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mercoledì 16 marzo 2016

L'Accademia di Belle Arti di Venezia. Il Settecento. A cura di Giuseppe Pavanello. Parte Seconda


English Version

L’Accademia di Belle Arti di Venezia
Il Settecento

A cura di Giuseppe Pavanello

3 volumi, Antiga edizioni, 2015

(Recensione di Giovanni Mazzaferro. Parte Seconda)


Venezia, L'ex-Ospedale degli Incurabili, sede dell'Accademia di Belle Arti dal 2010
Fonte: Wikimedia Comms



Fra Accademia e Collegio: dissidi economici o differenze nel gusto?

Si è detto che il dissidio fra Collegio dei Pittori (1679) e Accademia (1750) origina dal fatto che quest’ultima nasce come istituzione pubblica e autonoma, libera dall’impostazione corporativa. Ho anche accennato brevemente alle dispute di carattere economico: in un mondo in cui la committenza pubblica va man mano calando ci si accapiglia per le poche sovvenzioni (ad esempio per i 130 ducati destinati alla “custodia” dei quadri di Palazzo Ducale e delle Magistrature di Rialto) provenienti dal governo. Possiamo anche spingerci un po’ più in là e dire che il meccanismo dei concorsi di primo grado (un meccanismo che in realtà non funzionerà quasi mai, proprio per difficoltà economiche) mira alla creazione di un novero di artisti creatisi in Accademia, autoleggitimatisi tramite il Concorso ed estranei al Collegio (cfr. il saggio di Denis Ton a p. 180).

La domanda successiva è un’altra: al di là delle antipatie personali e degli interessi di natura economica, Accademia e Collegio (o, se vogliamo restringere il campo, Accademia e Pietro Edwards, che del Collegio fu il deus ex machina dal 1776 in poi) promuovono gusti artistici diversi? C’è, insomma, un dissidio più “nobile” rispetto a quelli appena descritti? Non lo so. Si tratta di un argomento – a mio avviso – su cui riflettere e approfondire. Si è detto che l’Accademia vede in cinquant’anni – e sia pure con specificità venete – trasformare lo stile in senso profondamente neoclassico; qual è l’atteggiamento di Edwards in proposito?

L'ingresso delle Gallerie dell'Accademia nel Complesso della Carità, sede dell'Accademia dal 1807 al 2010
Fonte: Wikimedia Commons

Le cose non sono affatto chiare. Artista di origini piazzettesche (a giudicare dalle poche opere che ne compongono il catalogo) [7], presto convertitosi in “intendente” e restauratore, Edwards scrive nel settembre del 1807 un Elogio di Antonio Canova destinato ad essere letto nell’Accademia rifondata (ma non sono certo che la cosa sia realmente avvenuta; spero di scoprirlo negli imminenti volumi dedicati all’Ottocento). Il percorso sembra, dunque, quello di tutti gli altri. Eppure, a leggere i suoi manoscritti e il plagio del figlio, la situazione appare molto meno delineata. In particolare, la parabola dell’arte veneziana, secondo Edwards, tocca il suo apice con Tiziano, Tintoretto e Veronese per poi conoscere un irresistibile declino a cui non segue una ripresa segnata da Tiepolo e dagli altri pittori del primo Settecento. Come ha ben messo in evidenza Cristina Gambillara, Edwards segue suddivisione e giudizi sull’arte espressi da Antonio Maria Zanetti nel suo Della pittura veneziana (Venezia, Albrizzi, 1771) separandosene appunto nel giudizio sull’arte moderna [8]. Per quanto riguarda il neoclassico non abbiamo nulla a parte l’elogio di Canova, che – come tale – appare uno scritto di circostanza, legato probabilmente a richieste di terzi. C’è però da chiedersi se ci sia molto del padre nelle tante riserve con cui il figlio Giovanni parla di Canova: “La sopravveglianza Accademica dovrebbe osservare che non fossero posti a copiare dai moderni esemplari del Canova, se non giovani che avessero molto approfittato degli studi, ed avessero dato prove sicure di un maturo criterio dell’arte; e questi non mai disgiunti dal consiglio del precettore. Diversamente lo studio su questo rispettabile artista [n.d.r. “rispettabile”: il “divino” Canova diventa “rispettabile”] è congiunto con molto pericolo; essendogli mancato più volte quel fondo di ragionamento che sarebbe stato necessario a sostenere in ogni parte la grandiosità de’ suoi assunti, che perciò offendono in poche mende talora” [9].

Non è detto, in fin dei dei conti, che Pietro Edwards non rappresenti anche nel gusto l’animo più nostalgico dell’arte veneziana, esattamente come capita sul piano organizzativo della politica artistica.

Francesco Fontebasso, San Michele che scaccia Lucifero (particolare), Soffitto della Chiesa dell'Angelo Raffaele, Venezia
Fonte: Didier Descouens tramite Wikimedia Commons


Per una politica di valorizzazione delle fonti di storia dell’arte veneziana

In conclusione, un appello. Il senso ultimo dei tre volumi di cui ho parlato consiste nella possibilità data alla studioso di attingere direttamente alle fonti e nella valorizzazione del patrimonio archivistico dell’Istituto. Se andiamo a vedere lo stato attuale degli studi sulla letteratura artistica veneziana c’è – ne parlo con la massima sincerità – da rimanere del tutto sconfortati. Per quanto riguarda Michiel siamo fermi all’edizione critica del 1896 di Theodor Frimmel riproposta da Cristina de Benedictis nel 2000 (ma per fortuna sembra essere in dirittura d’arrivo la nuova edizione di Rosella Lauber). Con le Maraviglie dell’arte del Ridolfi ci dobbiamo accontentare di un’edizione berlinese in due volumi (1914 e 1924). Si distingue meritatamente l’edizione critica della Carta del navegar pittoresco del Boschini curata da Anna Pallucchini (edizione che – sia chiaro -  è del 1966 ed è oggi introvabile). Non esiste un’edizione critica né delle Minere né delle Ricche Minere sempre del Boschini, come pure della precedente Venezia città nobilissima del Sansovino. Manca infine una qualsiasi edizione del Della pittura veneziana di Zanetti (mi risulta che ci si stia lavorando). Che io sappia (e sarei ben felice di essere smentito) non esiste una traduzione inglese di una qualsiasi di queste opere. Ho letto pareri autorevoli sull’impossibilità di tradurre in inglese il veneziano del Boschini; faccio presente che la cosa si riferisce alla sola Carta del navegar pittoresco, che è scritta in lingua veneta. Faccio altrettanto presente che da sempre, ogni traduzione è una forma di tradimento del senso originario dell’opera. Ma è anche un elemento indispensabile di trasmissione della cultura.

Frontespizio della prima edizione dell'Anonimo Morelliano (poi Marcantonio Michiel)
Fonte: https://archive.org/stream/notiziadoperedid00mich#page/n3/mode/2up

Frontespizio delle Minere della Pittura di Marco Boschini
Fonte: http://marco-boschini-600.blogspot.it/2015/04/le-opere-letterarie.html

Deve essere ben chiaro che il prezzo di tutto ciò è in primo luogo la marginalizzazione di una civiltà in un mondo globalizzato; ma (aspetto assai più importante) è il rischio a cui si espone il patrimonio. Basti ragionare solo un minuto su cos’abbia voluto dire per un’infinità di opere l’essere o il non essere citate nel Vasari: il discrimine fra sopravvivenza o distruzione. Lo stesso Edwards, quando si trova in anni difficili a dover scegliere fra migliaia e migliaia di quadri che gli giungono in mano per effetto delle soppressioni ecclesiastiche, adotta come uno dei criteri per la selezione il fatto che siano citate o meno nella letteratura artistica precedente. Per le opere non citate (salvo eccezioni) si caldeggia la distruzione.

Antonio Maria Zanetti, Della pittura veneziana (1771). Frontespizio
Fonte: http://www.onerarebook.com/a45dellapittura.html

Chiunque si sia mai confrontato con l’edizione critica di un testo sa benissimo che l’effetto più immediato che ne deriva è la valorizzazione del patrimonio. Per cui la domanda, semplicissima, è: cosa sta succedendo a Venezia? È mai possibile che, nel caso di Edwards, nessuno si sia mai posto il problema di recuperare almeno l’inventario del 1808, che testimonia l’insieme complessivo delle opere salvate prima delle dispersioni e che dovrebbe essere ben più ampio di quello stilato anni dopo per l’Accademia? Eppure quest’ultimo catalogo è stato ritenuto di estrema importanza da Sandra Moschini Marconi nel suo lavoro sulle Gallerie dell’Accademia. È logico suppore che il catalogo del 1808 si trovi a Milano o addirittura a Parigi. Possibile che nessuno abbia provato a cercarlo?

Chi deve farsi carico di tutto ciò? Mi sembra ovvio: l’Università. Si badi bene: io parlo da “cane sciolto” e non parteggio per questa o quella cordata di professori universitari. Proprio per questo, però, mi posso permettere di dire le cose come stanno e di segnalare situazioni. A Milano, da decenni, la scuola di Giovanni Agosti sta studiando ogni singola fonte; ne è nata una serie di edizioni critiche che hanno arricchito la comprensione della pittura lombarda del Cinque e del Seicento. Inutile ricordare poi cos’ha voluto dire l’esperienza professionale di Paola Barocchi per le fonti toscane. Possibile che Venezia debba essere da meno? Non ci sono studenti universitari a cui affidare tesi di laurea che affrontino singoli segmenti di un quadro da ricomporre successivamente in maniera unitaria?

La Premessa ai tre volumi dedicati all’Accademia è scritta da Sileno Salvagnini e si intitola “Perché una Storia dell’Accademia di Belle Arti di Venezia?”. In essa l’autore rivendica l’appartenenza del mondo dell’Accademia alla categoria degli insegnamenti di livello universitario, in quanto luogo in cui il momento teorico e quello tecnico della produzione artistica si coniugano proficuamente. La storia dell’Accademia fa parte a pieno titolo del momento teorico, ne è la parte più consapevole e, così come delineata nei tre volumi relativi al Settecento, è la dimostrazione della vitalità di un’istituzione che a pieno titolo ha presente la funzione che deve esercitare, sia da un punto di vista didattico sia per la valorizzazione, la tutela e la conservazione del patrimonio, laddove il termine valorizzazione è inteso in senso nobile e non con finalità di ordine turistico. Sapere che c’è ancora chi in queste cose ci crede è forse lo stato d’animo più gratificante con cui ho sfogliato l’ultima pagina dell’opera. 


NOTE

[7] Giorgio Panciera di Zoppola, Pietro Edwards pittore in ‘Arte in Friuli Arte a Trieste’, 1999, nn. 18-19. Al catalogo si aggiungono ora, proprio grazie alla presente pubblicazione i quattro disegni di nudo presentati ai concorsi accademici dal 1763 al 1766 compresi. 

[8] Cristina Gambillara, Pietro Edwards teorico e critico d’arte in Verona Illustrata 2002, n. 15 pp. 103-135.

[9] Giovanni Mazzaferro, Le Belle Arti a Venezia… cit., p. 183.


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