Charles Davis
Vasari in England: an Episode
Was Mrs. Foster a Plagiarist?
Uniheildeberg, 2013
Recensione di Giovanni Mazzaferro
L’edizione delle
Vite vasariane tradotta da ‘Mrs. Jonathan Foster’
La prima traduzione
integrale delle Vite di Giorgio Vasari in inglese risale agli anni compresi fra
1850 e 1852, nel cui lasso di tempo l’editore Henry G. Bohn pubblicò cinque
volumi voltati in inglese e commentati da «Mrs. Jonathan Foster». A tale versione è
dedicato il saggio che nel 2013 Charles Davis ha scritto per Fontes, la
collana online di fonti e documenti per la storia dell’arte curata dall’Università di
Heidelberg e disponibile online.
Il frontespizio del primo volume delle Vite vasariane tradotte da Eliza Foster Fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/Eliza_Foster#/media/File:Mrs_Jonathan_Foster,_Vasari's_Lives.jpg |
Credo si possa dire
che lo scritto di Davis sia la reazione a un precedente saggio che, nel 2010,
Patricia Lee Rubin aveva pubblicato all’interno di Le Vite del Vasari: Genesi,
topoi, ricezione, a cura di Alessandro Nova e altri [1]. Qui l’autrice cercava
di ribaltare una tradizione certo non favorevole nei confronti dell’edizione
Foster, esplicitatasi a stampa in Gran Bretagna soprattutto verso la fine
dell’Ottocento. In particolare Rubin sosteneva che, nelle note alla sua edizione, Foster dimostrava di esercitare nelle annotazioni una costante capacità critica,
muovendosi fra le versioni a stampa precedenti e le osservazioni che la
curatrice stessa assicurava di aver svolto nel corso dei suoi frequenti viaggi nelle principali
gallerie europee. Certamente le affermazioni di Rubin hanno avuto buon successo
nell’ambito della letteratura di genere anglosassone degli ultimi anni (anche
dopo il presente saggio); quello che è certo è che Davis guarda con una certa
insofferenza nei confronti degli eccessi di questo tipo di approccio: «Whether Mrs. Foster was a
woman or a man is not perhaps of great interest, since nature has divided the
human species fairly evenly between the two kinds» (p. 17). Sinceramente la querelle non
appassiona neppure il sottoscritto, ma mi sembra importante, nel caso
specifico, seguire le argomentazioni di Davis perché l’edizione Foster è,
seppur involontariamente, causa di un evento fondamentale nella storia della
connoisseurship europea (ossia il ritorno di Cavalcaselle in Italia nel 1857, dopo l'esilio inglese).
Il mondo editoriale
vittoriano e le donne
Il mondo editoriale britannico, in età vittoriana, era in pieno fermento. Il livello di alfabetizzazione della popolazione era nettamente superiore rispetto alla media europea e i progressi della tecnologia (non solo editoriale: si pensi allo sviluppo della rete ferroviaria, che ‘liberava’ tempi di lettura per i viaggiatori sui treni) fecero sì che stampa (periodica o non) andasse incontro a uno sviluppo rapidissimo. In questo contesto, lo spazio per le donne era significativo, ma limitato. A esse era sostanzialmente demandata la letteratura per l’infanzia; al di fuori di questa nicchia, il ruolo della donna era circoscritto alle traduzioni in inglese da lingue straniere. Per restare in ambito artistico potrei citare la traduzione del Libro dell’Arte di Cennino Cennini (1844) con cui Mary Philadelphia Merrifield, da perfetta sconosciuta, si impose sulla scena, pubblicando successivamente The Art of Fresco Painting (antologia di brani italiani e spagnoli sulla tecnica della pittura a fresco) e gli Original Treatises on the Arts of Painting (1849); vi fu poi Elizabeth Rigby (poi moglie di Charles Eastlake) che tradusse dal tedesco i libri di Passavant e Kugler; il caso Rigby, peraltro, fu del tutto particolare, perché Elizabeth era anche una delle firme di punta della Quarterly Review e firmava i suoi saggi pubblicati su quella rivista; eccezione alla regola, che prevedeva l’anonimato degli autori di articoli e/o saggi non solo nel caso delle donne, ma anche in quello degli uomini. Non di rado, peraltro, capitava che venissero pubblicate traduzioni operate da donne, ma sotto nomi maschili o soprannomi. È appunto il caso di ‘Mrs Jonathan Foster’, autrice della traduzione vasariana.
Sull'esistenza di Mrs. 'Jonathan' Foster
Quando Davis pubblicò il presente saggio, nel 2013, nulla si sapeva sulla traduttrice. Era chiaro che usava uno pseudonimo (quello del marito?) e solo da poco era emersa una lettera in cui si firmava 'Eliza Foster'. Nonostante la presenza di questa missiva. Davis continuava a essere dubbioso sull'esistenza stessa di una 'Eliza' e di ìJonathan Foster'. Il ragionamento, non privo di una sua logica, era il seguente: nel 1848, sempre per lo stesso editore, ossia Henry G. Bohn, fu completata la traduzione in inglese (questa volta dal tedesco) dei tre volumi di The History of Popes, their Church and State, and Especially of their Conflicts with Protestantism in the Sixteenth & Seventeenth Centuries del tedesco Leopoldo von Ranke; era firmata ‘E. Foster’; nel 1854, sempre per Bohn (nel frontespizio troviamo indicato ‘Mrs. Jonathan Foster’) a essere pubblicati furono i tre tomi della History of the Dominion of the Arabs in Spain di José Antonio Conde (la lingua originale era lo spagnolo). Tre opere (tenendo conto anche delle Vite vasariane) di dimensioni grandissime, di argomento completamente diverso, scritte inizialmente in tedesco, italiano, spagnolo. Troppo per una persona sola. Davis ipotizzò che ‘Eliza’ o ‘Jonathan’ Foster potesse essere uno pseudonimo, addirittura 'collettivo', a cui qualcuno (più di uno) ricorse fra 1848 e 1855 pubblicando per Bohn. Circostanza che, a dire il vero, mal quadrava non solo con l'esistenza della lettera appena citata, ma anche sul fatto fra 1856 e 1857 Foster scrisse anche per l'Art Journal. I suoi articoli sono firmati in maniera anonima ‘An Old Traveller’, ma in coincidenza col suo primo contributo la direzione del periodico scrisse che si trattava della «lady who has recently translated Vasari’s Lives».
Oggi è chiaro che Eliza Vere Foster è esistita veramente. Il suo nome è indicizzato in vari repertori sulla letteratura vittoriana [2]. Sappiamo che nacque nel 1802, che Jonathan Foster fu il suo secondo marito (rimase vedova prestissimo); che fu autrice di un romanzo nel 1864 (The Boatman of the Bosphorus) pubblicato con un altro pseudonimo (The Osmanli Abderahman Effendi) e che dopo la morte del marito visse in miseria. Ciò che non è chiaro è come mai, dal 1874 in poi vivesse a Bergamo, dove morì nel 1880. Ne è stata rintracciata persino la tomba, nel cimitero evangelico della città lombarda.
La tomba di Eliza Foster (cimitero evangelico di Bergamo) Fonte: Dans tramite Wikimedia Commons |
La traduzione
I nuovi elementi acquisiti non esimono tuttavia da un giudizio sulla traduzione delle Vite. Qui il saggio di Davis sembra ancora ben valido.
Davis conferma che
quella di Foster fu la prima traduzione ‘integrale’ in inglese delle Vite
vasariane (‘integrale’ fra virgolette perché in realtà mancavano la sezione
iniziale sulle tecniche, la lettera dell’Adriani e le pagine scritte da Giovan
Battista Cini sugli apparati per l’ingresso di Giovanna d’Austria a Firenze in
occasione delle sue nozze con Francesco I de Medici nel 1565), ma segnala che
la ricezione del testo era stata ben precedente [3]. In particolare fa presente
che Henry Wotton, nei suoi Elements of Architecture del 1624 dimostrò una
comprensione del testo tale per cui «[n.d.r. his] reading of Vasari is not
concerned with anedoctes and curious stories, but with Vasari’s thoughts and
models, and thus Wotton draws Vasari into the English tradition of art
criticism» (p. 6).
Foster appare ben
lontana da una simile visione critica. La sua traduzione, peraltro, fu
considerata, col passare degli anni, più che altro una parafrasi del testo, con
un’attenzione a non turbare il lettore decisamente eccessiva, se anche la
citazione nel testo originale di una pulce (sic) è accompagnata da una nota di
scuse a chi legge. La parafrasi – sono giudizi del 1911 – faceva perdere
completamente, inoltre, la vivacità dell’originale dello scrittore aretino.
Un plagio?
Ma non è la qualità
della traduzione l’aspetto che più interessa a Davis (e al sottoscritto). Si
tratta, piuttosto, di capire se Foster davvero operò, nel suo commento, una
felice sintesi fra notazioni di varie edizioni precedenti, aggiungendovi del
suo, come dichiarato in prefazione. L’analisi dell’autore si è basato sulla vita
di Michele Sanmicheli e su quella di Giotto. Pur essendo così parziale, un
riscontro è evidente: nella stragrande maggioranza dei casi si tratta della
semplice traduzione di annotazioni pubblicate nell’edizione Passigli
(1832-1838), curata da Giuseppe Montani e da Giovanni Masselli, o della
traduzione in tedesco dell’opera vasariana eseguita da Ludwig Schorn ed Ernst Förster fra 1832 e 1849 (in
sei volumi). La circostanza non è sempre dichiarata e non lo è proprio per far
credere che il numero delle fonti consultate sia stato ben maggiore o che vi
siano apporti personali, ma in realtà siamo di fronte a un vero e proprio
plagio (inteso in senso moderno). Nel caso del medaglione biografico dedicato a
Giotto, come unica differenza rispetto al Sanmicheli, subentra una terza fonte,
ossia il primo volume dell’edizione Le Monnier, pubblicato nel 1846 e curato da
Carlo e Gaetano Milanesi, Carlo Pini e Vincenzo Marchese.
Il progetto di una
seconda edizione inglese delle Vite vasariane
Tutto questo discorso per meglio comprendere come mai nel 1857 (circostanza ricordata da Davis) una compagine societaria composta dall’editore John Murray, dal direttore della National Gallery Charles Eastlake, da Tom Taylor, drammaturgo e amatore d'arte (fu successivamente critico d’arte del Times per molti anni) e Henry Layard, archeologo, collezionista e conoscitore, conferì a Giovan Battista Cavalcaselle (che viveva da esule a Londra) l’incarico di recarsi in Italia per raccogliere dati storico artistici per una nuova edizione inglese delle Vite vasariane: non si trattava solo di verificare la collocazione delle opere citate, ma di vedere il maggior numero possibile di opere e raccogliere documenti d’archivio per chiarire snodi critici fondamentali. Il contratto fu siglato il 13 luglio, ma nei suoi scritti conservati presso la Biblioteca Nazionale Marciana si capisce che Cavalcaselle era già certo di tornare in Italia alla fine del 1856 [4]. Erano passati appena quattro anni (forse cinque) dalla fine dell’edizione Foster. È appena evidente che per i grandi conoscitori europei essa si era dimostrata di nessun valore; è evidente peraltro dai loro taccuini che uomini come Eastlake, o come Otto Mündler, che appartenevano all’élite della connoisseurship europea, la traduzione inglese di Mrs. Jonathan Foster non aveva nessun valore; giravano avendo in mano quella Le Monnier sopra citata che, in quegli anni, stava finendo di essere pubblicata. Dirò di più: nemmeno l’edizione Le Monnier doveva soddisfare figure come Eastlake; altrimenti il direttore della National Gallery avrebbe proposto a Murray, che era l'editore di riferimento per la moderna storiografia artistica, di tradurre quella e non di inviare Cavalcaselle in Italia. Il ritorno del conoscitore italiano in patria, dunque, fu diretta conseguenza dell’inaffidabilità dimostrata dai volumi curati da Mrs. Foster. Le cose, come noto, non andarono come sperato. La massa dei materiali accumulati da Cavalcaselle fra 1857 e 1860, specie in occasione dei viaggi nell’Italia meridionale, mandò in crisi il progetto; divenne chiaro, in un primo momento solo all’italiano, poi anche a Murray, che non si trattava più di ‘completare’ la storia dell’arte vasariana, ma di scriverne una nuova, circostanza che avvenne, fra 1864 e 1866, con la pubblicazione dei tre volumi a firma Crowe e Cavalcaselle sulla New History of Painting in Italy from the second to the sixteenth century.
NOTE
[1] Patricia Lee
Rubin, "Not what I would fain to offer, but what I am able to present": Mrs.
Jonathan Foster’s Translation of Vasari’s Lives in Alessandro Nova et alii (a
cura di), Le Vite del Vasari: Genesi, topoi, ricezione, Venezia, Marsilio,
2010, pp. 317-331.
[2] Si veda Bassett, Troy J. "Author: Eliza Vere Foster." At the Circulating Library: A Database of Victorian Fiction, 1837—1901, 15 December 2022, http://www.victorianresearch.org/atcl/show_author.php?aid=1072. Accessed 11 February 2023. Ma anche semplicemente la relativa voce su Wikipedia
[3] Per una
panoramica si veda anche Cecilia Hurley, “Englishing Vasari” in Corinne
Lucas Fiorato - Pascale Dubus (a cura di), La réception des Vite de
Giorgio Vasari dans l’Europe des XVIe-XVIIIe siècles, Ginevra, Droz, 2017,
pp. 409-425.
[4] Rimando alla
futura pubblicazione (autunno 2023) di Giovanni Mazzaferro, Il giovane
Cavalcaselle, Firenze, Leo S. Olschki.
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