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Storia delle antologie di letteratura artistica
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Herschel B. Chipp
Theories of Modern Art: a Source Book by Artists and Critics.
[Teorie dell’arte moderna: un libro delle fonti ordinato per artisti e critici]
Col contributo di Peter Selz and Joshua Taylor
Berkeley, University of California Press, 1968
Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Seconda
[Teorie dell’arte moderna: un libro delle fonti ordinato per artisti e critici]
Col contributo di Peter Selz and Joshua Taylor
Berkeley, University of California Press, 1968
Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Seconda
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Fig. 11) La prima edizione dell’antologia di Herschel B. Chipp pubblicata da University of California Press nel 1968. |
Parliamo ora della struttura dell’antologia
[27]: Chipp e i suoi due coautori l’hanno suddivisa in nove capitoli: (i) postimpressionismo,
(ii) simbolismo e altre tendenze soggettiviste, (iii) fauvismo ed
espressionismo, (iv) cubismo, (v) futurismo, (vi) neo-plasticismo e
costruttivismo, (vii) dada, surrealismo e scuola metafisica, (viii) arte e politica
e (viii) arte contemporanea: l’autonomia dell’opera d’arte.
In questa seconda parte ci dedicheremo ai
primi tre capitoli. Vi incontriamo i riferimenti agli scritti di alcuni giganti
dell’arte moderna: Cézanne, van Gogh, Gauguin, i simbolisti, i fauvisti e gli
espressionisti. Si tratta, per chi scrive nel 1968, di artisti nati cent’anni
prima, su cui si può quindi riflettere con una prospettiva storica
sufficientemente delineata. Sono i nuovi ‘classici’, che l’intera generazione
degli artisti del dopoguerra ha considerato come modelli da cui partire, sia
per conoscerli (e per questo la loro lettura è diventata quasi obbligatoria)
sia per superarli, spesso in maniera radicale.
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Fig. 12) Il primo dei due volumi dell’antologia di Lionello Venturi sulla letteratura artistica impressionista. |
A partire dagli anni Venti-Trenta del
secolo scorso si diffondono le raccolte di lettere di artisti delle generazioni
nate attorno alla metà dell’Ottocento. Si tratta, a dire il vero, di una
tendenza che include anche gli impressionisti (non presenti nell’antologia di
Chipp). Si pensi, ad esempio, alla pubblicazione nel 1939 dell’antologia di
Lionello Venturi intitolata Les Archives
de l'Impressionisme, in due volumi, che raccoglie testi (come dice il lungo
sottotitolo) di Renoir, Monet, Pissarro, Sisley, oltre alle memorie di Paul
Durand-Ruel e ad altri documenti. I testi degli artisti che rompono le
consuetudini del romanticismo sono letti avidamente da tutti i giovani artisti
che si pongono a capo delle avanguardie.
Una seconda ondata di studi sugli scritti
di questi artisti si manifesta negli anni Cinquanta e Sessanta, ovvero
immediatamente prima della pubblicazione di questa antologia. Sono gli anni in
cui gli Stati Uniti divengono il nuovo centro di sviluppo dell’arte contemporanea
e la traduzione di scritti in inglese diviene fondamentale per consentire ai
giovani artisti di appropriarsi degli strumenti analitici e delle fonti di
pensiero per interpretare l’arte dell’ultimo secolo.
Cercheremo in particolare di capire quale fosse,
all’epoca dell’antologia che qui recensiamo, la fortuna ‘americana’ degli
scritti di artisti che si collocano tra Cézanne e Kandinskij e come l’antologia
di Chipp ne abbia accresciuto l’importanza. Vedremo che in alcuni casi le opere
erano già ampiamente conosciute (anche se scopriremo che, non di rado, le
pagine citate da Chipp non corrispondono ai passi allora più conosciuti).
Considereremo anche l’opinione critica di Elizabeth
Gilmore Holt, una delle autorità nel campo della letteratura artistica
americana, in merito alla scelta dei passaggi antologizzati.
Allargheremo poi il discorso per
coinvolgere altre aree geografiche e, in particolare, cercheremo di capire quale
fosse in quegli anni la conoscenza delle fonti citate da Chipp in Italia, come
elemento di contrasto e paragone. Questo esercizio è sicuramente facilitato
dalla presenza nell’antologia di Chipp di una bibliografia ragionata molto
dettagliata, che (come abbiamo già detto) secondo la Holt ricorda per alcuni
aspetti il metodo documentaristico di Julius
von Schlosser, e dalla possibilità di fare ricerche bibliografiche su
internet, in particolare grazie alla pagina worldcat.org.
Antologizzare
la letteratura artistica del postimpressionismo: Cézanne e van Gogh
La sezione sul postimpressionismo è tutta
basata sul binomio Cézanne-van Gogh.
All’atto di comparsa dell’opera, a dire il
vero, è già consolidata da decenni nelle antologie di letteratura artistica
l’idea che per parlare di postimpressionismo si debba far ricorso al trio Cézanne-Gauguin-van
Gogh. Così, ad esempio, succede nelle Lettere d’Artisti nel Ottocento di Else
Cassirer (1913) e nelle Confessioni di artisti di Paul Westheim
(1926), a riprova del fatto che gli scritti dei tre sono visti nel mondo
tedesco come il momento di cesura tra la letteratura artistica dei due secoli. Se
proprio si deve operare un’esclusione, a essere ‘sacrificato’, il più delle
volte è Cézanne: sono solo Gauguin e van Gogh a rientrare nell’antologia
americana Artisti sull’arte firmata
da Robert Goldwater e Marco Treves nel 1945, in quella francese di Pierre
du Colombier “I più belli scritti dei
grandi artisti” del 1946 e nell’articolo americano Artisti scrittori di Alfred Werner,
uscito poco prima dell’antologia di Chipp, ovvero nel 1965. Chipp sposta invece
Gauguin nel capitolo successivo (quello del simbolismo), sottolineando in tal
modo la differenza tra van Gogh e Gauguin, e trovando invece elementi di
continuità tra gli scritti di Cézanne e quelli di van Gogh. Ad accomunarli sarebbe
il saldo riferimento alla cultura estetica del passato (anche molto precedente
l’impressionismo).
Va infine detto che, secondo Elizabeth
Gilmore Holt, la sezione sul post-impressionismo di Chipp pecca per l’assenza
degli scritti di Georges Seurat (1859-1891), padre del Neoimpressionismo
[28].
Cézanne
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Fig. 13) A sinistra: Emile Bernard, Ricordi su Paul Cézanne e lettere, 1921 (fonte: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k6572642c). A destra: Joachim Gasquet, Cézanne, 1921 (fonte: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k9800064p/f3.image.texteImage). |
Le lettere di Paul Cézanne (1839-1906) che
scrivono d’arte - scrive Chipp -, sono poche e brevi, nonostante l’artista sia
uomo di discreta cultura e abbia intrattenuto un carteggio molto ampio, ad
esempio con lo scrittore Émile Zola
(1840–1902). In termini di stile – continua l’antologizzatore - Cézanne si
mostra comunque “difficile, criptico e
spesso sgrammaticato, e spesso si esprime con grandi difficoltà. In ciò la sua
scrittura era rimasta simile ai primi dipinti” [29]. In realtà, l’artista di Aix-en-Provence non
ama scrivere o interloquire d’arte con altri artisti o conoscitori, dopo
l’esperienza dell’incontro-scontro con gli impressionisti che lo ha segnato
duramente negli anni Sessanta dell’Ottocento (solo Pissarro gli era rimasto
amico da allora). Interrompe il suo ascetismo letterario solamente “negli ultimi tre anni di vita e
all’indirizzo di tre giovani che avevano fatto uno sforzo considerevole per
allacciare rapporti con il pittore solitario” [30]. Il sessantenne ha
infatti stretto amicizia nel 1896 con il poeta ventenne Joachim Gasquet
(1873-1921), nel 1901 con il futuro pittore Charles Camoin (1879-1965) all’epoca
soldato di leva, e nel 1904 con il pittore trentacinquenne Emile Bernard
(1868-1941). Quest’ultimo, che aveva iniziato a pubblicare articoli su Cézanne
ancora ventiduenne nel 1890, passa con lui un mese intero nel 1904, interamente
dedicato a conversazioni sull’arte.
Per Cézanne, confrontarsi con giovani
curiosi e sensibili alla sua arte, in lunghi colloqui (che saranno poi
pubblicati dopo la sua morte e diverranno testi basilari per comprendere la sua
estetica), costituisce indubbiamente un’esperienza nuova. Già nel 1912 Bernard
divulga un fortunatissimo volume di ricordi sul mese passato con Cézanne, che
nel 1921 integra con le lettere (pubblica contemporaneamente quell’anno una
sintesi di Una conversazione con Cézanne
sulla rivista Mercure de France). Sempre nel 1921, Gasquet inserisce nel suo
libro su Cézanne un lungo capitolo con una sua conversazione integrale con il
pittore. Sono gli anni in cui a Parigi brulica ancora l’intera avanguardia
mondiale, e leggere di prima mano le intenzioni di Cézanne dev’essere per i
giovani artisti che si recano nelle librerie di Montmartre e Montparnasse
una vera e propria rivelazione.
Dovendo scegliere tra i più famosi ricordi
pubblicati da Bernard e le lettere a firma di Cézanne, Chipp evita comunque di
citare passaggi dalle conversazioni (e dunque testi di natura maggiormente
letteraria) e sceglie alcuni brevi passi stralci tratti dalla corrispondenza, con alcune
missive celeberrime (la lettera a Bernard stesso del 1904 con il famoso riferimento
alla natura come combinazione di cilindri, sfere e coni [31]). Interessanti le
lettere, sempre indirizzate allo stesso interlocutore, in cui Cézanne celebra
Tintoretto (1904) [32] e ragiona sull’astrazione nell’arte (1905) [33].
L’interesse di Chipp per gli aspetti teorici è talmente accentuato che egli
taglia i testi in modo da evitare tutti i riferimenti a questioni contingenti:
va detto che Elizabeth Gilmore Holt giudica negativamente questa condotta.
Nella sua recensione dell’antologia la studiosa scrive: “De-umanizzare le lettere omettendo ogni forma di saluto e notizia
personale è un errore. (…) È vero che il risultato è aumentare lo spazio per le
teorie. (…), ma quando sono arrivata alla lettera che Cézanne scrisse
nell’ultima settimana di vita, mi sono rammaricata che ne ossero rimaste
solamente quattro righe. Se la citazione fosse almeno iniziata a metà lettera,
avrebbe comunicato il senso di determinazione e lo spirito inflessibile di
Cézanne” [34].
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Fig. 15) L’edizione italiana delle lettere di Paul Cézanne a cura di Elena Pontiggia nelle edizioni del 1985 (SE) e del 2011 (Abscondita). |
La diffusione al grande pubblico del
carteggio completo delle lettere inviate da Cézanne (l’artista purtroppo non
conservò le lettere a lui indirizzate) è avvenuta grazie alla pubblicazione a
Parigi della Correspondence a cura di
John Rewald (1912-1994) in un’edizione critica del 1937. L’edizione di Rewald
(nato Gustav, cambia nome quando Hitler prende il potere in Germania e si
stabilisce in Francia prima e negli Stati Uniti poi, divenendo uno dei maggiori storici
d’arte dell’impressionismo e del post-impressionismo, nonché uno dei curatori
della pubblicazione di testi di quegli artisti negli Stati Uniti) è ristampata
da allora regolarmente in francese, e tradotta in inglese da Marguerite Kay nel 1941 (quest’ultima è la versione utilizzata da Chipp). Va detto
che non si tratta di un testo filologicamente corretto, anche se il nostro
autore non lo poteva sapere: solo nel 2011 Jean-Claude Lebensztejn pubblicherà
una raccolta critica di 54 lettere di Cézanne mettendo in luce non solamente
alcuni errori di Rewald, ma che lo studioso in realtà non aveva fatto ricorso
agli originali, limitandosi a trascrivere molte delle lettere già pubblicate in
volumi di ricordi, in tal modo confermando gli errori di trascrizione lì già
contenuti. Una nuova traduzione in inglese, completamente rivista, è stata
curata nel 2013 da Alex Danchev, che su Cézanne aveva scritto una biografia nel
2012. Quanto al nostro paese, un’edizione italiana
delle lettere tarda ad arrivare ed è basata purtroppo sulla collezione
filologicamente non corretta di Rewald: esce solo nel 1985 (a cura di Elena
Pontiggia, edizione SE, con ristampe
da allora fino al 2011 per Abscondita).
Prima di allora era comparsa solamente la traduzione dei Ricordi e lettere di Emile Bernard (nel 1953, nella traduzione di Anita
e Luigi Compagnone a cura di Longanesi).
Va infine detto che già dagli anni Trenta
esistevano ben due versioni in tedesco delle lettere di Cézanne, entrambe
pubblicate in Svizzera a cura di storici d’arte specializzati nello studio
dell’arte moderna e dei testi di letteratura artistica: nel 1930 era comparsa
una raccolta curata da Gotthard Jedlicka (1899-1965) e nel 1932 una seguita da Hans
Graber (1886-1956). Chipp non le menziona: forse non le conosceva o forse non
le poteva utilizzare, anche per ragioni linguistiche. L’edizione Jedlicka è
stata ristampata fino agli anni Sessanta.
Van Gogh
Di Vincent van Gogh (1853-1890) Chipp
scrive che “le sue affermazioni
specificamente concernenti le sue idee e teorie sull’arte non sono numerose, e
sono nella maggior parte dei casi molto semplici e dirette. Sono concentrate quasi esclusivamente in un
breve periodo, nei pochi primi mesi d’idillio quando, dopo aver lasciato Parigi
all’età di 35 anni, si trasferì ad Arles per il periodo tra febbraio 1888 e
maggio 1889” [35]. Con l’eccezione di una breve pagina del 1885, dedicata
ai Mangiatori di patate (quadro
appunto di quell’anno), tutte le lettere nell’antologia si riferiscono a quel
periodo. È la fase in cui van
Gogh, abbandonata Parigi, dove ha incontrato il già menzionato Bernard e
la comunità dei teorici del neoimpressionismo, sente la necessità di comunicare
con le sue controparti su questioni artistiche. Qui Chipp identifica in realtà
il pittore come persona tutt'altro che sprovveduta sul tema: Vincent opera per
sei anni nel mondo del mercato d’arte, prima della crisi mistica che lo porterà
ad abbandonare l’attività mercantile e a cercare d’intraprendere la strada del
predicatore nella sperduta regione fiamminga del Borinage. Come esperto di
mercato in Olanda, Belgio, Inghilterra e Francia, l’artista conosce bene i
maestri della generazione precedente [36]. Dopo la fase mistica, van Gogh
ritorna all’arte e dà prova di avere capacità di ragionamento su questioni estetiche.
Le pagine scelte da Chipp – di conseguenza
- non sono solamente le ben note considerazioni di natura mistica-religiosa sul
significato della vita, ma trattano dell’uso del colore, del rapporto con
Giotto, Cimabue, Holbein, Van Dyck, Leonardo, Correggio, Delacroix, Van Meer e
Watteau. Il mondo degli artisti nella mente di van Gogh non è, insomma,
ristretto alla sola, celeberrima, frequentazione con Paul Gauguin in una
Provenza assolata e disorientante, a cui la filmografia ha dedicato
un’attenzione quasi ossessiva (da Brama
di vivere di Vincent Minnelli del
1956 al recente Van Gogh - Sulla soglia
dell'eternità del regista-pittore Julian Schnabel). Va detto che Elizabeth
Gilmore Holt ritiene che Chipp, dovendo scegliere su un corpus epistolare
enorme, abbia operato una buona selezione [37].
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Fig. 17) A sinistra: una delle edizioni Cassirer (senza data) delle lettere di van Gogh a cura di Margarete Mauthner. A destra: Vincent van Gogh, Le lettere al fratello Theo, 1914. Si tratta della prima edizione integrale in tre parti, pubblicata ad Amsterdam da Jo van Gogh-Bonger, ovvero dalla moglie di Theo van Gogh. Fonte: https://www.dbnl.org/tekst/gogh006brie01_01/. |
La storia del successo delle lettere di van
Gogh è travolgente (e, in alcuni ambienti, come nella Germania del primo
Novecento, van Gogh è forse più famoso come scrittore che come pittore).
Le lettere iniziano a comparire in francese per opera di Emile Bernard nel 1893
sulla rivista d’arte francese Mercure de
France e nel 1904 sulla rivista d’arte tedesca Kunst und Künstler. Una prima raccolta parziale compare in tedesco
nel 1906 a cura dell’editore Bruno Cassirer (si succederanno otto ristampe fino
al 1930). Le lettere sono scelte e tradotte da Margarete Mauthner (1863-1947),
studiosa e collezionista, che è stata una delle maggiori specialiste sul tema.
Un’intera generazione di pittori espressionisti tedeschi si formerà su
quell’edizione (tradotta in inglese a partire dal 1912). Nel 1911 escono (in
francese) le lettere di van Gogh a Emile Bernard (sono pubblicate da Ambroise
Vollard).
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Fig. 18) A sinistra: le Lettere di van Gogh ad Emile Bernard nell’edizione pubblicata da Ambroise Vollard nel 1911. A destra: l’edizione del carteggio completo in inglese nel 1958 a New York. |
La prima edizione critica integrale delle lettere è pubblicata in tre volumi ad Amsterdam, a cura della moglie di Theo van Gogh, Johanna Gesina Bonger van Gogh, nel 1914. La sezione delle lettere al fratello Theo è immediatamente tradotta in tedesco da Leo Klein-Diepold per l’editore Bruno Cassirer (e compare dal 1927 in inglese grazie alla traduzione della moglie di Theo e nel 1937 in francese grazie a Georges Philippart e Charles Terrasse). Una seconda edizione completa del carteggio in olandese compare nel 1952-1954 a cura del figlio di Johanna, Vincent Willem van Gogh. Ne viene tratta una versione inglese nel 1958, con traduzione da parte della moglie di Theo van Gogh e di C. de Dood. È una raccolta che esce simultaneamente a Londra e a New York, e da allora è ristampata numerose volte. È, fra l’altro, l’edizione utilizzata da Chipp. Da questa edizione inglese derivano anche la versione completa francese (1960) e russa (1966). Una terza e nuova edizione critica delle lettere, in sei volumi, è comparsa in inglese e in francese nel 2009. È stata curata da Leo Jansen, Hans Luijten e Nienke Bakker.
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Fig. 19) A sinistra, la prima edizione italiana delle Lettere a Theo, pubblicata nel 1944. A destra, la seconda edizione, comparsa nel 1946, a cura di Marco Valsecchi. |
Quanto all’Italia, le Lettere a Theo vengono pubblicate (in due edizioni diverse) per la prima
volta nel 1944 (traduzione dall’olandese di Liana Ferri, prefazione di Virgilio
Guzzi, Roma, Edizioni della Bussola) e nel 1946 (traduzione a cura dello
storico dell’arte Marco Valsecchi a Milano per l’editore Bompiani). L’edizione
completa in tre volumi di tutte le lettere esce invece nel 1959 (sulla base
dell’edizione del 1952-1954) con il titolo Tutte
le lettere di Vincent van Gogh (Silvana Editoriale d'Arte), nella
traduzione da olandese e francese di Marisa Donvito e Beatrice Casavecchia. Il
numero di edizioni (in tutte le forme e combinazioni) si è andato poi
moltiplicando, facendo delle lettere di van Gogh un prodotto di consumo di
massa anche nel nostro paese (l’ultima edizione italiana è a cura dell’editore
Donzelli del 2013)
Simbolismi
e soggettivismi
All’interno di questa categoria molto ampia
e forse volontariamente imprecisa – dove vengono associati tutti i simbolismi e i soggettivismi – Chipp colloca soprattutto gli scritti di Paul Gauguin
(1848-1903), ma anche le considerazioni teoriche di George-Albert Aurier
(1865-1892), Maurice Denis (1870-1943) e Ferdinand Hodler (1853-1918), come
pure le testimonianze di James Ensor (1860-1949), Edvard Munch (1863-1944),
Odilon Redon (1840-1916) e Henry van de Velde (1863-1957). Ciò che li accomuna - avverte l’antologizzatore
- è soprattutto la comune avversità al realismo (soprattutto di quello di Zola,
che di Cézanne è stato grande amico fino a una clamorosa rottura), la
centralità del tema del mondo trascendente (riprodotto grazie alle qualità
soggettive dei colori) e l’ampliamento del tema della libertà d’espressione.
Esiste una grande prossimità intellettuale tra questi artisti e poeti come
Stéphane Mallarmé (1842-1898), Paul Verlaine (1844-1896) e Gustave Kahn (1859-1936). Sono gli anni dell’arte totale e la contaminazione tra ciò che è scritto
e ciò che è visuale è del tutto intenzionale. “Raramente negli anni seguenti e forse mai in quelli precedenti il
pittore e il poeta si sono stretti nella loro associazione personale e nella
loro battaglia caratterizzata da comuni problemi artistici” [38].
Gauguin
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Fig. 21) Il numero di Vers et Prose in cui Paul Gauguin pubblica le proprie Note sintetiche nel 1910. Fonte: https://pictures.abebooks.com/PRISCA/12604598234.jpg |
Gauguin nasce in una famiglia di scrittori
e giornalisti; il suo carteggio e i suoi scritti testimoniano la sua passione
per la teorizzazione degli esperimenti artistici prima della loro
realizzazione. Chipp documenta come quell’arte che viene spesso descritta come
espressione di un’anima selvaggia sia dunque – al contrario – costruita a
tavolino [39].
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Fig. 22) Paul Gauguin, Noa Noa, 1929, pubblicato da Éditions Crès a Parigi. Fonte: Wikimedia Commons. |
Rispetto a esempi precedenti di
letteratura artistica, quella di orientamento simbolista non è solamente una
forma di razionalizzazione del passato, ma ha natura anticipatoria di manifesto
programmatico [40]. Il sintetismo di Gauguin nasce su carta prima di essere
realizzato su tela. Persino l’apprendimento delle consuetudini polinesiane –
testimoniato nel famosissimo diario di viaggio Noa-Noa (che qui non viene
antologizzato) – è in realtà il risultato di studi e letture, e non di vita
vissuta [41]. I suoi tentativi successivi di negare ogni influenza di poeti e
letterati sulla sua arte rappresentano, insomma, il tentativo di accreditarsi
come uomo dominato dall’impulso immediato e, in ultima analisi, sono parte di
una riuscita strategia di comunicazione di natura commerciale. Gli scritti di
Gauguin sono raccolti sotto tre profili: le teorie sintetiste, i commenti sulle
proprie opere e quelli sul primitivismo. Prevalgono lettere, brevi scritti
teorici pubblicati su riviste ed estratti dai manoscritti tahitiani Diverses Choses, 1896-1897 e Cahier pour Aline, rimasti inediti e
pubblicati postumi dal suo biografo Jean De Rotonchamp nel 1906.
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Fig. 23) L’edizione in tre volumi dei Quaderni di Paul Gauguin nel 1962, con un testo di Raymond Cogniat e introduzione di John Rewald |
Ad oggi un’edizione critica completa delle
lettere di Gauguin non è ancora stata pubblicata. Herschel Chipp annuncia
infatti nell’antologia che il critico John Rewald [42] (che abbiamo già
incontrato a proposito degli scritti di Cézanne) sta lavorando a una futura
collezione critica dell’intero carteggio, ma evidentemente l’impresa non è
stata mai realizzata. Di Rewald è invece una breve raccolta delle lettere di
Gauguin ad Ambroise Volard e André
Fontainas, comparsa nel 1943, come pure l’introduzione alla riproduzione
anastatica dei quaderni (A Sketchbook),
in tre volumi, ad opera di Raymond Cogniat del 1962, cui Chipp fa riferimento
citando da lì molte delle pagine contenute nell’antologia. Con Cogniat
incontriamo uno dei massimi critici e divulgatori dell’impressionismo.
La pubblicazione più ricca e fortunata del
carteggio (utilizzata anche da Chipp) è invece quella della Lettere di Gauguin alla moglie e agli amici
ad opera dello storico dell’arte Maurice Malingue, comparsa in francese (1946),
inglese (1948), italiano (1948) e tedesco (1960). Malingue, storico dell’arte e
amico di famiglia dell’artista, ha continuato per quarant’anni a delineare
l'immagine pubblica di Gauguin, con la sua monografia Gauguin: le peintre et son oeuvre, introdotta dalla moglie Pola
(1948), la mostra Gauguin ed i suoi amici alla Galleria Kleber nel 1949 ed
infine con la creazione dell’associazione Gli amici di Paul Gauguin nel
1960.
Altri simbolisti e soggettivisti
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Fig. 25) A sinistra: La raccolta di scritti Teorie 1890-1910. Dal simbolismo e Gauguin verso un nuovo ordine classico di Maurice Denis del 1920. Fonte: https://archive.org/details/thories189019100deniuoft/page/n10. Al centro: La raccolta di scritti di James Ensor del 1921. Fonte: https://archive.org/details/lescritsdejame00enso/page/n5. A destra: Il diario A se stesso di Odilon Redon, pubblicato nel 1922. |
Il sintetismo è presente soprattutto con
scritti di Maurice Denis, di cui Chipp riconosce il valore non solamente come
pittore del gruppo Nabis, ma come teorico (una prima collezione di scritti del
1890-1910 compare nel 1920) e come organizzatore, nei decenni seguenti, di
movimenti moderni d’arte sacra. Il suo lungo articolo Définition du Néo-traditionisme, pubblicato nell’agosto 1890 a
diciannove anni nella rivista settimanale Art
et Critique, occupa un ruolo fondamentale (del resto, Goldwater e Treves lo
avevano già inserito nella loro antologia Artists on Art). Elizabeth
Gilmore Holt si congratula con Chipp per aver riconosciuto il valore del
teorico [43].
Importante anche il contributo di alcuni
degli artisti maledetti di quegli anni, come Edvard Munch con brevi aforismi
inclusi in un saggio a lui dedicato datato 1963, James Ensor i cui scritti
compaiono in un’edizione del 1921, e Odilon Redon, il cui diario À soi-même compare nel 1922. Con gli scritti di Denis, Ensor e Redon
(tutti in francese) e Munch (in norvegese) incontriamo per la prima volta testi
che non erano disponibili in inglese nel 1968 (con la sola eccezione, già menzionata,
di brani dell’articolo di Maurice Denis). Chipp li presenta quindi per la prima
volta al pubblico di lingua inglese. Elizabeth Gilmore Holt non ritiene
appropriata l’inserimento di Ensor nel capitolo: lo considera artista e teorico
ottocentesco. Mancano poi, secondo la studiosa, testi che rivelino le teorie
sulla scultura: la studiosa avrebbe voluto vedere scritti di Auguste Rodin
(1840-1917),
Medardo Rosso (1858-1928) e Adolf Hildebrand (1847-1921) [44].
Gli
scritti di fauvisti ed espressionisti
È Peter Selz a dedicarsi a questo capitolo
dell’antologia, probabilmente per la sua conoscenza dell’arte tedesca e, in
particolare, dell’espressionismo (Elizabeth Gilmore Holt elogia convintamente
l’antologizzatore). Se fino ad allora l’arte contemporanea si era sviluppata a Parigi,
ora alla capitale francese – spiega Selz – si affiancano i nuovi centri d’arte
di Dresda e Monaco. Per le traduzioni
dal tedesco in inglese, là dove un testo non è disponibile precedentemente,
Selz per la verità non tenta immediatamente la traduzione, ma preferisce
avvalersi dell’aiuto di altri specialisti. Fra di essi vorrei
ricordare un altro illustre esponente della critica d’arte contemporanea di
origine tedesca, ovvero Ernest Mundt (1905-1993), membro della Bauhaus
negli anni Trenta a Berlino e poi emigrato negli Stati Uniti (attraverso la
Turchia), divenendo direttore della California School of Fine Arts negli anni
Cinquanta a San Francisco. Una delle traduzioni da Kandinskij è invece dello
storico dell’arte americano Kenneth Clement Lindsay (1919-2009), che poi
pubblicherà in inglese nel 1982 tutti i suoi scritti in materia d’arte.
Matisse
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Fig. 26) Le Note di un pittore di Henri Matisse nell’edizione del Centre Pompidou (2012) con prefazione di Cécile Debray. |
Con l’eccezione di brevi testi e lettere di
Henri Rousseau il doganiere (1844-1910) e di Maurice de Vlaminck (1876-1958),
il fauvismo è rappresentato da Henri Matisse (1869-1954). Selz nota come – in
contrasto all’intenzione selvaggia dell’arte di Matisse – i suoi testi
programmatici siano “calmi e moderati:
egli crede nella necessità di riprodurre gli elementi essenziali della natura,
apprezza l’idealismo della scultura greca, dichiara l’interesse fondamentale
per la figura umana, e cerca di propagare serenità” [45]. Per Selz il
fattore determinante della teoria estetica di Matisse è la centralità
dell’intuizione artistica, che egli riconduce alla filosofia di Henri Bergson (1859-1941)
e soprattutto di Benedetto Croce (1866-1952). Il testo principale riprodotto è
quello delle Note di un pittore,
comparse originariamente nel dicembre 1908 nel periodico artistico-letterario La Grande Revue, pubblicato a Parigi e
San Pietroburgo. Si tratta del primo testo teorico di Matisse, allora
quarantenne, a cui viene chiesto di difendere la propria pittura dalle critichi
feroci dopo un’esposizione del 1905: l’artista lo fa riferendosi a categorie
classiche come il bello ideale. Il testo viene subito tradotto in russo (nella
rivista Золотое руно – Il vello d’oro) e tedesco (nella rivista Kunst und Künstler) l’anno seguente, e
sarà oggetto di lettura da parte di moltissimi giovani pittori del primo Novecento.
È tradotto in inglese nel 1931 e nel 1951 (quest’ultima versione a cura del
celeberrimo Alfred H. Barr (1902-1981) è utilizzata nell’antologia) e in
italiano nel 1943 (nella rivista Emporium).
Seguono tre testi degli anni Quaranta e Cinquanta, scritti dall’artista in
occasione e in ricordo della famosa mostra americana di Philadelphia nel 1948.
Nolde
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Fig. 27) Gli anni delle battaglie, il volume di memorie sugli anni 1902-1914 pubblicato da Emil Nolde nel 1934 per l’editore Rembrandt e nell’edizione Flensburg del 1958 |
La sezione sull’espressionismo è molto più
ampia e mira a documentare la diversità d’ispirazione degli artisti. S’inizia
con alcune pagine dell’autobiografia
di Emil Nolde (1867-1956), un corpus amplissimo sulle cui
vicissitudini molto abbiamo scritto il questo blog. Dal volume Gli anni delle battaglie 1902-1914 Selz
sceglie alcune pagine sull’arte religiosa, scritte nel 1934, in cui il pittore
traccia un parallelismo tra la sua arte, quella medievale e le opere delle
civiltà arcaiche dei primitivi, riferendosi alle sue creazioni del 1909. In
contrasto con le pagine di Matisse, qui l’obiettivo dell’autore è espressamente
di negare ogni valore al mondo della classicità greco-latina ed alla tradizione
rinascimentale. Lo stile della scrittura è caratterizzato dalla ricerca estrema
di effetti emotivi. Va detto che l’autobiografia di Nolde non è mai comparsa in
inglese e dunque la traduzione di Ernest Mundt è rimasta una delle poche pagine
in inglese dell’espressionista tedesco.
Kandinskij
Di tutt’altra natura gli scritti di Vasilij
Kandinskij (1866-1944), qui presenti con due testi del 1912, tratti dallo Spirituale nell’arte ed in particolare nella
pittura (Über das Geistige in der
Kunst: insbesordere in der Malerei) e dall’Almanacco del Cavaliere
azzurro (Der Blaue Reiter). La
prima citazione riguarda l’effetto del colore (di cui il pittore scrive che ha un odore e un suono). Tanto Nolde è scrittore istintivo, provinciale e
per molti aspetti incolto quanto Kandinskij (russo di grande cultura e capacità
di attraversare i confini nazionali) è uomo di forte radicamento in “filosofia e religione, poesia e musica”
e, anzi, “un genio universale” [46].
Uno degli aspetti di maggiore difficoltà nell’interpretazione dell’opera di
Kandinskij (oltre alla sua straordinaria ampiezza, anche non calcolando un corpus
notevole di testi letterari e teatrali) è il fatto che egli abbia realizzato
versioni diverse dei propri scritti a seconda delle lingue, adattandoli
all’opinione pubblica dell’area linguistica a cui si rivolgeva. Ad esempio,
dello Spirituale nell’arte esiste
anche una versione russa del 1911, diversa da quella tedesca. La versione
citata da Chipp deriva (tramite precedente traduzione inglese) dal testo
tedesco.
Non sorprende che l’opera abbia un successo
straordinario nel mondo inglese a partire dagli anni Quaranta, ovvero in piena
fase di affermazione negli Stati Uniti degli espressionisti astratti. Una prima
versione compare nel 1946 a cura della Fondazione Guggenheim di New York. Selz
utilizza invece la traduzione dello Spirituale
nell’arte comparsa in inglese nel 1947. È
preparata dal letterato inglese Michael Sadleir (1888-1957) e rivista da
Francis Golffing, Michael Harrison e Ferdinand Ostertag. Dagli anni Quaranta in
poi la versione del saggio di Kandiskij nella traduzione di Sadleir ed altri si
afferma come una delle opere di letteratura artistica più pubblicate nel mondo
inglese. Ma il successo non è limitato a quest’area. È del 1924 la prima
traduzione in giapponese, del 1949 quella in francese, del 1956 quella in
spagnolo. Non indifferente è il successo nel mondo italiano. La prima
traduzione (dal tedesco) compare nel 1940 (Della
spiritualità dell’arte particolarmente nella pittura) grazie a Giovanni
Antonio Colonna di Cesarò (1878-1940); il suo testo viene ripresentato nel
1968, con un saggio introduttivo di Luigi Spezzaferro, dall’editore De Donato.
Alla traduzione di Colonna di Cesarò, si aggiunge nel 1971 l’edizione
Feltrinelli che (passando per l’edizione critica francese di Philippe Sers) è
invece tratta dall’edizione russa; è di nuovo dal tedesco la più recente
traduzione italiana del 1993 a cura di Elena Pontiggia, oggetto di numerose
ristampe.
Il
saggio sulla forma, che è secondo Selz al centro
dell’elaborazione teorica del concetto di arte astratta, è tratto – come già
detto – dall’Almanacco del Cavaliere Azzurro di Franz Marc e Vasilij Kandinskij.
Nell’antologia è proposto nella traduzione di Kenneth Clement Lindsay. Il
successo editoriale dell’Almanacco è
più tardo rispetto alla pubblicazione precedente, ed è in gran parte merito
dello storico dell’arte tedesco Klaus Lankheit (1913-1992), che lo ristampa in
tedesco nel 1965; da quest’edizione è tratta anche la prima versione in
inglese, che comparirà negli Stati Uniti nel 1974, e dunque solamente dopo la
pubblicazione dell’antologia di Chipp. Anche in questo caso la fortuna italiana
non può essere sottovalutata: la prima versione viene pubblicata dall’editore
De Donato nel 1967, con una traduzione dal tedesco di Giuseppina Gozzini Calzecchi Onesti che è
stata riproposta da allora da diverse case editrici (SE, Abscondita).
Kokoschka e Kirchner
La generazione più radicale
dell’espressionismo tedesco è rappresentata da Oskar Kokoschka (1886–1980) ed
Ernst Ludwig Kirchner (1880-1938). Il primo si cimenta frequentemente con la
scrittura, realizzando, oltre ad opere d’estetica, molti testi di teatro e letteratura. Selz sceglie il discorso Della natura
delle visioni (Von der Natur der
Gesichte) tenuto a Vienna il 26 gennaio 1912, dove le teorie spirituali di
Kandinskij non vengono tradotte in un’aspirazione all’astrazione, ma in
un’esasperazione dell’immagine. La storia della diffusione a mezzo stampa di
questo testo giovanile è, per certi versi, contorta: una traduzione inglese On the Nature of Visions (è il testo
citato da Chipp nell’antologia) compare per la prima volta nel 1947 in Kokoschka, Life and Work, di Edith
Hoffmann. Il testo originale tedesco è poi inserito nell’edizione critica degli
scritti pubblicata a cura dello storico dell’arte Hans Maria Wingler (1920-1984) nel 1956 (con ristampa nel 1964), in occasione dei settant’anni
dell’artista. Il testo esiste anche in un’edizione italiana curata da Donatella
Mazza nel 2008.
Lo scritto di Ernst Ludwig Kirchner incluso
nell’antologia è la Cronaca del Ponte
del 1916, un testo assai breve che paradossalmente segna il momento di rottura
del gruppo Il Ponte (Die Brücke)
fondato dall’artista insieme a Fritz Bleyl (1880-1966), Erich Heckel (1883-1970) e Karl Schmidt-Rottluff (1884-1976) nel 1905. La vicenda è nota:
Kirchner redige nel 1913 un testo per raccontare la storia del gruppo, ma gli
altri membri lo rifiutano, ritenendo che abbia dato troppo spazio al proprio
ruolo: dopo otto anni durante i quali i quattro avevano prodotto in piena
intesa arte secondo la base del manifesto del 1906, il gruppo si scioglie.
Kirchner renderà pubblica la Cronaca solamente
nel 1916, dopo gli anni di guerra e di cura in un sanatorio. L’opera è tradotta
dallo stesso Peter Selz e pubblicata in inglese per la prima volta nel 1950.
All’epoca in cui Chipp pubblica l’antologia, non esiste una raccolta completa
degli scritti del pittore. Sono già state date alle stampe le lettere alla
moglie e all’architetto Henry van de Velde (1961), poi i diari dell’esilio a Davos, dove l’artista
si tolse la vita nel 1938, insieme a una raccolta di scritti (1968), a cura
dell’amico pittore Lothar Grisebach (1910-1989). Le lettere alla moglie non
sono mai state oggetto di ripubblicazione separata. I diari di Davos esistono
in una ristampa più recente del 1997. Una collezione di scritti è apparsa nel
1980 a cura del Museo di Aschaffenburg, città natale, in occasione del
centenario della nascita. Ma tutto sommato, la testimonianza degli scritti è
rimasta davvero assai limitata rispetto alla fama dell’artista.
Marc
Il mito di Franz Marc (1880-1916) è legato
– oltre alla sua pittura dove, come spiega Selz, animali disegnati in senso
classico sono immersi in un mondo fatato grazie all’uso di forme e colori –
anche alle sue vicende personali, (prima fra tutte la tragica morte, avvenuta
sui campi di battaglia di Verdun) come pure agli scritti. È il caso anche delle
pagine citate da Selz, tutte orientate a una riflessione purissima di natura
estetica. In un primo appunto del 1911-1912 a margine di suoi disegni, l’autore
si chiede come un cavallo veda il mondo: è l’occasione di interrogarsi su temi
universali nella storia dell’arte, accomunando Picasso, Kandinskij e Delaunay a
Pisanello. Segue una selezione di aforismi sulla natura del linguaggio e
dell’arte. Conclude una lettera inviata a un destinatario sconosciuto, in cui
Marc spiega le ragioni per le quali egli dipinge quasi esclusivamente animali e
opera un confronto fra la sua arte e quella di
Kandinskij. I tre testi di Marc sono tratti dalla collezione (in due volumi)
di Lettere, disegni ed aforismi pubblicata
da Paul Cassirer nel 1920, riproposta nel 1980 e nel 1989 nella Germania
orientale e recentemente ripubblicata nel 2014. Una raccolta degli scritti tra
1910 e 1915 viene pubblicata in italiano nel 1987 a Firenze. Gli aforismi
escono in Italia in due edizioni: I cento
aforismi: la seconda vista a cura di Renato Troncon con un saggio di
Giorgio Franck, Feltrinelli, 1982 e La
seconda vista: aforismi e altri scritti a cura di Elena Pontiggia
(Abscondita, 2007).
Ma in realtà il carteggio deve la sua
popolarità soprattutto alle edizioni dedicate a temi specifici (estratte
dall’edizione completa del 1920), e, in particolare, a un volumetto di Lettere dal fronte pubblicato per la
prima volta nel 1940 (e dunque in periodo di guerra) e ristampato nel 1956. Il
carteggio di guerra è stato riproposto in una nuova edizione a cura di Klaus
Lankheit e Uwe Steffen nel 1982 e, da allora, regolarmente ristampato;
l’edizione Lankheit/Steffen è stata infine tradotta in inglese per i tipi
dell’editore Peter Lang nel 1992. Esistono, inoltre, edizioni di lettere tra
pittori: il carteggio tra i due amici pittori August Macke (1887-1914) e Franz
Marc copre il periodo 1910-1914 ed è pubblicato per la prima volta nel 1964;
quello tra Franz Marc e Vassily Kandinskij vede la luce nel 1983. Sono testi
oggi molto citati, a conferma dell’esistenza di un tessuto di contatti
personali tra gli artisti (spesso documentato anche con mostre parallele dei
loro dipinti).
Klee
In linea con il
disegno generale dell’antologia (che predilige la teoria alla biografia), gli
scritti di Paul Klee (1879-1940) non sono tratti dai Diari, ovvero dai suoi splendidi testi autobiografici sul periodo 1898-1918, ampiamente
recensiti in questo blog, ma da uno dei suoi scritti programmatici più
famosi, la Confessione creatrice (qui
intitolato Credo creativo), che segna
per lui il passaggio completo da un simbolismo espressionista alle suggestioni
dell’arte astratta. I Diari
(pubblicati in tedesco nel 1957) sono pubblicati in inglese nel 1964
(stranamente, Chipp scrive che sono ancora in corso di pubblicazione, forse
perché la sua bibliografia ragionata non è stata pienamente aggiornata al
momento della pubblicazione dell’antologia). È comunque nel Credo creativo che Klee scrive che
l’arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile un mondo nascosto.
Lo scritto compare con il titolo Confessione creatrice (Schöpferische Konfession) sulla rivista Tribüne der Kunst und der Zeit nel 1920,
edita dallo scrittore Kasimir Edschmid (1890-1966). L’inserimento della
traduzione inglese (tratta da un catalogo di una mostra del 1959 a cura di
Norbert Gutermann) consacra un testo breve, ma ancora oggi considerato
cruciale: si pensi alla raccolta Confessione
creatrice ed altri scritti curata da Francesco Saba Sardi nel 2004 e a
quella (in inglese) intitolata Creative
confession and other writings,
pubblicata dalla Tate Gallery nel 2013.
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Fig. 35) Il quaderno pedagogico di Paul Klee in un’edizione tedesca nelle edizioni del 1925 e 2018 |
Nella sua
bibliografia ragionata Chipp inserisce (oltre alla Confessione creatrice e ai Diari)
altri due testi fondamentali, legati al periodo successivo speso da Klee come
insegnante alla Bauhaus: in primo luogo il quaderno pedagogico (Pädagogisches
Skizzenbuch, 1925 – traduzione inglese nel 1953 ), e, in seconda istanza,
l’insieme delle lezioni alla Bauhaus, ovvero Das Bildnerische Denken, pubblicato postumo in tedesco nel 1956, in
italiano nel 1959 (con il titolo Teoria
della forma e della figurazione, a cura di Giulio Carlo Argan e Mario
Spagnol) e in inglese nel 1961.
Beckmann
Collocando Max Beckmann (1884-1950) tra gli
espressionisti Selz potrebbe far pensare che – cinquant’anni fa – il ‘ritorno
all’ordine’ non fosse forse adeguatamente valutato come fenomeno artistico
autonomo. In realtà, egli fa riferimento al movimento della Nuova Oggettività
(la Neue Sachlichkeit) come
espressione di una vena di ’grande realismo’ che si può identificare come
proprio dell’arte moderna. Selz ritiene che tale filone modernista si esprima
anche nell’iconografia di De Chirico (1888-1978) e Bacon (1909-1992), abbia
paralleli nella narrativa di James Joyce (1882-1941) e Franz Kafka (1883-1924) e si evoca addirittura nella cinematografia, con Michelangelo Antonioni (1912-2007) e Ingmar Bergmann (1918-2007). Oggi, forse, a questa tendenza che si
pente delle sperimentazioni dell’avanguardia d’inizio secolo e recupera il
figurativo e la classicità si dedicherebbe un capitolo intero, aggiungendo
riferimenti non solamente agli altri tedeschi (Grosz
e Dix)
ma anche alla scuola di Parigi e alla riscoperta delle tecniche pittoriche
medievali e rinascimentali (come la tempera, il mosaico e l’affresco) in tutt’Europa,
come pure al realismo socialista in Unione Sovietica. In Italia, molti di
questi aspetti si sarebbero rivelati propri anche dell’arte totalitaria di
quegli anni, ad esempio nelle correnti moderniste (il Realismo magico) vicine
al fascismo italiano. In tal modo il figurativo diviene un elemento comune ad
artisti che si collocano da un punto di vista ideologico su posizioni
decisamente avverse.
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Fig. 37) Due opere di Peter Selz su Max Beckmann: a sinistra un volume sui suoi autoritratti (Gagosian Gallery, New York, 1992) e il catalogo della mostra al MoMa di New York del 1964. |
Questa prospettiva forse dispiacerebbe a
Selz, che dell’arte di Beckmann è stato uno dei grandi promotori negli Stati
Uniti (curando la sua retrospettiva al MoMa di New York nel 1964). Selz cita
Beckmann con un testo programmatico Sulla
mia pittura, originariamente pronunciato in tedesco alla Burlington Gallery
di Londra nel 1938, quando l’artista è in esilio ad Amsterdam e cerca conforto
nell’eterna e immutabile verità filosofica dell’individualismo, contro ogni
forma di collettivismo (è l’orientamento che si trova esplicitato anche negli
scritti di Grosz). Il testo è pubblicato qualche anno dopo in inglese a New
York, dopo il trasferimento di Beckmann dall’Olanda occupata dai nazisti agli
Stati Uniti; se ne occupa la Galleria di Karl Buchholz (che promuove l’arte
‘degenerata’ a New York). Sottolineando come Beckmann veda la propria arte
senza soluzione di continuità con i grandi filoni del passato (Grünewald,
Blake, Henri Rousseau il doganiere), Selz lo considera come ultimo momento di
passaggio tra la tradizione figurativa classica e un mondo iconografico
completamente liberato da riferimenti al passato.
Nella bibliografia ragionata ospitata
nell’antologia di Chipp, Beckmann compare sia per il carteggio durante il periodo bellico - con le
Lettere dalla guerra (Briefe im Kriege), pubblicate da Bruno
Cassirer nel 1916 - sia con i Diari tra
1940 e 1950, pubblicati a cura dello storico dell’arte Erhard Göpel (1906-1966)
nel 1955 (edizioni Langen-Müller). Sia del primo sia del secondo scritto
esistono edizioni recenti. Ad esso si è aggiunto il carteggio completo in tre
volumi, pubblicato da Piper in tre volumi nel 1993 a cura di Klaus Gallwitz,
Uwe M. Schneede e Stephan von Wiese. Fuori dall’ambito tedesco, gli scritti
esistono solamente in francese (grazie a una pubblicazione del Centre Pompidou
di Parigi (a cura di Philippe Dagen e Barbara Stehle).
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Fig. 39) I tre volumi delle Lettere di Beckmann a cura di Klaus Gallwitz, Uwe M. Schneede e Stephan von Wiese (edizioni Piper 1993) |
Fine della Parte Seconda
NOTE
[27] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book by Artists and Critics, with
contributions by Peter Selz and Joshua C. Taylor, Oakland, University of
California Press, 1968, 688 pagine. Il testo è integralmente disponibile
all’indirizzo internet
[28] Holt, Elizabeth Gilmore -
Theories of Modern Art by Herschel B. Chipp, in The Art Bulletin, Vol. 54, No.
2, giugno, 1972 (pp. 229-231). Il testo è disponibile all’indirizzo:
https://www.jstor.org/stable/3048987?read-now=1&seq=2#page_scan_tab_contents.
Citazione a p. 230.
[29] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.14.
[30] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.11.
[31] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), pp.18-19.
[32] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.21.
[33] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.22.
[34] Holt, Elizabeth Gilmore -
Theories of Modern Art by Herschel B. Chipp (citato), p. 230.
[35] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.24.
[36] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.26.
[37] Holt, Elizabeth Gilmore -
Theories of Modern Art by Herschel B. Chipp (citato), p. 230.
[38] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.51.
[39] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.51.
[40] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.50.
[41] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.51.
[42] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.632.
[43] Holt, Elizabeth Gilmore -
Theories of Modern Art by Herschel B. Chipp (citato), p. 230.
[44] Holt, Elizabeth Gilmore -
Theories of Modern Art by Herschel B. Chipp (citato), p. 230.
[45] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.125.
[46] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.126.
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