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lunedì 13 giugno 2016

Giovanni Mazzaferro. Gli esemplari postillati delle 'Vite' vasariane: un censimento. Parte Prima


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Giovanni Mazzaferro
Gli esemplari postillati delle Vite vasariane: un censimento

Parte Prima

Un'immagine dell'esemplare della Giuntina postillata da El Greco (cfr n. 7)


Esemplari postillati delle Vite vasariane (sia nell’edizione Torrentiniana del 1550 sia in quella Giuntina del 1568) sono noti da secoli. Negli ultimi anni, poi, si è assistito a una vera e propria fioritura di monografie e saggi dedicati a singoli esemplari. Manca tuttavia un inventario che metta ordine fra le tante indicazioni provenienti da studiosi e storici dell’arte. Scrivo quest’articolo con l’ambizione di colmare questo vuoto, ben consapevole dei limiti dell’operazione. Innanzi tutto – sia chiaro – il mio è un esercizio compilativo. Non ho scoperto nuovi esemplari postillati né ho verificato sugli originali i testi delle postille riportati nei singoli studi. Tuttavia mi pare di poter dire di aver trovato qualcosa di nuovo, o – meglio – di dimenticato, e di aver provato ad attribuirgli nuova evidenza.

Questo articolo è strutturato in due parti e un’appendice: nella prima sono contenute considerazioni generali sulla “letteratura delle postille” e sulle difficoltà dell’interprete nel dar loro un significato; la seconda contiene l’inventario vero e proprio coi relativi riferimenti biografici. Nell’appendice sono presentate le postille di Federico Zuccari che Gaetano Milanesi attribuisce all’artista e che dice di aver tratto da un esemplare della Giuntina “già posseduto dal cavaliere Alessandro Saracini di Siena” [1]. L’esame dell’epistolario Milanesi (come vedremo a suo luogo) conferma peraltro l’esistenza del volume. L’esemplare, oggi, è perduto, sicché un primo elemento di confusione riguarda proprio il numero di copie della Giuntina che furono postillate dallo Zuccari. Normalmente si dice che siano due (quella conservata a Parigi e la copia poi posseduta da El Greco e conservata oggi in Spagna), mentre in realtà sono tre. Io ho semplicemente cucito insieme le indicazioni fornite da Milanesi e sparse lungo il suo commento vasariano. Naturalmente si potrà discutere a lungo sulla loro attendibilità e sulla loro paternità. Lo studioso, però, mi sembra di statura tale da meritare fiducia.

Le singole edizioni citate nell’Inventario saranno poi oggetto di successive recensioni che saranno pubblicate su questo blog.

Frontespizio delle Vite nell'edizione Giuntina (1568)


Il perimetro della ricerca

Per quanto concerne il perimetro della ricerca, ho deciso di attenermi ai criteri seguiti da Maddalena Spagnolo, nel suo Considerazioni in margine: le postille alle Vite di Vasari [2], senza dubbio il miglior tentativo di arrivare a una sistemazione complessiva della materia. Sono prese in considerazione le sole postille apposte alle edizioni Torrentiniana (1550) e Giuntina (1568); sono esclusi tutti quei casi in cui le “postille” non sono in realtà indicazioni a margine dell’opera, ma correzioni, aggiunte e affermazioni contenute in manoscritti a parte [3]. Sono inoltre escluse le situazioni in cui esemplari delle Vite sono utilizzati per la “correzione di bozze” da parte dell’entourage vasariano. Ne segnala uno incidentalmente, ad esempio, Marco Ruffini nel suo saggio dedicato alle annotazioni di un anonimo padovano del 1563 circa [4]. Al contrario ho incluso anche citazioni di Vite postillate i cui esemplari sono al momento smarriti (è il caso delle note di Zuccari segnalate da Milanesi). Sono escluse, infine, tutte le postille ad edizioni successive. Per questo motivo – per meglio capirci – non compare l’esemplare (perduto) delle Vite in cui sono presente le note di un postillatore veneziano di metà Settecento, segnalate da Otto Kurz nell’aggiornamento della Letteratura artistica di Schlosser e nuovamente citate da Maddalena Spagnolo nel suo saggio [5]. L’esame dello scritto in questione mi ha infatti permesso di capire che si tratta di note apposte all’edizione Manolessi del 1647 [6].

Autoritratto di Giorgio Vasari (edizione Giuntina)


Le postille come genere letterario: eterogeneità dei materiali e degli studi a loro dedicati

La prima cosa che colpisce, nel prendere in esame gli esemplari postillati, è l’eterogeneità dei materiali a cui ci si trova di fronte. Ci sono casi (ad esempio quello di Francisco de Hollanda) in cui le postille sono quattro; altri in cui invece le note sono fittissime e segnalano un lungo e sfibrante corpo a corpo col testo vasariano.

Si può parlare delle postille come ‘genere letterario’? Indubbiamente è necessario usare molte cautele. E tuttavia sembra logico mettere in evidenza quelli che possono essere considerati i tratti comuni alla maggior parte degli esemplari.

Per prima cosa le postille indicano lo studio del testo vasariano e il confronto col medesimo. Ne mettono quindi in evidenza l’importanza, sia per chi si limita ad apporre semplici sottolineature di passaggi ritenuti soggettivamente importanti sia per chi invece non manca l’occasione per polemizzare con lo scrittore aretino. Un altro elemento che caratterizza tutti gli esemplari e che sottolinea come le Vite fossero innanzi tutto testo di studio è il fatto che le postille riguardano solo porzioni dell’opera: singole vite o gruppi di biografie su cui l’annotatore ha concentrato la propria attenzione. Appare evidente, appunto, che il lettore ha consultato l’opera nelle sezioni di cui necessitava senza leggerla tutta per esteso (del resto, credo che anche oggi l’insieme di chi ha letto il testo vasariano dall’inizio alla fine sia assolutamente ridotto). Naturalmente si può dire (come ad esempio fa Giovanna Perini in riferimento alla biografia di Correggio nell’esemplare postillato da Annibale Carracci [7]) che l’assenza di postille sta a significare che il lettore è sostanzialmente d’accordo con chi scrive (tutti noi, per natura, siamo portati a fare un appunto o ad apporre un segno grafico ben netto quando leggiamo qualcosa che ci disturba. Lo siamo molto meno se le nostre vedute sono identiche a quelle dell’autore). Tuttavia io propendo più per la mancata lettura. Se devo rifarmi alla mia esperienza personale, mi viene in mente che, di fronte a passaggi particolarmente importanti, appongo comunque delle evidenziazioni. Mi verrebbe da pensare che situazione analoga potrebbe essersi verificata anche negli esemplari postillati.

Qui purtroppo subentra un secondo fattore di debolezza (ad aumentare la già congenita eterogeneità delle testimonianze): i criteri con cui gli studiosi elencati nel censimento sotto indicato hanno commentato i singoli esemplari postillati sono assolutamente diversi fra loro. C’è chi si è limitato a citare le frasi più importanti, chi le ha trascritte senza dar conto però di eventuali sottolineature o altri segni grafici, chi, ancora, ha condotto un esame talmente analitico da scrivere centinaia di pagine (si veda il caso di Lucia Collavo, che suddivide le postille di Scamozzi in tre gruppi: segnaletiche degli argomenti di interesse, integrative del testo a stampa e memorative delle esperienze dell’architetto vicentino [8]). Manca, insomma, un approccio uniforme alla materia, e la cosa non favorisce l’emissione di giudizi complessivi. Non mancherò di segnalare le criticità di volta in volta.

Uno degli elementi che normalmente viene richiamato, quando si parla degli esemplari, è il tono di aperta contestazione che i vari annotatori mostrano nei confronti dello scrittore aretino. Tale tono può giungere sino al vero e proprio insulto, e certamente sono celebri (e divertenti) i passaggi in cui Annibale Carracci apostrofa Giorgio esclamando “O che viso di cazzo del Vasari!” o il “coglione” con cui Lelio Guidiccioni omaggia l’aretino che esprime un giudizio limitativo su Dosso Dossi. Del resto, la maggiore libertà che può essere utilizzata nelle postille (che restano un documento privato, salvo quanto diremo più avanti) è senza dubbio anch’essa un aspetto caratterizzante di tale letteratura. Quasi tutti (non tutti) i postillatori mostrano acredine nei confronti del Vasari per l’approccio filotoscano delle Vite; le postille sarebbero quindi il modo con cui un mondo esprime dissenso nei confronti di un approccio basato sul primato del binomio Toscana/disegno. Non vi è dubbio che sia così, ma personalmente cercherei di non fare di tutta l’erba un fascio. Ci sono commentatori (ad esempio uno è il fiorentino Francesco Bocchi) che, pur non condividendo la prospettiva vasariana, dimostrano di leggere le Vite come momento di studio e di crescita culturale e fors’anche per preparare controdeduzioni che però non sono esplicitate.


Ritratto di Leon Battista Alberti (ed. Giuntina)


Le postille di Federico Zuccari e di Annibale Carracci: un’origine comune?

È fuori di dubbio che, fra gli esemplari segnalati nell’inventario, un ruolo di particolare importanza abbiano i tre attribuiti allo Zuccari e quello di Annibale Carracci. La domanda è: è possibile stabilire un nesso fra le postille zuccariane e quelle carraccesche (al di là della comune contestazione del dettato vasariano)? L’idea (che sulle prime mi sembrava del tutto strampalata) mi è venuta a partire da un indizio flebilissimo. Prima è necessario fare un’anticipazione: secondo Mario Fanti, che le ha trascritte per primo, le postille carraccesche sono in realtà un palinsesto di annotazioni appartenenti a sei o sette persone diverse “assegnabili però tutte al tardo secolo XVI o al principio del XVII” [9]. Accoglie la tesi anche Giovanna Perini [10] che però sceglie di limitarsi a pubblicare le sole note di Annibale, al contrario di Fanti che le propone tutte. Fra le postille non di mano di Annibale ce ne sono due (fra l’altro omesse dal Bodmer [11]) che si risolvono in un sibillino “Mente per la gola”; fra quelle attribuite a Zuccari e citate dal Milanesi nella sua edizione delle Vite c’è un identico “Mente per la gola” (cfr. Appendice infra p. 94 n. 2).

Ora, io non sto dicendo che una delle sei o sette persone che scrivono sul palinsesto carraccesco sia lo Zuccheri: l’espressione “mente per la gola” (che vuol dire “mente spudoratamente”) era all’epoca di uso comune [12], fermo restando che, se mai l’edizione Zuccari attualmente dispersa fosse reperita, un confronto calligrafico lo farei. Sto cercando piuttosto di arrivare a una tesi che solo Giovanna Perini mi pare aver preso in considerazione: “Alcune grafie […] sembrerebbero di mano più «calligrafa» di quella di Annibale, ma soprattutto più «cancelleresca», più pienamente cinquecentesca, se non più letterata: forse Annibale ha continuato l’opera di commento marginale già intrapresa da qualcun altro, ha insomma comprato una copia usata di qualche antivasariano di ferro, e, come altri dopo di lui, vi ha aggiunto il suo parere di «tecnico»” [13]. Un dato di fatto è incontrovertibile: se le persone coinvolte nella postillazione dell’esemplare carraccesco sono sette, e se usciamo dal dogma che il primo a prendere l’iniziativa sia stato Annibale, esistono sei probabilità su sette (l’85%) che a iniziare a vergare note sul volume sia stato un altro.

Dove e chi aveva introdotto la consuetudine di postillare più di un esemplare delle Vite, a scopi fondamentalmente di autopromozione? La risposta è semplicissima: Federico Zuccari a Roma.

Se noi prendiamo in considerazione due dei tre esemplari postillati da Zuccari (confesso di non aver ancora potuto vedere quello oggi a Madrid e appartenuto a El Greco) c’è un elemento che colpisce immediatamente: le note dell’artista italiano nell’esemplare parigino (cfr. Inventario esemplare 8) sono trentasei; quelle dei volumi segnalati da Milanesi (sempre che le abbia trascritte tutte) sono quarantatre (cfr. Inventario esemplare 17). In comune (pur essendoci sovrapposizione nelle vite oggetto di studio) ce n’è una sola.

La domanda che mi pongo è: se uno stesso autore postilla in momenti diversi tre diverse Giuntine, con sovrapposizione di argomenti trattati, è più probabile che ripeta alcune note oppure no? Secondo me, sì. E ne traggo la conseguenza che, evidentemente per motivi a noi non noti, le annotazioni sono state operate più o meno tutte insieme, e comunque quando l’autore aveva sotto mano gli esemplari [14]. È dunque possibile (a mio giudizio) che Zuccari avesse inaugurato davvero un genere letterario a scopi autopromozionali; che le postille siano state apposte più o meno negli anni immediatamente precedenti o seguenti la nomina dello stesso a primo Principe dell’Accademia di San Luca (1593). E qui sviluppo un’intuizione (assai più autorevole della mia) di Giovanna Perini. Secondo me Annibale sarebbe arrivato a Roma, avrebbe conosciuto il genere, si sarebbe procurato una copia già postillata e l’avrebbe annotata con considerazioni che a prima vista a molti potrebbero sembrare coincidenti con quelle zuccariane, ma che in realtà rappresentano un prendere le distanze sia da Vasari sia dal tardo-manierismo dell’artista di Cortona: “Leggere e riflettere sul terzo volume [n.d.r. delle Vite] voleva dire meditare sui termini, o almeno sulle radici, del dibattito artistico contemporaneo, attività… che doveva assumere tutt’altra urgenza in quella Roma pomposa e velleitaria in cui egli era appena giunto e che aveva partorito, meno di due anni prima del suo arrivo, l’arciaccademica Accademia di San Luca presieduta dallo Zuccari, vera roccaforte del manierismo o, a dirla nei termini di Annibale, dei Michelangiolisti” [15].


Ritratto di Ercole de' Roberti (edizione Giuntina)


Le postille: un fenomeno cronologicamente delimitato?

Nel suo saggio Maddalena Spagnolo [16] fa presente che, pur non potendo indicare con precisione anni di compilazione, le postille alle Vite vasariane appaiono grosso modo delimitate entro un ambito cronologico che si conclude attorno al 1620. Vale la pena riportare un brano dello scritto dell’autrice: “Non è un caso che la maggior parte delle postille che conosciamo appartengano a un periodo che va dalla pubblicazione della Giuntina al secondo decennio del Seicento, ad un momento cioè in cui la letteratura artistica stava sperimentando un metodo alternativo al criterio biografico vasariano, cercando di organizzare le notizie secondo il dato geografico e stilistico. In questo senso, il breve poema di Gigli [17], le Considerazioni di Mancini così come, seppure in modo diverso, il frammento del trattato di Agucchi rivelano a vari livelli un’analoga aspirazione a superare il modello proposto da Vasari. Una delle caratteristiche di questi ed altri testi prodotti intorno al secondo decennio del Seicento è l’aderenza alla realtà artistica contemporanea [… Dopo il 1620] va da sé che i libri di Vasari cominciavano a perdere d’interesse e servivano comunque a poco per comprendere i fenomeni artistici coevi […] La distanza dal mondo vasariano era ormai troppo grande e la direzione imboccata dall’arte nella prima metà del Seicento richiedeva un aggiornamento di criteri e di valori che rendeva a volte perfino superfluo confrontarsi con il sistema di giudizi offerto da Vasari”.

In linea di massima, sono completamente d’accordo. Credo però che il discorso, come al solito, non debba essere preso come un dogma e altri fattori vadano tenuti in considerazione. Uno, se si vuole assai prosaico, è la scarsissima disponibilità (e l’alto prezzo) delle copie dell’edizione Giuntina man mano che ci addentrava nel XVII secolo. Tendenzialmente chi aveva Vasari in casa se lo teneva bello stretto e chi ne voleva acquistare uno aveva grosse difficoltà a reperirlo. Da qui, del resto, la pubblicazione della terza edizione delle Vite, la bolognese edizione Manolessi del 1647, che non a caso ebbe grande successo. Malvasia (che qualche motivo di risentimento con Vasari ce l’aveva e lo mostrò bello evidente nella Felsina Pittrice) lavorò a partire dall’edizione Manolessi e scelse, invece di postillarla, di riportarne ampi brani nelle sue carte preparatorie. L’anonimo veneziano di metà Settecento che abbiamo citato più sopra postilla un’edizione Manolessi. D’altro canto non possiamo dimenticare altre situazioni (come quelle di Del Migliore) in cui, all’apposizione di note marginali, si preferisce la redazione di manoscritti separati contenenti correzioni ed integrazioni. E, da ultimo, è obbligo citare il caso del tutto singolare di Padre Sebastiano Resta (nato nel 1653) che addirittura postilla fittamente delle Vite torrentiniane, ovvero del 1550. Verissimo che, col passare degli anni, la prospettiva diventi sempre più “storica”, così come mi pare di poter aggiungere che si aggiungono altri interessi a motivare lo studio dell’opera: primi fra tutti quelli di carattere collezionistico (e Padre Resta ne è il prototipo).

Ritratto del Pontormo (edizione Giuntina)


Torrentiniana vs. Giuntina

Sempre nel suo saggio sulle postille vasariane, Maddalena Spagnolo scrive: “in quasi tutti i casi, le annotazioni riguardano non l’edizione Torrentiniana ma la Giuntina” [18]. E aggiunge (del tutto correttamente) che la circostanza dipende probabilmente dal fatto che la Giuntina (1568) ebbe una tiratura assai più alta della Torrentiniana. Io vorrei solo aggiungere che nel censimento sono elencati diciassette esemplari postillati: in sette casi si tratta di edizioni Torrentiniane, in dieci di Giuntine. Tenuto conto delle diverse disponibilità dei due esemplari confermo che non si può parlare di “sfortuna immediata” della Torrentiniana rispetto alla Giuntina. Semmai tale “sfortuna” si è consolidata in tempi successivi, per motivi che non è nostro compito indagare [19]. 


ESEMPLARI POSTILLATI DELLE VITE VASARIANE: UN CENSIMENTO

Nota bene: Nel passare in rassegna gli esemplari postillati (anche nell’impossibilità di stabilire un preciso ordinamento cronologico), ho scelto di procedere seguendo un ordine alfabetico per autore. Come noto, ci sono casi in cui uno stesso volume delle Vite è stata annotata da autori diversi. Per questo motivo (ad esempio nel caso di El Greco, Tristan e Zuccari) possono esserci ripetizioni nella numerazione degli esemplari.


[Esemplare 1]
Anonimo

Edizione commentata: Giuntina
Conservato presso: Disperso
Riferimenti bibliografici: Le opere di Giorgio Vasari, con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi. Ristampa anastatica dell’edizione Sansoni 1906 con introduzione di Paola Barocchi, Sansoni 1973.

Note:
L’unica citazione a me nota dell’esemplare è contenuta nell’edizione Vasari-Milanesi, dove (vol. VII, p. 569 n. 1), nella vita di Giulio Clovio, si ha modo di leggere: “Da una postilla ms. in un esemplare dell’ediz. giuntina del Vasari (tomo III, pag. 854), posseduto dal marchese Luca Bourbon del Monte, si ha con più precisione la data della morte di don Giulio. Essa dice: obiit Romae 5 januarii 1578 summus minio pingendi artifex, sepultus in aede Sancti Petri in Vincula.” I Bourbon del Monte sono una delle casate aristocratiche più antiche di Firenze.

[Esemplare 19]
Anonimo della Biblioteca Marciana
Nota bene: l'esemplare 19 è stato aggiunto il 18 luglio 2016 in seguito al reperimento del medesimo presso la Biblioteca Marciana 

Edizione commentata: Giuntina
Conservato presso: Biblioteca Marciana di Venezia, segnatura 45-D44
Riferimenti bibliografici: http://marciana.venezia.sbn.it/immagini-possessori/963-non-identificati

Note:
I tre volumi delle Vite vasariane in ediione giuntina conservati in Marciana con segnature che vanno da 45-D42 a D44 sono appartenuti alla biblioteca dell’erudito veneziano Apostolo Zeno (1668-1750) e ne riportano il relativo crittogramma. È tuttavia certo che le postille, che riguardano il solo terzo volume, ovvero quello marcato D44, non sono sue. Appaiono infatti come sostanzialmente coeve con la pubblicazione del testo, e comunque non riconducibili a fine ‘600/inizio ‘700. Appare peraltro molto probabile che l’anonimo annotatore non sia veneto, per almeno tre motivi: in nessuna delle note compare la vena polemica nei confronti di Vasari che è tipica del mondo veneto nella contrapposizione fra “colore” e “disegno”; non risultano venetismi di sorta; gli interessi dell’annotatore si concentrano (oltre che sull’ “antico” contenuto nella lettera di Giovan Battista Adriani) sugli artisti della maniera tosco-romana (con sconfinamenti su artisti ‘lombardi’). Nessuna nota riguarda artefici veneti.

Dico subito che quelle dell’anonimo della Marciana sono chiaramente note di studio. Rarissimi (li vedremo) sono i casi in cui si apportano informazioni ulteriori rispetto al testo. Sono note ad inchiostro rosso, in alcuni casi abbastanza slavato a causa del tempo, e sono belle, eleganti, visivamente piacevoli specie perché accompagnate da segni grafici e disegni di particolare fascino. È difficile ad esempio non citare un bellissimo quarto di luna dal cui vertice inferiore si diparte una linea serpentinata che segnala di fatto tutta la pagina 996. Non si tratta naturalmente di un caso. Questa (che è la nota più bella) evidenzia uno dei passi più celebri dell’opera, quello in cui Vasari spiega la genesi dell’opera, la cui idea sarebbe sorta durante una cena a Palazzo Farnese con vari commensali fra cui Paolo Giovio, che lo avrebbe spinto a intraprendere il progetto (nel 1546). 

Biblioteca Marciana di Venezia, Vite del Vasari in edizione Giuntina (1568)
Postilla a 45 D44, p. 996
Fonte: http://marciana.venezia.sbn.it/immagini-possessori/963-non-identificati

Le postille, servono quasi esclusivamente da promemoria. Difficile dire se per chi le ha scritte e disegnate (e davvero le capacità di disegno deliziano gli occhi) o se per lettori futuri (verrebbe da pensare a un ruolo di istitutore di qualche giovane nobile dell’epoca). Purtroppo devo anche segnalare che una rilegatura posteriore (come capita spesso) ha fatto sì che le note venissero mutilate ai margini esterni in maniera tale da renderle di difficile lettura.

Grazie alle postille si coglie, ad esempio, il particolare interesse dell’annotatore per il programma iconografico della villa farnesiana di Caprarola realizzato da Annibal Caro e descritto dal medesimo in una lettera che Vasari inserisce nella vita di Taddeo Zuccari. Tutto il testo della lettera del Caro è sistematicamente postillato. Più avanti la biografia di Michelangelo è ricchissima di segnalazioni grafiche. Nell’impossibilità, per motivi di spazio, di illustrarle per esteso, segnalo che cliccando qui sopra è possibile vedere gran parte delle postille sul sito della Biblioteca Marciana.

Biblioteca Marciana di Venezia, Vite del Vasari in edizione Giuntina (1568)
Postilla a 45 D44, p. 707
Fonte: http://marciana.venezia.sbn.it/immagini-possessori/963-non-identificati

Sono tre le postille in cui l’autore sembra aggiungere un apporto personale. Vediamole singolarmente:
  • a p. 557 (nella vita dedicata a Benvenuto Garofalo, ma dedicata anche ad artefici emiliani e lombardi) Vasari scrive a proposito di Prospero Clementi che era uno scultore modenese. L’annotatore corregge dicendo (correttamente) che era di Reggio Emilia;
  • a p. 558, sempre nell’ambito dello stesso biografia, ma questa volta parlando degli artefici mantovani, Vasari cita un Giovan Battista Mantovano, intagliatore di stampe, che ebbe tre figli, di cui una femmina, chiamata Diana che “intaglia anch’ella tanto bene, che è cosa maravigliosa”. Il postillatore annota nel margine destro “Notta di una donna che intaglia chiamata Diana dela quale ne ho [n.d.r ma potrebbe essere anche un “ha”] una certa carta a Roma”. Diana Mantovana, in effetti, si spostò a Roma nel 1575 circa dopo le nozze con Francesco da Volterra e qui godette di buona notorietà;
  • a p. 564, ancora una volta nella biografia “collettiva” del Garofalo, Vasari cita Lattanzio Gambaro (o Gambara, come è chiamato oggi) come il miglior pittore bresciano contemporaneo. L’annotatore aggiunge: “Di questo Latantio sono di molte bele opere nel Duomo di parma. La vita di Cristo et passione”, segnalando quindi la presenza degli affreschi dell’artista eseguiti a Parma fra 1567 e 1573, che ovviamente non compaiono nella Giuntina (pubblicata nel 1568 e aggiornata per Parma al 1566).

Senza svelarne il nome, le tre postille in questione ci rivelano però il profilo di un uomo molto aggiornato sul mondo farnesiano, sia per quanto riguarda il giovane ducato di Parma sia per ciò che concerne la corte romana della potente famiglia. Da qui l’attenzione alla Villa di Caprarola e, di fatto, a tutta quella schiera di artisti che ebbero modo di frequentare le stanze di Palazzo Farnese e di fruire del mecenatismo della famiglia. Probabile che in questo entourage vada cercato il nome dell’anonimo postillatore. Mi auguro che la pubblicazione delle postille su Internet possa portare rapidamente al riconoscimento della sua calligrafia.


[Esemplare 2]
Anonimo francese

Edizione commentata: Torrentiniana
Conservato presso: Disperso (Biblioteca Corsiniana, Roma?)
Riferimenti bibliografici: Angelo Comolli, Bibliografia storico-critica dell’architettura civile e arti subalterne, Roma, 1788-1792 (Consultata edizione anastatica Labor 1964-1965).

Note:
A pagina 6 del secondo volume del suo repertorio bibliografico Angelo Comolli scrive, parlando delle edizioni Torrentiniane delle Vite: “Di questa rarissima edizione, pregievole anche per la bellezze, e nitidezza della stampa si ha un’altro [sic] bell’esemplare in questa biblioteca Corsini, il quale oltre la rarità comune ha quella ancora d’aver alcune note MSS. francesi in molti luoghi, e specialmente alle vite di Antonio Filarete (vol. I p. 357) e Giulio Romano (vol. II pag 882). Ma queste note scritte minutamente, e confusamente non sono intellegibili quanto quelle, che si hanno in un’altro [sic] esemplare imperfetto, che possiede questa biblioteca Imperiali. Sono esse scritte da Gaspare Celio dell’Abito di Cristo pittore romano, che fiorì verso il fine del secolo XVI, di cui era l’esemplare medesimo.” L’esemplare al momento è disperso. Dalle note di Comolli è evidente che si tratta di un’edizione Torrentiniana completa, postillata in entrambi i volumi. Non esiste alcuna possibilità di confusione con altro esemplare posseduto da Annibale Mancini e conservato oggi in Corsiniana (vedi esemplare 13) perché in quest’ultimo caso stiamo parlando di una Giuntina. Per le postille del Celio vedi esemplare 6.


Esemplare 23 
Anonimo della Biblioteca Universitaria di Napoli
[nota bene: aggiunto il 25 giugno 2025]

Edizione postillata; Torrentiniana
Conservato presso: Bbilioteca Universitaria di Napoli Sala Viti Rari 2.19. 1-2

L'autore delle postille è ignoto. Pur non abbandondando nei commenti, lo scrivente si dimostra preparato e consente, fra le altre cose, di identificare in Francesco Sansovino Murci il canonico di Pisa, amicissimo di Andrea del Sarto che quest'ultimo ritrasse negli ultimi anni della sua vita. Non mancano accenti polemici nei confronti dell'aretino. Si veda: Giovanni Mazzaferro. Le postille a un'edizione Torrentiniana delle Vite di Vasari a Napoli e un possibile nome per un ritratto di Andrea del Sarto.



[Esemplare 18]
Anonimo della Libreria Pregliasco
Nota bene: l'esemplare 18 è stato aggiunto il 27 giugno 2016 su indicazione della Libreria Antiquaria Pregliasco di Torino

Edizione commentata: Giuntina
Conservato presso: disperso
Riferimenti bibliografici: vedi scheda bibliografica della Libreria

Note:
Questo è il testo della scheda (i grassetti sono miei):

“3 parti in 3 vol., in-4, pp. (56), 530 (parti I-II vol. I); (40), 370, (2) (parte III, vol. II); (84), da 371 a 1012, (4, su 6 in quanto manca l'ultima bianca) (parte III, vol. III); leg. 700esca p. pelle con riquadro a filetti oro sui piatti, tass. in pelle con tit. oro ai dorsi, tagli rossi (cerniere abilmente restaurate). Dedica dell'A. a Cosimo Medici. Titoli entro bordura architettonica con armi dei Medici e vignetta di Firenze, armi ripetute con vignetta allegorica e motto al v. del primo tit. ed in fine all'opera, ritratto dell'Autore, 144 ritratti silogr. di artisti in medaglione (con il ritratto del Vasari ripetuto) e 8 medaglioni senza ritratto, come sempre.
Provenienza: ex-libris Hon. Charles Hamilton (c.1704-1786)al tit. annotazione manoscritta coeva "d'Ap[--] M[--]gini" fiorentino, cui devono essere attribuite probabilmente anche le interessanti chiose marginali. Si tratta di postille di notevole importanza, che correggono il testo o aggiungono indicazioni su come e quando il chiosatore abbia visto le opere d'arte descritte; il che fornisce preziose informazioni sulla collocazione originaria di alcuni dipinti. Particolarmente approfonditi risultano inoltre i commenti che fa sul Brunelleschi (vol. I pp. 318-320) e sul Raimondi in relazione ai suoi rapporti con Dürer (vol. II pp. 295-303). Tre dei tondi dei ritratti lasciati in bianco sono stati completati con disegni ad inchiostro di notevole abilità (si vedano nel primo volume le pp. 193 e 232, nel secondo vol. p. 16), inoltre accanto al ritratto del Salviati, (vol. III, p. 625) è stato realizzato un disegno in inchiostro bruno che riprende la fisionomia del pittore fiorentino. Esemplare di grande fascino, molto marginoso, giacché conserva intatte le bordure dei frontespizi, che furono concepite troppo grandi in confronto alla giustezza del testo, e risultano quasi sempre rifilate; con interessanti chiose e pregevoli disegni di mano coeva.”

Ritratto di Charles Hamilton, detto 'The Honourable"
Fonte: http://general-southerner.blogspot.it/2013/05/painshill-park-surrey.html

A partire dalla scheda del libraio è possibile risalire soltanto a un segmento della vita dell’esemplare. Charles Hamilton (1704-1786), appartenente alla famiglia dei Conti di Abercorn, è noto non tanto per essere stato membro del parlamento irlandese dal 1727 al 1760, ma per essere stato il creatore di una delle tenute più famose d’Inghilterra, quella di Painshill, nel Surrey. Dalle informazioni che si rintracciano sull’Internet [1] risulta che Hamilton abbia svolto il Grand Tour in Italia fra 1725 e 1727 tornandone con una ricca collezione di antichità. Sembra logico supporre che l’acquisto della Giuntina che riporta il suo ex-libris e che poi è finita in qualche modo alla Libreria Pregliasco sia avvenuto in occasione del viaggio italiano. La fortuna finanziaria di Hamilton si incrinò ben presto, anche in relazione alle spese enormi legate alla manutenzione di Painshill. Nel 1766 fu costretto a ipotecare la tenuta a favore del famosissimo banchiere Henry Hoare (la Hoare Bank è tuttora una banca privata perfettamente funzionante) e nel 1771 dovette venderla. Il destino dell’esemplare delle Vite posseduto da Hamilton è ovviamente ignoto. Una flebilissima possibilità (che non spiega comunque come sia tornato in Italia) è che la copia in mano ad Hamilton sia finita alla famiglia Hoare. Nel Catalogue of the Hoare Library at Stourhead (compilato e stampato a uso privato nel 1840 da John Bowyer Nichols e relativo al patrimonio librario di Sir Richard Colt Hoare, discendente di Henry) a pagina 636 è appunto ricordata un’edizione Giuntina, senza ulteriori indicazioni.

Ugualmente frustrante è la ricerca del possibile autore delle postille, genericamente indicate come coeve nella scheda bibliografica. Se si accetta l’ipotesi che Hamilton abbia comprato l’opera durante il suo Grand Tour (1725-1727) ne deriva che “Ap[..] M[..]gini, fiorentino” le deve aver scritte prima. Si può facimente presumere che l’autore, se non un artista, fosse almeno un erudito. Tutto qui. L’indice dei biografati delle Vite del Gabburri (scritte fra 1730 e 1740 circa e per loro natura vero e proprio prontuario degli artefici anche minimi) è consultabile online sul sito di Memofonte ma non presenta nomi simili. Un’ipotesi del tutto fantasiosa, ma da tener presente, è che la corretta lettura del nome sia “An[..] M[..]ni fiorentino” e in tal caso verrebbe da pensare subito all’Annibale Mancini fiorentino che verga a inizio 1600 importanti postille in un’esemplare della Corsiniana (si veda esemplare 13).

Naturalmente l’individuazione di attuale proprietà e collocazione dell’opera permetterebbe di fare chiarezza in merito.

[Esemplare 3]
Anonimo padovano vicino a Domenico Campagnola

Edizione commentata: Torrentiniana
Conservato presso: Beinecke Library presso Yale University, segnatura 1987 441 1.
Riferimenti bibliografici: Marco Ruffini, Sixteenth-Century Paduan Annotations to the First Edition of Vasari’s Vite (1550) in Renaissance Quarterly 62 (2009), pp. 748-808.

Note:
Le annotazioni riguardano il solo primo volume della Torrentiniana. Sono in realtà di due persone diverse, entrambe venete e molto probabilmente padovane. La personalità senz’altro più importante risulta essere quella del primo annotatore che – da evidenze interne – scrive attorno al 1560-1565, quindi prima che sia uscita l’edizione Giuntina delle Vite. Il secondo postillatore, i cui interventi sono assai più ridotti, verga le sue parole sicuramente dopo il 1581. Le postille del primo annotatore fanno spesso riferimento a quanto fatto o detto dal pittore padovano Domenico Campagnola, che sembra essere la fonte principale delle informazioni aggiunte a margine.
Ringrazio l’autore che mi ha inviato una copia del saggio.

[Esemplare 22]
Anonimo di ambito doniano
[Nota bene: aggiunto il 5 novembre 2023)

Edizione commentata: Torrentiniana
Conservato presso: BIblioteca Nazionale Centrale di Roma
Riferimenti bibliografici: Giovanni Mazzaferro. Un esemplare ‘illustrato’ delle Vite torrentiniane di Vasari (1550) alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma

L'esemplare si caratterizza per l'ibridazione del secondo tomo delle Vite torrentiniane con 19 vignette xilografiche provenienti da La moral filosophia + Trattati di Anton Francesco Doni (1552). Tuttavia contiene anche tre lunghe postille: due riferite al Correggio, probabilmente di fine Seicento, una in coincidenza con la vita del Pordenone in cui l'autore che si firma Giovanni Antonio Zuccardini accusa il Vasari di saper ben poco di 'pratica'. La postilla è datata 1562. Giovanni Antonio Zuccardini è ignoto. Si veda il saggio al link sopra indicato


[Esemplare 21]
Anonimo di un esemplare appartenuto a Taddeo Pepoli

[Nota bene: aggiunto il 3 ottobre 2019]

Edizione commentata: Giuntina

[Esemplare 4]
Bocchi, Francesco


Edizione commentata: Giuntina
Conservato presso: Biblioteca Marucelliana, Firenze, segnatura R.e.66.
Riferimenti bibliografici: Eliana Carrara, Un esemplare delle Vite di Vasari postillato da Francesco Bocchi (Firenze, Biblioteca Marucelliana, R.e.66) in Varchi e altro Rinascimento. Studi offerti a Vanni Bramanti, a cura di Salvatore Lo Re e Franco Tomasi, Manziana (Roma), Vecchiarelli editore, 2014.

Note:
Le annotazioni si concentrano quasi esclusivamente nel primo volume e sono attribuite dall’autrice, su basi calligrafiche, a Francesco Bocchi (1548-1613 o 1618), autore dell’Eccellenza del San Giorgio di Donatello (1584) e delle Bellezze della città di Firenze (1591). Sia nel primo volume sia nel secondo compaiono comunque altre postille attribuibili a diversa mano, sostanzialmente coeva o leggermente posteriore. Volume primo e terzo provengono con sicurezza dal Convento della SS. Annunziata; altrettanto non si può affermare per il secondo. Non è avanzata alcuna ipotesi sulla datazione, ma – dal tono generale del commento – pare logica la supposizione che le postille precedano la stesura quanto meno della guida artistica di Firenze.

[Esemplare 5]
Carracci, Annibale

Edizione commentata: Giuntina
Conservato presso: Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Bologna, segnatura ms. B 4222-4224.
Riferimenti bibliografici: Heinrich Bodmer, Le note marginali di Agostino Carracci nell’edizione del Vasari del 1568 in Il Vasari, X (1939), pp. 89-128; Mario Fanti, Le postille carraccesche alle «Vite» del Vasari: il testo originale, in Il Carrobbio, V, 1979, pp. 148-164; Mario Fanti, Ancora sulle postille carraccesche alle «Vite» del Vasari in Il Carrobbio, VI, 1980, pp. 136-141; Charles Dempsey, The Carracci Postille to Vasari’s Lives in The Art Bulletin, LXVIII, 1986, pp. 72-76; Giovanna Perini. Gli scritti dei Carracci, Bologna, Nuova Alfa editoriale, 1990; Daniele Benati, Le “postille” di Annibale Carracci al terzo tomo delle Vite di Giorgio Vasari in Annibale Carracci, catalogo della mostra (Bologna-Roma 2006-2007), a cura di Daniele Benati ed Eugenio Riccomini, Milano, Electa, 2006.

Note:
Quelle di Annibale Carracci sono, senza dubbio alcuno, le postille più famose alla Vite vasariane. Il loro successo è testimoniato dalla citazione nei principali testi della letteratura artistica che si sono occupati dei Carracci. Una postilla viene, ad esempio, riportata dal Bellori nelle sue Vite (1672) e da Malvasia nella Felsina Pittrice (1678). Bellori ne attribuisce la paternità (correttamente) ad Annibale, Malvasia ad Agostino, seguendo un filone attributivo che si deve essere evidentemente sviluppato assai presto. Ne è una testimonianza la copia della Giuntina postillata da Annibale Mancini (cfr. esemplare 13) che (in una data imprecisata ma nei primi decenni del Seicento) ricopia alcune delle note carraccesche sull’esemplare in suo possesso attribuendole appunto ad Agostino [20]. A lungo disperse, le postille dei Carracci sono state tramandate tramite due manoscritti indicati come sei o settecenteschi, il Codice Chigiano G.III.66 della Biblioteca Apostolica Vaticana e il Codice C.IV.28 della Biblioteca Comunale di Siena, fino a quando non sono stati ritrovati i volumi originali (1972), poi donati all’Archiginnasio di Bologna (1978). Le postille sono state trascritte da Mario Fanti fra 1979 e 1980. Ne è emerso che i tre volumi erano un vero e proprio palinsesto, su cui avevano posto le loro annotazioni sei o sette persone diverse. Fra queste, è stato possibile attribuirne la maggior parte ad Annibale su base calligrafica. In precedenza, non potendo distinguere le diverse mani, tutte le postille erano attribuite ai Carracci (e in particolare ad Agostino) facendo riferimento alle copie dei codici sopra citati. Il problema dell’individuazione degli altri postillatori (comunque secondari) è in alto mare. Del tutto ondivaga, poi, è la datazione delle postille carraccesche: si va da Maddalena Spagnolo, che ritiene che le annotazioni siano state vergate da un giovane Annibale appena tornato dal viaggio veneziano (quindi attorno al 1582-83) [21] a Giovanna Perini che invece le data a quando Annibale è già arrivato a Roma, nell’autunno del 1595, probabilmente poco dopo il trasferimento da Bologna.
Malvasia, nella sua Felsina pittrice, fornisce alcuni elementi sulla storia collezionistica dell’esemplare, dicendo che era prima appartenuto alla famiglia Ludovisi, poi al pittore Giuseppe Carlo Aloisi, figlio di Baldassarre, detto il Galanino e infine a Giovanni Francesco Grimaldi, che gli avrebbe permesso di consultarlo [22]. La copia effettuata da Annibale Mancini (cfr. esemplare n. 13) dovrebbe risalire agli anni in cui le postille appartenevano ancora al cardinal Ludovisi.

[Esemplare 6]
Celio, Gaspare


Edizione commentata: Torrentiniana
Conservato presso: Biblioteca Nazionale di Firenze, Fondo Palatino, segnatura (11).C.7.2.2
Riferimenti bibliografici: Nicoletta Lepri, Annotazioni di Gaspare Celio a un volume della Torrentiniana in Arezzo e Vasari. Vite e Postille (p. 343-379).

Note:
Si tratta della copia che il Comolli (vedi note all’esemplare 2) indicava come incompleta ed appartenente alla biblioteca Imperiali. La citazione di Comolli è importante perché testimonia che l’incompletezza dell’opera (ci è pervenuto solo il primo volume) era tale prima che la biblioteca Imperiali fosse messa in vendita fra 1793 e 1796, e l’opera in questione venisse acquistata da Ferdinando di Lorena. Il fatto che il possessore nonché annotatore dell’opera fosse Gaspare Celio (1571-1640), pittore romano, noto ai più per aver pubblicato le Memorie delli nomi dell’artefici delle pitture, che sono in alcune chiese, facciate, e palazzi di Roma (1638) è reso certo dal frontespizio, in cui compare la dicitura “Questo libro è di Gaspare Celio dell’abito di Christo Romano, pittore, 1598”. Nicoletta Lepri fa notare che la data che compare nel frontespizio è probabilmente quella in cui Celio entrò in possesso dell’opera e tutta la dicitura fu aggiunta molto dopo, posto che Celio acquisì il titolo di Cavaliere dell’abito di Cristo nel 1613. Diverse note, poi, sono datate, e segnalano gli anni 1622, 1623, 1636 e 1637, tanto da far pensare a una doppia lettura del testo, grosso modo a distanza di quindici anni l’una dall’altra. Ne La vita delle «Vite» vasariane [23] Carlo Maria Simonetti ritiene di aver individuato una seconda copia dell’opera vasariana (questa volta una Giuntina) appartenuta e postillata dal Celio, conservata a Roma presso la Biblioteca Corsiniana. L’attribuzione al Celio avviene onestamente su basi un po’ deboli e, in sostanza, si regge sull’affermazione che il pittore avrebbe disegnato un proprio autoritratto alla fine del primo volume della parte terza. Già Nicoletta Lepri rifiuta l’attribuzione facendo presente che, in realtà, la figura in questione è un legionario romano. Eliana Carrara, poi, chiude definitivamente il discorso dimostrando che i volumi della Giuntina in questione appartennero ad Annibale Mancini (cfr. esemplare 13).

[Esemplare 20]
Díaz del Valle, Lázaro
[aggiunto il 18 luglio 2016]

Edizione commentata: Giuntina
Conservato presso: Bridwell Library della Southern Methodist University di Dallas, segnatura BRA0811
Riferimenti bibliografici: Lisa Pon, A Note on Lázaro Díaz del Valle and Raphael’s Spasimo di Sicilia in Spain in Boletín del Museo del Prado 19(47), 2011, pp. 97-103; Lisa Pon, Rewriting Vasari in The Ashgate Research Companion to Giorgio Vasari, edited by David J. Cast, Ashgate Publishing, 2014, pp. 261-275

Note:

I tre volumi delle Vite vasariane conservati a Dallas, presso la Bridwell Library presentano varie postille studiate da Lisa Pon. Nel suo saggio del 2011 l’autrice mette in dubbio che i primi due volumi abbiano la stessa origine del terzo. Quest’ultimo mostra una marca di possesso da parte del Convento dei Cappuccini della Pazienza di Madrid, fondato nel 1639. Vi compaiono le note, poco significative, di tre diverse mani. La prima segnala (in italiano o più probabilmente in spagnolo secondo Lisa Pon) le opere citate nell’opera e che l’annotatore ha avuto modo di vedere di persona (letteralmente le note a margine recitano “visto” ad esempio in corrispondenza delle opere di Tiziano; "visto" è participio passato dell'italiano "vedere" ma anche dello spagnolo "ver"); una seconda è poco padrona della lingua italiana, sottolinea alcuni termini e li traduce in spagnolo a margine; la terza segnala alcuni snodi fondamentali delle biografie (ad esempio la morte di Michelangelo). Ma ad attirare l’attenzione dell’autrice sono le postille al secondo volume e in particolare alcune che su basi calligrafiche (si vedano le foto inserite nel saggio del 2011) riferisce a Lázaro Díaz del Valle, membro della cappella reale e cronista di corte, autore (oltre a molti altri) di un manoscritto intitolato Origen y Yllustracion del Nobilísimo y Real Arte de la Pintura y Dibuxo, che è stato oggetto di edizione critica nel 2008 da parte di David Garcia López. La postilla più significativa è quella in cui Lázaro segnala l’esatta collocazione che, nel novembre 1661, fu data al celebre Spasimo di Sicilia di Raffaello (e aiuti), quadro circondato da una leggenda che lo voleva miracoloso, proveniente da Palermo. Che Díaz del Valle avesse avuto modo di leggere le Vite è circostanza che appare evidente dall’impostazione della sua opera manoscritta sopra citata. 

[Esemplare 7]
El Greco


Edizione commentata: Giuntina
Conservato presso: Biblioteca Nazionale di Spagna
Riferimenti bibliografici: Xavier de Salas, Las notas del Greco a la “Vida de Tiziano”, de Vasari in Studies in the History of Art, Vol 13, 1984, pp. 161-169; Xavier de Salas e Fernando Marias, El Greco y el arte de su tiempo. Las notas de El Greco a Vasari, Madrid, 1992; Manya S. Pagiavla, Domenicus Scepticus: An Analysis of El Greco's Autograph Marginalia on Vasari's Vitae (1568), on Barbaro's Edition of Vitruvius's 'Dieci Libri dell'Architettura' (1556) and on Serlio's 'Architettura' (1566), University of Essex, 2006.

Note: 
Dei tre volumi della Giuntina, ad essere postillati sono il secondo e il terzo. Questo esemplare delle Vite appartenne a Federico Zuccari (vedi infra) che lo donò a El Greco durante la sua permanenza in Spagna (1586-1588). L’artista italiano aveva già apposto alcune annotazioni, di cui Dominikos Theotokópoulos non mancò di segnalare la paternità. Va comunque detto che il grosso delle annotazioni è di El Greco. Solo poco prima di morire, quest’ultimo donò le Vite ad un allievo, Louis Tristan (vedi infra), che a sua volta vi scrisse alcune note.
I tre volumi delle Giuntina di El Greco hanno avuto una storia collezionistica particolarmente complicata, fino a quando, negli anni Settanta, Xavier de Salas, ex direttore del Prado, non riuscì a entrarne in possesso personale comprandoli sul mercato. Nel 1982 Salas presentò un primo resoconto delle note di El Greco relative a Tiziano al convegno “El Greco de Toledo” (Toledo, aprile 1982). I contenuti della relazione furono pubblicati due anni dopo. La morte di Salas fece però sì che l’edizione commentata di tutte le note slittasse fino al 1992, grazie all’intervento di Fernando Marías. I tre volumi un tempo di Salas sono finiti man mano alla Biblioteca Nazionale di Spagna; l’ultimo molto di recente (dicembre 2014) grazie all’intervento economico della Fundación El Greco 2014 che l’ha comprato nel corso di un’asta da Christie’s e l’ha donato appunto alla Biblioteca Nazionale.

[Esemplare 8]
Guidiccioni, Lelio


Edizione commentata: Giuntina
Conservato presso: Biblioteca Nazionale di Parigi, segnatura Res. K. 742.
Riferimenti bibliografici: Michel Hochmann, Les annotations marginales de Federico Zuccaro à un exemplaire des «Vies» de Vasari. La réaction anti-vasarienne à la fin du XVIe siècle in Revue de l’Art, 1988, n. 80, pp. 64-71.

Note:
Le note di Lelio Guidiccioni (1582-1643), intendente d’arte e appartenente all’entourage dei Borghese prima e dei Barberini poi, sono apposte a un’edizione giuntina già postillata da Federico Zuccari (vedi infra). Anzi, per essere più precisi, all’inizio dell’opera Guidiccioni ha scritto: “… 6 di febraro 1618: Questi tre volumi sono della prima stampa [n.d.r. si intende che sono della prima tiratura della seconda edizione, ovvero della Giuntina], ch’è la migliore. Son rari […] Ma niuna cosa rende questi di maggior stima che essere stati di Federico Zuccaro pittor famoso de’ i tempi nostri, et da lui studiati con diligente osservazione, et con dichiarazione del suo giudizio; in che si trovano scritte a penna, son di sua mano”. Michel Hochmann ha pubblicato nel 1988 le postille di Guidiccioni assieme a quelle di Zuccari.

[Esemplare 9]
de Hollanda, Francisco

Edizione commentata: Giuntina
Conservato presso: Biblioteca Nazionale di Lisbona Res. 376 V.
Riferimenti bibliografici: Reynaldo dos Santos. Un exemplaire de Vasari annoté par Francisco de Olanda in Studi vasariani. Atti del Convegno Internazionale per il IV Centenario della prima edizione delle “Vite” del Vasari. Firenze, Sansoni, 1952, pp. 91-92; Sylvie Deswarte-Rosa, The Case of the Anonymous Portuguese. Identification de l’Anonyme portugais du Museo Cartaceo de Cassiano de Pozzo : Nicolau de Frias (1568-1570), in República das Letras. Bibliotecas viajantes, Lisbonne-Paris, CREPAL/ Centro Interuniversitário de Estudos Camonianos, 2020, pp. 243-268

Note:
Si conserva il solo tomo secondo, ossia il primo volume della terza parte. Le postille, apposte in portoghese, sono in tutto quattro. Recentemente Sylvie Deswarte-Ros ha fatto ordine sull'esemplare (che non ho visto personalmente). Come risulta da una nota di possesso cancellata, ma leggibile, il volume appartenne dapprima a Nicolau de Frias, architetto portoghese che in gioventù (in un documento del 1540 risulta essere un bambino) dimorò in Italia (almeno dal 1567 e non oltre il 1573). La proprietà del volume passò poi a Francisco de Hollanda; non sappiamo in che circostanza. Deswarte-Rosa ipotizza che possa essere stato un regalo. Fra le postille apposte da quest'ultimo ve ne sono due significative, segnalate da Athanasius Raczynski in Dictionnaire historico-artistique du Portugal, pour faire suite à l'ouvrage ayant pour titre: Les arts en Portugal, lettres adressées à la Société artistique et scientifique de Berlin et accompagnées de documens, Paris, 1847, p. 134. Francisco, in corrispondenza della vita di Raffaello (p. 83) nel punto in cui si fa menzione degli arazzi ordinati nelle Fiandre da Papa Leone X su disegno di Raffaello, accusa Tommaso Bologna, alias Tommaso Vincidor, di concorrenza sleale nei confronti del padre Antonio: «Bolonha alla en Flandre, faire exécuter ces tapis d'après les dessins de mon père Antoine de Hollande, avec lequel il se trouvait en concurrence relativement à cette commande. [Esta tapeçaria foi o Bolonha fazer quando eompetio com o desenho de tneu pai Antonio de Holanda.)". All'inizio della biografia del Penni (p. 145) aggiunge:  «Celui-ci s'appelait Bolonha, et s'étant rendu en Flandre afin d'y faire confectionner les tapis du Pape Léon X, d'après les dessins de Raphaël et d'après les siens, et ayant vu les dessins de mon père, que l'infant D. Fernando faisait alors enluminer par Simon de Bruges, il en fit d'autres en concurrence avec ceux-ci, mais Simon choisit ceux de mon père et les enlumina parfaitement bien.» [Si è riportato il testo proposto in francese da Raczynski]. 


[Esemplare 10]
Jones, Inigo

Edizione commentata: Giuntina
Conservato presso: Worcester College, Oxford.
Riferimenti bibliografici: Anthony Johnson. Three volumes annotated by Inigo Jones: Vasari’s Lives (1568), Plutarch’s Moralia (1614), Plato’s Republic (1554). Åbo, Finlandia, 1997.

Note:
Le note dell’architetto inglese Inigo Jones (1573-1652) sono relative soprattutto al primo volume della terza parte delle Vite e, secondo il commentatore, sono state stese in diversi momenti fra primo e secondo decennio del Seicento, avendo comunque per fulcro l'architettura. 
Ringrazio l’autore che mi ha inviato in omaggio una copia dell’opera.

[Esemplare 11]
Lampsonio, Domenico


Edizione commentata: Torrentiniana
Conservato presso: Biblioteca Reale di Bruxelles. Segnatura VH 22345
Riferimenti bibliografici: Da van Eyck a Brueghel. Scritti sulle arti di Domenico Lampsonio, Introduzione e note di Gianni Carlo Sciolla e Caterina Volpi. Traduzione di Maria Teresa Sciolla, Torino, UTET, 2001; Archives des arts, sciences, et lettres. Documents inédits publiés et annotés par Alexandre Pinchart, Gand, 1860, Première Serie – Tome premier; Jean Puraye, Dominique Lampson, humaniste, 1532-1599, Bruges, 1950.

Note:

All’interno di Da van Eyck a Brueghel. Scritti sulle arti di Domenico Lampsonio (Strenna UTET 2001), si trova l’indicazione che l’umanista fiammingo Domenico Lampsonio (a cui Vasari deve peraltro molte delle notizie sugli artisti di quella regione che aggiunse nell’edizione Giuntina del 1568) studiò a lungo la prima edizione (la Torrentiniana) dell’opera vasariana. L’esemplare appartenuto a Lampsonio si trova oggi alla Biblioteca Reale di Bruxelles, e presenta nella pagina di apertura un poemetto manoscritto in lode di Vasari stesso (cfr. p. 34 n. 1). La composizione di Lampsonio compare in illustrazione a p. 30 dell’edizione UTET. È senza data e non è detto che Lampsonio l’abbia scritta immediatamente dopo essere entrato in possesso dell’opera. Lo stesso umanista fiammingo racconta in una lettera dell’ottobre 1564 indirizzata a Giorgio Vasari in cui, di fatto, gli si presenta (pp. 34-35), il suo corpo a corpo con l’opera vasariana. Dice di essere entrato in possesso delle Vite quattro anni prima, e di essersi trovato in difficoltà perché, all’epoca, non conosceva nemmeno una parola d’italiano. Ha imparato la lingua leggendo le Vite ed ora scrive all’autore per ringraziarlo e congratularsi dell’opera. La trascrizione del poemetto è stata operata nel 1860 da Alexandre Pinchart nel primo tomo degli Archives des arts, sciences, et lettres (pp. 281-282); una seconda trascrizione (segnalata come emendata dagli errori del 1860) si deve a Jean Puraye (1950). In tutta onestà, visto anche il contenuto della lettera di Lampsonio, mi stupirei se l’esemplare, oltre al poemetto, non presentasse anche delle postille che ne denotano lo studio.

[Esemplare 12]
Maffei, Scipione


Edizione commentata: Torrentiniana
Conservato presso: Disperso (Biblioteca Apostolica Vaticana, Fondo Cicognara?)
Riferimenti bibliografici: Leopoldo Cicognara, Catalogo ragionato dei libri d’arte e d’antichità, Pisa, 1821.

Note:
Al numero 2389 del suo Catalogo ragionato [24], Leopoldo Cicognara elenca un esemplare torrentiniano delle Vite vasariane chiosando: “Magnifico e conservatissimo esemplare con qualche rara postilla autografa del M. Scipione Maffei cui appartenne”. A mia conoscenza, non risulta che questa segnalazione del conte ferrarese abbia avuto seguito. A rigor di logica, posto che l’intera biblioteca fu venduta a Leone XII nel 1824, l’esemplare con le poche note dell’erudito ed antiquario veronese Scipione Maffei (1675-1755), autore della Verona illustrata, dovrebbe trovarsi ancora nella Biblioteca Apostolica Vaticana.

[Esemplare 13]
Mancini, Annibale


Edizione commentata: Giuntina
Conservato presso: Biblioteca Corsiniana, Roma, segnatura 29.E.4-6
Riferimenti bibliografici: Eliana Carrara. La fortuna delle Vite del Vasari fra Firenze, Modena e Roma nel primo Seicento: il caso dell’esemplare giuntino 29.E.4-6 della Biblioteca Corsiniana in Le Vite del Vasari. Genesi, topoi, ricezione, Venezia, Marsilio, 2010.

Note:
I tre volumi di quest’edizione erano già noti al Bottari, che li usò per la sua edizione delle Vite vasariane a metà Settecento, avanzando l’ipotesi che le note fossero di Sisto Badalocchio [25]. Eppure l’autografia delle postille non è mai stata definita. Abbiamo anzi visto che Carlo Maria Simonetti sostiene che siano stati postillati dal Celio (cfr. esemplare 6) sulla base di un suo supposto autoritratto. Già Nicoletta Lepri fa presente che in realtà le postille sono di mani diverse e suggerisce, posto che l’esemplare fa parte del “nucleo storico” della biblioteca, e dunque vi si trovava prima del 1754, che un paio delle mani che apposero le postille fossero proprio quelle del Bottari che stava preparando la pubblicazione delle Vite [26]. È davvero curioso come solo Eliana Carrara si sia accorta che nel frontespizio, in posizione certo non centrale, ma leggibile, vi sia scritto “Di Annibale Mancini fiorentino”. Il problema è che di Annibale Mancini sappiamo pochissimo; fu artista al servizio del cardinal Alessandro d’Este, ma – ad esempio – non ne conosciamo data di nascita e di morte. Nel 1622 scrive di essere al servizio del cardinale da sedici anni, ovvero dal 1606. A giudicare dalle postille, Annibale appare comunque ben inserito nel circuito cortigiano fra Roma, Modena e l’originaria Firenze, e fornisce preziose indicazioni sulla sorte collezionistica di alcune opere. Le sue postille hanno, dunque, un valore specifico conferito dalle sue conoscenze. A tale valore, se ne aggiunge un altro, a cui abbiamo già accennato. Mancini trascrive infatti sui margini dei volumi della Giuntina alcune postille che ha copiato dall’originale annotato dai Carracci (cfr. esemplare 5). Le attribuisce ad Agostino, essendo testimone quindi di una tradizione – sbagliata – sulla paternità delle postille ben anteriore al Malvasia (1678). Purtroppo l’articolo di Eliana Carrara non presenta la trascrizione completa delle postille, che ci auguriamo possa essere presentata presto al pubblico.

[Esemplare 14]
Resta, Sebastiano


Edizione commentata: Torrentiniana
Conservato presso: Biblioteca Apostolica Vaticana, segnatura Riserva.IV.5
Riferimenti bibliografici: Le postille di Padre Sebastiano Resta ai due esemplari delle Vite di Giorgio Vasari nella Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di Barbara Agosti e Simonetta Prosperi Valenti Rodinò. Trascrizione e commento di Maria Rosa Pizzoni, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2015 (ma 2016); Melani, Margherita, Torrentiniane vasariane: postille e disegni di Padre Resta in Mosaico. Temi e metodi d’arte e critica per Gianni Carlo Sciolla, Napoli, Luciano editore, 2012.

Note:
Conosciute da tempo, le postille apposte da Padre Sebastiano Resta (1635-1714) a due esemplari della Torrentiniana (si veda anche infra esemplare 15) sono state recentemente pubblicate in edizione commentata a cura di Barbara Agosti e Simonetta Prosperi Valenti Rodinò. Resta fu intendente d’arte ampiamente inserito nei circuiti eruditi, mercantili e collezionistici del suo tempo. Famosissima la sua nutritissima raccolta di disegni (migliaia e migliaia di esemplari) mirante a dar una vita a una storia dell’arte “illustrata”; un progetto che non andò mai in porto. La collezione andò rapidamente dispersa in vari rivoli (la maggior parte di essa finì in Gran Bretagna). Oltre ai disegni, Sebastiano Resta fu, però, accanito lettore e postillatore di fonti. Oltre ai due esemplari del Vasari qui citati, si sa che annotò fittamente il Trattato del Lomazzo, l’Academia Todesca di Sandrart, le Vite del Baglione [27] e l’Abecedario Pittorico di Pellegrino Orlandi. Quello di Padre Sebastiano può essere tranquillamente chiamato il classico esempio di horror vacui: le postille riempiono le pagine delle Vite quasi nell’ansia di sfruttare anche il minimo spazio libero. Una delle caratteristiche delle glosse di Resta, poi, è quella di fare dei disegni nei margini delle copie postillate, disegni che, nella maggior parte dei casi, sono ovviamente riferiti al testo a stampa, sicché Simonetta Prosperi Rodinò parla giustamente di “postille figurate”.
Le postille sono spesso datate. Quelle dell’esemplare Riserva contengono indicazioni che vanno dal 1664 (Resta si è da poco trasferito a Roma dalla natia Milano) al 1711. Le note dell’esemplare Cicognara (cfr. infra n. 15) vanno dal 1682 al 1690. Ciò detto a Barbara Agosti sembra che quelle del Riserva siano più affrettate, come se il Padre viaggiasse con questa copia a disposizione, e aggiornasse le Vite direttamente su questi volumi; le postille Cicognara paiono invece frutto di maggior meditazione e quindi operate in un secondo momento. Le vicende collezionistiche dei volumi sono ricostruibili parzialmente. L’esemplare Riserva appartenne al Conte Stroganoff (1829-1910), accanito collezionista di libri e oggetti d’arte, che nella seconda metà dell’800 fissò la propria dimora a Roma. I volumi Cicognara, invece, appartennero a Carlo Bianconi prima e a Giuseppe Bossi poi e furono acquistati alla morte di quest’ultimo (1815) da Leopoldo Cicognara che fu poi costretto – ridottosi sul lastrico – a vendere in blocco la sua straordinaria collezione di libri e manoscritti a Papa Leone XII (1824). Prima di morire, tuttavia, Giuseppe Bossi aveva fatto una copia (parziale) delle postille aggiungendovi alcune sue annotazioni. Tale copia fu pubblicata nel 1875 in Archivio Storico Lombardo: Giornale della società storica lombarda (1875 dic, Serie 1, Volume 2 Fascicolo [1-4]) con introduzione di Giuseppe Mongeri e col titolo Arte antica e artisti: postille di anonimo seicentista alla prima edizione del Vasari [28]. Mongeri ignorava che l’autore delle postille fosse Resta.

[Esemplare 15]
Resta, Sebastiano


Edizione commentata: Torrentiniana
Conservato presso: Biblioteca Apostolica Vaticana, segnatura Cicognara IV.2390
Riferimenti bibliografici: Le postille di Padre Sebastiano Resta ai due esemplari delle Vite di Giorgio Vasari nella Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di Barbara Agosti e Simonetta Prosperi Valenti Rodinò. Trascrizione e commento di Maria Rosa Pizzoni, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2015 (ma 2016); Melani, Margherita, Torrentiniane vasariane: postille e disegni di Padre Resta in Mosaico. Temi e metodi d’arte e critica per Gianni Carlo Sciolla, Napoli, Luciano editore, 2012.

Note: Vedi esemplare 14.

Fine della Prima Parte


NOTE

[1] Le opere di Giorgio Vasari, con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, vol. VII p. 73 n. 1. Ristampa anastatica dell’edizione Sansoni 1906 con introduzione di Paola Barocchi, Sansoni 1973.

[2] Maddalena Spagnolo, Considerazioni in margine: le postille alle Vite di Vasari in Arezzo e Vasari. Vite e Postille. Arezzo, 16-17 giugno 2005 atti del convegno. A cura di Antonino Caleca. Foligno, Cartei e Bianchi, 2007, pp. 251-271.

[3] Il caso più famoso è quello di Ferdinando Leopoldo Del Migliore. Si veda Paola Barocchi, Le postille di Del Migliore alle Vite vasariane, in Il Vasari storiografo e artista. Atti del Congresso Internazionale nel IV Centenario della morte, Arezzo-Firenze, 2-8 settembre 1974, Firenze, Sansoni, 1976, pp. 439-447. Ma anche Veruska Picchiarelli, Un tentativo di integrazione delle Vite: le postille all’edizione giuntina di Durante Dorio da Leonessa in Arezzo e Vasari. Vite e postille…, cit., pp. 273-323; e Giovanni Francesco de’ Giudici, Estratto delle Vite de’ pittori di Giorgio Vasari, per ciò che concerne Arezzo, Tavola (Po), Cartei e Becagli, 2005.

[4] Marco Ruffini, Sixteenth-Century Paduan Annotations to the First Edition of Vasari’s Vite (1550) in Renaissance Quarterly 62 (2009). L’esemplare, conservato alla Bancroft Library, University of California, Berkeley. presenta note di Carlo Lenzoni finalizzate alla redazione dell’indice dell’opera (p. 751 n. 8).

[5] Arpad Weixlgärtner, Ein später Glossator des Vasari in “Die graphischen Künste”, III, 1938, pp. 125-156.

[6] Ciò non toglie – ma non è il compito che qui mi propongo – che le note, probabilmente apposte da un esperto di incisione attorno al 1743 (l’autore parla dubitativamente di Anton Maria Zanetti il Giovane) sembrino di particolare importanza e meritino di essere tradotte in italiano e studiate.

[7] Giovanna Perini, Gli scritti dei Carracci. Bologna, Nuova Alfa editoriale, 1990.


[9] Mario Fanti, Le postille carraccesche alle Vite del Vasari: il testo originale, in Il Carrobbio, V, 1979, p. 151.

[10] Giovanna Perini, Gli scritti dei Carracci…, cit., p. 37.

[11] Heinrich Bodmer aveva pubblicato le postille carraccesche nel 1939 partendo da una trascrizione secentesca (all’epoca l’originale era disperso). Cfr. Heinrich Bodmer, Le note marginali di Agostino Carracci nell’edizione del Vasari del 1568 in Il Vasari, X (1939), pp. 89-128.

[12] Si veda Giuseppe Patota, Mentire per la gola in Lingua e stile XLVIII (dicembre 2013), pp. 155-176.

[13] Giovanna Perini, Gli scritti dei Carracci…, cit., pp. 37-38.

[14] Ho ben presente che vi è un’altra alternativa: uno dei due esemplari potrebbe non essere di mano di Federico Zuccari. E tuttavia, fino a prova contraria, sto con le affermazioni di Milanesi, che merita fiducia.

[15] Giovanna Perini, Gli scritti dei Carracci…, cit., p. 38.

[16] Maddalena Spagnolo, Considerazioni in margine:…, cit., p. 269.

[17] Giulio Cesare Gigli, La Pittura Trionfante. Venezia, Presso Giovanni Alberti, 1615. 

[18] Maddalena Spagnolo, Considerazioni in margine:…, cit., p. 252.

[19] Sulla sfortuna storica della Torrentiniana rispetto alla Giuntina si veda Paola Barocchi, Premessa al Commento secolare Vol. I pp. IX-XLV, 1967 in Giorgio Vasari, Le Vite de più eccellenti pittori, scultori e architettori. Testo a cura di Rosanna Bettarini, Commento secolare a cura di Paola Barocchi, Firenze, Sansoni-S.P.E.S., 1966-1997.

[20] Eliana Carrara. La fortuna delle Vite del Vasari fra Firenze, Modena e Roma nel primo Seicento: il caso dell’esemplare giuntino 29.E.4-6 della Biblioteca Corsiniana in Le Vite del Vasari. Genesi, topoi, ricezione, Venezia, Marsilio, 2010. Cfr. p. 224-25.

[21] Maddalena Spagnolo, Considerazioni in margine…, cit., p. 260.

[22] Carlo Cesare Malvasia, Felsina pittrice, Bologna 1678, Vol. II, p. 135.

[23] Carlo Maria Simonetti, La vita delle «Vite» vasariane. Profilo storico di due edizioni, Firenze, Leo S. Olschki, 2005. Cfr. p. 153.

[24] Cicognara, Leopoldo, Catalogo ragionato dei libri d’arte e d’antichità posseduti dal Conte Cicognara, Pisa, 1821.

[25] Giorgio Vasari, Vite de più eccellenti pittori, scultori e architetti, a cura di Giovanni Gaetano Bottari, Roma, 1759-1760, vol. III, p. 309.

[26] Nicoletta Lepri, Annotazioni di Gaspare Celio…, cit., p. 345.

[27] Mi risulta che un’edizione commentata delle postille al Baglione stia per essere pubblicata (a cura di Barbara Agosti) da Officina Libraria editore.

[28] Consultabile su Internet all’indirizzo 

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