Pagine

lunedì 14 ottobre 2019

Herschel B. Chipp. [Teorie dell'arte moderna: un libro delle fonti ordinato per artisti e critici]. Parte Seconda


English Version

Storia delle antologie di letteratura artistica
Cliccate qui per vedere tutte le antologie recensite


Herschel B. Chipp
Theories of Modern Art: a Source Book by Artists and Critics.
[Teorie dell’arte moderna: un libro delle fonti ordinato per artisti e critici]
Col contributo di Peter Selz and Joshua Taylor


Berkeley, University of California Press, 1968

Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Seconda


Fig. 11) La prima edizione dell’antologia di Herschel B. Chipp pubblicata da University of California Press nel 1968.

Torna alla Parte Prima


Parliamo ora della struttura dell’antologia [27]: Chipp e i suoi due coautori l’hanno suddivisa  in nove capitoli: (i) postimpressionismo, (ii) simbolismo e altre tendenze soggettiviste, (iii) fauvismo ed espressionismo, (iv) cubismo, (v) futurismo, (vi) neo-plasticismo e costruttivismo, (vii) dada, surrealismo e scuola metafisica, (viii) arte e politica e (viii) arte contemporanea: l’autonomia dell’opera d’arte.

In questa seconda parte ci dedicheremo ai primi tre capitoli. Vi incontriamo i riferimenti agli scritti di alcuni giganti dell’arte moderna: Cézanne, van Gogh, Gauguin, i simbolisti, i fauvisti e gli espressionisti. Si tratta, per chi scrive nel 1968, di artisti nati cent’anni prima, su cui si può quindi riflettere con una prospettiva storica sufficientemente delineata. Sono i nuovi ‘classici’, che l’intera generazione degli artisti del dopoguerra ha considerato come modelli da cui partire, sia per conoscerli (e per questo la loro lettura è diventata quasi obbligatoria) sia per superarli, spesso in maniera radicale.

Fig. 12) Il primo dei due volumi dell’antologia di Lionello Venturi sulla letteratura artistica impressionista.


A partire dagli anni Venti-Trenta del secolo scorso si diffondono le raccolte di lettere di artisti delle generazioni nate attorno alla metà dell’Ottocento. Si tratta, a dire il vero, di una tendenza che include anche gli impressionisti (non presenti nell’antologia di Chipp). Si pensi, ad esempio, alla pubblicazione nel 1939 dell’antologia di Lionello Venturi intitolata Les Archives de l'Impressionisme, in due volumi, che raccoglie testi (come dice il lungo sottotitolo) di Renoir, Monet, Pissarro, Sisley, oltre alle memorie di Paul Durand-Ruel e ad altri documenti. I testi degli artisti che rompono le consuetudini del romanticismo sono letti avidamente da tutti i giovani artisti che si pongono a capo delle avanguardie.

Una seconda ondata di studi sugli scritti di questi artisti si manifesta negli anni Cinquanta e Sessanta, ovvero immediatamente prima della pubblicazione di questa antologia. Sono gli anni in cui gli Stati Uniti divengono il nuovo centro di sviluppo dell’arte contemporanea e la traduzione di scritti in inglese diviene fondamentale per consentire ai giovani artisti di appropriarsi degli strumenti analitici e delle fonti di pensiero per interpretare l’arte dell’ultimo secolo.

Cercheremo in particolare di capire quale fosse, all’epoca dell’antologia che qui recensiamo, la fortuna ‘americana’ degli scritti di artisti che si collocano tra Cézanne e Kandinskij e come l’antologia di Chipp ne abbia accresciuto l’importanza. Vedremo che in alcuni casi le opere erano già ampiamente conosciute (anche se scopriremo che, non di rado, le pagine citate da Chipp non corrispondono ai passi allora più conosciuti). Considereremo anche l’opinione critica di Elizabeth Gilmore Holt, una delle autorità nel campo della letteratura artistica americana, in merito alla scelta dei passaggi antologizzati.

Allargheremo poi il discorso per coinvolgere altre aree geografiche e, in particolare, cercheremo di capire quale fosse in quegli anni la conoscenza delle fonti citate da Chipp in Italia, come elemento di contrasto e paragone. Questo esercizio è sicuramente facilitato dalla presenza nell’antologia di Chipp di una bibliografia ragionata molto dettagliata, che (come abbiamo già detto) secondo la Holt ricorda per alcuni aspetti il metodo documentaristico di Julius von Schlosser, e dalla possibilità di fare ricerche bibliografiche su internet, in particolare grazie alla pagina worldcat.org.



Antologizzare la letteratura artistica del postimpressionismo: Cézanne e van Gogh

La sezione sul postimpressionismo è tutta basata sul binomio Cézanne-van Gogh.

All’atto di comparsa dell’opera, a dire il vero, è già consolidata da decenni nelle antologie di letteratura artistica l’idea che per parlare di postimpressionismo si debba far ricorso al trio Cézanne-Gauguin-van Gogh. Così, ad esempio, succede nelle Lettere d’Artisti nel Ottocento di Else Cassirer (1913) e nelle Confessioni di artisti di Paul Westheim (1926), a riprova del fatto che gli scritti dei tre sono visti nel mondo tedesco come il momento di cesura tra la letteratura artistica dei due secoli. Se proprio si deve operare un’esclusione, a essere ‘sacrificato’, il più delle volte è Cézanne: sono solo Gauguin e van Gogh a rientrare nell’antologia americana Artisti sull’arte firmata da Robert Goldwater e Marco Treves nel 1945, in quella francese di Pierre du Colombier “I più belli scritti dei grandi artisti del 1946 e nell’articolo americano Artisti scrittori di Alfred Werner, uscito poco prima dell’antologia di Chipp, ovvero nel 1965. Chipp sposta invece Gauguin nel capitolo successivo (quello del simbolismo), sottolineando in tal modo la differenza tra van Gogh e Gauguin, e trovando invece elementi di continuità tra gli scritti di Cézanne e quelli di van Gogh. Ad accomunarli sarebbe il saldo riferimento alla cultura estetica del passato (anche molto precedente l’impressionismo).

Va infine detto che, secondo Elizabeth Gilmore Holt, la sezione sul post-impressionismo di Chipp pecca per l’assenza degli scritti di Georges Seurat (1859-1891), padre del Neoimpressionismo [28].


Cézanne

Fig. 13) A sinistra: Emile Bernard, Ricordi su Paul Cézanne e lettere, 1921 (fonte: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k6572642c). A destra: Joachim Gasquet, Cézanne, 1921 (fonte: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k9800064p/f3.image.texteImage).

Le lettere di Paul Cézanne (1839-1906) che scrivono d’arte - scrive Chipp -, sono poche e brevi, nonostante l’artista sia uomo di discreta cultura e abbia intrattenuto un carteggio molto ampio, ad esempio con lo scrittore Émile Zola (1840–1902). In termini di stile – continua l’antologizzatore - Cézanne si mostra comunque “difficile, criptico e spesso sgrammaticato, e spesso si esprime con grandi difficoltà. In ciò la sua scrittura era rimasta simile ai primi dipinti” [29].  In realtà, l’artista di Aix-en-Provence non ama scrivere o interloquire d’arte con altri artisti o conoscitori, dopo l’esperienza dell’incontro-scontro con gli impressionisti che lo ha segnato duramente negli anni Sessanta dell’Ottocento (solo Pissarro gli era rimasto amico da allora). Interrompe il suo ascetismo letterario solamente “negli ultimi tre anni di vita e all’indirizzo di tre giovani che avevano fatto uno sforzo considerevole per allacciare rapporti con il pittore solitario” [30]. Il sessantenne ha infatti stretto amicizia nel 1896 con il poeta ventenne Joachim Gasquet (1873-1921), nel 1901 con il futuro pittore Charles Camoin (1879-1965) all’epoca soldato di leva, e nel 1904 con il pittore trentacinquenne Emile Bernard (1868-1941). Quest’ultimo, che aveva iniziato a pubblicare articoli su Cézanne ancora ventiduenne nel 1890, passa con lui un mese intero nel 1904, interamente dedicato a conversazioni sull’arte.

Fig. 14) In alto: a sinistra l’edizione critica francese del carteggio di Cézanne a cura di John Rewald nel 1937 e a destra la ristampa più recente della sua edizione nel 2006 (pubblicate entrambe da Grasset) In basso: la traduzione inglese del carteggio nell’edizione Rewald, tradotta da Marguerite Kay del 1941 (editore Bruno Cassirer) e la nuova edizione critica in inglese, filologicamente corretta, curata e tradotta da Alex Danchev del 2013.

Per Cézanne, confrontarsi con giovani curiosi e sensibili alla sua arte, in lunghi colloqui (che saranno poi pubblicati dopo la sua morte e diverranno testi basilari per comprendere la sua estetica), costituisce indubbiamente un’esperienza nuova. Già nel 1912 Bernard divulga un fortunatissimo volume di ricordi sul mese passato con Cézanne, che nel 1921 integra con le lettere (pubblica contemporaneamente quell’anno una sintesi di Una conversazione con Cézanne sulla rivista Mercure de France). Sempre nel 1921, Gasquet inserisce nel suo libro su Cézanne un lungo capitolo con una sua conversazione integrale con il pittore. Sono gli anni in cui a Parigi brulica ancora l’intera avanguardia mondiale, e leggere di prima mano le intenzioni di Cézanne dev’essere per i giovani artisti che si recano nelle librerie di Montmartre e Montparnasse una vera e propria rivelazione.

Dovendo scegliere tra i più famosi ricordi pubblicati da Bernard e le lettere a firma di Cézanne, Chipp evita comunque di citare passaggi dalle conversazioni (e dunque testi di natura maggiormente letteraria) e sceglie alcuni brevi passi stralci tratti dalla corrispondenza, con alcune missive celeberrime (la lettera a Bernard stesso del 1904 con il famoso riferimento alla natura come combinazione di cilindri, sfere e coni [31]). Interessanti le lettere, sempre indirizzate allo stesso interlocutore, in cui Cézanne celebra Tintoretto (1904) [32] e ragiona sull’astrazione nell’arte (1905) [33]. L’interesse di Chipp per gli aspetti teorici è talmente accentuato che egli taglia i testi in modo da evitare tutti i riferimenti a questioni contingenti: va detto che Elizabeth Gilmore Holt giudica negativamente questa condotta. Nella sua recensione dell’antologia la studiosa scrive: “De-umanizzare le lettere omettendo ogni forma di saluto e notizia personale è un errore. (…) È vero che il risultato è aumentare lo spazio per le teorie. (…), ma quando sono arrivata alla lettera che Cézanne scrisse nell’ultima settimana di vita, mi sono rammaricata che ne ossero rimaste solamente quattro righe. Se la citazione fosse almeno iniziata a metà lettera, avrebbe comunicato il senso di determinazione e lo spirito inflessibile di Cézanne” [34].
  
Fig. 15) L’edizione italiana delle lettere di Paul Cézanne a cura di Elena Pontiggia nelle edizioni del 1985 (SE) e del 2011 (Abscondita).

La diffusione al grande pubblico del carteggio completo delle lettere inviate da Cézanne (l’artista purtroppo non conservò le lettere a lui indirizzate) è avvenuta grazie alla pubblicazione a Parigi della Correspondence a cura di John Rewald (1912-1994) in un’edizione critica del 1937. L’edizione di Rewald (nato Gustav, cambia nome quando Hitler prende il potere in Germania e si stabilisce in Francia prima e negli Stati Uniti poi, divenendo uno dei maggiori storici d’arte dell’impressionismo e del post-impressionismo, nonché uno dei curatori della pubblicazione di testi di quegli artisti negli Stati Uniti) è ristampata da allora regolarmente in francese, e tradotta in inglese da Marguerite Kay nel 1941 (quest’ultima è la versione utilizzata da Chipp). Va detto che non si tratta di un testo filologicamente corretto, anche se il nostro autore non lo poteva sapere: solo nel 2011 Jean-Claude Lebensztejn pubblicherà una raccolta critica di 54 lettere di Cézanne mettendo in luce non solamente alcuni errori di Rewald, ma che lo studioso in realtà non aveva fatto ricorso agli originali, limitandosi a trascrivere molte delle lettere già pubblicate in volumi di ricordi, in tal modo confermando gli errori di trascrizione lì già contenuti. Una nuova traduzione in inglese, completamente rivista, è stata curata nel 2013 da Alex Danchev, che su Cézanne aveva scritto una biografia nel 2012. Quanto al nostro paese, un’edizione italiana delle lettere tarda ad arrivare ed è basata purtroppo sulla collezione filologicamente non corretta di Rewald: esce solo nel 1985 (a cura di Elena Pontiggia, edizione SE, con ristampe da allora fino al 2011 per Abscondita). Prima di allora era comparsa solamente la traduzione dei Ricordi e lettere di Emile Bernard (nel 1953, nella traduzione di Anita e Luigi Compagnone a cura di Longanesi).

Fig. 16) Le due edizioni nella Svizzera tedesca delle lettere di Paul Cezanne. A sinistra l’edizione di Hans Graber del 1932, a destra quella di Gotthard Jedlicka, comparsa originariamente nel 1930, ma qui in una ristampa del 1962.

Va infine detto che già dagli anni Trenta esistevano ben due versioni in tedesco delle lettere di Cézanne, entrambe pubblicate in Svizzera a cura di storici d’arte specializzati nello studio dell’arte moderna e dei testi di letteratura artistica: nel 1930 era comparsa una raccolta curata da Gotthard Jedlicka (1899-1965) e nel 1932 una seguita da Hans Graber (1886-1956). Chipp non le menziona: forse non le conosceva o forse non le poteva utilizzare, anche per ragioni linguistiche. L’edizione Jedlicka è stata ristampata fino agli anni Sessanta.


Van Gogh

Di Vincent van Gogh (1853-1890) Chipp scrive che “le sue affermazioni specificamente concernenti le sue idee e teorie sull’arte non sono numerose, e sono nella maggior parte dei casi molto semplici e dirette. Sono concentrate quasi esclusivamente in un breve periodo, nei pochi primi mesi d’idillio quando, dopo aver lasciato Parigi all’età di 35 anni, si trasferì ad Arles per il periodo tra febbraio 1888 e maggio 1889” [35]. Con l’eccezione di una breve pagina del 1885, dedicata ai Mangiatori di patate (quadro appunto di quell’anno), tutte le lettere nell’antologia si riferiscono a quel periodo. È la fase in cui van Gogh, abbandonata Parigi, dove ha incontrato il già menzionato Bernard e la comunità dei teorici del neoimpressionismo, sente la necessità di comunicare con le sue controparti su questioni artistiche. Qui Chipp identifica in realtà il pittore come persona tutt'altro che sprovveduta sul tema: Vincent opera per sei anni nel mondo del mercato d’arte, prima della crisi mistica che lo porterà ad abbandonare l’attività mercantile e a cercare d’intraprendere la strada del predicatore nella sperduta regione fiamminga del Borinage. Come esperto di mercato in Olanda, Belgio, Inghilterra e Francia, l’artista conosce bene i maestri della generazione precedente [36]. Dopo la fase mistica, van Gogh ritorna all’arte e dà prova di avere capacità di ragionamento su questioni estetiche.

Le pagine scelte da Chipp – di conseguenza - non sono solamente le ben note considerazioni di natura mistica-religiosa sul significato della vita, ma trattano dell’uso del colore, del rapporto con Giotto, Cimabue, Holbein, Van Dyck, Leonardo, Correggio, Delacroix, Van Meer e Watteau. Il mondo degli artisti nella mente di van Gogh non è, insomma, ristretto alla sola, celeberrima, frequentazione con Paul Gauguin in una Provenza assolata e disorientante, a cui la filmografia ha dedicato un’attenzione quasi ossessiva (da Brama di vivere  di Vincent Minnelli del 1956 al recente Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità del regista-pittore Julian Schnabel). Va detto che Elizabeth Gilmore Holt ritiene che Chipp, dovendo scegliere su un corpus epistolare enorme, abbia operato una buona selezione [37].

Fig. 17) A sinistra: una delle edizioni Cassirer (senza data) delle lettere di van Gogh a cura di Margarete Mauthner. A destra: Vincent van Gogh, Le lettere al fratello Theo, 1914. Si tratta della prima edizione integrale in tre parti, pubblicata ad Amsterdam da Jo van Gogh-Bonger, ovvero dalla moglie di Theo van Gogh.
Fonte: https://www.dbnl.org/tekst/gogh006brie01_01/.

La storia del successo delle lettere di van Gogh è travolgente (e, in alcuni ambienti, come nella Germania del primo Novecento, van Gogh è forse più famoso come scrittore che come pittore). Le lettere iniziano a comparire in francese per opera di Emile Bernard nel 1893 sulla rivista d’arte francese Mercure de France e nel 1904 sulla rivista d’arte tedesca Kunst und Künstler. Una prima raccolta parziale compare in tedesco nel 1906 a cura dell’editore Bruno Cassirer (si succederanno otto ristampe fino al 1930). Le lettere sono scelte e tradotte da Margarete Mauthner (1863-1947), studiosa e collezionista, che è stata una delle maggiori specialiste sul tema. Un’intera generazione di pittori espressionisti tedeschi si formerà su quell’edizione (tradotta in inglese a partire dal 1912). Nel 1911 escono (in francese) le lettere di van Gogh a Emile Bernard (sono pubblicate da Ambroise Vollard).

Fig. 18) A sinistra: le Lettere di van Gogh ad Emile Bernard nell’edizione pubblicata da Ambroise Vollard nel 1911. A destra: l’edizione del carteggio completo in inglese nel 1958 a New York.

La prima edizione critica integrale delle lettere è pubblicata in tre volumi ad Amsterdam, a cura della moglie di Theo van Gogh, Johanna Gesina Bonger van Gogh, nel 1914. La sezione delle lettere al fratello Theo è immediatamente tradotta in tedesco da Leo Klein-Diepold per l’editore Bruno Cassirer (e compare dal 1927 in inglese grazie alla traduzione della moglie di Theo e nel 1937 in francese grazie a Georges Philippart e Charles Terrasse). Una seconda edizione completa del carteggio in olandese compare nel 1952-1954 a cura del figlio di Johanna, Vincent Willem van Gogh. Ne viene tratta una versione inglese nel 1958, con traduzione da parte della moglie di Theo van Gogh e di C. de Dood. È una raccolta che esce simultaneamente a Londra e a New York, e da allora è ristampata numerose volte. È, fra l’altro, l’edizione utilizzata da Chipp. Da questa edizione inglese derivano anche la versione completa francese (1960) e russa (1966). Una terza e nuova edizione critica delle lettere, in sei volumi, è comparsa in inglese e in francese nel 2009. È stata curata da Leo Jansen, Hans Luijten e Nienke Bakker.
Fig. 19) A sinistra, la prima edizione italiana delle Lettere a Theo, pubblicata nel 1944. A destra, la seconda edizione, comparsa nel 1946, a cura di Marco Valsecchi.

Quanto all’Italia, le Lettere a Theo vengono pubblicate (in due edizioni diverse) per la prima volta nel 1944 (traduzione dall’olandese di Liana Ferri, prefazione di Virgilio Guzzi, Roma, Edizioni della Bussola) e nel 1946 (traduzione a cura dello storico dell’arte Marco Valsecchi a Milano per l’editore Bompiani). L’edizione completa in tre volumi di tutte le lettere esce invece nel 1959 (sulla base dell’edizione del 1952-1954) con il titolo Tutte le lettere di Vincent van Gogh (Silvana Editoriale d'Arte), nella traduzione da olandese e francese di Marisa Donvito e Beatrice Casavecchia. Il numero di edizioni (in tutte le forme e combinazioni) si è andato poi moltiplicando, facendo delle lettere di van Gogh un prodotto di consumo di massa anche nel nostro paese (l’ultima edizione italiana è a cura dell’editore Donzelli del 2013)

Fig. 20) Alcune recenti  edizioni italiane delle lettere di Vincent van Gogh. In alto, da sinistra a destra: l’edizione delle Lettere nella collana ‘I millenni’ a cura di Cynthia Saltzman, con traduzioni di Margherita Botto, Laura Pignatti e Chiara Stangalino (2013); l’edizione delle Lettere a Theo, a cura di Massimo Cescon, con un saggio introduttivo di Karl Jaspers e traduzioni di Marisa Donvito e Beatrice Casavecchia, edita da Guanda (2007); l’edizione delle Lettere a Theo, con una testimonianza di Paul Gauguin, nella traduzione di Lorena Paladini e Alessandro Mola, nell’edizione Garzanti (2018). In basso, da sinistra a destra: l’edizione delle Lettere a Theo sulla pittura, a cura di Massimo Cescon, con traduzioni di Tiziano Gianotti, Marisa Donvito e Barbara Casavecchia, nell’edizione Tea arte (1994); l’edizione delle Lettere a un amico pittore (Émile Bernard), a cura di Maria Mimita Lamberti, nella traduzione di Sergio Caredda, nell’edizione Rizzoli (2013); l’edizione Scrivere la vita. 266 lettere e 11 schizzi originali, a cura di Leo Jansen, Hans Luijten e Nienke Bakker, pubblicata da Donzelli editore (2013).


Simbolismi e soggettivismi

All’interno di questa categoria molto ampia e forse volontariamente imprecisa – dove vengono associati tutti i simbolismi e i soggettivismi – Chipp colloca soprattutto gli scritti di Paul Gauguin (1848-1903), ma anche le considerazioni teoriche di George-Albert Aurier (1865-1892), Maurice Denis (1870-1943) e Ferdinand Hodler (1853-1918), come pure le testimonianze di James Ensor (1860-1949), Edvard Munch (1863-1944), Odilon Redon (1840-1916) e Henry van de Velde (1863-1957).  Ciò che li accomuna - avverte l’antologizzatore - è soprattutto la comune avversità al realismo (soprattutto di quello di Zola, che di Cézanne è stato grande amico fino a una clamorosa rottura), la centralità del tema del mondo trascendente (riprodotto grazie alle qualità soggettive dei colori) e l’ampliamento del tema della libertà d’espressione. Esiste una grande prossimità intellettuale tra questi artisti e poeti come Stéphane Mallarmé (1842-1898), Paul Verlaine (1844-1896) e Gustave Kahn (1859-1936). Sono gli anni dell’arte totale e la contaminazione tra ciò che è scritto e ciò che è visuale è del tutto intenzionale. “Raramente negli anni seguenti e forse mai in quelli precedenti il pittore e il poeta si sono stretti nella loro associazione personale e nella loro battaglia caratterizzata da comuni problemi artistici” [38].


Gauguin

Fig. 21) Il numero di Vers et Prose in cui Paul Gauguin pubblica le proprie Note sintetiche nel 1910. Fonte: https://pictures.abebooks.com/PRISCA/12604598234.jpg

Gauguin nasce in una famiglia di scrittori e giornalisti; il suo carteggio e i suoi scritti testimoniano la sua passione per la teorizzazione degli esperimenti artistici prima della loro realizzazione. Chipp documenta come quell’arte che viene spesso descritta come espressione di un’anima selvaggia sia dunque – al contrario – costruita a tavolino [39].

Fig. 22) Paul Gauguin, Noa Noa, 1929, pubblicato da Éditions Crès a Parigi. Fonte: Wikimedia Commons.


Rispetto a esempi precedenti di letteratura artistica, quella di orientamento simbolista non è solamente una forma di razionalizzazione del passato, ma ha natura anticipatoria di manifesto programmatico [40]. Il sintetismo di Gauguin nasce su carta prima di essere realizzato su tela. Persino l’apprendimento delle consuetudini polinesiane – testimoniato nel famosissimo diario di viaggio Noa-Noa (che qui non viene antologizzato) – è in realtà il risultato di studi e letture, e non di vita vissuta [41]. I suoi tentativi successivi di negare ogni influenza di poeti e letterati sulla sua arte rappresentano, insomma, il tentativo di accreditarsi come uomo dominato dall’impulso immediato e, in ultima analisi, sono parte di una riuscita strategia di comunicazione di natura commerciale. Gli scritti di Gauguin sono raccolti sotto tre profili: le teorie sintetiste, i commenti sulle proprie opere e quelli sul primitivismo. Prevalgono lettere, brevi scritti teorici pubblicati su riviste ed estratti dai manoscritti tahitiani Diverses Choses, 1896-1897 e Cahier pour Aline, rimasti inediti e pubblicati postumi dal suo biografo Jean De Rotonchamp nel 1906.  

Fig. 23) L’edizione in tre volumi dei Quaderni di Paul Gauguin nel 1962, con un testo di Raymond Cogniat e introduzione di John Rewald

Ad oggi un’edizione critica completa delle lettere di Gauguin non è ancora stata pubblicata. Herschel Chipp annuncia infatti nell’antologia che il critico John Rewald [42] (che abbiamo già incontrato a proposito degli scritti di Cézanne) sta lavorando a una futura collezione critica dell’intero carteggio, ma evidentemente l’impresa non è stata mai realizzata. Di Rewald è invece una breve raccolta delle lettere di Gauguin ad Ambroise Volard e André  Fontainas, comparsa nel 1943, come pure l’introduzione alla riproduzione anastatica dei quaderni (A Sketchbook), in tre volumi, ad opera di Raymond Cogniat del 1962, cui Chipp fa riferimento citando da lì molte delle pagine contenute nell’antologia. Con Cogniat incontriamo uno dei massimi critici e divulgatori dell’impressionismo.

Fig. 24) Le lettere di Gauguin nell’edizione curata da Maurice Malingue. In alto, le tre edizioni francesi edite da Grasset nel 1946, 1992 e 2003. In basso, l’edizione inglese tradotta da Henry J. Stenning (edizioni del 1948 e del 2003, stampate da The World Publishing Company e MFA Publication) e quella italiana, nell’edizione Longanesi del 1949, tradotta da Piero Gadda. Ne esiste anche una versione più recente, edita da Guanda nel 1994.

La pubblicazione più ricca e fortunata del carteggio (utilizzata anche da Chipp) è invece quella della Lettere di Gauguin alla moglie e agli amici ad opera dello storico dell’arte Maurice Malingue, comparsa in francese (1946), inglese (1948), italiano (1948) e tedesco (1960). Malingue, storico dell’arte e amico di famiglia dell’artista, ha continuato per quarant’anni a delineare l'immagine pubblica di Gauguin, con la sua monografia Gauguin: le peintre et son oeuvre, introdotta dalla moglie Pola (1948), la mostra Gauguin ed i suoi amici alla Galleria Kleber nel 1949 ed infine con la creazione dell’associazione Gli amici di Paul Gauguin nel 1960. 


Altri simbolisti e soggettivisti

Fig. 25) A sinistra: La raccolta di scritti Teorie 1890-1910. Dal simbolismo e Gauguin verso un nuovo ordine classico di Maurice Denis del 1920. Fonte: https://archive.org/details/thories189019100deniuoft/page/n10. Al centro: La raccolta di scritti di James Ensor del 1921. Fonte: https://archive.org/details/lescritsdejame00enso/page/n5. A destra: Il diario A se stesso di Odilon Redon, pubblicato nel 1922.

Il sintetismo è presente soprattutto con scritti di Maurice Denis, di cui Chipp riconosce il valore non solamente come pittore del gruppo Nabis, ma come teorico (una prima collezione di scritti del 1890-1910 compare nel 1920) e come organizzatore, nei decenni seguenti, di movimenti moderni d’arte sacra. Il suo lungo articolo Définition du Néo-traditionisme, pubblicato nell’agosto 1890 a diciannove anni nella rivista settimanale Art et Critique, occupa un ruolo fondamentale (del resto, Goldwater e Treves lo avevano già inserito nella loro antologia Artists on Art). Elizabeth Gilmore Holt si congratula con Chipp per aver riconosciuto il valore del teorico [43].

Importante anche il contributo di alcuni degli artisti maledetti di quegli anni, come Edvard Munch con brevi aforismi inclusi in un saggio a lui dedicato datato 1963, James Ensor i cui scritti compaiono in un’edizione del 1921, e Odilon Redon, il cui diario À soi-même compare nel 1922.  Con gli scritti di Denis, Ensor e Redon (tutti in francese) e Munch (in norvegese) incontriamo per la prima volta testi che non erano disponibili in inglese nel 1968 (con la sola eccezione, già menzionata, di brani dell’articolo di Maurice Denis). Chipp li presenta quindi per la prima volta al pubblico di lingua inglese. Elizabeth Gilmore Holt non ritiene appropriata l’inserimento di Ensor nel capitolo: lo considera artista e teorico ottocentesco. Mancano poi, secondo la studiosa, testi che rivelino le teorie sulla scultura: la studiosa avrebbe voluto vedere scritti di Auguste Rodin (1840-1917), Medardo Rosso (1858-1928) e Adolf Hildebrand (1847-1921) [44]. 


Gli scritti di fauvisti ed espressionisti

È Peter Selz a dedicarsi a questo capitolo dell’antologia, probabilmente per la sua conoscenza dell’arte tedesca e, in particolare, dell’espressionismo (Elizabeth Gilmore Holt elogia convintamente l’antologizzatore). Se fino ad allora l’arte contemporanea si era sviluppata a Parigi, ora alla capitale francese – spiega Selz – si affiancano i nuovi centri d’arte di Dresda e Monaco.  Per le traduzioni dal tedesco in inglese, là dove un testo non è disponibile precedentemente, Selz per la verità non tenta immediatamente la traduzione, ma preferisce avvalersi dell’aiuto di altri specialisti. Fra di essi vorrei ricordare un altro illustre esponente della critica d’arte contemporanea di origine tedesca, ovvero Ernest Mundt (1905-1993), membro della Bauhaus negli anni Trenta a Berlino e poi emigrato negli Stati Uniti (attraverso la Turchia), divenendo direttore della California School of Fine Arts negli anni Cinquanta a San Francisco. Una delle traduzioni da Kandinskij è invece dello storico dell’arte americano Kenneth Clement Lindsay (1919-2009), che poi pubblicherà in inglese nel 1982 tutti i suoi scritti in materia d’arte.


Matisse

Fig. 26) Le Note di un pittore di Henri Matisse nell’edizione del Centre Pompidou (2012) con prefazione di Cécile Debray.


Con l’eccezione di brevi testi e lettere di Henri Rousseau il doganiere (1844-1910) e di Maurice de Vlaminck (1876-1958), il fauvismo è rappresentato da Henri Matisse (1869-1954). Selz nota come – in contrasto all’intenzione selvaggia dell’arte di Matisse – i suoi testi programmatici siano “calmi e moderati: egli crede nella necessità di riprodurre gli elementi essenziali della natura, apprezza l’idealismo della scultura greca, dichiara l’interesse fondamentale per la figura umana, e cerca di propagare serenità” [45]. Per Selz il fattore determinante della teoria estetica di Matisse è la centralità dell’intuizione artistica, che egli riconduce alla filosofia di Henri Bergson (1859-1941) e soprattutto di Benedetto Croce (1866-1952). Il testo principale riprodotto è quello delle Note di un pittore, comparse originariamente nel dicembre 1908 nel periodico artistico-letterario La Grande Revue, pubblicato a Parigi e San Pietroburgo. Si tratta del primo testo teorico di Matisse, allora quarantenne, a cui viene chiesto di difendere la propria pittura dalle critichi feroci dopo un’esposizione del 1905: l’artista lo fa riferendosi a categorie classiche come il bello ideale. Il testo viene subito tradotto in russo (nella rivista Золотое руно – Il vello d’oro) e tedesco (nella rivista Kunst und Künstler) l’anno seguente, e sarà oggetto di lettura da parte di moltissimi giovani pittori del primo Novecento. È tradotto in inglese nel 1931 e nel 1951 (quest’ultima versione a cura del celeberrimo Alfred H. Barr (1902-1981) è utilizzata nell’antologia) e in italiano nel 1943 (nella rivista Emporium). Seguono tre testi degli anni Quaranta e Cinquanta, scritti dall’artista in occasione e in ricordo della famosa mostra americana di Philadelphia nel 1948.


Nolde

Fig. 27) Gli anni delle battaglie, il volume di memorie sugli anni 1902-1914 pubblicato da Emil Nolde nel 1934 per l’editore Rembrandt e nell’edizione Flensburg del 1958

La sezione sull’espressionismo è molto più ampia e mira a documentare la diversità d’ispirazione degli artisti. S’inizia con alcune pagine dell’autobiografia di Emil Nolde (1867-1956), un corpus amplissimo sulle cui vicissitudini molto abbiamo scritto il questo blog. Dal volume Gli anni delle battaglie 1902-1914 Selz sceglie alcune pagine sull’arte religiosa, scritte nel 1934, in cui il pittore traccia un parallelismo tra la sua arte, quella medievale e le opere delle civiltà arcaiche dei primitivi, riferendosi alle sue creazioni del 1909. In contrasto con le pagine di Matisse, qui l’obiettivo dell’autore è espressamente di negare ogni valore al mondo della classicità greco-latina ed alla tradizione rinascimentale. Lo stile della scrittura è caratterizzato dalla ricerca estrema di effetti emotivi. Va detto che l’autobiografia di Nolde non è mai comparsa in inglese e dunque la traduzione di Ernest Mundt è rimasta una delle poche pagine in inglese dell’espressionista tedesco.


Kandinskij

Di tutt’altra natura gli scritti di Vasilij Kandinskij (1866-1944), qui presenti con due testi del 1912, tratti dallo Spirituale nell’arte ed in particolare nella pittura (Über das Geistige in der Kunst: insbesordere in der Malerei) e dall’Almanacco del Cavaliere azzurro (Der Blaue Reiter). La prima citazione riguarda l’effetto del colore (di cui il pittore scrive che ha un odore e un suono). Tanto Nolde è scrittore istintivo, provinciale e per molti aspetti incolto quanto Kandinskij (russo di grande cultura e capacità di attraversare i confini nazionali) è uomo di forte radicamento in “filosofia e religione, poesia e musica” e, anzi, “un genio universale” [46]. Uno degli aspetti di maggiore difficoltà nell’interpretazione dell’opera di Kandinskij (oltre alla sua straordinaria ampiezza, anche non calcolando un corpus notevole di testi letterari e teatrali) è il fatto che egli abbia realizzato versioni diverse dei propri scritti a seconda delle lingue, adattandoli all’opinione pubblica dell’area linguistica a cui si rivolgeva. Ad esempio, dello Spirituale nell’arte esiste anche una versione russa del 1911, diversa da quella tedesca. La versione citata da Chipp deriva (tramite precedente traduzione inglese) dal testo tedesco.

Fig. 28) Vasilij Kandinskij, Lo spirituale nell'arte. In alto: L’edizione tedesca originaria del 1912 (Piper e Co), la traduzione inglese del 1946 (Salomon Guggenheim Foundation) e quella italiana del 1968 (De Donato). In basso, due edizioni inglesi basate sulla traduzione Sadleir (Dover, 1977 e Martino Fine Books, 2014) e la più recente versione italiana (SE, 2005).

Non sorprende che l’opera abbia un successo straordinario nel mondo inglese a partire dagli anni Quaranta, ovvero in piena fase di affermazione negli Stati Uniti degli espressionisti astratti. Una prima versione compare nel 1946 a cura della Fondazione Guggenheim di New York. Selz utilizza invece la traduzione dello Spirituale nell’arte comparsa in inglese nel 1947. È  preparata dal letterato inglese Michael Sadleir (1888-1957) e rivista da Francis Golffing, Michael Harrison e Ferdinand Ostertag. Dagli anni Quaranta in poi la versione del saggio di Kandiskij nella traduzione di Sadleir ed altri si afferma come una delle opere di letteratura artistica più pubblicate nel mondo inglese. Ma il successo non è limitato a quest’area. È del 1924 la prima traduzione in giapponese, del 1949 quella in francese, del 1956 quella in spagnolo. Non indifferente è il successo nel mondo italiano. La prima traduzione (dal tedesco) compare nel 1940 (Della spiritualità dell’arte particolarmente nella pittura) grazie a Giovanni Antonio Colonna di Cesarò (1878-1940); il suo testo viene ripresentato nel 1968, con un saggio introduttivo di Luigi Spezzaferro, dall’editore De Donato. Alla traduzione di Colonna di Cesarò, si aggiunge nel 1971 l’edizione Feltrinelli che (passando per l’edizione critica francese di Philippe Sers) è invece tratta dall’edizione russa; è di nuovo dal tedesco la più recente traduzione italiana del 1993 a cura di Elena Pontiggia, oggetto di numerose ristampe.

Fig. 29) L’almanacco del cavaliere azzurro, ripubblicato nel 1965 in un’edizione critica a cura di Klaus Lakheit (a sinistra, edizioni R. Piper e Co), tradotta in italiano da Giuseppina Gozzini Calzecchi Onesti nel 1967 (al centro, edizioni De Donato) e in inglese da Henning Falkenstein in cooperazione con Manug Terzian e Gertrude Hinderlie nel 1974 (a destra, edizioni The Viking Press).

Il saggio sulla forma, che è secondo Selz al centro dell’elaborazione teorica del concetto di arte astratta, è tratto – come già detto  – dall’Almanacco del Cavaliere Azzurro di Franz Marc e Vasilij Kandinskij. Nell’antologia è proposto nella traduzione di Kenneth Clement Lindsay. Il successo editoriale dell’Almanacco è più tardo rispetto alla pubblicazione precedente, ed è in gran parte merito dello storico dell’arte tedesco Klaus Lankheit (1913-1992), che lo ristampa in tedesco nel 1965; da quest’edizione è tratta anche la prima versione in inglese, che comparirà negli Stati Uniti nel 1974, e dunque solamente dopo la pubblicazione dell’antologia di Chipp. Anche in questo caso la fortuna italiana non può essere sottovalutata: la prima versione viene pubblicata dall’editore De Donato nel 1967, con una traduzione dal tedesco di  Giuseppina Gozzini Calzecchi Onesti che è stata riproposta da allora da diverse case editrici (SE, Abscondita).


Kokoschka e Kirchner

Fig. 30) A sinistra: Il saggio su Kokoschka di Edith Hoffmann che per primo contiene il testo (in inglese) della conferenza Della natura delle visioni del gennaio 1912 (edizioni Faber and Faber). Al centro: due edizioni tedesche di tutti gli scritti di Kokoschka tra 1907 e 1955, a cura di Hans Maria Wingler (Langen-Müller Verlag, 1956 e Fischer Verlag, 1964) e l’edizione italiana a cura di Donatella Mazza (edizioni Campanotto, 2008)

La generazione più radicale dell’espressionismo tedesco è rappresentata da Oskar Kokoschka (1886–1980) ed Ernst Ludwig Kirchner (1880-1938). Il primo si cimenta frequentemente con la scrittura, realizzando, oltre ad opere d’estetica,  molti testi di teatro e letteratura.  Selz sceglie il discorso Della natura delle visioni (Von der Natur der Gesichte) tenuto a Vienna il 26 gennaio 1912, dove le teorie spirituali di Kandinskij non vengono tradotte in un’aspirazione all’astrazione, ma in un’esasperazione dell’immagine. La storia della diffusione a mezzo stampa di questo testo giovanile è, per certi versi, contorta: una traduzione inglese On the Nature of Visions (è il testo citato da Chipp nell’antologia) compare per la prima volta nel 1947 in Kokoschka, Life and Work, di Edith Hoffmann. Il testo originale tedesco è poi inserito nell’edizione critica degli scritti pubblicata a cura dello storico dell’arte Hans Maria Wingler (1920-1984) nel 1956 (con ristampa nel 1964), in occasione dei settant’anni dell’artista. Il testo esiste anche in un’edizione italiana curata da Donatella Mazza nel 2008. 

Fig. 31) A sinistra: le Lettere alla moglie Nele di Ernst Ludwig Kirchner (1961, edizioni R. Piper e C). Al centro: i Diari di Davos nell’edizione del 1968 (edizioni Dumont) e del 1997 (edizioni Catje), a cura di Lothar Griesebach. A destra: la collezione di documenti e scritti curata da Karlheinz Gabler e pubblicata dal museo di Aschaffenburg nel 1980

Lo scritto di Ernst Ludwig Kirchner incluso nell’antologia è la Cronaca del Ponte del 1916, un testo assai breve che paradossalmente segna il momento di rottura del gruppo Il Ponte (Die Brücke) fondato dall’artista insieme a Fritz Bleyl (1880-1966), Erich Heckel (1883-1970) e Karl Schmidt-Rottluff (1884-1976) nel 1905. La vicenda è nota: Kirchner redige nel 1913 un testo per raccontare la storia del gruppo, ma gli altri membri lo rifiutano, ritenendo che abbia dato troppo spazio al proprio ruolo: dopo otto anni durante i quali i quattro avevano prodotto in piena intesa arte secondo la base del manifesto del 1906, il gruppo si scioglie. Kirchner renderà pubblica la Cronaca solamente nel 1916, dopo gli anni di guerra e di cura in un sanatorio. L’opera è tradotta dallo stesso Peter Selz e pubblicata in inglese per la prima volta nel 1950. All’epoca in cui Chipp pubblica l’antologia, non esiste una raccolta completa degli scritti del pittore. Sono già state date alle stampe le lettere alla moglie e all’architetto Henry van de Velde (1961), poi  i diari dell’esilio a Davos, dove l’artista si tolse la vita nel 1938, insieme a una raccolta di scritti (1968), a cura dell’amico pittore Lothar Grisebach (1910-1989). Le lettere alla moglie non sono mai state oggetto di ripubblicazione separata. I diari di Davos esistono in una ristampa più recente del 1997. Una collezione di scritti è apparsa nel 1980 a cura del Museo di Aschaffenburg, città natale, in occasione del centenario della nascita. Ma tutto sommato, la testimonianza degli scritti è rimasta davvero assai limitata rispetto alla fama dell’artista.

Marc

Fig. 32) In alto: A sinistra, il primo dei due volumi dell’edizione originaria delle Lettere, disegni ed aforismi di Franz Marc del 1920, a cura dell’editore Paul Cassirer a Berlino. A destra, un’edizione curata da Franz Meißner e pubblicata dall’editore Kiepeheuer nel 1980, a Lipsia nella Repubblica Democratica Tedesca. In basso: le edizioni italiane degli aforismi (Feltrinelli 1982 ed Abscondita 2007) a cura di Renato Troncon ed Elena Pontiggia

Il mito di Franz Marc (1880-1916) è legato – oltre alla sua pittura dove, come spiega Selz, animali disegnati in senso classico sono immersi in un mondo fatato grazie all’uso di forme e colori – anche alle sue vicende personali, (prima fra tutte la tragica morte, avvenuta sui campi di battaglia di Verdun) come pure agli scritti. È il caso anche delle pagine citate da Selz, tutte orientate a una riflessione purissima di natura estetica. In un primo appunto del 1911-1912 a margine di suoi disegni, l’autore si chiede come un cavallo veda il mondo: è l’occasione di interrogarsi su temi universali nella storia dell’arte, accomunando Picasso, Kandinskij e Delaunay a Pisanello. Segue una selezione di aforismi sulla natura del linguaggio e dell’arte. Conclude una lettera inviata a un destinatario sconosciuto, in cui Marc spiega le ragioni per le quali egli dipinge quasi esclusivamente animali e opera un confronto fra la sua arte e quella di  Kandinskij. I tre testi di Marc sono tratti dalla collezione (in due volumi) di Lettere, disegni ed aforismi pubblicata da Paul Cassirer nel 1920, riproposta nel 1980 e nel 1989 nella Germania orientale e recentemente ripubblicata nel 2014. Una raccolta degli scritti tra 1910 e 1915 viene pubblicata in italiano nel 1987 a Firenze. Gli aforismi escono in Italia in due edizioni: I cento aforismi: la seconda vista a cura di Renato Troncon con un saggio di Giorgio Franck, Feltrinelli, 1982 e La seconda vista: aforismi e altri scritti a cura di Elena Pontiggia (Abscondita, 2007).

Fig. 33) Da sinistra: le Lettere dal fronte di Franz Marc, nell’edizione del 1940 (Rembrandt Verlag), del 2000 (Piper Verlag) e del 2014 (Allitera Verlag). A destra, l’edizione inglese tradotta da Liselotte Dieckmann (1992).

Ma in realtà il carteggio deve la sua popolarità soprattutto alle edizioni dedicate a temi specifici (estratte dall’edizione completa del 1920), e, in particolare, a un volumetto di Lettere dal fronte pubblicato per la prima volta nel 1940 (e dunque in periodo di guerra) e ristampato nel 1956. Il carteggio di guerra è stato riproposto in una nuova edizione a cura di Klaus Lankheit e Uwe Steffen nel 1982 e, da allora, regolarmente ristampato; l’edizione Lankheit/Steffen è stata infine tradotta in inglese per i tipi dell’editore Peter Lang nel 1992. Esistono, inoltre, edizioni di lettere tra pittori: il carteggio tra i due amici pittori August Macke (1887-1914) e Franz Marc copre il periodo 1910-1914 ed è pubblicato per la prima volta nel 1964; quello tra Franz Marc e Vassily Kandinskij vede la luce nel 1983. Sono testi oggi molto citati, a conferma dell’esistenza di un tessuto di contatti personali tra gli artisti (spesso documentato anche con mostre parallele dei loro dipinti).

Fig. 34) A sinistra: L’edizione del carteggio tra Kandinskij e Marc, curato da Klaus Lankheit e pubblicato nel 1983. A destra: le lettere tra Franz Marc e August Macke in un’edizione del 2014 curata da Karl-Maria Guth.

Klee
In linea con il disegno generale dell’antologia (che predilige la teoria alla biografia), gli scritti di Paul Klee (1879-1940) non sono tratti dai Diari, ovvero dai suoi splendidi testi autobiografici sul periodo 1898-1918, ampiamente recensiti in questo blog, ma da uno dei suoi scritti programmatici più famosi, la Confessione creatrice (qui intitolato Credo creativo), che segna per lui il passaggio completo da un simbolismo espressionista alle suggestioni dell’arte astratta. I Diari (pubblicati in tedesco nel 1957) sono pubblicati in inglese nel 1964 (stranamente, Chipp scrive che sono ancora in corso di pubblicazione, forse perché la sua bibliografia ragionata non è stata pienamente aggiornata al momento della pubblicazione dell’antologia). È comunque nel Credo creativo che Klee scrive che l’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile un mondo nascosto. Lo scritto compare con il titolo Confessione creatrice (Schöpferische Konfession) sulla rivista Tribüne der Kunst und der Zeit nel 1920, edita dallo scrittore Kasimir Edschmid (1890-1966). L’inserimento della traduzione inglese (tratta da un catalogo di una mostra del 1959 a cura di Norbert Gutermann) consacra un testo breve, ma ancora oggi considerato cruciale: si pensi alla raccolta Confessione creatrice ed altri scritti curata da Francesco Saba Sardi nel 2004 e a quella (in inglese) intitolata Creative confession and other writings,  pubblicata dalla Tate Gallery nel 2013. 
Fig. 35) Il quaderno pedagogico di Paul Klee in un’edizione tedesca nelle edizioni del 1925 e 2018

Nella sua bibliografia ragionata Chipp inserisce (oltre alla Confessione creatrice e ai Diari) altri due testi fondamentali, legati al periodo successivo speso da Klee come insegnante alla Bauhaus: in primo luogo il quaderno pedagogico (Pädagogisches Skizzenbuch, 1925 – traduzione inglese nel 1953 ), e, in seconda istanza, l’insieme delle lezioni alla Bauhaus, ovvero Das Bildnerische Denken, pubblicato postumo in tedesco nel 1956, in italiano nel 1959 (con il titolo Teoria della forma e della figurazione, a cura di Giulio Carlo Argan e Mario Spagnol) e in inglese nel 1961.     
Fig. 36) A sinistra: la raccolta di scritti Confessione creatrice e altri scritti curata nel 2004 da Francesco Saba Sardi (edizioni Abscondita). A destra: Creative Confession and other writings a cura di Matthew Gale (Tate Publishing, 2014).

Beckmann

Collocando Max Beckmann (1884-1950) tra gli espressionisti Selz potrebbe far pensare che – cinquant’anni fa – il ‘ritorno all’ordine’ non fosse forse adeguatamente valutato come fenomeno artistico autonomo. In realtà, egli fa riferimento al movimento della Nuova Oggettività (la Neue Sachlichkeit) come espressione di una vena di ’grande realismo’ che si può identificare come proprio dell’arte moderna. Selz ritiene che tale filone modernista si esprima anche nell’iconografia di De Chirico (1888-1978) e Bacon (1909-1992), abbia paralleli nella narrativa di James Joyce (1882-1941) e Franz Kafka (1883-1924) e si evoca addirittura nella cinematografia, con Michelangelo Antonioni (1912-2007) e Ingmar Bergmann (1918-2007). Oggi, forse, a questa tendenza che si pente delle sperimentazioni dell’avanguardia d’inizio secolo e recupera il figurativo e la classicità si dedicherebbe un capitolo intero, aggiungendo riferimenti non solamente agli altri tedeschi (Grosz e Dix) ma anche alla scuola di Parigi e alla riscoperta delle tecniche pittoriche medievali e rinascimentali (come la tempera, il mosaico e l’affresco) in tutt’Europa, come pure al realismo socialista in Unione Sovietica. In Italia, molti di questi aspetti si sarebbero rivelati propri anche dell’arte totalitaria di quegli anni, ad esempio nelle correnti moderniste (il Realismo magico) vicine al fascismo italiano. In tal modo il figurativo diviene un elemento comune ad artisti che si collocano da un punto di vista ideologico su posizioni decisamente avverse.

Fig. 37) Due opere di Peter Selz su Max Beckmann: a sinistra un volume sui suoi autoritratti (Gagosian Gallery, New York, 1992) e il catalogo della mostra al MoMa di New York del 1964.

Questa prospettiva forse dispiacerebbe a Selz, che dell’arte di Beckmann è stato uno dei grandi promotori negli Stati Uniti (curando la sua retrospettiva al MoMa di New York nel 1964). Selz cita Beckmann con un testo programmatico Sulla mia pittura, originariamente pronunciato in tedesco alla Burlington Gallery di Londra nel 1938, quando l’artista è in esilio ad Amsterdam e cerca conforto nell’eterna e immutabile verità filosofica dell’individualismo, contro ogni forma di collettivismo (è l’orientamento che si trova esplicitato anche negli scritti di Grosz). Il testo è pubblicato qualche anno dopo in inglese a New York, dopo il trasferimento di Beckmann dall’Olanda occupata dai nazisti agli Stati Uniti; se ne occupa la Galleria di Karl Buchholz (che promuove l’arte ‘degenerata’ a New York). Sottolineando come Beckmann veda la propria arte senza soluzione di continuità con i grandi filoni del passato (Grünewald, Blake, Henri Rousseau il doganiere), Selz lo considera come ultimo momento di passaggio tra la tradizione figurativa classica e un mondo iconografico completamente liberato da riferimenti al passato.

Fig. 38) In alto: Le lettere dalla guerra di Max Beckmann, nell’edizione originale del 1916 (edizione Bruno Cassirer) e nell’ultima edizione del 1984 (a cura di Minna Tube). In basso: I diari del 1940-1950, a cura di Erhard Göpel, nell’edizione Langen-Müller del 1955, Fischer del 1965 e Piper del 1987.

Nella bibliografia ragionata ospitata nell’antologia di Chipp, Beckmann compare sia per il  carteggio durante il periodo bellico - con le Lettere dalla guerra (Briefe im Kriege), pubblicate da Bruno Cassirer nel 1916 - sia con i Diari tra 1940 e 1950, pubblicati a cura dello storico dell’arte Erhard Göpel (1906-1966) nel 1955 (edizioni Langen-Müller). Sia del primo sia del secondo scritto esistono edizioni recenti. Ad esso si è aggiunto il carteggio completo in tre volumi, pubblicato da Piper in tre volumi nel 1993 a cura di Klaus Gallwitz, Uwe M. Schneede e Stephan von Wiese. Fuori dall’ambito tedesco, gli scritti esistono solamente in francese (grazie a una pubblicazione del Centre Pompidou di Parigi (a cura di Philippe Dagen e Barbara Stehle).
        
Fig. 39) I tre volumi delle Lettere di Beckmann a cura di Klaus Gallwitz, Uwe M. Schneede e Stephan von Wiese (edizioni Piper 1993)

Fine della Parte Seconda


NOTE

[27] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book by Artists and Critics, with contributions by Peter Selz and Joshua C. Taylor, Oakland, University of California Press, 1968, 688 pagine. Il testo è integralmente disponibile all’indirizzo internet

[28] Holt, Elizabeth Gilmore - Theories of Modern Art by Herschel B. Chipp, in The Art Bulletin, Vol. 54, No. 2, giugno, 1972 (pp. 229-231). Il testo è disponibile all’indirizzo: 

[29] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.14.

[30] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.11.

[31] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), pp.18-19.

[32] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.21.

[33] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.22.

[34] Holt, Elizabeth Gilmore - Theories of Modern Art by Herschel B. Chipp (citato), p. 230.

[35] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.24.

[36] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.26.

[37] Holt, Elizabeth Gilmore - Theories of Modern Art by Herschel B. Chipp (citato), p. 230.

[38] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.51.

[39] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.51.

[40] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.50.

[41] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.51.

[42] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.632.

[43] Holt, Elizabeth Gilmore - Theories of Modern Art by Herschel B. Chipp (citato), p. 230.

[44] Holt, Elizabeth Gilmore - Theories of Modern Art by Herschel B. Chipp (citato), p. 230.

[45] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.125.

[46] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.126.






Nessun commento:

Posta un commento