Giovanni Mazzaferro
Lo sguardo condiviso: il viaggio di Giovan Battista Cavalcaselle e Charles Eastlake nel Centro Italia (settembre 1858)
in
Studi di Memofonte, Numero 29/2022
Avvertenza
Ho pubblicato il saggio che
presenterò in queste righe sulla rivista online «Studi di Memofonte»; è liberamente
consultabile e scaricabile all’indirizzo https://www.memofonte.it/files/Studi-di-Memofonte/rivista30/XXIX/XXIX_2022_MAZZAFERRO.pdf
Un viaggio poco noto
Non ho scoperto io
che Charles Eastlake (1793-1865), primo direttore della National Gallery dal
1855, e Giovan Battista Cavalcaselle (1819-1897) svolsero insieme un viaggio insieme
nel Centro Italia nel settembre 1858. Ne parla, ad esempio, già Donata Levi nella sua fondamentale monografia sul
conoscitore italiano del 1988
(pp. 134-135). Va detto, in proposito, che a fronte di pochi storici dell’arte
che hanno negato la circostanza, molti altri l’hanno ricordata senza
approfondire troppo o si sono limitati a richiamare i giudizi dei due di fronte
a specifiche opere d’arte come se la visione delle medesime fosse avvenuta
separatamente, in momenti diversi. Quella che è mancata è la sequenza, o, se
perferite, la consapevollezza del fatto storico. Del resto, lo stesso
Cavalcaselle mantenne sempre un assoluto riserbo sulla circostanza. Nei suoi promemoria inviati al Ministro dell’Istruzione del neonato
Regno d’Italia, nel 1862, ricordò che nel 1851 fu uno dei collaboratori che
contribuirono alla redazione del catalogo della pinacoteca di Liverpool, e che
fra gli altri vi era lo stesso Eastlake, [1] ma nulla disse dell’esperienza vissuta
a fianco dell’inglese nel 1858. Non poteva certo vantarsene. Era reduce dal celebre viaggio svolto nel 1861 con
Giovanni Morelli proprio in
Centro Italia, volto a inventariare e mettere in sicurezza dalle mire di
compratori stranieri il patrimonio artistico delle Marche e dell’Umbria. Eppure
tre anni prima era stato negli stessi luoghi sia per compiere i propri studi
sia per fungere da consulente a Eastlake proprio per la ricerca di quadri per la
National Gallery. Il suo patriottismo e la ricerca di un posto fisso
all’interno del Ministero (ricerca che rimase vana fino al 1867) ne sarebbero
rimasti compromessi.
In realtà
Cavalcaselle visitò l’Umbria e le Marche già dagli anni ’40. Alcuni riscontri
documentari contenuti nei suoi taccuini lo confermano. Ne darò conto in un
volume sul ‘giovane Cavalcaselle’ di prossima pubblicazione. Sembra, però, che
le sue prime perlustrazioni siano state rapide e ‘superficiali’ (almeno
rispetto agli standard a cui il conoscitore ci ha abituato), senza troppa attenzione
per i centri minori. Anche Eastlake aveva già visitato l’Umbria (nel 1855) e la
parte alta delle Marche (nel 1857). A distinguere l’episodio del 1858 fu
l’escursione capillare svolta in aree del fermano e del maceratese (Matelica,
San Severino Marche, Tolentino, Macerata, San Ginesio, Sarnano, Falerone, Massa
Fermana, Montegiorgio, Fermo, Sant’Elpidio a Mare, Monte San Giusto e poi su, a
risalire per Recanati, Ancona, Loreto etc); tali aree erano così ‘fuori mano’
(come le definì Lady Eastlake in una lettera a Ralph Wornum, Keeper della
National Gallery) da non essere citate nemmeno nelle principali guide di
viaggio dell’epoca.
Ma per quanto ci riguarda, l’aspetto veramente interessante è che il viaggio è testimoniato sia nei taccuini di Eastlake, pubblicati a cura di Susanna Avery-Quash, sia in quelli di Cavalcaselle (nel taccuino XII Ms. It. IV, 2037(=12278)). A far passare largamente inosservata la circostanza è stata una banalità: Cavalcaselle cominciava i suoi taccuini da entrambi i lati di essi; per ricostruire la sequenza delle visite – identica a quella di Eastlake – bisogna ribaltare il taccuino XII e consultarlo a ritroso rispetto alle moderne segnature, procedendo dalla carta 58v alla 14v. Se si considerano le sole opere marchigiane, complessivamente, fra i due taccuini, possiamo leggere 88 citazioni: 73 sono in comune e nello stesso ordine di visione. Siamo di fronte, nella maggior parte dei casi – lo si ripete – a opere che i due conoscitori vedevano per la prima volta. Ce n’è abbastanza per dire che il loro vero ‘viaggio di formazione’ nell’arte delle 'Marche sporche' fu proprio quello del settembre 1858 [2].
I ‘markers’
Uno dei ‘miti’ sul fenomeno della connoisseurship è la fruizione ‘individuale’ dell’opera d’arte. Il conoscitore si pone di fronte a essa e la penetra intimamente, senza che nessuno lo disturbi. La straordinaria possibilità di avere a disposizione sia i taccuini di Eastlake sia quelli di Cavalcaselle permette di mettere in crisi quest’approccio 'romantico'. Non solo le attribuzioni sono quasi sempre identiche, ma nei testi a commento dei dipinti si notano espressioni che tradiscono, senza dubbio alcuno, uno scambio di pareri reciproco, avvenuto di fronte alle opere. Ho chiamato ‘markers’ questi momenti rivelatori e ne ho contati 46, dandone conto in appendice. Già Donata Levi, nella sua recensione sul «Burlington Magazine» de I taccuini manoscritti di Giovanni Morelli, curati da Jaynie Anderson (numero 1188, 2002, pp. 170-181) ne aveva indicato uno: in corrispondenza della Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca a Urbino, Eastlake scrisse che i piedi della figura al centro del terzetto sulla destra erano ‘dropsical’ (idropici). Cavalcaselle gli fa da controcanto, disegna (come a lui più congeniale) il piede e accanto scrive ‘idropico’.
Piero della Francesca, Flagellazione di Cristo, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche Fonte: https://www.wga.hu/frames-e.html?/html/p/piero/3/04flage1.html |
Un paio di altri esempi. Osservando la Madonna
di Senigallia (da entrambi data a Fra Carnevale) l’inglese scrisse che i
nasi delle due figure di sfondo erano lunghi, ma larghi alla fine, definendoli
‘calmucchi’ (dalla popolazione dell’odierna repubblica russa). Poi tirò una
riga su calmucco e scrisse che erano ‘africani’; per Cavalcaselle i nasi
(naturalmente disegnati) erano direttamente ‘africani’ (come si legge accanto
al loro schizzo).
Piero della Francesca, Madonna di Senigallia, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche Fonte: https://www.wga.hu/frames-e.html?/html/p/piero/3/11seniga.html |
Ma i ‘markers’ non si limitano, naturalmente, ad aspetti lessicali. La maggior parte riguarda rinvii comuni a opere di altri artisti, spesso non scontati. Nella tavola centrale della predella della Madonna della Rondine (quella Madonna della Rondine che sappiamo essere stata oggetto di una strenua difesa da parte di Cavalcaselle perché non fosse venduta a Eastlake nel 1862, ma che – ironia della sorte – fu vista per la prima volta proprio da Cavalcaselle ed Eastlake insieme) entrambi segnalano la posa michelangiolesca del S. Giuseppe; in quella di destra i tre soldati del Martirio di S. Sebastiano sono ricondotti da tutti e due a Pollaiolo.
Carlo Crivelli, Madonna della Rondine, Londra, National Gallery Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/carlo-crivelli-la-madonna-della-rondine-the-madonna-of-the-swallow |
Mi sembra chiaro – questa è la mia tesi – che, pur nella sostanziale indipendenza di giudizio di ognuno, la visione condivisa fosse considerata da entrambi un momento di fruizione preferibile, perché evidentemente aiutava a mettere a fuoco gli elementi fondamentali delle opere attraverso la dialettica scaturita dall’osservazione. Le frequenti occasioni in cui dai taccuini di Cavalcaselle sappiamo che non visitava i musei da solo e da quelli di Eastlake che viaggiava quasi sempre con Mündler, certificano, a mio avviso, che non si trattò di un episodio isolato, ma di un metodo perseguito dai conoscitori dell’epoca. L’argomento, a mio avviso, meriterebbe di essere approfondito.
Il viaggio del 1858 e quello con
Morelli del 1861
Rimando chi
interessato alla lettura del saggio. Qui mi resta da affrontare una questione
che, in quella sede, ho appena accennato. Che rapporto esiste fra gli appunti
di Cavalcaselle del 1858 e quelli di Morelli nel taccuino marchigiano del 1861
(compilato in occasione della missione ministeriale)? Rispondere è
difficilissimo. Sicuramente esiste un dato oggettivo: Cavalcaselle si portò
dietro i suoi quaderni compilati tre anni prima e, in coincidenza delle opere
già viste, scrisse i valori di stima che lui e Morelli attribuirono ai quadri
in quell’occasione. Si tratta di una delle tante ‘sedimentazioni’ di cui sono
stracolmi i taccuini di Giovanni Battista. In generale le note di Morelli
sembrano più brevi, ma sostanzialmente analoghe a quelle di Cavalcaselle; mi
stupirei se i due non le avessero lette mentre vedevano i quadri. Più in
generale, però, esiste un problema di metodo che a mio avviso impedisce, o se
non altro sconsiglia, un confronto letterale così come ho operato nel caso di
Eastlake e Cavalcaselle. La questione è semplice: non disponiamo dell’originale
dei quaderni morelliani. In collezione privata, sono stati fatti consultare a
Jaynie Anderson che ne ha ricavata la già citata trascrizione. La mia
impressione, tuttavia, è che si tratti di una versione troppo ‘appiattita’ in una
prospettiva cronologica. Mi spiego meglio: non capita quasi mai che un taccuino
si possa leggere come se fosse un libro, dalla prima all’ultima pagina, senza
che il suo autore abbia un ripensamento, a giorni o anni di distanza. Questo
dato, nella versione Anderson, non emerge. Chi studia le fonti sa che, in
questi casi, c’è un’unica cosa da fare: tornare a ricontrollare l’originale e riverificare
tutto. Purtroppo, al momento la cosa non è possibile. Il mio dubbio, nella
fattispecie, è che Cavalcaselle possa aver scritto almeno una parte del
taccuino morelliano. Ci sono parti – sia chiaro – che per contenuti sembrano
indiscutibilmente del futuro senatore: ad esempio quando Giovanni spende parole
di stima estrema e smarrimento su Cavour alla notizia della sua morte e, invece, quando usa parole di
fuoco per Garibaldi e i garibaldini, autentici ‘terroristi’. Ma a Pesaro, ad
esempio, parlando del polittico di Jacobello con la Beata Michelina e santi
leggo testualmente nell’edizione Anderson: «Dirimpetto
al quadro di Gian Bellino vi sono 6 figure di santi su fondo d’orato» (p. 61).
Quel «d’orato» è errore grammaticale tipico nei quaderni di Cavalcaselle, che,
notoriamente, masticava assai male la lingua italiana: è anch’esso, in senso
completamente diverso da prima, un vero e proprio ‘marker’. Mi pare poco
probabile che nello stesso svarione possa essere caduto Giovanni Morelli, uomo
di cultura ben più vasta e solida. Non c’è che sa sperare che, prima o poi,
anche il taccuino del 1861 possa essere messo a disposizione della comunità
scientifica.
NOTE
[1] Si legga Donata
Levi, Storiografia artistica e politica di tutela. Due memorie di G.B.
Cavalcaselle sulla conservazione dei monumenti (1862) in Alessandro Masi (a
cura di), L’occhio del critico. Storia dell’arte in Italia tra Otto e Novecento,
Firenze, Vallecchi, 2009, pp. 199-207.
[2] La divisione fra 'Marche pulite' e 'Marche sporche' è secolare. Nelle prime sono comprese le attuali Marche settentrionali (Pesaro e Ancona), gravitanti (specie Pesaro) sulla Romagna; nelle seconde Macerata, Fermo e Ascoli. In quest'area si parla, tradizionalmente, un dialetto completamente differente dal pesarese e dall'anconitano.
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