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domenica 12 marzo 2023

Luca Brignoli. La collezione di Antonio Piccinelli (1816-1891)



Luca Brignoli
La collezione di Antonio Piccinelli
(1816-1891)

Bergamo, Lubrina Bramani Editore, 2021

Recensione di Giovanni Mazzaferro

 


In conclusione della sua edizione delle Vite de’ pittori scultori e architetti bergamaschi, Franco Mazzini, nel 1970, inseriva le postille alle biografie tassesche operate a metà Ottocento da Antonio Piccinelli (1816-1891), apprezzando, oltre a qualche preziosa ricalibratura nelle attribuzioni, le informazioni fornite sul destino delle opere e sulle loro vicissitudini collezionistiche.

Nel 2021, a cinquant’anni di distanza, Luca Brignoli dedica una solida monografia alla figura del Piccinelli e alla sua collezione, meno famosa di quelle del conte Carrara, di Guglielmo Lochis e di Giovanni Morelli, che per la maggior parte sono confluite in Accademia Carrara e hanno, quindi, ancor oggi una loro visibilità; diverso il destino della raccolta di Piccinelli, le cui opere furono disperse, soprattutto nel corso del Novecento, con comportamenti forse oltre la legalità, sicuramente oltre l’etica che dovrebbe guidare un collezionista illuminato (e i suoi eredi).

 

La collezione Piccinelli


Fra Galgario, Ritratto del conte Flaminio Tassi(?), 1720-1725, Milano, Pinacoteca di Brera
Fonte: https://pinacotecabrera.org/en/collezione-online/opere/portrait-of-count-flaminio-tassi/


Mi pare, onestamente, fuori di dubbio che il principale merito dell’autore sia quello di essere riuscito a schedare un’ottantina delle circa duecento opere che, nella seconda metà dell’Ottocento, fecero parte della raccolta del collezionista di Seriate. Fra esse le più note sono probabilmente la Madonna con il Bambino e i santi Rocco e Sebastiano di Lorenzo Lotto (si veda la copertina del libro), oggi alla National Gallery di Ottawa e il Ritratto di Flaminio Tassi(?), detto anche Il Parruccone di Fra Galgario, attualmente a Brera. In molti casi però (almeno venticinque) l’elenco di Brignoli presenta dipinti individuati per la prima volta. Non si può pertanto non considerare nucleo centrale del volume il catalogo dei dipinti che contiene le schede delle singole opere.

Da un punto di vista prettamente sociale, Piccinelli si può considerare un collezionista di tipo diverso rispetto ai Carrara e ai Lochis che lo avevano preceduto. Originario di Seriate (e la collezione qui fu esposta salvo successivi trasferimenti nel palazzo di Bergamo operati soprattutto dagli eredi), non era nobile. Proveniva, tuttavia, da una famiglia agiata. Alla morte del padre si occupò della gestione del patrimonio familiare e, soprattutto, dell’impresa serica che ne costituiva la fonte di reddito più importante, circostanza che non può non ricordare quella di Morelli, i cui genitori provenivano da famiglie di origini svizzere, trasferitesi rispettivamente a Verona e Bergamo dove esercitarono l’attività serica. Le affinità, peraltro, finiscono qui. Basterebbe ricordare, ad esempio, che Piccinelli era espressione di un ambiente profondamente cattolico, mentre Morelli era protestante.

La ‘non-nobiltà’ di Piccinelli, tuttavia, non ci può esimere dal collocarlo sulla scia di una tradizione collezionistica che appunto in Carrara e Lochis aveva avuto illustri precedenti e che costituiva una sorta di terreno comune a molte delle famiglie benestanti bergamasche dell’epoca. L’interesse di Antonio è rivolto – e non c’è da stupirsene – verso opere di area bergamasca e veneta (‘e’ e non ‘o’, perché è bene ricordare ancora una volta la secolare appartenenza della città orobica alla Repubblica veneta); gli artisti vanno dal tardo Quattrocento all’Ottocento (ma in questo caso si tratta di commissioni dirette del Piccinelli e non di interventi sul mercato), con rari sconfinamenti sugli oltremontani più in voga e sui lombardi intesi in senso ‘ampio’. Tutto fa ritenere che il collezionista non fosse uno sprovveduto. Intanto è da segnalare che Antonio tenne nota (con un certo autocompiacimento) dei suoi acquisti in una serie di appunti che purtroppo oggi sono andati perduti.  Questi fogli ci sono comunque noti, almeno in parte, col nome di Zibaldone e sono stati pubblicati dal generale Giacomo Siffredi, sciagurato erede di Antonio, nel 1972. Quanto sia stata effettivamente fedele la trascrizione è aspetto che non ci è dato conoscere, posto che l’originale è andato smarrito. Ci è invece noto un brogliaccio, probabile abbozzo della versione a stampa del Siffredi, che viene qui edito per la prima volta. Certo che ci sono aspetti che fanno riflettere e che, personalmente, mi inducono a ritenere che l’attività collezionistica del Piccinelli (almeno quella più precoce) sia ancor oggi fortemente sottovalutata.

Mi spiego con un esempio: se non sono stato cattivo lettore, il primo episodio collezionistico del seriatese è un insuccesso, ma è clamoroso. Nel 1845 Piccinelli compì infatti – sono parole sue – il suo primo viaggio a Venezia. Qui, nello studio del pittore e mercante Natale Schiavoni, vide Il sarto di Giovan Battista Moroni, già appartenuto a casa Grimani (quindi, con una sua illustre storia collezionistica); un’offerta di 60 napoleoni d’oro non fu sufficiente ad assicurarselo. L’anno dopo l’opera fu ceduta a Federico Frizzoni che, nel 1862, la cedette per 200 napoleoni d’oro a Charles Eastlake per la National Gallery. Ora: non si vede perché Piccinelli dovrebbe mentire; ma è chiaro che chi voglia entrare nel mondo del collezionismo (all’epoca Antonio aveva ventinove anni) non comincia da un pezzo da novanta come Il sarto. Mi si risponderà che Moroni all’epoca era fortemente sottovalutato, ed è vero (ma non per un bergamasco); resta il fatto che manca il contesto dell’attività collezionistica di Piccinelli almeno fino al 1850. Certamente non per colpa di Brignoli; forse semplicemente perché furono anni in cui Antonio non annotava sistematicamente i suoi acquisti; forse perché Siffredi aveva cose da nascondere, e cassò le relative informazioni; o, ancora, perché lo Zibaldone giunse incompleto.

Giovanni Battista Moroni, Il sarto, 1565-1570, Londra, National Gallery
Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/giovanni-battista-moroni-the-tailor-il-tagliapanni

 

Piccinelli e i suoi interlocutori: Giuseppe Fumagalli

In generale, l’attività collezionistica di Piccinelli è ben documentata (e dovette conoscere il suo apice) negli anni Sessanta: Lotto, Moroni, Fra Galgario: sono questi i punti di riferimento del suo gusto e non vi è dubbio che si tratti di un gusto modellato sul suo essere bergamasco. Molto interessanti i disegni relativi alle modalità con cui provvide all’allestimento delle opere in quel di Seriate, con allestimento a quadreria, ma assenza di una ‘galleria’ unica: sono tre, piuttosto, le sale in cui i dipinti furono collocati, secondo criteri di uniformità iconografica (p. 42). Un aspetto importante  mi pare sia quello delle figure a cui Piccinelli si rivolse nella sua ricerca di quadri; fra queste spicca senza dubbio Giuseppe Fumagalli, restauratore, intermediario, mercante. L’uomo – lo confesso – suscita particolarmente la mia curiosità perché si trova citato in molte occasioni anche nei taccuini manoscritti di Giovan Battista Cavalcaselle presso la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia e praticamente mai nei taccuini di Eastlake e Mündler. Va chiarito che, sia fra le carte di Piccinelli sia fra quelle di Cavalcaselle le citazioni dei ‘Fumagalli’ vanno prese con beneficio d’inventario perché il cognome era particolarmente comune. Così, ad esempio, è probabile che quando Cavalcaselle, in un disegno degli anni 1866-1868 circa di opera vista presso Poldi Pezzoli scrive che «era da Fumagalli a Milano» (Ms. It. IV, 2032 (=12273) - Fascicolo XVI – f.-81r) stia parlando di «Tiburzio Fumagalli negoziante di quadri in S.da da Monte Napoleone», come si legge in una nota di Piccinelli del 1861 (p. 56); e il collezionista bergamasco non manca nemmeno di richiamare in più occasioni il più anziano Bortolo Fumagalli (1781-1863), che gli diede pareri su quadri e attribuzioni. È invece chiaro che già nel 1845 Giuseppe Fumagalli (o Giuseppino, come a volte viene chiamato) accompagnava Piccinelli a Venezia, entrando in trattativa proprio per Il sarto di Moroni, e lo accompagnava anche in una gita artistica a Parma nel 1865. Il rapporto fiduciario, insomma, andò avanti per decenni; ancora nel 1877, il seriatese scrisse: «comperato dal sig. Favenza, a mezzo del povero sig. Fumagalli…», chiaro indice che Giuseppe doveva essere morto da poco e che la collaborazione reciproca andò avanti sino alla fine. Le citazioni di Cavalcaselle, invece, si concentrano soprattutto nella seconda parte degli anni Sessanta, per quanto si riesca a dedurre dalle carte (è noto che Cavalcaselle non indicava quasi mai date). Così, ad esempio, si fa riferimento a un restauro operato da Fumagalli nel 1867 (si veda Ms. It. IV, 2032 (=12273) - Fascicolo XVIII - ff. 40v.). L’incrocio delle testimonianze, peraltro, permette di far luce sulle circostanze delle visite di Cavalcaselle a Bergamo [1]. In Ms. It. IV, 2032 (=12273) - Fascicolo XVIII -  f. 5v Giovanni Battista schizzò la sola forma rettangolare di un «San Girolamo attaccato alla Croce» firmato Marco Basaiti e visto presso il conte Lochis. 


Fondo Cavalcaselle Biblioteca Nazionale Marciana Ms. It. IV, 2032 (=12273) - Fascicolo XVIII -  f. 5v (ingrandimento)


Poi con grafia più ampia, a matita, vergò «ora da S[ig?] Piccinelli – comperato»; dimostrando peraltro di sospettare fortemente dell’autenticità della firma aggiunse che forse poteva essere stata scritta (cioè aggiunta) da Antonio Fidanza, famigerato falsario (e restauratore) milanese. Nello Zibaldone si legge che Piccinelli comprò il quadro, con l’intermediazione di Fumagalli, il 10 aprile 1866, il che fornisce un termine ante e post quem rispettivamente per lo schizzo e per le note posteriori cavalcaselliane. Siamo, comunque, nel periodo in cui il celebre conoscitore italiano sta passando nuovamente al setaccio il nord Italia, e soprattutto, il Lombardo Veneto in vista della pubblicazione della History of Painting in North Italy (1871) [2].

 

Giovanni Morelli

Non sappiamo quali fossero i rapporti di Piccinelli col senatore Morelli. Non sembra esserci stato un rapporto continuativo di consulenza di quest’ultimo a favore della collezione di Antonio. Ciò non toglie che si debba presumere che vi fosse reciproco rispetto. È un fatto comunque curioso che, fra le poche citazioni del senatore, due si distinguano perché non lo mettono particolarmente in buona luce. Nel primo caso si parla del San Girolamo in meditazione all’epoca attribuito ad Alessandro Bonvicino e oggi dato al Moretto. Comprato da Piccinelli nel 1864, lo stesso compratore scrisse nel suo Zibaldone di essersi lasciato convincere dal senatore a venderglielo l’anno dopo (a prezzo più che raddoppiato). Morelli lo avrebbe rassicurato che l’opera sarebbe a sua volta stata venduta al marchese Arconati (p. 242), ma in realtà il vero acquirente fu Austen Henry Layard per conto del cugino Sir Ivor Guest. Siamo, c’è da presumere, attorno al 1866; in quell’anno Layard entrò anche in possesso di un considerevole numero di opere provenienti dalla ferrarese collezione Costabili, che spartì sempre col cugino. [3] Layard, peraltro, subito dopo la morte di Charles Eastlake (vigilia di Natale del 1865) era stato brevemente preso in considerazione come nuovo direttore della National Gallery. Mi sembra evidente che Morelli (che fino a quel momento non era mai stato in Inghilterra) fece di tutto per diventare il ‘consulente’ di riferimento dell’establishment artistico inglese. Ci riuscì, probabilmente anche in virtù di comportamenti non sempre lineari come quello appena delineato. La seconda annotazione riguarda una postilla apposta alle Vite del Tassi in corrispondenza della biografia di Lorenzo Lotto e, in particolare, del Ritratto di Giovanni Agostino della Torre e del figlio Niccolò, oggi alla National Gallery. Qui la riserva sembra piuttosto espressa sulle persone a cui si affidò il futuro senatore, proprietario del quadro dal 1858, per restaurarlo: «lo diede in mano al prof. Molteni che lo trattò barbaramente facendo perdere perfino il berretto, a cui ne sostituì poi un altro [sic] di natura fiorentina. Malgrado tutto ciò quest’anno, 1863, il sig. Morelli riuscì a venderlo per Lire 8000 al sir Charles L. Easthake [sic]  lo acquistò pel Museo di Londra dove è direttore» (p. 78). Tralascio le vicende, notissime, legate allo stato dell’opera e all’identificazione dei soggetti; cert’è che nemmeno in questa occasione Morelli sembra uscirne bene.

Lorenzo Lotto, Ritratto di Giovanni Agostino della Torre e del figlio Niccolò, 1515-1516, Londra, National Gallery
Fonte: https://www.nationalgallery.org.uk/paintings/lorenzo-lotto-giovanni-agostino-della-torre-and-his-son-niccolo

 

Le postille alle Vite del Tassi

Quella che abbiamo visto, riferita al quadro di Lotto oggi alla National Gallery, è una delle postille apposte da Piccinelli alle Vite del Tassi, espressione di quanto stretto sia stato (e non nel caso del solo Antonio) il rapporto fra collezionismo e letteratura artistica locale. Si tratta di informazioni eterogenee, che comprendono aggiornamenti sulla collocazione (o sulla perdita) dei dipinti, su eventuali nuove evidenze sulle biografie degli artisti, sulle imprese collezionistiche intraprese dallo stesso Piccinelli (l’identificazione di alcuni quadri appartenuti alla raccolta si basa proprio sulla descrizione fornita nelle note manoscritte). Capita, dunque, che postille e zibaldone si riscontrino a vicenda su quest’ultimo aspetto. Più in generale, tuttavia – e ne ebbe contezza anche Mazzini nel 1970 – si tratta di note che rivelano come il Tassi fu strumento di lavoro imprescindibile per il collezionista di Seriate che, evidentemente, lo lesse e lo rilesse più volte con la massima attenzione. In merito credo sia opportuno citare direttamente Brignoli: «Punto centrale dell’attività di scrittore d’arte furono le postille alle Vite de’ pittori, scultori e architetti bergamaschi di Francesco Maria Tassi, in cui annota informazioni su autori e opere di area veneta e lombarda. Il collezionista non si limita a riportare le notizie sui dipinti che lo riguardavano direttamente tra quelli citati dal conte Tassi, ma fornisce precisazioni su restauri, passaggi di proprietà e dati in genere sulle opere d’arte e sugli edifici sacri e civili della Bergamo dell’Ottocento.» (p. 14). Per vicende poco edificanti ampiamente illustrate dall’autore l’esemplare dell’opera è attualmente smarrito e si trova probabilmente a Imperia. Trovarlo permetterebbe di verificare che il lavoro di trascrizione sia stato effettuato in maniera accurata. Ci auguriamo che succeda presto.

 

NOTE

[1] So che sull’argomento ha studiato Olga Piccolo. La mia è sola una minima osservazione effettuata senza averne letto gli scritti, e quindi mi scuso in anticipo.

[2] La circostanza che Cavalcaselle abbia visto due volte l’opera è peraltro confermata dall’esistenza di un secondo schizzo, anch’esso sommario, ma più dettagliato, in cui scrive che era opera «Lochis – ora S. Piccinelli», questa volta realizzato chiaramente in un uno stesso (successivo) momento. Cfr. Brignoli p. 254.

[3] Luca Majoli e Oriana Orsi, La collezione Costabili: formazione, vendita e dispersione in Emanuale Mattaliano, La collezione Costabili, Venezia, Marsilio, 1998, pp. 25-26.

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