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Francesco Mazzaferro
Dimitrie Belisare e la traduzione rumena del Libro dell’Arte di Cennino Cennini (1936-37 circa)
Parte Prima
[Versione originale: maggio 2016 - Nuova versione: aprile 2019]
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Fig. 1) La copertina della traduzione romena del 1936-37 circa |
IL PROGETTO CENNINI
Questo post fa parte del Progetto Cennini, dedicato allo studio del recepimento del Libro dell'arte a partire dalla prima edizione a stampa, nel 1821. Clicca qui per vedere la lista di tutti i post.
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Ragioni pratiche e difesa della tradizione
“Ho tradotto in romeno e commentato questo libro esclusivamente perché
ero mosso dall’unico obiettivo di aiutare i miei colleghi pittori che intendono
lavorare a fresco.” È così che il pittore rumeno Dimitrie Belisare (1888-1947) [1] si presenta al lettore nell’introduzione
della traduzione rumena del Libro
dell’Arte di Cennino Cennini [2]. Il libro – intitolato “Tratatul de Pictura” in romeno, ovvero
“Trattato di pittura” – non presenta la data di pubblicazione. Alcune fonti
rumene propongono il 1936 [3], altre il 1937 [4]. Il pittore
ha appena concluso un ciclo pluriennale di affreschi nella cattedrale del
patriarcato di Bucarest, ed è ha raggiunto quindi una grande affermazione
personale dal punto di vista professionale. In quel periodo, come menzionato
sulla copertina del volume [5] e come vedremo meglio più avanti, Belisare è
anche vice-presidente di una confraternita di pittori [6].
Da un punto di vista stilistico
la scelta di Belisare di tradurre il testo di Cennino è in linea con la chiara
impostazione neo-bizantina della sua pittura, e con il suo amore per l’affresco
medievale. Del resto, egli si occupò durante tutta la sua carriera di pittura
religiosa (Pictură Religioasă) e più precisamente di
pittura sacra per chiese (Pictură
Bisericească). Se il pittore-traduttore è innamorato del mondo degli
affreschi religiosi dei nostri trecentisti, è tuttavia ben conscio, come egli
steso scrive nell’introduzione, che le tecniche d’affresco descritte da Cennino
“sono completamente cadute in discredito”
e rimpiazzate da nuove tecniche. E d’altronde, se da un lato raccomanda in primo
luogo ai pittori di usare le materie prime per produrre artigianalmente i
colori, dall'altro si spinge anche a consigliare loro di acquistare colori moderni di
fabbricazione tedesca, che egli stesso utilizza ed apprezza, nel caso in cui
vogliano risparmiare tempo prezioso [7].
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Figg. 2 e 3) Dimitrie Belisare, Affreschi nella Cattedrale patriarcale di Bucarest, 1932-1935 |
E tuttavia il testo di Cennino serve
a Belisare soprattutto come baluardo contro sperimentazioni tecniche che
possono rivelarsi assai pericolose perché fondate, a suo parere, solo sulla
teoria e non sulla pratica. E qui il tono è di chiusura ai tempi moderni: “Scoprirete che questo trattato è più che
benvenuto soprattutto perché alcuni pittori – molto forti in termini di teoria
– sono emersi di recente e le loro tecniche o nuove interpretazioni si sono
sparse sulla base di differenti opuscoli; esse sono effettivamente un ostacolo
alla pittura in affresco. Alcuni di loro propagano come novità il
“Wasserglass”, che i tedeschi conoscono dai tempi antichi. Altri proclamano
teorie scientifiche sulla chimica dei colori che, quando messe in pratica, si
rivelano del tutto inefficaci: le loro pitture – i loro cosiddetti affreschi –
spariscono dopo non più di 3-4 anni.” Il Wasserglass è il silicato di sodio, che fin dal 1825 viene
utilizzato come agente protettivo per le pitture murali. Ne nasce la cosiddetta
pittura minerale (o al silicio) secondo il metodo inventato da Adolf Keim (1851–1913),
che ne inizia la produzione industriale nel 1878. Nel 1884 Keim fonda la
rivista Technischen Mitteilungen für
Malerei (Note tecniche per la pittura), che propugna la nuova tecnica come
un’alternativa più sicura dell’affresco per la pittura su muro.
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Fig. 4) Gottfried Schiller e Julius Ostermaier, L’arcivescovo Raimondo si inchina di fronte alla chiesa di San Vasile, 1911 |
Quando Belisare parla di nuovi
pittori affacciatisi all’orizzonte romeno, è difficile dire a chi si riferisca:
in quegli anni vi è un interesse generalizzato per la pittura murale in Europa,
spesso legato all’idea di una nuova arte sacra, e moltissimi pittori
sperimentano nuove tecniche, anche per adattarsi ai nuovi materiali di
costruzione, ed in particolare in risposta alla diffusione dei muri in cemento
(si pensi ai murales messicani di Diego Rivera). Vedremo che all’inizio del
secolo due pittori tedeschi della scuola di Beuron (Gottfried Schiller e Iulius
Ostermaier) sono chiamati a Bucarest dalla Germania dal leader religioso degli
Uniati per produrre pitture murali in colori industriali in silicio per la
cattedrale greco-cattolica (di quegli affreschi rimangono solamente foto
d’epoca: sono andati persi a causa prima di un terremoto, poi dei
bombardamenti, ed infine dell’incuria in cui la cattedrale fu lasciata dal
regime comunista). Sono Schiller e Ostmeier a suscitare l’ira di Belisare,
introducendo nuove teorie dell’affresco? I loro affreschi sono già deperiti nel
1937? La polemica è rivolta contro la chiesa greco-cattolica che accoglie
tecniche industriali e modelli iconografici ispirati dalla scuola di Beuron? O,
invece, il bersaglio è un altro e i due sono coloro che portano in Romania i
colori tedeschi che Belisare apprezza e consiglia di utilizzare nella
prefazione al Libro dell’arte? Purtroppo non abbiamo la risposta.
È inutile nasconderlo: Belisare è uomo di grande cultura (traduce Cennino dalla versione francese di Heny
Mottez controllando il testo con la traduzione tedesca di Jan Verkade; annuncia
l’intenzione di scrivere un testo sull’iconografia cristiana e un trattato
sulla pittura a fresco, di cui non abbiamo tuttavia trovato traccia alcuna), ma il
suo è comunque un mondo molto conservatore, e la sua attività non è solamente
una manifestazione di fede ed un sostegno alla cultura nazionale, ma anche una
testimonianza contro la modernità. Si spiega dunque come lo scontro tra moderno
ed antico sia uno dei temi di base per il pittore rumeno.
A questo proposito vale la pena
raccontare un episodio: il maggiore filosofo e teologo ortodosso rumeno del
tempo, Nae Ionescu (1890-1940) entra in conflitto con le gerarchie ecclesiali:
è il maestro di Mircea Eliade, Emil Cioran e Eugène Ionesco, ovvero degli
intellettuali piú famosi della Romania tra le due guerre. Ebbene, su richiesta
del patriarca Miron Christea, Belisare lo dipinge come Lucifero nel Giudizio universale per la Cattedrale
del Patriarcato di Bucarest, ovvero nella chiesa più importante del paese [8].
Proprio l’affresco del Giudizio Universale mostra chiaramente
il persistere dei motivi iconografici tradizionali nell’arte neo-bizantina tra
le due guerre. Ecco alcune immagini degli affreschi di Belisare, e di iconografie
italiane del medioevo chiaramente influenzate dall’arte bizantina.
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Figg. 5 e 6) Dimitrie Belisare, Particolari del Giudizio universale, Cattedrale patriarcale di Bucarest, 1932-1935 |
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Fig. 7) Giudizio Universale, Inferno, I dannati, Basilica di Santa Maria Assunta, Torcello (XII secolo) |
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Fig. 8) Coppo di Marcovaldo, Particolare del Giudizio Universale (Inferno), Firenze, Battistero di San Giovanni, 1260-1270 |
Per consentire a chiunque di
farsi un’idea sugli aspetti moderni ed antichi dell’introduzione romena al Libro dell’Arte, ne pubblicherò il testo
alla conclusione della seconda parte di questo post, ringraziando vivamente
Daniel Daianu per avermi aiutato ad ottenere la traduzione inglese del testo.
Al servizio dell’arte religiosa
Al momento in cui l’edizione
romena di Cennino vede la luce, Dimitrie Belisare è certamente una personalità
ben conosciuta nel paese, soprattutto nel mondo della pittura sacra. La bella
copertina della traduzione del 1936/1937, illustrata con un’immagine di San Paolo, contiene l’indicazione che Belisare è ufficialmente
“pictor expert al sf patriarhii”,
ovvero pittore specialista al santo patriarcato. Sembra un rapporto salariale,
come se fosse stipendiato. Del resto, ancor oggi esiste una Commissione del
patriarcato per l’arte sacra [9]. Nel frontespizio della traduzione si aggiunge
anche che Belisare è vicepresidente del Sindicatul
Artelor Frumoase (la Confraternita delle belle arti). Abbiamo qualche informazione sulla Confraternita in quegli anni grazie al
Professor Traian Mârza [10]: nel 1937 il presidente della Confraternita fu Dumitru
Pavelescu-Timo (1870-1944), scultore di tutt’altro orientamento estetico. Non
si tratta dunque di un circolo di artisti legati dagli stessi obiettivi
estetici, ed in particolare dalla promozione dell’arte sacra. L’associazione,
creata a Bucarest nel 1921, ha funzione di sostegno a pittori bisognosi ed
anziani (con la costruzione di ospizi, fra i quali quello cui Belisare fa
riferimento alla conclusione dell’introduzione, costruito a sue spese nella sua
regione di provenienza).
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Fig. 9) Dumitru Pavelescu-Dimo, Monumento a Traiano, Brăila, 1906 |
L’introduzione include una lunga
lista di cicli di affreschi di tema religioso dipinti da Belisare. Tutti si
trovano in chiese, e descrivono una carriera trentennale, avviata nel 1907 con
la decorazione della Chiesa del Monastero Caldarusani. Il successo arriva a
partire dal 1925, quando la chiesa ortodossa romena diviene un patriarcato e
viene lanciato un programma pluriennale di rinascita religiosa nazionale: sono
costruite nuove chiese, come per la chiesa di Costești nel 1931 e la cattedrale
ortodossa di Orăştie del 1936, o si decide di sostituire affreschi precedenti
irrimediabilmente perduti (come nella cattedrale patriarcale di Bucarest, dove
il nuovo ciclo di Belisare rimpiazza affreschi ormai deperiti del 1884).
Il programma di rinascita neo-bizantina è parte di un più complessivo progetto di rumenizzazione del territorio, percepito come necessario da quando il paese ha inglobato molte regioni che in precedenza facevano parte dell’impero austro-ungarico e di quello zarista dopo le vicissitudini della Prima guerra mondiale e la vittoria nella guerra rumeno-ungherese (1918-1919) (cosiddetta “Grande Romania”). Nell’Ottocento l’arte sacra in Romania si sviluppa su due binari (uno più filo-occidentale nei centri urbani ed uno più tradizionale nelle campagne), anche se comunque vi sono sempre contaminazioni tra i due indirizzi. Tra le due guerre il potere politico sceglie chiaramente una pittura strettamente neo-bizantina come stile nazionale [11]. Dunque il rigore sul metodo proposto da Belisare (e forse anche la sua polemica contro Gottfried Schiller e Iulius Ostermaier ed il ruolo che i Benedettini tedeschi di Beuron svolgono per ornare la cattedrale greco-cattolica di Bucarest secondo tecniche industriali occidentali) è del tutto in linea con le priorità del potere politico: promuovere un’arte religiosa in linea con la tradizione neo-bizantina.
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Fig. 11) Nicolae Teodorescu, L’Assunzione della Vergine Maria, Cattedrale arcivescovile di Buzău (senza data) |
Fine Parte Prima
NOTE
[1] Dimitrie Belisare è l’accezione del nome nella traduzione romena del Libro dell’arte, ed è perciò la dizione che utilizzeremo in questo post. Si trova però menzionato il pittore anche come Dumutru Belisare, Dimitrie Belizarie e Dimitrie Belizaire, forse per effetto delle riforme dell’ortografia romena (soprattutto nel 1954 e nel 1993), che per alcuni versi ebbero ragioni più ideologiche che grammaticali, segnando prima l’intenzione di introdurre un’impronta sovietica nella lingua e poi di cancellare ogni retaggio comunista da essa. Queste discontinuità ortografiche sono rappresentative di una frammentazione nella narrazione storica sull’arte religiosa in Romania, che è davvero un ostacolo alla piena comprensione di quel che successe in quegli anni. Durante il periodo comunista, di Belisare non si scrisse certo molto. Anzi, una delle principali chiese da lui affrescate, ovvero la chiesa di San Vinerio a Bucarest, fu distrutta dal regime nel 1987 (e viene oggi ricostruita). Si spiegano così molti elementi d’incertezza sulla sua biografia. Quanto alla sua data di nascita, per esempio, vi sono fonti che riportano la data 1883 ed altre 1884. Noi preferiamo 1888 (data che comunque non è inclusa in alcuna altra fonte che abbiamo potuto consultare) sulla base di quanto scritto dal pittore stesso nell’introduzione: egli dice che nel 1907 aveva 19 anni.
[2] Tratatul de Pictura al Lui Cennino Cennini, Tradus şi compara cu textele germane şi franceze de Dimitrie Belisare-Muscel, pictorul expert al patriarhei romane – Vice Preşidente al Sindacatului artelor rumoase, Bucureşti, Tipografia “Fāntāna Daruor”, Calea 13 September No. 74. Il testo è disponibile su internet all’indirizzo: https://www.scribd.com/doc/137318895/Tratatul-de-pictura-Cennino-Cennini-pdf
[3] Dimitrie Belisare, Bucuresti, 1936, in:
[4] D.Belisare-Muscel, Tratatul de pictură al lui Cennino Cennini (Bucureşti, 1937) in
[5] Mi sono chiesto se il testo non sia stato ultimato qualche anno prima del 1936/1937. Infatti, mentre Belisare mostra di conoscere a perfezione tutte le traduzioni dell’opera, non vi è alcun riferimento alla traduzione inglese del 1933.
[6] Dobbiamo l’informazione alla pagina Facebook del Professor Traian Mârza https://www.facebook.com/marza.traian/posts/944347528991083
[7] Lo stesso scrivono, del resto, gli altri traduttori-pittori di Cennino in quei decenni, tutti convinti (sia pur a malincuore) che la tradizione artigianale di Cennini sia stata superata dalla diffusione dei colori industriali per la pittura a muro. Alf Rolfsen, nella traduzione norvegese del 1942, avverte: “Questa tradizione è stata interrotta. I colori non sono più estratti dagli artisti dal seno della terra. Quelli che ora producono colori possono essere tecnicamente più abili, ed i colori che producono possono essere migliori. Ma gli artisti hanno perso la loro intima connessione con i materiali, la conoscenza profonda della loro natura preziosa e delle esigenze che ciò richiede e l'ispirazione che ciò fornisce. (…) L'immagine del giovane Cennino che scopre la venatura d’ocra (…) ha associazioni molto diverse da quelle suscitate dalle parole 'Aktiengesellschaft Farbenindustrie'”. I colori dell’IG-Farben si sono diffusi ovunque dalla Germania a partire dalla metà degli anni Trenta. Nel 1946 il traduttore e pittore svedese Sigurd Möller avvisa il lettore: “Gli ambienti cambiano e scompaiono, le tradizioni si esauriscono, e oggi sarebbe impossibile e sbagliato seguire tutti i consigli e le regole pratiche di Cennini”. Lo stesso fa l’anonimo pittore ungherese, della cui traduzione non conosciamo la data. Il testo probabilmente non deve essere molto successivo, dato che è scritto nell’ortografia ungherese precedente il 1954: “Ovviamente, sarebbe un errore ignorare le nuove tecniche. Cennini stesso era dell’idea che la metodologia moderna fosse migliore di quella antica per la pittura. Anche la pratica della pittura murale non può fermarsi all’affresco. Qui entriamo nelle nuove e migliori tecniche degli agenti fissanti in plastica, che si combinano assai bene con i nuovi muri plasticati.”
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