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lunedì 29 aprile 2019

Giovanna Perini Folesani. Luigi Crespi storiografo, mercante e artista attraverso l'epistolario. Parte Seconda


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Giovanna Perini Folesani
Luigi Crespi storiografo, mercante e artista attraverso l’epistolario

Firenze, Leo S. Olschki, 2019

Recensione di Giovanni Mazzaferro. Parte Seconda

Luigi Crespi, Terzo Tomo della Felsina Pittrice, Roma, Marco Pagliarini, 1769
Fonte: https://books.google.it/books?id=8mQGAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it&
source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false




SU GIOVANNA PERINI FOLESANI SI VEDA IN QUESTO BLOG: Giovanna Perini Folesani, Luigi Crespi storiografo, mercante e artista attraverso l’epistolario (Parte prima e seconda); Sandra Costa, Giovanna Perini Folesani. I savi e gli ignoranti. Dialogo del pubblico con l’arte (XVI-XVIII secolo); Giovanna Perini, Gli scritti dei Carracci. Ludovico, Annibale, Agostino, Antonio, Giovanni Antonio; Roger de Piles, Dialogo sul colorito, A cura di Giovanna Perini Folesani e Sandra Costa (Parte prima e seconda); Giovanna Perini Folesani, Sir Joshua Reynolds in Italia (1750-1752), Passaggio in Toscana. Il taccuino 201 a 10 del British Museum


Il Terzo Tomo della Felsina Pittrice

Abbiamo visto che l’idea di un Terzo Tomo della Felsina Pittrice di Carlo Cesare Malvasia nasce come evoluzione della proposta di Crespi a Bottari (1753) di scrivere per la Raccolta di quest’ultimo una serie di biografie in forma di lettera (sul modello della biografia del padre Giuseppe Maria) sugli artisti non trattati dallo storico secentesco bolognese (1678) e dallo Zanotti nella Storia dell’Accademia Clementina (1739). Quest’ultimo aveva scritto biografie di artisti appartenenti all’Accademia, fondata nel 1710, e aveva quindi tralasciato coloro che erano morti fra l’uscita della Felsina e tale data, nonché tutti coloro che non erano stati accademici clementini. Trascinatosi fra alti e bassi nel corso degli anni ’50, il progetto riprende corpo, definendosi come redazione di un volume autonomo, fra 1759 e 1762. Crespi scrive agli eredi di molti artisti, o comunque a molti di coloro che li conobbero, per avere testimonianze di prima mano sulle loro biografie. Nel 1761, addirittura, il libro sembra sul punto di uscire, completato da una serie di incisioni realizzate dall’autore. In realtà, le lettere a Bottari e i documenti preparatori del volume presenti in Archiginnasio testimoniano soltanto la ripetizione infinita di un serie di bugie di Luigi nei confronti del povero monsignore toscano, che pure si impegna per favorire l’amico, innanzi tutto trovando lo stampatore, ovvero il Marco Pagliarini che è anche editore della Raccolta di lettere, e poi sottolineando, in ogni tomo della Raccolta medesima, che la ‘nuova’ Felsina è in dirittura d’arrivo. Nel 1767, tuttavia, qualcosa si muove e il motivo è probabilmente il fatto che, a Bologna, un altro erudito dell’epoca, Marcello Oretti, si sta muovendo autonomamente per un progetto assai simile. Crespi riesce a ottenere da Carlo Emanuele III, re di Sardegna, il permesso di dedicargli l’opera. Il nome è, ovviamente, assai prestigioso (il sovrano piemontese è stato anche il dedicatario delle Vite vasariane nell’edizione Bottari del 1759-1760). In realtà la vicenda sembra quasi casuale: Luigi scrive al Conte di Groscavallo proponendogli l’acquisto di opere per conto di Carlo Emanuele, e il Conte a sua volta risponde negativamente, senza lasciare spiraglio alcuno [7]. Crespi tuttavia scrive nuovamente, questa volta per chiedere di potergli dedicare la sua opera e Carlo Emanuele accetta [8]. Bottari stesso funge da correttore delle bozze di Luigi, che vengono poi passate al Pagliarini. Non abbiamo purtroppo traccia del carteggio fra i due nel periodo compreso fra 1766 e 1769, ma è appena evidente che le perplessità del monsignore fiorentino devono essere aumentate man mano che ci si avvicinava alla fine dei lavori. Così, ad esempio, Crespi si lamenta che Giovanni Gaetano non abbia inserito un’ ‘Aggiunta’ al testo dai toni evidentemente molto polemici nei confronti della Guida di Bologna di Carlo Bianconi (1766), del resoconto del viaggio in Italia di Charles-Nicolas Cochin e del Trattato di pittura di Jonathan Richardson. Non ci sarà – alla fine – nessuna aggiunta. Resta il fatto che il prodotto finale è un esempio evidente di sciatteria, sia nell’apparato iconografico sia nel contenuto, di fronte al quale il Bottari, che ha passato otto anni lodando l’idea sulla sua Raccolta, decide di rimanere totalmente in silenzio.

Sciatteria, si diceva. Intanto si potrebbe cominciare con il titolo, evidentemente cambiato in corso di stampa, sicché alcuni esemplari si intitolano “Felsina Pittrice – Vite de’ pittori bolognesi, Tomo terzo” e altri “Vite de’ pittori bolognesi non descritte nella felsina Pittrice” (p. 290).

In termini di contenuti, invece, la prima cosa da dire è che non si capisce quale sia il criterio con il quale Crespi presenta le sue ricerche. Non vi è un ordine alfabetico, ma non si segue nemmeno un ordine cronologico preciso (semmai si ragiona per scuole, con catene (discutibili) di filiazione maestro-allievo). Manca “un’uniformità stilistica e strutturale delle varie voci, oscillanti tra un puro e semplice rinvio alla Zanotti o al Malvasia o all’Abecedario, e biografie vere e proprie con tanto di ambiziosa, retorica ouverture […] L’estensione della singola voce poi non dipendeva affatto da una precisa e rigorosa scelta gerarchica e “meritocratica” basata sull’obiettiva qualità dell’artista, né era necessariamente vincolata alla quantità dei materiali reperiti, ma si fondava essenzialmente sul “capriccio” dell’autore” (p. 114). Basti pensare che la vita del padre, Giuseppe Maria Crespi, è lunga 31 pagine e quella di Donato Creti due e mezza. Per non parlare poi delle assenze (chiaramente volute, anche se Crespi, in fondo al libro, rinvia a un quarto tomo per coloro che non sono citati nel presente). E ancora: “chiunque avesse letto il Malvasia poteva constatare come le Vite di Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli fossero semplicemente una riscrittura abbreviata e sciatta di quelle malvasiane, mentre altre Vite (quelle di Giovanni Viani, Giuseppe Roli o Lorenzo Pasinelli, ad esempio) erano il frutto di un’analoga operazione compiuta, questa volta, sulle pagine dello Zanotti” (ibidem).

Luigi Crespi, Terzo Tomo della Felsina Pittrice, Ritratto di Carlo Cesare Malvasia
Fonte: https://books.google.it/books?id=8mQGAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it&
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Ma l’elemento più vistoso, quello che veramente deve aver condannato all’oblio la Felsina crespiana, è l’apparato iconografico, ovvero le quarantaquattro incisioni fuori testo contenenti i ritratti degli artefici. Per capirsi, quando Crespi fa mandare da Roma le “copie-staffetta” al Conte di Groscavallo perché siano presentate a Carlo Emanuele III, la reazione è la seguente (maggio 1769): “Ho perciò avuto un grandissimo dispiacere nel vedere i rami de’ ritratti mal disegnati e mal intagliati, di modo che fanno un gran torto a questa Sua bell’opera, e non so capire come una persona di tanta intelligenza come Vostra Signoria lo è, si sia indutta a lasciarli vedere al pubblico. Io pertanto ho sospeso di presentare questa Sua opera a Sua Maestà, poiché, essendo intendentissimo in cose di disegno, avrebbe certamente poco gradito quest’intagli. Sarei dunque di sentimento che Vostra Signoria mi mandasse otto esemplari sciolti e senza ritratti, li quali farei io legare qui dal Legatore di Corte e rimanderei a Vostra Signoria tutti quelli che ho qui nella cassa, da poterne fare quel ch’Ella vole” (pp. 121-122). L’opera che doveva consacrare Crespi come erede del Malvasia viene respinta al mittente senza nemmeno essere presentata al dedicatario (poi, in realtà, le cose si ricomporranno, ma certo in un clima pesante). La bruttezza delle immagini diventa un luogo comune, sottolineato con minor o maggior veemenza, a seconda di chi si esprima: così ad esempio, c’è chi giunge a sostenere che le mamme fanno vedere i ritratti del Crespi ai bambini che fanno i capricci per far loro prendere uno spavento.

Luigi Crespi. Terzo tomo della Felsina Pittrice, Ritratto di Giovanni Enrico Haffner
Fonte: https://books.google.it/books?id=8mQGAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it&
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Luigi Crespi. Terzo tomo della Felsina Pittrice, Ritratto di Domenico Maria Canuti
Fonte: https://books.google.it/books?id=8mQGAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it&
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Va detto brevemente, a questo punto, che Perini Folesani non manca di sottolineare le carenze tecniche di Crespi e segnala che “lo strano groviglio di linee che compare in basso al centro nella cornice di tutti i 44 ritratti non è un qualsivoglia ghiribizzo decorativo, ma precisamente il monogramma LC [Luigi Crespi] con le lettere corsive intrecciate, stampato al contrario per […] l’incapacità tecnica crespiana di riprodurre un disegno esattamente ma al contrario, specularmente, in modo da tener conto dell’inversione sinistra-destra che si produce stampando la matrice” (p. 293). Tuttavia dà il meglio di sé nelle pagine in cui cerca (riuscendoci per la maggior parte) di individuare le fonti iconografiche dei singoli ritratti.

Luigi Crespi. Terzo tomo della Felsina Pittrice, Ritratto di Giuseppe Maria Crespi
Fonte: https://books.google.it/books?id=8mQGAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it&
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Si è detto del silenzio di Bottari, che probabilmente in questo periodo decide di interrompere la sua corrispondenza con Crespi. Ma interlocutori sono anche molti dei giudizi espressi dagli altri corrispondenti del canonico bolognese. E qui, però, occorre fare cronologicamente un passo indietro e parlarne brevemente.


I corrispondenti crespiani

La collaborazione con Monsignor Bottari per la Raccolta di lettere assicura al Crespi visibilità nel mondo erudito italiano e internazionale. Su quest’ultima sappiamo molto poco, posto che il carteggio col Mariette (che pure ci dev’essere stato) non è testimoniato in Archiginnasio. Per quanto riguarda l’Italia, invece, sono da segnalare personaggi dell’erudizione locale con cui Luigi intrattiene a lungo rapporti epistolari; quasi tutti i carteggi, peraltro, si interrompono come le relative amicizie per dissapori subentrati in corso d’opera. Su una cosa, comunque, si può stare certi: a tutti i suoi corrispondenti Crespi propone l’acquisto diretto o l’intermediazione a fine di vendita di opere del padre e di altri autori, libri, stampe e monete. A molti, poi, chiede di intercedere per avere per avere commissioni pittoriche. Il conte Carrara a Bergamo (1714-1796), Innocenzo Ansaldi a Pescia (1734-1816), Tommaso Francesco Bernardi a Lucca,  Carlo Giuseppe Ratti a Genova (1737-1795) sono tutte figure che non vanno sottovalutate, se non altro perché, nella maggior parte, costituiscono anche la rete informativa che sottende alla stesura della Storia pittorica del Lanzi nella versione del 1795-1796 (e chiaramente, il paragone su come questa rete viene utilizzata da Crespi e da Lanzi è impietoso).

Ne ho già parlato diffusamente in altre recensioni. Desidero però soffermarmi sulla figura di Ratti, il cui carteggio con Crespi fu in realtà assai breve, molto probabilmente perché quest’ultimo non condivideva l’entusiasmo per Mengs del primo. Ratti, che a Genova aveva aggiornato le vite degli artefici locali redatte dal Soprani, sin dalla sua prima lettera scrive a Crespi proponendo la stesura di una serie di lettere pittoriche in cui confutare gli errori contenuti nel Viaggio in Italia di Charles-Nicholas Cochin (1758), uno dei testi di maggior successo fra i visitatori francesi che effettuavano il Grand Tour (pp. 117-118).  Ma il vero problema è che Cochin, più in generale, è figura di spicco dell’Academie Royale de peinture et sculpture, ovvero dell’Accademia che, a queste date, detta, di fatto, il gusto in tutta Europa. Si è detto come Bottari in sostanza cerchi di cassare ogni forma di polemica nei confronti dell’accademico francese; e in realtà di ‘lettere pittoriche’ si smette presto di parlare, questa volta però a fronte di un progetto più ambizioso, promosso da Crespi. Si tratta di giungere alla redazione di una serie di guide artistiche locali che, secondo criteri prestabiliti, ‘mappino’ il patrimonio artistico locale in aree normalmente trascurate dai viaggiatori (italiani e stranieri). Luigi si rivolge dunque a Baronto Tolomei per la stesura di una guida di Pistoia, a Tommaso Francesco Bernardi per quella di Lucca, ad Andrea Zannoni per Faenza, a Michelarcangelo Dolci per Urbino, a Innocenzo Ansaldi per Pescia. È su questo progetto che Perini Folesani si mostra più indulgente nei confronti del canonico: “il progetto di Crespi […] era certamente ambizioso e intelligente: si trattava in fondo di riempire sistematicamente i vuoti della topografia artistica italiana (descrivere cioè i centri anche minori, per i quali ancora mancavano tanto una guida reputata, quanto le notazioni nei resoconti dei viaggiatori illustri), il che significava sia togliere credito e spazio commerciale alle guide spesso imprecise e superficiali, sempre forzatamente rapide, dei viaggiatori stranieri, sia fornire ad esse una risposta adeguata, pragmatica e positiva, che superasse la fase iniziale, puramente negativa, della satira o della critica indignata, talora anche capziosa e meschina, talaltra effettivamente motivita” (p. 160). Sarò sincero: io non so se Crespi avesse realmente in mente questo progetto, e in particolare il superamento della ‘fase denigratoria’ a vantaggio di una ‘costruttiva’. Mi pare che i suoi scritti, di fatto, smentiscano la circostanza. E allora non resterebbe da dire che il canonico intratteneva corrispondenza un po’ perché convinto di essere l’erede naturale di Bottari e un po’ perché cercava di restare aggiornato su occasioni di vendita o su possibili commissioni. Fatto sta, che di tutte le guide richieste, l’unica a essere pubblicata (da Crespi, all’insaputa dell’autore) fu quella pesciatina di Innocenzo Ansaldi. Ancora una volta, se Crespi fu in grado di ‘pensare in grande’ si dimostrò (come a Dresda o come col Terzo Tomo della Felsina) inadeguato a portare a compimento i suoi progetti.


Il VII Tomo della Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura


Frontespizio del VII tomo della Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura, Roma, Marco Pagliarini, 1773
Fonte: https://books.google.it/books?id=0VkGAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it&
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Mentre alcuni dei corrispondenti di Crespi interrompono il loro carteggio dopo la pubblicazione della Felsina, altri, come Tommaso Francesco Bernardi, lo aiutano nel reperimento dei materiali per il VII tomo della Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura, edito da Crespi nel 1773. Le ombre sulla pubblicazione dell’opera sono tante e note. Bottari, che aveva curato i sei volumi precedenti, era ormai in condizioni fisiche assai precarie. Nella prima parte di questa recensione abbiamo parlato di una lettera di Luigi al monsignore da cui si desume che quest’ultimo gli avrebbe detto di non essere intenzionato a proseguire la pubblicazione con altri tomi. Possibile che lo abbia fatto anche per non aver più rapporti con Crespi (che gli richiede indietro le sue lettere per stamparle in una sua imminente pubblicazione); fatto sta che a Bergamo il conte Giacomo Carrara progetta la pubblicazione di un VII Tomo, che abbandona nel momento in cui si accorge che il canonico bolognese sta perseguendo, indipendentemente, lo stesso progetto. Ancora una volta, quindi, come nel caso delle biografie dei pittori bolognesi rispetto a Oretti, Crespi ‘arriva prima’ e si accorda con l’editore dei primi sei tomi della raccolta (il romano Pagliarini) perché stampi anche il tomo successivo. Anche questo, a voler essere sinceri, è un fatto quasi straordinario, se si tiene conto che Pagliarini aveva pubblicato anche il Terzo Tomo della Felsina, di cui erano state vendute solo 100 delle 500 copie tirate, e che quindi era andato incontro a un bagno di sangue economico. L’editore, questa volta, si accorda con Crespi facendo sostenere a quest’ultimo le spese di edizione e, presumendo di vendere il VII Tomo a tutti gli acquirenti dei primi VI, spera anche di rientrare delle perdite subite con la Felsina. Fa male i suoi conti, perché anche il VII Tomo si rivela un fallimento.

Non vi è dubbio che a contribuire all’ennesima debacle crespiana ci sia la recensione che Giovanni Ludovico Bianconi pubblica sulle Effemeridi Letterarie di Roma da lui fondate, in cui, oltre a stroncare l’opera (“Due opuscoli sopra la Pittura ai quali si sono aggiunte quattordici lettere del Signor Luigi Crespi Canonico di Santa Maria Maggiore di Bologna” – cfr. p. 206) stigmatizza il fatto che Luigi avrebbe fatto tutto all’insaputa del Bottari, confezionando una vera e propria edizione-pirata, non autorizzata dall’anziano monsignore. Affermazioni che – fa presente Perini – non erano del tutto vere (cfr. p. 205). Resta il fatto che, ancora una volta, il contenuto dell’opera (nonostante le costanti pressioni di Pagliarini a rimpolparla) è assai modesto. Oltre ai suoi scritti (spesso si tratta di saggi già stampati a cui attribuisce la forma di lettera, oppure – e ancora una volta – di invettive rivolte alla Guida bolognese di Carlo Bianconi del 1766, a Cochin, a Richardson e all’Accademia Clementina), Crespi pubblica materiali forniti da Tommaso Francesco Bernardi (e altri ne scarta) fra cui un trattato inedito del genovese Paggi (1554-1627) pur essendo consapevole (al contrario del Bernardi) che non fosse opera del pittore in questione (si tratta in realtà del Trattato della nobiltà della pittura di Romano Alberti, come si scopre solo nel Novecento). Perché? Il trattato del Paggi era già stato citato nell’edizione rivista da Ratti delle Vite genovesi del Soprani: il rinvenimento di uno scritto che aveva già un suo pedigree storiografico viene giudicato evidentemente più ‘appetibile’ di un modesto testo di autore anonimo e il canonico non si fa quindi troppi scrupoli. La vicenda pare essere ampiamente indicativa dell’etica del personaggio.


Crespi vs. Malvasia

Avviandomi verso la fine, resterebbe da parlare di tanti altri scritti ‘minori’ di Crespi (a volte veri e propri plagi) e anche di altri suoi progetti falliti (come la pubblicazione delle Vite dei pittori ferraresi del Baruffaldi). Ci sarebbe poi da affrontare in maniera più completa la questione della sua attività pittorica. In quest’ultimo caso rinvio al recentissimo Luigi Crespi ritrattista nell’età di papa Lambertini (a cura di Mark Gregory D’Apuzzo e Irene Graziani, Cinisello Balsamo, Silvana editoriale, 2017), catalogo dell’omonima mostra (e prima monografica) svoltasi a fine 2017 a Palazzo Davia Bargellini a Bologna.

Preferisco terminare, invece, citando le parole che Perini Folesani (una ‘malvasiana di ferro’) scrive mettendo fra loro a confronto Malvasia e Crespi. Se le avessi citate all’inizio di questa recensione si sarebbe potuto pensare che la studiosa avesse scritto un libro di 500 pagine per un ‘fatto personale’, ovvero per l’aver osato il Crespi ‘infangare’ il nome di Malvasia scrivendo la continuazione della Felsina. Qui, invece, mi pare che possano fungere da bilancio al termine di un’opera che contestualizza l’attività di Crespi nell’ambito della società dell’epoca e finisce per metterne in evidenza i limiti, i comportamenti, la mancanza di spessore etico (e anche culturale) che furbizia, scaltrezza e un buon tempismo nell’individuare progetti potenzialmente interessanti non riescono evidentemente a compensare:

Non ho dubbi, personalmente, che affiancare la figura di Luigi Crespi a quella di Carlo Cesare Malvasia (a dispetto del ricorrere del paragone nella letteratura artistica tardo-settecentesca e della provata volontà di continuità ideale ricercata dal Crespi) sia un insulto immeritato alla memoria del secondo e troppo, indebito onore fatto al primo: quanto Malvasia si è adoperato con serietà e scrupolo non sempre riconosciuti, ma effettivi, alla ricostruzione epigrafica, storiografica e fors’anche giuridica delle patrie glorie felsinee, sviluppando ad hoc un metodo critico originale e moderno, frutto di una visione europea dei problemi, il tutto a costo anche dei propri beni e della propria tranquillità, altrettanto Luigi Crespi ha cercato, sempre e prima di tutto, il proprio beneficio personale, in senso grettamente materiale ed economico, prima che sociale e morale.

Non si può confondere il profilo di un uomo veramente aristocratico, consapevole dei doveri sociali del suo rango prima che dei suoi diritti – di un uomo insomma che ha sempre agito all’interno delle istituzioni per le istituzioni (militari, giuridiche, accademiche) -, con le aspirazioni di un borghese piccolo piccolo, soddisfatto dei frutti dei suoi lenocinii quotidiani, che, traditi gli amici, gli consentono infine di lasciare ben provvista la sua prole bastarda, anche a spese di fratello e nipoti” (pp. 303-304).


NOTE

[7] Meriterebbero uno studio a parte le modalità di vendita di quadri, libri e monete che si vedono esposte nell’epistolario crespiano: si va dalla tentata vendita alla vendita ‘sulla fiducia’ in base alla descrizione dell’opera del proponente. In realtà, uno dei modi più semplici per respingere le offerte di Crespi è comunissimo (e di fatto si usa molto anche oggi, quando ti telefona la Treccani): il potenziale ‘cliente’ fa sapere di avere la propria dimora stracolma di quadri, molti dei quali nemmeno appesi alle pareti e proprio non ha spazio per ulteriori acquisizioni. Da bibliofilo, mi viene invece da piangere quando Daniele Farsetti scrive nel 1779 che i libri che Crespi gli ha inviato per cercare di venderli (all’epoca Luigi sta cercando di liberarsi della sua biblioteca) sono molto sopravvalutati: in particolare “Il Lomazzo ha molte carte scritte, il che non era spiegato nel catalogo, sì che il Signor Armano mi dice non volerlo” (p. 84). Ignoro se il libro sia finito in collezione Hercolani.

[8] Le vicende dell’estensione materiale della dedica sono indicative; nelle carte crespiane resta la prima bozza, inviata al Groscavallo, che la cassa nelle (molte) parti in cui la piaggeria sconfina nel ridicolo o nel politicamente imbarazzante. Cfr. pp. 109-111.



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