L’Accademia di Belle Arti di Venezia
Il Settecento
A cura di Giuseppe Pavanello
3 volumi, Antiga edizioni, 2015
(Recensione di Giovanni Mazzaferro. Parte Seconda)
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Venezia, L'ex-Ospedale degli Incurabili, sede dell'Accademia di Belle Arti dal 2010 Fonte: Wikimedia Comms |
Fra Accademia e Collegio: dissidi economici o differenze nel gusto?
Si è detto che il dissidio fra
Collegio dei Pittori (1679) e Accademia (1750) origina dal fatto che
quest’ultima nasce come istituzione pubblica e autonoma, libera
dall’impostazione corporativa. Ho anche accennato brevemente alle dispute di
carattere economico: in un mondo in cui la committenza pubblica va man mano
calando ci si accapiglia per le poche sovvenzioni (ad esempio per i 130 ducati
destinati alla “custodia” dei quadri di Palazzo Ducale e delle Magistrature di
Rialto) provenienti dal governo. Possiamo anche spingerci un po’ più in là e
dire che il meccanismo dei concorsi di primo grado (un meccanismo che in realtà
non funzionerà quasi mai, proprio per difficoltà economiche) mira alla
creazione di un novero di artisti creatisi in Accademia, autoleggitimatisi
tramite il Concorso ed estranei al Collegio (cfr. il saggio di Denis Ton a p.
180).
La domanda successiva è un’altra:
al di là delle antipatie personali e degli interessi di natura economica,
Accademia e Collegio (o, se vogliamo restringere il campo, Accademia e Pietro Edwards, che del Collegio fu il deus ex
machina dal 1776 in poi) promuovono gusti artistici diversi? C’è, insomma,
un dissidio più “nobile” rispetto a quelli appena descritti? Non lo so. Si
tratta di un argomento – a mio avviso – su cui riflettere e approfondire. Si è
detto che l’Accademia vede in cinquant’anni – e sia pure con specificità venete
– trasformare lo stile in senso profondamente neoclassico; qual è
l’atteggiamento di Edwards in proposito?
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L'ingresso delle Gallerie dell'Accademia nel Complesso della Carità, sede dell'Accademia dal 1807 al 2010 Fonte: Wikimedia Commons |
Le cose non sono
affatto chiare. Artista di origini piazzettesche (a giudicare dalle poche opere
che ne compongono il catalogo) [7], presto convertitosi in “intendente” e
restauratore, Edwards scrive nel settembre del 1807 un Elogio di Antonio Canova destinato ad essere letto nell’Accademia
rifondata (ma non sono certo che la cosa sia realmente avvenuta; spero di
scoprirlo negli imminenti volumi dedicati all’Ottocento). Il percorso sembra,
dunque, quello di tutti gli altri. Eppure, a leggere i suoi manoscritti e il
plagio del figlio, la situazione appare molto meno delineata. In particolare, la
parabola dell’arte veneziana, secondo Edwards, tocca il suo apice con Tiziano,
Tintoretto e Veronese per poi conoscere un irresistibile declino a cui non
segue una ripresa segnata da Tiepolo e dagli altri pittori del primo
Settecento. Come ha ben messo in evidenza Cristina Gambillara, Edwards segue
suddivisione e giudizi sull’arte espressi da Antonio Maria Zanetti nel suo Della pittura veneziana (Venezia,
Albrizzi, 1771) separandosene appunto nel giudizio sull’arte moderna [8]. Per
quanto riguarda il neoclassico non abbiamo nulla a parte l’elogio di Canova,
che – come tale – appare uno scritto di circostanza, legato probabilmente a
richieste di terzi. C’è però da chiedersi se ci sia molto del padre nelle tante
riserve con cui il figlio Giovanni parla di Canova: “La sopravveglianza
Accademica dovrebbe osservare che non fossero posti a copiare dai moderni
esemplari del Canova, se non giovani che avessero molto approfittato degli
studi, ed avessero dato prove sicure di un maturo criterio dell’arte; e questi
non mai disgiunti dal consiglio del precettore. Diversamente lo studio su
questo rispettabile artista [n.d.r. “rispettabile”: il “divino” Canova diventa
“rispettabile”] è congiunto con molto pericolo; essendogli mancato più volte
quel fondo di ragionamento che sarebbe stato necessario a sostenere in ogni
parte la grandiosità de’ suoi assunti, che perciò offendono in poche mende
talora” [9].
Non è detto, in fin dei dei
conti, che Pietro Edwards non rappresenti anche nel gusto l’animo più nostalgico dell’arte veneziana, esattamente come capita sul piano
organizzativo della politica artistica.
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Francesco Fontebasso, San Michele che scaccia Lucifero (particolare), Soffitto della Chiesa dell'Angelo Raffaele, Venezia Fonte: Didier Descouens tramite Wikimedia Commons |
Per una politica di valorizzazione delle fonti di storia dell’arte
veneziana
In conclusione, un appello. Il senso
ultimo dei tre volumi di cui ho parlato consiste nella possibilità data alla
studioso di attingere direttamente alle fonti e nella valorizzazione del
patrimonio archivistico dell’Istituto. Se andiamo a vedere lo stato attuale
degli studi sulla letteratura artistica veneziana c’è – ne parlo con la massima
sincerità – da rimanere del tutto sconfortati. Per quanto riguarda Michiel
siamo fermi all’edizione critica del 1896 di Theodor Frimmel riproposta da
Cristina de Benedictis nel 2000 (ma per fortuna sembra essere in dirittura
d’arrivo la nuova edizione di Rosella Lauber). Con le Maraviglie dell’arte del Ridolfi ci dobbiamo accontentare di
un’edizione berlinese in due volumi (1914 e 1924). Si distingue meritatamente
l’edizione critica della Carta del navegar pittoresco del Boschini curata da Anna Pallucchini (edizione che – sia
chiaro - è del 1966 ed è oggi
introvabile). Non esiste un’edizione critica né delle Minere né delle Ricche Minere
sempre del Boschini, come pure della precedente Venezia città nobilissima del Sansovino. Manca infine una qualsiasi
edizione del Della pittura veneziana
di Zanetti (mi risulta che ci si stia lavorando). Che io sappia (e sarei ben
felice di essere smentito) non esiste una traduzione inglese di una qualsiasi
di queste opere. Ho letto pareri autorevoli sull’impossibilità di tradurre in
inglese il veneziano del Boschini; faccio presente che la cosa si riferisce
alla sola Carta del navegar pittoresco,
che è scritta in lingua veneta. Faccio altrettanto presente che da sempre, ogni
traduzione è una forma di tradimento del senso originario dell’opera. Ma è
anche un elemento indispensabile di trasmissione della cultura.
Frontespizio della prima edizione dell'Anonimo Morelliano (poi Marcantonio Michiel) Fonte: https://archive.org/stream/notiziadoperedid00mich#page/n3/mode/2up |
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Frontespizio delle Minere della Pittura di Marco Boschini Fonte: http://marco-boschini-600.blogspot.it/2015/04/le-opere-letterarie.html |
Deve essere ben chiaro che il
prezzo di tutto ciò è in primo luogo la marginalizzazione di una civiltà in un mondo
globalizzato; ma (aspetto assai più importante) è il rischio a cui si espone il
patrimonio. Basti ragionare solo un minuto su cos’abbia voluto dire per
un’infinità di opere l’essere o il non essere citate nel Vasari: il discrimine
fra sopravvivenza o distruzione. Lo stesso Edwards, quando si trova in anni difficili
a dover scegliere fra migliaia e migliaia di quadri che gli giungono in mano
per effetto delle soppressioni ecclesiastiche, adotta come uno dei criteri per
la selezione il fatto che siano citate o meno nella letteratura artistica
precedente. Per le opere non citate (salvo eccezioni) si caldeggia la
distruzione.
Antonio Maria Zanetti, Della pittura veneziana (1771). Frontespizio Fonte: http://www.onerarebook.com/a45dellapittura.html |
Chiunque si sia mai confrontato
con l’edizione critica di un testo sa benissimo che l’effetto più immediato che
ne deriva è la valorizzazione del patrimonio. Per cui la domanda,
semplicissima, è: cosa sta succedendo a Venezia? È mai possibile che, nel caso
di Edwards, nessuno si sia mai posto il problema di recuperare almeno
l’inventario del 1808, che testimonia l’insieme complessivo delle opere salvate
prima delle dispersioni e che dovrebbe essere ben più ampio di quello stilato
anni dopo per l’Accademia? Eppure quest’ultimo catalogo è stato ritenuto di
estrema importanza da Sandra Moschini Marconi nel suo lavoro sulle Gallerie
dell’Accademia. È logico suppore che il catalogo del 1808 si trovi a Milano o
addirittura a Parigi. Possibile che nessuno abbia provato a cercarlo?
Chi deve farsi carico di tutto
ciò? Mi sembra ovvio: l’Università. Si badi bene: io parlo da “cane sciolto” e
non parteggio per questa o quella cordata di professori universitari. Proprio
per questo, però, mi posso permettere di dire le cose come stanno e di
segnalare situazioni. A Milano, da decenni, la scuola di Giovanni Agosti sta
studiando ogni singola fonte; ne è nata una serie di edizioni critiche che
hanno arricchito la comprensione della pittura lombarda del Cinque e del
Seicento. Inutile ricordare poi cos’ha voluto dire l’esperienza professionale
di Paola Barocchi per le fonti toscane. Possibile che Venezia debba essere da
meno? Non ci sono studenti universitari a cui affidare tesi di laurea che
affrontino singoli segmenti di un quadro da ricomporre successivamente in
maniera unitaria?
La Premessa ai tre volumi dedicati all’Accademia è scritta da Sileno
Salvagnini e si intitola “Perché una Storia dell’Accademia di Belle Arti di
Venezia?”. In essa l’autore rivendica l’appartenenza del mondo dell’Accademia
alla categoria degli insegnamenti di livello universitario, in quanto luogo in cui il
momento teorico e quello tecnico della produzione artistica si coniugano
proficuamente. La storia dell’Accademia fa parte a pieno titolo del momento
teorico, ne è la parte più consapevole e, così come delineata nei tre volumi
relativi al Settecento, è la dimostrazione della vitalità di un’istituzione che
a pieno titolo ha presente la funzione che deve esercitare, sia da un punto di
vista didattico sia per la valorizzazione, la tutela e la conservazione del
patrimonio, laddove il termine valorizzazione è inteso in senso nobile e non
con finalità di ordine turistico. Sapere che c’è ancora chi in queste cose ci
crede è forse lo stato d’animo più gratificante con cui ho sfogliato l’ultima
pagina dell’opera.
NOTE
[7] Giorgio Panciera di Zoppola, Pietro Edwards pittore in ‘Arte in
Friuli Arte a Trieste’, 1999, nn. 18-19. Al catalogo si aggiungono ora, proprio
grazie alla presente pubblicazione i quattro disegni di nudo presentati ai
concorsi accademici dal 1763 al 1766 compresi.
[8] Cristina Gambillara, Pietro Edwards teorico e critico d’arte
in Verona Illustrata 2002, n. 15 pp.
103-135.
[9] Giovanni Mazzaferro, Le Belle
Arti a Venezia… cit., p. 183.
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