimento sociale. In quest’ottica va (ri)letta
l’indicazione secondo cui fu Sagramoso a consigliare Cignaroli di scrivere le Memorie.
Che sia vero oppure no, è la
caratura del personaggio da cui proviene la sollecitazione (un uomo noto in
tutte le corti europee) che conta: è il cosmopolita che conosce il mondo che si
rivolge all’artista noto in quel mondo che ha avuto modo di visitare nei suoi
viaggi. Ancora una volta, una forma di autorappresentazione di sé.
Le Memorie
di Cignaroli, insomma, ci raccontano un’epoca e lo fanno usando strumenti
perfettamente funzionali a dinamiche sociali all’epoca perfettamente
comprensibili e oggi difficilmente apprezzabili se considerate fuori contesto.
Soprattutto per questo, per la loro testimonianza su quel mondo, devono essere lette
e apprezzate.
NOTE
[1] Va detto, per correttezza, che la mancata identificazione del viaggiatore romano in Winckelmann è meno stupefacente di quanto si pensi. Viaggiare in incognito (per motivi che non sto qui a elencare) era prassi ed è possibilissimo che così facesse anche Winckelmann. Molti casi simili risultano anche nelle memorie di Cignaroli. In ogni caso il fatto dimostra che il tedesco era uno straniero molto ben integrato in Italia.
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