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lunedì 25 maggio 2020

Carlo Cesare Malvasia. Felsina pittrice [Vita di Guido Reni]. Parte Terza


English Version

Carlo Cesare Malvasia
Felsina pittrice
Lives of the Bolognese Painters


Volume 9
Life of Guido Reni 

[Vita di Guido Reni]

Guido Reni, Aurora, 1612-1614, Roma, Palazzo Pallavicini-Rospigliosi
Fonte: The Yorck Project tramite Wikimedia Commons

Edizione critica, traduzione e saggio di Lorenzo Pericolo, note storiche di Lorenzo Pericolo con Elizabeth Cropper, Stefan Albl, Mattia Biffis ed Elise Ferone

Corpus delle illustrazioni stabilito da Lorenzo Pericolo, con Mattia Biffis ed Elise Ferone


Published for the Center for Advanced Study in the Visual Arts, National Gallery of Art, Washington,
2 tomi, Turnhout, Harvey Miller. An imprint of Brepols Publishers, 2019

Recensione di Giovanni Mazzaferro. Parte Terza


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Il mercato nella Vita di Guido Reni

In tutta onestà, non ricordo un testo precedente alla Felsina, e, nello specifico, alla Vita di Guido Reni, in cui il mercato e il rapporto col danaro abbiano un ruolo così importante. Naturalmente, la prima cosa che verrà in mente, parlando dell’artista bolognese, è la sua proverbiale ludopatia. Ma ridurre il tutto a questo aspetto è riduttivo. Ciò che mi preme mettere in rilievo è che Malvasia propone una serie di elementi che danno un’idea dell’importanza del mercato dell’epoca, a cominciare da un episodio poco noto, quello in cui Guido, scappato da Roma (per Malvasia nel 1611, in realtà nel 1612), decide di abbandonare la sua attività artistica e divenire mercante d’arte: “Qui sparse voce di non essere più pittore né voler più operare che di capriccio e per se stesso, e più tosto attendere alla mercatura e traffico di pitture antiche e disegni, che con vantaggiose rivendite osservava passare ogn’ora per mano de’ dilettanti, e finalmente terminare fra’ studi e nelle galerie non solo di Roma, ma della Francia, dell’Olanda, dell’Inghilterra, con esorbitante guadagno de’ trafficanti medesimi che vi si arricchivano, come un Mastri, un Manzini, un Grati. (…). Erasi già dato totalmente alla raccolta di pitture insigni, [n.d.r. non] senza quelle che del Caravaggio tanto allora bramate, e di antichi che avea portato di Roma, e per duomila scudi, prezzo allora considerabile, acquistato le tante delle quali mostrava riempito tutto il partimento abbasso [n.d.r. tutto il piano terra della sua abitazione-studio]” (v. I, p. 52). Il discorso tende a evidenziare lo stato di frustrazione di Reni e una riflessione più generale sullo status dell’artista; non è l’artefice, ovvero l’autore dell’atto creativo, a veder pienamente riconosciute le sue capacità creative tramite la realizzazione di un profitto adeguato, ma il mercante a cogliere i maggiori frutti economici legati al collezionismo tramite una più o meno sistematica opera di speculazione. Naturalmente Reni (nel caso specifico tramite l’intervento di Calvaert, che gli fa presente che la sua sarebbe stata viltà) recede ben presto dai suoi propositi e riprende a dipingere (ammesso che mai avesse smesso), ma due cose vanno messe in evidenza: in primo luogo, appunto, la frustrazione dell’artista, che giustifica i comportamenti successivi, volti alla massimizzazione dei prezzi delle sue opere, comportamenti dettati non tanto dalla sete di accumulare ricchezze, ma da quella di veder riconosciuta l’importanza sociale dell’artista; in seconda battura il fatto che, per la prima volta, irrompe in una biografia artistica non tanto e non solo la vendita dei quadri, ma la rivendita dei medesimi, ovvero un mercato strutturato in maniera complessa.


Guido Reni, Assunzione della Vergine, 1616-1617, Genova, Chiesa del Gesù
Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/Image:Assunzione_-_Guido_Reni_(Genova).jpg?uselang=it

Artisti e denaro nella quarta età della pittura

Il proemio alla Vita di Guido si conclude con una frase un po’ involuta, che tuttavia è molto significativa: “Padre e promotore della moderna maniera, seppe così innamorarne il mondo, invogliarne i curiosi ed arricchirne che le fortune delle tavole greche siansi rese dimestiche e famigliari a’ tempi nostri, al dispetto d’ogni più ostinata avarizia, con invidia delle più nobili scienze, e finalmente ad onore e decoro impareggiabile della pittura” (v. I, p. 16). La quarta età della pittura è quella che, grazie a Guido, permette ai pittori di tornare al prestigio di cui godevano ai tempi dell’antica Grecia, con grande invidia da parte di tutte le altre nobili professioni. La fortuna mercantile di Reni, quindi, è un elemento integrante della nuova maniera moderna.

Naturalmente non dobbiamo pensare che vengano a mancare tutti i sospetti e i preconcetti nei confronti del mercato, per cui Malvasia ricorre a una serie di affermazioni che perfettamente si spiegano nel contesto dell’epoca. Innanzi tutto, vale il principio che la perfezione non ha prezzo e che nessun tipo di remunerazione monetaria può compensare la maestria di chi crea arte. Guido, poi, non si occupa quasi mai di trattative di ordine commerciale, perché la circostanza non si addice a chi si occupa di creazione artistica: “Ne’ trattati de’ lavori [n.d.r. nelle trattative per i suoi quadri] si servì sempre di mezzani e dimestici che mostrassero ottenergli per favore, difficilmente riducendosi a trattar in persona propria d’accordo, abborrendo il nome di prezzo in questa professione che diceva doversi negoziare con titolo di onorario [n.d.r. nel senso di riconoscimento dato per un’opera liberale] e di regalo” (v. I, p. 146). Non è corretto, dunque, parlare di ‘vendita’, ma semmai di uno scambio di liberalità fra l’artista e il committente. E si capisce, quindi, come mai lo storico bolognese tenda a ricordare i doni (in particolare le catene d’oro) che l’artista ricevette dagli acquirenti dei suoi quadri. Si tratta, peraltro, di un riconoscimento a cui ambiva anche lo stesso Malvasia, che, quando scrisse la sua Felsina, la dedicò a Luigi XIV e ricevette in cambio, come riconoscimento (dopo un primo invio non arrivato a destinazione), il famoso Gioiello del Re Sole, che lo storico definì nel suo testamento il suo bene più prezioso. 

Tutto ciò premesso, è appena evidente che sotto la cortina (e la retorica) del ‘dono’, l’aspetto prosaico del prezzo dei quadri conta eccome, e Malvasia affronta la questione in innumerevoli occasioni, avvalendosi anche (limitatamente al periodo 1609-1612) del Libro dei conti dell’artista (oggi alla Pierpoint Morgan Library di New York), regalatogli – è lui a scriverlo – da Giovanni Andrea Sirani (è assai probabile che l’esemplare conservato in America sia quello passato fra le mani di Carlo Cesare, ma che non sia giunto integro ai giorni nostri). Emergono, dunque, alcuni elementi caratteristici, il principale dei quali è che, adottando un sistema che sarà poi seguito da molti altri (si pensi a Guercino eal suo registro contabile) Guido si fa pagare a figure (o a mezze figure). Si assiste così all’impennata delle quotazioni che nel corso degli anni arrivano fino a cento scudi a figura intera e poi passano rapidamente a duecento.

C’è un punto, tuttavia, che va chiarito: le tante informazioni fornite da Malvasia sulle transazioni (anche successive alla morte di Guido) non sono gossip; semplicemente, le quotazioni dei prezzi dei quadri sono parte integrante del modo con cui Malvasia scrive una biografia, assieme a tanti altri elementi (ad esempio lettere e componimenti poetici).

Guido Reni, Adorazione dei Magi, 1638-1642, Cleveland Museum of Art
Fonte: https://www.clevelandart.org/art/1969.132

Affascinare il pubblico

Guido Reni è l’artista che fa impennare il livello dei prezzi grazie alla nuova maniera moderna. In ultima analisi, le quotazioni aumentano perché la domanda supera abbondantemente l’offerta (e non è un caso che dei quadri di Reni esista un numero incalcolabile di copie, più o meno dichiarate). La prima domanda da farsi è che cos’aveva la maniera di Guido per rendere il pubblico così desideroso di possedere le sue opere e di spendere qualsiasi cifra per ottenerle. Una delle risposte che fornisce Lorenzo Pericolo è la novità. Torniamo a un aspetto che abbiamo citato ampiamente in precedenza, e che tuttavia allo storico bolognese era particolarmente caro: “Malvasia individua nella novità una “grande forza”, forse la più grande, della storia; se i quadri di Guido riempiono cuori e menti dei committenti di amore e desiderio è perché egli aveva creato un nuovo stile, specificamente inteso a far sensazione, al pari della maniera scura di Caravaggio. (…) Il suo [n.d.r. di Guido] stile divino turba gli spettatori con eleganza e forza, fino al punto di portarli all’estasi, tanto che l’elemento razionale si dissolve nella contemplazione e i sensi sono oscurati dalla visione del supernaturale, ovvero di forme di bellezza mai viste prima” (v. II, p. 94). In ultima analisi, è questa tensione all’estasi che porta lo spettatore al desiderio di possesso e all’impennata dei prezzi, che va documentata soprattutto perché misura il successo di uno stile. Contemporaneamente il successo funge anche da stimolo nei confronti dell’artista e, senza dubbio, lo porta a soffrire la pressione delle aspettative della clientela: “Ché però in quest’ultimo mai sapea staccarsi da’ quadri, e motteggiato talora di questa sua insaziabilità rispondeva ch’era obbligato a farvi anche di più che sapea e potea, se fosse stato possibile, venendone pagato più che mai altro pittore per lo passato” (v. I, 166).  L’anziano Guido è un uomo quasi paralizzato davanti ai suoi quadri incompleti perché non riesce a capire più come andare ancora più in là, come alzare ulteriormente l’asticella e aumentare il fascino delle sue opere nei confronti del pubblico.

Guido Reni, Ritratto di giovane donna con corona d'alloro, 1648-1642, Roma, Musei Capitolini
Fonte: https://artsandculture.google.com/asset/UAHQ9yPGQpjdGg

Il giocatore d’azzardo

Naturalmente il giudizio su Guido giocatore d’azzardo, sull’uomo che, alla fine di una giornata di lavoro, dilapida una fortuna giocando a carte, non può che essere negativo. Se Reni è un modello per la sua capacità di ‘fare denaro’ è altrettanto vero che deve essere censurato per la facilità con cui lo sperpera. La questione non è così semplice, e c’è da dire che, per molti aspetti, Guido che getta via quanto guadagnato lavorando può quasi sembrare un personaggio verso cui nutrire umana simpatia. In fondo si tratta di un uomo che non tiene la ricchezza in nessuna considerazione; non è certo un caso che, in proposito, Malvasia citi Rubens. La tesi dell’erudito è che se Guido avesse amministrato correttamente i suoi guadagni avrebbe potuto condurre uno stile di vita analogo a quello, notoriamente sfarzoso, del pittore fiammingo. Invece l’artista (che, una volta morta la madre, non ha parenti stretti) sembra tenere in spregio qualsiasi forma di accumulazione o di investimento: non compra terre, non acquista palazzi, non cerca di mettere a frutto i suoi denari. Indubbiamente una scelta dal fascino potenziale, che però ha il grande demerito di coprirlo di debiti, di indurlo a lavorare a ore per poterli pagare, di ricorrere a una produzione seriale (sia pur superiore a quella di molti altri colleghi) che svilisce il ruolo sociale del pittore. Il problema è tutto qui: accumulare denaro vuol dire dare dignità al ruolo della pittura; l’artista quindi deve avere il coraggio di ‘sporcarsi le mani’ per il buon nome della sua categoria; dimostrare di non averlo in nessuna considerazione significa, invece, gettar fango sulla nobiltà dell’arte.



2 commenti:

  1. Segnalo che e' appena uscita sul sito 'aboutartonline' una recensione molto lunga di Richard Spear a questa edizione. Pur sottolineandone i molti meriti, non risparmia critiche sia a livello della traduzione inglese del testo malvasiano, sia a livello di scelte discutibili nel 'catalogo ragionato' delle opere di Reni presente nel secondo tomo, imputando difetti di connoisseurship ed alcuni errori di datazione delle opere. Grazie
    Gabriele-Urbino

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    1. Grazie mille. L'ho letta. Senz'altro un ottimo scritto, e Richard Spear è uno studioso serissimo. Personalmente penso che le recensioni abbiano una funzione diversa. Per prima cosa dovrebbero, ad esempio, presentare i punti fondamentali delle argomentazioni degli autori, cosa che Spear non mette in evidenza. Sulle attribuzioni, specie su quelle di un artista come Reni, il dibattito temo sarà infinito. Un cordiale saluto. Giovanni Mazzaferro

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