English Version
Carlo Cesare Malvasia
Felsina pittrice
Lives of the Bolognese Painters
Volume 9
Life of Guido Reni
[Vita di Guido Reni]
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Guido Reni, Aurora, 1612-1614, Roma, Palazzo Pallavicini-Rospigliosi Fonte: The Yorck Project tramite Wikimedia Commons |
Edizione critica, traduzione e saggio di Lorenzo Pericolo, note storiche di Lorenzo Pericolo con Elizabeth Cropper, Stefan Albl, Mattia Biffis ed Elise Ferone
Corpus delle illustrazioni stabilito da Lorenzo Pericolo, con Mattia Biffis ed Elise Ferone
Published for the Center for Advanced Study in the Visual Arts, National Gallery of Art, Washington,
2 tomi, Turnhout, Harvey Miller. An imprint of Brepols Publishers, 2019
Recensione di Giovanni Mazzaferro. Parte Terza
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Il mercato nella Vita di Guido
Reni
In tutta onestà, non ricordo un
testo precedente alla Felsina, e, nello specifico, alla Vita di Guido
Reni, in cui il mercato e il rapporto col danaro abbiano un ruolo così
importante. Naturalmente, la prima cosa che verrà in mente, parlando
dell’artista bolognese, è la sua proverbiale ludopatia. Ma ridurre il tutto a
questo aspetto è riduttivo. Ciò che mi preme mettere in rilievo è che Malvasia
propone una serie di elementi che danno un’idea dell’importanza del mercato
dell’epoca, a cominciare da un episodio poco noto, quello in cui Guido,
scappato da Roma (per Malvasia nel 1611, in realtà nel 1612), decide di
abbandonare la sua attività artistica e divenire mercante d’arte: “Qui sparse voce di non essere
più pittore né voler più operare che di capriccio e per se stesso, e più tosto
attendere alla mercatura e traffico di pitture antiche e disegni, che con
vantaggiose rivendite osservava passare ogn’ora per mano de’ dilettanti, e
finalmente terminare fra’ studi e nelle galerie non solo di Roma, ma della
Francia, dell’Olanda, dell’Inghilterra, con esorbitante guadagno de’
trafficanti medesimi che vi si arricchivano, come un Mastri, un Manzini, un
Grati. (…). Erasi
già dato totalmente alla raccolta di pitture insigni, [n.d.r. non] senza quelle che del Caravaggio
tanto allora bramate, e di antichi che avea portato di Roma, e per duomila
scudi, prezzo allora considerabile, acquistato le tante delle quali mostrava
riempito tutto il partimento abbasso [n.d.r. tutto il piano terra
della sua abitazione-studio]” (v. I, p. 52). Il discorso tende a evidenziare lo
stato di frustrazione di Reni e una riflessione più generale sullo status
dell’artista; non è l’artefice, ovvero l’autore dell’atto creativo, a veder
pienamente riconosciute le sue capacità creative tramite la realizzazione di un
profitto adeguato, ma il mercante a cogliere i maggiori frutti economici legati
al collezionismo tramite una più o meno sistematica opera di speculazione.
Naturalmente Reni (nel caso specifico tramite l’intervento di Calvaert, che gli
fa presente che la sua sarebbe stata viltà) recede ben presto dai suoi
propositi e riprende a dipingere (ammesso che mai avesse smesso), ma due cose
vanno messe in evidenza: in primo luogo, appunto, la frustrazione dell’artista,
che giustifica i comportamenti successivi, volti alla massimizzazione dei
prezzi delle sue opere, comportamenti dettati non tanto dalla sete di
accumulare ricchezze, ma da quella di veder riconosciuta l’importanza sociale
dell’artista; in seconda battura il fatto che, per la prima volta, irrompe in
una biografia artistica non tanto e non solo la vendita dei quadri, ma la
rivendita dei medesimi, ovvero un mercato strutturato in maniera complessa.
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Guido Reni, Assunzione della Vergine, 1616-1617, Genova, Chiesa del Gesù Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/Image:Assunzione_-_Guido_Reni_(Genova).jpg?uselang=it |
Artisti e denaro nella quarta
età della pittura
Il proemio alla Vita di Guido
si conclude con una frase un po’ involuta, che tuttavia è molto significativa:
“Padre e promotore della
moderna maniera, seppe così innamorarne il mondo, invogliarne i curiosi ed
arricchirne che le fortune delle tavole greche siansi rese dimestiche e
famigliari a’ tempi nostri, al dispetto d’ogni più ostinata avarizia, con
invidia delle più nobili scienze, e finalmente ad onore e decoro impareggiabile
della pittura” (v. I, p. 16). La quarta età della pittura è quella che,
grazie a Guido, permette ai pittori di tornare al prestigio di cui godevano ai
tempi dell’antica Grecia, con grande invidia da parte di tutte le altre nobili
professioni. La fortuna mercantile di Reni, quindi, è un elemento integrante
della nuova maniera moderna.
Naturalmente non dobbiamo pensare
che vengano a mancare tutti i sospetti e i preconcetti nei confronti del
mercato, per cui Malvasia ricorre a una serie di affermazioni che perfettamente
si spiegano nel contesto dell’epoca. Innanzi tutto, vale il principio che la
perfezione non ha prezzo e che nessun tipo di remunerazione monetaria può
compensare la maestria di chi crea arte. Guido, poi, non si occupa quasi mai di
trattative di ordine commerciale, perché la circostanza non si addice a chi si
occupa di creazione artistica: “Ne’ trattati de’ lavori [n.d.r. nelle trattative per i suoi
quadri] si servì sempre
di mezzani e dimestici che mostrassero ottenergli per favore, difficilmente
riducendosi a trattar in persona propria d’accordo, abborrendo il nome di
prezzo in questa professione che diceva doversi negoziare con titolo di
onorario [n.d.r. nel senso di riconoscimento dato per un’opera
liberale] e di regalo”
(v. I, p. 146). Non è corretto, dunque, parlare di ‘vendita’, ma semmai di uno
scambio di liberalità fra l’artista e il committente. E si capisce, quindi,
come mai lo storico bolognese tenda a ricordare i doni (in particolare le
catene d’oro) che l’artista ricevette dagli acquirenti dei suoi quadri. Si
tratta, peraltro, di un riconoscimento a cui ambiva anche lo stesso Malvasia,
che, quando scrisse la sua Felsina, la
dedicò a Luigi XIV e ricevette in cambio, come riconoscimento (dopo un
primo invio non arrivato a destinazione), il famoso Gioiello del Re Sole, che lo
storico definì nel suo testamento il suo bene più prezioso.
Tutto ciò premesso, è appena
evidente che sotto la cortina (e la retorica) del ‘dono’, l’aspetto prosaico
del prezzo dei quadri conta eccome, e Malvasia affronta la questione in
innumerevoli occasioni, avvalendosi anche (limitatamente al periodo 1609-1612)
del Libro dei conti dell’artista (oggi alla Pierpoint Morgan Library di
New York), regalatogli – è lui a scriverlo – da Giovanni Andrea Sirani (è assai
probabile che l’esemplare conservato in America sia quello passato fra le mani
di Carlo Cesare, ma che non sia giunto integro ai giorni nostri). Emergono,
dunque, alcuni elementi caratteristici, il principale dei quali è che,
adottando un sistema che sarà poi seguito da molti altri (si pensi a Guercino eal suo registro contabile)
Guido si fa pagare a figure (o a mezze figure). Si assiste così all’impennata
delle quotazioni che nel corso degli anni arrivano fino a cento scudi a figura
intera e poi passano rapidamente a duecento.
C’è un punto, tuttavia, che va
chiarito: le tante informazioni fornite da Malvasia sulle transazioni (anche
successive alla morte di Guido) non sono gossip; semplicemente, le quotazioni
dei prezzi dei quadri sono parte integrante del modo con cui Malvasia scrive
una biografia, assieme a tanti altri elementi (ad esempio lettere e
componimenti poetici).
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Guido Reni, Adorazione dei Magi, 1638-1642, Cleveland Museum of Art Fonte: https://www.clevelandart.org/art/1969.132 |
Affascinare il pubblico
Guido Reni è l’artista che fa
impennare il livello dei prezzi grazie alla nuova maniera moderna. In ultima
analisi, le quotazioni aumentano perché la domanda supera abbondantemente
l’offerta (e non è un caso che dei quadri di Reni esista un numero
incalcolabile di copie, più o meno dichiarate). La prima domanda da farsi è che
cos’aveva la maniera di Guido per rendere il pubblico così desideroso di
possedere le sue opere e di spendere qualsiasi cifra per ottenerle. Una delle
risposte che fornisce Lorenzo Pericolo è la novità. Torniamo a un aspetto che
abbiamo citato ampiamente in precedenza, e che tuttavia allo storico bolognese era
particolarmente caro: “Malvasia
individua nella novità una “grande forza”, forse la più grande, della storia;
se i quadri di Guido riempiono cuori e menti dei committenti di amore e
desiderio è perché egli aveva creato un nuovo stile, specificamente inteso a
far sensazione, al pari della maniera scura di Caravaggio. (…) Il suo [n.d.r. di
Guido] stile divino turba gli spettatori con eleganza e forza, fino al punto
di portarli all’estasi, tanto che l’elemento razionale si dissolve nella
contemplazione e i sensi sono oscurati dalla visione del supernaturale, ovvero
di forme di bellezza mai viste prima” (v. II, p. 94). In ultima
analisi, è questa tensione all’estasi che porta lo spettatore al desiderio di
possesso e all’impennata dei prezzi, che va documentata soprattutto perché
misura il successo di uno stile. Contemporaneamente il successo funge anche da
stimolo nei confronti dell’artista e, senza dubbio, lo porta a soffrire la
pressione delle aspettative della clientela: “Ché però in quest’ultimo mai sapea staccarsi da’ quadri,
e motteggiato talora di questa sua insaziabilità rispondeva ch’era obbligato a
farvi anche di più che sapea e potea, se fosse stato possibile, venendone
pagato più che mai altro pittore per lo passato” (v. I, 166). L’anziano Guido è un uomo quasi paralizzato
davanti ai suoi quadri incompleti perché non riesce a capire più come andare
ancora più in là, come alzare ulteriormente l’asticella e aumentare il fascino
delle sue opere nei confronti del pubblico.
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Guido Reni, Ritratto di giovane donna con corona d'alloro, 1648-1642, Roma, Musei Capitolini Fonte: https://artsandculture.google.com/asset/UAHQ9yPGQpjdGg |
Il giocatore d’azzardo
Naturalmente il giudizio su Guido
giocatore d’azzardo, sull’uomo che, alla fine di una giornata di lavoro,
dilapida una fortuna giocando a carte, non può che essere negativo. Se Reni è un
modello per la sua capacità di ‘fare denaro’ è altrettanto vero che deve essere
censurato per la facilità con cui lo sperpera. La questione non è così
semplice, e c’è da dire che, per molti aspetti, Guido che getta via quanto
guadagnato lavorando può quasi sembrare un personaggio verso cui nutrire umana
simpatia. In fondo si tratta di un uomo che non tiene la ricchezza in nessuna
considerazione; non è certo un caso che, in proposito, Malvasia citi Rubens. La
tesi dell’erudito è che se Guido avesse amministrato correttamente i suoi
guadagni avrebbe potuto condurre uno stile di vita analogo a quello,
notoriamente sfarzoso, del pittore fiammingo. Invece l’artista (che, una volta
morta la madre, non ha parenti stretti) sembra tenere in spregio qualsiasi
forma di accumulazione o di investimento: non compra terre, non acquista
palazzi, non cerca di mettere a frutto i suoi denari. Indubbiamente una scelta
dal fascino potenziale, che però ha il grande demerito di coprirlo di debiti,
di indurlo a lavorare a ore per poterli pagare, di ricorrere a una produzione
seriale (sia pur superiore a quella di molti altri colleghi) che svilisce il
ruolo sociale del pittore. Il problema è tutto qui: accumulare denaro vuol dire
dare dignità al ruolo della pittura; l’artista quindi deve avere il coraggio di
‘sporcarsi le mani’ per il buon nome della sua categoria; dimostrare di non
averlo in nessuna considerazione significa, invece, gettar fango sulla nobiltà
dell’arte.
Segnalo che e' appena uscita sul sito 'aboutartonline' una recensione molto lunga di Richard Spear a questa edizione. Pur sottolineandone i molti meriti, non risparmia critiche sia a livello della traduzione inglese del testo malvasiano, sia a livello di scelte discutibili nel 'catalogo ragionato' delle opere di Reni presente nel secondo tomo, imputando difetti di connoisseurship ed alcuni errori di datazione delle opere. Grazie
RispondiEliminaGabriele-Urbino
Grazie mille. L'ho letta. Senz'altro un ottimo scritto, e Richard Spear è uno studioso serissimo. Personalmente penso che le recensioni abbiano una funzione diversa. Per prima cosa dovrebbero, ad esempio, presentare i punti fondamentali delle argomentazioni degli autori, cosa che Spear non mette in evidenza. Sulle attribuzioni, specie su quelle di un artista come Reni, il dibattito temo sarà infinito. Un cordiale saluto. Giovanni Mazzaferro
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