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venerdì 25 settembre 2015

Heidi C. Gearhart. Il 'De Diversis Artibus' di Teofilo. La figura dell'artista e la creazione artistica nel XII secolo. Parte Prima


English Version

Heidi C. Gearhart
Il ‘De Diversis Artibus’ di Teofilo
La figura dell’artista e la creazione artistica nel XII secolo
Parte Prima

Traduzione di Giovanni Mazzaferro

Fig. 1) Wolfenbüttel, Herzog-August Bibliothek cod. Guelph Gudianus
lat. 2°69, fol. 86r: incipit
© Herzog August Bibliothek Wolfenbüttel: http://diglib.hab.de/?db=mss&list=ms&id=69-gud-lat>


Premessa di Giovanni Mazzaferro

Il testo che troverete riprodotto (diviso in tre puntate) su questo blog è la traduzione del primo capitolo della dissertazione di PhD di Heidi C. Gearhart tenuta nel 2010 all'Università del Michigan e intitolata Theophilus' On Diverse Arts: The Persona of the Artist and the Production of Art in the Twelfth Century. L'intera dissertazione è scaricabile in inglese cliccando qui.
Abbiamo già recensito il De Diversis Artibus del monaco Teofilo, notando come in Italia sia sostanzialmente poco noto. Per questo motivo abbiamo contattato l'autrice del presente saggio, per molti versi innovativo perché propone un approccio diverso alla figura di Teofilo attraverso lo studio della circolazione degli esemplari dell'opera giunti sino a noi. Con grande gentilezza, Heidi Gearhart ci ha permesso di tradurre il primo capitolo della sua tesi e, una volta verificata la traduzione, ha dato il suo permesso alla pubblicazione sul blog.
Buona lettura a tutti. 
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Uno dei pochissimi trattati artistici sopravvissuti sino ad oggi fin dai tempi dell’Alto Medio Evo fu scritto da un monaco del dodicesimo secolo sotto lo pseudonimo di Teofilo. Noto come il De diversis artibus, o, in inglese, con il titolo di On Diverse Arts, il testo è composto da tre libri, ognuno dei quali dedicato a differenti strumenti: il primo descrive le arti della pittura, il secondo delle tecniche vetrarie e il terzo è dedicato alla metallurgia. Ogni libro, contenente descrizioni dettagliate dei procedimenti tecnici, è introdotto da un prologo che affronta le dimensioni religiose della creazione delle immagini. Il testo è da lungo tempo una fonte importante per lo studio dell’arte medievale, a partire da quando, nel 1774, lo scrittore, critico e filosofo Gotthold Ephraim Lessing citò la descrizione fatta da Teofilo dei pigmenti utilizzati assieme all’olio in un saggio sulla storia della pittura a olio, servendosene come prova che la tecnica era nota prima dell’epoca di van Eyck [1]. Nonostante secoli di studi, non è noto ad oggi anche solo perché fu scritto il De diversis artibus, da chi o per chi, e se fosse o non fosse utilizzato esclusivamente come un testo d’istruzione [2].

In questa dissertazione io esaminerò gli esemplari manoscritti del trattato ancora esistenti per raccogliere indizi sulle modalità con cui il libro fu letto e utilizzato. Sosterrò che l’opera forniva molto più di un gruppo di descrizioni di tecniche artistiche assemblate casualmente fra loro; che andrebbe vista come un insieme coerente, un trattato fittamente strutturato con una narrativa e un impianto complessivi. Sulla base di una nuova lettura del testo, abbinata con l’esame di oggetti superstiti e con alcune considerazioni sul contesto locale in cui il De diversis artibus fu composto, tenterò di gettare nuova luce sulla teoria e la pratica del fare artistico agli inizi del dodicesimo secolo.

Il De diversis artibus ebbe ampia circolazione e fu copiato per centinaia di anni, ma le modalità della trasmissione dell’opera non sono ancora state tracciate. Nelle biblioteche europee se ne conservano venticinque copie manoscritte, contenenti diverse porzioni del testo. Sono di origine tedesca, francese, inglese e italiana [...]. I due primi esemplari furono trascritti nella Germania del nord e risalgono alla metà del XII secolo; entrambi sono completi, dal momento che contengono tutti i tre i Libri e tutti e tre i prologhi [3]. Altri sei manoscritti quasi completi sono giunti fino a noi. Contengono tutti e tre i Libri e la maggior parte dei prologhi [4]. Vi sono anche nove copie incomplete, che testimoniano almeno due terzi di un Libro, così come otto manoscritti che presentano estratti di lunghezza differente [5]. I manoscritti coprono un periodo cronologico, per quanto attiene alla loro redazione, che va dal dodicesimo al diciassettesimo secolo, e due copie manoscritte del testo (entrambe ora ad Amiens) sono state realizzate nel XIX secolo [6]. L’editio princeps dell’opera fu preparata da Lessing e pubblicata postuma da Christian Leiste nel 1781 [7]. Da allora il testo è stato ampiamente pubblicato e tradotto dall’originale latino in otto lingue [8]. Non c’è mai stato, tuttavia, uno studio approfondito e analitico del trattato.

Uno degli scopi principali di questa dissertazione è la contestualizzazione del De diversis artibus nell’ambito della cultura monastica, artistica e letteraria del XII secolo. Benché sia spesso citato come fonte medievale, il rapporto del De diversis artibus con altri testi prodotti nel suo ambiente e le sue possibili funzioni devono essere ancora seriamente investigate. Il testo, invece, ha suscitato supposizioni dure a morire sul ruolo, lo status e l’opera dell’artista medievale, e anche sull’essenza stessa dell’arte medievale. Queste supposizioni, di volta in volta, hanno guidato il nostro approccio al testo, cosicché quando l’artista di questo periodo è descritto come un umile artigiano, in cerca di anonimato e dedito alla pratica di un’attività artigiana per servire Dio, il De diversis artibus è evocato come una testimonianza irrefutabile. Essendo l’unica opera di questo tipo a sopravvivere c’è poco materiale comparativo per sviare i nostri preconcetti. Il De diversis artibus è stato preso in considerazione per la precocità della sua composizione, per l’abbondanza di informazioni tecniche e per la sua completezza. Viene spesso incluso negli studi generali sull’arte medievale come una delle poche testimoniane primarie sopravvissute sull’arte del XII secolo, un complemento agli scritti di Bernardo di Chiaravalle e di Sugero, abate di Saint Denis, ed è citato con regolarità come prototipo della mentalità monastica medievale. Forse in maniera più significativa, è stato usato come una risorsa per coloro che esplorano la storia delle tecniche artistiche [9].

Questa nuova valutazione del De diversis artibus comincia con l’esame dei manoscritti e la storia del trattatello per darne un inquadramento di massima. Qualsiasi analisi del libro di Teofilo deve cominciare con un’occhiata alla struttura che lo contraddistingue, dal momento che è proprio questa struttura che ha reso così difficile da classificare il testo. Ognuno dei tre Libri di istruzioni è introdotto da un prologo, e tuttavia prologhi e istruzioni sembrano indirizzare ad argomenti fra loro del tutto separati. I prologhi hanno a che fare con la teologia e con questioni di carattere spirituale e pedagogico, mentre le istruzioni riguardano tecniche ed aspetti pratici. Il primo prologo si apre con una professione di umiltà: l’autore si presenta con il soprannome ricco di significato di “Teofilo”, ovvero “colui che ama Dio” e procede, in ognuno dei tre prologhi, col raccomandare all’artista di lavorare con umiltà e religiosità. [10] Usando un latino sofisticato attinge a testi teologici ed evoca esempi biblici spaziando dalla creazione dell’uomo fino al tempio di Salomone. I prologhi servono a introdurre e riassumere le tecniche che saranno descritte nel corpo del testo e contengono inoltre le affermazioni più dirette sull’importanza della spiritualità nel fare artistico. Di contro, le istruzioni hanno natura tecnica: con una prosa chiara e concisa descrivono le procedure da seguire per perseguire scopi che coprono una scala vastissima, come mescolare i colori per dipingere barbe e corpi, colorare il vetro o realizzare un calice d’argento. [11]

La mia lettura del testo riconcilia gli aspetti che in esso sono percepiti come incongruenti, contrapponendosi a concetti riduttivi dell’artigianato medievale e reindirizzando il dibattito sull’identità dell’autore. Le supposte discrepanze tra prologhi e istruzioni nel De diversis artibus hanno portato a chiedersi se Teofilo fosse o non fosse effettivamente un artigiano [12]. Si è assunto che informazioni così tecniche potevano essere state scritte solo da un artigiano a vantaggio di altri artigiani; contemporaneamente si è pensato che un artigiano non avrebbe potuto avere l’educazione e i mezzi per scrivere prologhi così sofisticati da un punto di vista teologico. Quest’opinione ha fatto sì che le due componenti sembrassero fra loro molto differenti e che venissero spesso prese in considerazione separatamente. Si è persino proposto che istruzioni e prologhi siano stati scritti in momenti diversi o da due persone differenti [13].

Io sostengo che l’autore scrisse istruzioni e prologhi come un tutto unitario; cercherò di far luce sugli scopi di Teofilo e sul significato potenziale dello scrivere d’arte nel Medio Evo. La mia tesi, dunque, si distacca da quelle degli studiosi precedenti, che sono stati largamente propensi ad approcciare il testo o come una fonte tecnica o come una testimonianza religiosa. Il De diversis artibus è spesso citato per le informazioni tecniche che fornisce. Le sue istruzioni per miscelare i pigmenti, ad esempio, sono state ampiamente analizzate in termini di composizione chimica e il trattato è normalmente oggetto di discussione in relazione ad altri gruppi di istruzioni tecniche sopravvissute (spesso ribattezzate ‘ricette’ per la loro somiglianza alle ricette gastronomiche) come il Mappae clavicula, il De coloribus et artibus romanorum di Eraclio e il più tardo Lumen animae [14]. In maniera opposta, i prologhi del De diversis artibus sono stati interpretati come una difesa nei confronti del rifiuto ascetico dell’arte, esemplificato dagli scritti del cistercense Bernardo di Chiaravalle, o a giustificazione di un’arte lussuosa in maniera simile a quella di Sugero, abate di Saint Denis. Quindi, il testo di Teofilo è stato visto a difesa della presenza di arti collegate al lusso nei monasteri benedettini e si è spesso suggerito che il terzo prologo, che rievoca gli esempi di David, Salomone e la decorazione del Tempio di Gerusalemme come modello di abbellimento di una chiesa, fosse una risposta diretta alle critiche cistercensi mosse contro un’arte ecclesiastica sfarzosa, o, ancora, una risposta diretta alle polemiche sollevate dall’ascetismo di San Bernardo [15].

Le due traduzioni inglesi più recenti del De diversis artibus cristallizzano le discussioni sul testo e definiscono gli interrogativi sulla sua funzione che saranno percorsi in questa dissertazione. Entrambe le traduzioni furono realizzate negli anni ’60, ed entrambe mantengono inalterato il loro grande valore. La prima ad apparire fu quella di C.R. Dodwell, uno storico dell’arte che utilizzò la sua introduzione per collocare saldamente Teofilo nel contesto artistico e culturale dell’inizio del XII secolo [16]. La seconda, operata da Cyril Smith, esperto di tecniche metallurgiche assieme a John Hawthorne, pose particolare enfasi nell’analisi delle tecniche descritte da Teofilo [17]. Nella loro introduzione i due autori collocano il De diversis artibus all’interno della storia della letteratura tecnica e, più in generale, delle tecniche artigianali. Tuttavia la loro rassegna in ultima analisi mostra che il testo di Teofilo è, sotto molti profili, al di fuori di tale canone e si colloca da qualche parte tra il manuale tecnico e il trattato teorico sull’arte religiosa. Studi recenti, guidati dalle ricerche di Bruno Reudenbach, hanno cominciato a cercare corrispondenze tra i prologhi e le istruzioni e a vedere la spiritualità dei prologhi come forma di giustificazione per la fatica manuale insita nelle istruzioni [18]. La consapevolezza dell’importanza degli indizi contenuti negli esemplari del trattato giunti fino a noi in maniera completa è crescente. Andreas Speer e Hiltrud Westermann-Angerhausen sono a capo di un progetto volto a produrre una nuova edizione digitale del testo che permetterà di cogliere le varianti fra i vari manoscritti e di dare nuovo slancio allo studio di Teofilo [19]. Il mio esame del testo e degli esemplari manoscritti guarda in una direzione differente, cercando tracce del pubblico che lesse il trattato e del suo uso, investigando sulle funzioni che il testo di Teofilo potrebbe aver svolto ed esplicitando modelli e temi che emergono dall’opera, allo scopo di dimostrare che il trattato è un insieme unitario. Una nuova lettura del De diversis artibus (io credo) permette potenzialmente di rivedere le nostre nozioni sugli artisti medievali e di far luce sul più ampio panorama teorico in cui il fare artistico veniva esercitato.


I testimoni manoscritti

L’esame degli esemplari manoscritti più antichi del De diversis artibus giunti sino a noi ci incoraggia a leggere Teofilo in maniera nuova. Presi in considerazione tutti assieme, i venticinque manoscritti sopravvissuti, che coprono un arco temporale di stesura che va dal XII al XIX secolo, possono essere studiati come testimonianze di lettura e per gli indizi materiali in essi contenuti. Dei venticinque, nove manoscritti saranno di particolare importanza in questo studio. Quattro fra i nove, conservati oggi a Wolfenbüttel, Vienna, Londra e Cambridge, serviranno per introdurre la discussione nei capitoli della dissertazione che seguono. Altri cinque, che oggi si trovano a Bruxelles, Londra, Lipsia, Parigi (dove se ne conservano due) saranno chiamati a puntellare alcune affermazioni fatte nel corso di questo studio.

Non ci è giunto un manoscritto autografo originale di Teofilo. Le due copie più antiche sono i manoscritti di Wolfenbüttel e Vienna. A partire da questi si produrranno i temi fondamentali che guideranno la dissertazione. Entrambi risalgono a metà del XII secolo e quindi forniscono indizi preziosi su come il libro potesse essere stato letto in una fase iniziale. La più estesa ed elegante delle due copie è il manoscritto di Wolfenbüttel (Herzog-August Bibliothek cod. Guelph Gudianus lat. 2°69, Figura 1, 1a-b), noto in letteratura come “G”. Il primo folio del manoscritto reca un’iscrizione medievale ora per la maggior parte resa illeggibile da un titolo del XVIII secolo, che recita Codex mon[asterii] s[an]c[t]i pantaleonis in Colonia, che indica che l’esemplare apparteneva al monastero di San Pantaleone a Colonia (Figura 1). La copia del testo, trascritta in maniera ordinata, contiene tutti i e tre Libri e i tre prologhi, ed è preceduta da una copia elegante dell’XI secolo del De architectura di Vitruvio, come è possibile vedere nelle figure 1a e 1b; si tratta di un abbinamento che sarà discusso nel prossimo capitolo.



Fig. 1a) Wolfenbüttel, Herzog-August Bibliothek cod. Guelph Gudianus
lat. 2°69, fol. 1r: incipit Vitruvius, De architectura, XI secolo
© Herzog August Bibliothek Wolfenbüttel <http://diglib.hab.de/?db=mss&list=ms&id=69-gud-lat>


Fig. 1b) Wolfenbüttel, Herzog-August Bibliothek cod. Guelph Gudianus
lat. 2°69, ff. 85v-86r: explicit Vitruvius, De architectura (verso),
e incipit Theophilus, De diversis artibus (recto)
© Herzog August Bibliothek Wolfenbüttel <http://diglib.hab.de/?db=mss&list=ms&id=69-gud-lat>

Il manoscritto di Vienna è forse più antico. Noto com “V”, è anch’esso completo, posto che contiene tutti e tre i Libri e tutti e tre i prologhi (Vienna Österreichische Nationalbibliothek MS 2527, Figura 2). Molto più piccolo e disordinato dell’esemplare di Wolfenbüttel, riunisce tutti e tre i prologhi all’inizio. È scritto su una sola colonna invece che su due, risale all’inizio o alla metà del XII secolo ed è stato individuato come scritto nella regione attorno a Colonia o, al giorno d’oggi, nel Nord Reno-Vestfalia. Questo esemplare è tenuto in particolare considerazione perché il suo primo folio mostra un titolo che identifica il suo autore in un certo Ruggero: Theophilus qui et Rogerus, de diversis artibus, connettendo quindi lo pseudonimo ad un’autorità nota, quella (documentata) dell’artigiano Roger di Helmarshausen. I due manoscritti sono usualmente considerati i più vicini all’esemplare originale, anche se Dodwell, basandosi su varianti che essi presentano, suggerisce l’ipotesi che essi possano essere probabilmente due copie non condotte direttamente sull’originale, che egli di conseguenza colloca fra il 1110 e il 1140 [20].



Fig. 2) Vienna, Österreichische Nationalbibliothek MS 2527, fol. 1r: incipit
Theophilus, De diversis artibus, mid-twelfth century
© Österreichische Nationalbibliothek, Vienna

Gli scopi eterogenei che questi due manoscritti, fra loro molto differenti, avrebbero implicato (uno quale compendio di testi eruditi per la consultazione in una biblioteca, l’altro somigliante a un manoscritto di lavoro) ci obbligano a guardare ancora, in maniera più attenta, al lavoro di Teofilo. Sono la dimostrazione della limitatezza di prospettiva con cui gli studiosi tentano di incastrare una funzione precisa o di imporre una determinata categorizzazione al De diversis artibus. Scopriamo infatti che i suoi prologhi potevano essere spostati e ricombinati, che poteva essere scritto su vecchie pergamene di piccole dimensioni o su nuove di grande ampiezza. Il trattato sembra essere stato copiato in accordo con lo scopo immediato per il quale era stato richiesto, ma sembra essere stato usato in maniere divergenti, fors’anche nei medesimi centri monastici [21]. Le nette differenze tra i due esemplari e le implicazioni che la loro diversità comporta formano la base delle discussioni dei capitoli secondo e terzo: il capitolo due analizza il manoscritto di Wolfenbüttel e il testo del De diversis artibus in termini di letteratura pedagogica ed esegetica; mentre il capitolo tre guarda al manoscritto di Vienna per ragionare sulle personalità e le identità artistiche del XII secolo e sulla memoria perdurante della figura di “Ruggero” nella regione delle valli del fiumi Reno e Mosa.

Il manoscritto Harley, risalente ai primi del XIII secolo (British Library, MS Harley 3195) è il terzo più vecchio fra le copie sopravvissute. Anch’esso potrebbe essere giunto dalla regione dell’attuale Nord Reno - Vestfalia, dal momento che là vi si trovava nel XV secolo; reca infatti un’annotazione che mostra come si trovasse a Münster nel 1444 [22]. Questo esemplare, come notato da Dodwell e da altri, mostra di contenere un testo ridistribuito in maniera differente e quindi rappresenta un primo allontamento da quelli di Vienna e Wolfenbüttel; il testo comprende anche istruzioni addizionali non rinvenute altrove, il che lo rende il codice superstite più lungo di tutti, pur omettendo il primo prologo. [23] Postille marginali rinvenute nel manoscritto, tuttavia, suggeriscono che il secondo e il terzo prologo rivestissero particolare interesse per il lettore medievale. Le addizioni e le omissioni peculiari di questo esemplare indicano come gli aspetti teorici e pratici del De diversis artibus potessero essere considerati in maniera unitaria e portano ad indagare nel quarto capitolo sul legame fra i fenomeni del lavoro manuale artistico e della pratica di un comportamento eticamente virtuoso.


Fig. 3) London, British Library, Harley MS 3915, fol. 9v: incipit Theophilus,
De diversis artibus, early thirteenth century
© The British Library Board, Harley 3915, fol. 9v



Il lato pratico del De diversis artibus diviene più chiaro grazie all’analisi del manoscritto di Cambridge, anch’esso risalente al XIII secolo (Cambridge  University Library E e 6. 39). L’esemplare contiene solo il Libro primo e porzioni del terzo, ed è rilegato con due testi didattici: l’Opus agriculturae di Palladio (IV secolo d.C.) e il Liber de viribus herbarum, un libro sulle proprietà medicinali delle erbe attribuito all’antico poeta Emilio Macro, ma scritto probabilmente da Oddone di Meung nell’XI secolo. A questi sono aggiunti altri estratti tratti da un libro del primo Medio Evo sulla mistura dei pigmenti, la Mappae clavicula. Alcuni indizi sulle diverse tipologie di lettori che attinsero all’opera nel corso dei secoli, dedotti dalle tipologie contrastanti dei trattati rilegati insieme in questo volume servono da punto di partenza per una discussione sull’essenza generale dell’opera di Teofilo, condotta nel capitolo quinto.

A formare il nocciolo della dissertazione è l’analisi dei problemi tematici che sorgono dall’analisi di questi manoscritti; farò uso anche, a supporto degli indizi, dei cinque esemplari manoscritti del secondo gruppo, tutti descritti per esteso nell’appendice a questo scritto. Il manoscritto di Bruxelles, risalente al tardo XII secolo o agli inizi del XIII, fu scritto quasi sicuramente nella regione di Liegi (Bruxelles, Bibliothèque Royale de Belgique/Koninklijke Bibliotheek van België MS 10147-58). Un piccolo volumetto, con una scrittura fitta e arrotondata sbiadita dal tempo, il manoscritto di Bruxelles contiene solo porzioni del primo e del terzo Libro del De diversis artibus, ma è importante perché si tratta della prima testimonianza giunta fino ai nostri tempi della pratica di estrarre ricette e ricombinarle. Sono infatti contenute all’interno di una raccolta di istruzioni sulla pittura non nota altrove. Studiata e trascritta da Hubert Silvestre, da allora la raccolta è divenuta nota come il Compendium artis picturae [24].

Il manoscritto Egerton riconduce a una diversa concezione del De diversis artibus (Londra, British Library Egerton MS 840a, noto come E) [25]. Risalente all’inizio del XIII secolo, il manoscritto contiene solo il primo Libro del testo di Teofilo, e una volta era rilegato con un testo a lui contemporaneo sugli astrolabi, il De constructione et usu spherae et astrolabii [26]. Il compilatore sembra aver considerato il De diversis artibus non sotto un profilo retorico, spirituale o pratico, ma come rappresentativo di un ramo della cultura scientifica.

Il manoscritto di Lipsia (University Library MS 1157) risale al XIV secolo ed è interessante perché fonde insieme programma religioso e aspetto scientifico. Si tratta di un esemplare di grandi dimensioni e ben decorato, probabilmente realizzato nell’abbazia cistercense di Altzelle e più tardi posseduto da un eremita facente parte dell’Ordine di S. Antonio [25 bis]. Si tratta di un esempio particolarmente cogente in merito all’adattabilità del De diversis artibus come risorsa spirituale ed erudita. Il manoscritto è costituito da un volume che rilega in maniera uniforme Teofilo con testi antichi o contemporanei sulla medicina e i minerali: il Liber de gradibus medicinarum, un libro che delinea le proprietà matematiche dei dosaggi medicinali, scritto da Abu Yusuf Ya’qub ibn Ishaq Al-Kindi, o Alchindus, uno scienziato e filosofo della Baghdad abbaside del IX secolo; il De mineralibus, un trattatello sui minerali opera del rinomato teologo e scienziato del XIII secolo Alberto Magno di Colonia; un commentario sui Meteorologica di Aristotele; il Liber metricus de pulsibus, un poema sulle pulsioni di Aegiudius Corboliensis, o Gilles de Corbeil, un medico degli inizi del XIII secolo proveniente dalla scuola di Salerno; e un testo sulle malattie di Galeno. Inserendo il De diversis artibus fra Alberto Magno e Aristotele, il manoscritto sfugge alle nostre aspettative sul testo, costringendoci a riconsiderare il modo con cui la conoscenza del fare artistico si integrasse con più ampi schemi di conoscenza e cultura. E cambia anche le nostre aspettative sullo status del fare artistico: uno scriba ha attentamente omesso tutti i riferimenti di Teofilo ad oggetti di lusso o vetri colorati e sono praticamente assenti le istruzioni per produrre oggetti come turiboli o calici d’oro.

Gli ultimi due manoscritti del secondo gruppo, entrambi ora a Parigi e risalenti al XV secolo, danno prova dell’impatto esercitato da Teofilo più avanti negli anni e mostrano i primi tentativi di inquadrare il De diversis artibus con schemi più rigidi nell’ambito delle discipline teoriche o pratiche. L’esemplare segnato Paris, BnF nuov. acq. Lat 1422 è rilegato assieme al De architectura di Vitruvio e contiene anche uno dei trattati matematici di Niccolò Cusano. Posto che fu probabilmente trascritto nell’area geografica del basso Reno e che si tratta di una copia molto simile al manoscritto di Wolfenbüttel, Degering ha proposto un legame tra lo stesso Niccolò Cusano e il manoscritto. È noto che lo studioso si trovava a Colonia negli anni ’50 del 1400, più o meno quando fu probabilmente scritto il libro [27]. Un’iniziativa di studio tenuta in ancor maggior considerazione è quella che sta dietro alla creazione del manoscritto segnato Paris, BnF MS lat 6741, illustrata più sotto (P). Compilato, copiato e annotato nel 1431 dall’umanista francese, nonché notaio reale, Jean le Bègue, il manoscritto contiene tre differenti trattati sulla pittura: il primo Libro di Teofilo, il De coloribus et artibus romanorum di Eraclio e il De coloribus faciendi, un compendio del XIII secolo che descrive i pigmenti ed il loro utilizzo, stilato da un certo Pietro di S. Omero, di cui sappiamo poco [28]. Di entrambi gli esemplari parigini, grosso modo coevi, si può dire che si tratta di testi “umanistici”, posto che ambedue sono compendi eruditi organizzati facendo riferimento a determinate aree di conoscenza: il primo riguarda l’architettura e la matematica, il secondo la pittura.

Tutti questi manoscritti forniscono indizi su come il De diversis artibus fu letto nel tardo Medio Evo; indicano che il testo aveva svariate funzioni, che veniva classificato come appartenente a differenti generi letterari e che poteva essere adattato a fini specifici. Proprio dall’inizio sembra esserci stata una dicotomia: da un lato i manoscritti di Vienna, di Bruxelles e la raccolta di Jean le Bègue suggeriscono un interesse nelle tecniche artistiche illustrate nel trattato; dall’altro gli esemplari di Wolfenbüttel, Cambridge, il manoscritto Egerton, quello di Lipsia e quello segnato Parigi 1422 sembrano implicare che Teofilo fu letto come fonte per la conoscenza del mondo naturale. L’idea che vi fosse una divisione fra aspetti tecnici e teorici del trattato si è riflessa sul modo in cui il libro è stato interpretato ai nostri tempi: alcuni studiosi hanno enfatizzato un aspetto, altri quello opposto. Tuttavia è proprio la versatilità del De diversis artibus, la sua fluidità in senso lato, ad aiutarci a comprendere meglio il ruolo che il trattato svolse nel Medio Evo.


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NOTE

[1] Gotthold Ephraim Lessing, Vom Alter der Oelmalerey aus dem Theophilus Presbyter (Brunswick: Buchhandlung des Fürstlichen Waysenhauses, 1774), ristampato come “Vom Alter der Oelmalerei aus dem Theophilus Presbyter” in Gesammelte Werke VIII (Lipsia, Göschen, 1856), pp. 285-336.

[2] Si veda, ad esempio, il saggio di Andreas Speer e Hiltrud Westermann-Angerhausen, “Ein Handbuch mitteralterlicher Kunst? Zu einer relecture der Schedula diversarum artium” in Schatzkunst am Aufgang der Romanik: Der Paderborner Dom-Tragaltar und sein Umkreis, a cura di Christoph Stiegemann e Hiltrud Westermann-Angerhausen (Monaco: Hirmer, 2006), pp. 249-258.

[3] Vienna, Österreichische Nationalbibliothek MS 2527; Wolfenbüttel, Herzog-August Bibliothek cod. Guelph Gudianus lat 2°69.

[4] Londra, British Library Harley MS 3915; Lipsia, Universitätsbibliothek MS 1157 (in precedenza Karl Marx Universitätsbibliothek MS 1144); Parigi, Bibliothèque Nationale de France MS nouv. acq. lat 1422; Amiens, Bibliothèque Municipale MS fonds Lescalopier 46; Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana MS lat VI, 199 (3597); Vienna, ÖNB MS 11236.

[5] Sono copie parziali le seguenti: Cambridge, University Library MS Ee. 6.39 (in precedenza Cambridge University Library MS 1131); Bruxelles, Bibliothèque Royale de Belgique / Koninklijke Bibliotheek van België MS 10147-58; Parigi, BnF MS. lat. 6741; Londra, British Library Egerton MS 840A; Wolfenbüttel, Herzog-August Bibliothek, Guelph Helmst. 1127 (Wolf. MS 1234); Klosterneuburg, Augustiner-Chorherrenstift cod. 331; Oxford, Magdalene College MS 173; Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale MS Palat. 951; Londra, British Library Sloane MS 781.
I manoscritti contenenti estratti del testo sono: Monaco, Bayerische Staatbibliothek Clm. 444; Londra, British Library Harley MS 273; Londra, British Library Sloane MS 1754; Wroclaw, Biblioteka Uniwersyteka, MS IV 8°9; Montpellier, Ecole de Médecine MS lat. 277; Oxford, Corpus Christi College 125; Parigi, BnF, Ms. lat. 11212; BnF MS lat. 6830F. Gli estratti contenuti nel College del Corpus Christi e i due ultimi manoscritti parigini contengono capitoli che non sono attribuibili esclusivamente a Teofilo. Nella sua introduzione alla traduzione di Teofilo, C.R. Dodwell ha sostenuto una tesi più restrittiva, definendo i capitoli nel Corpus Christi come un testo “non autenticamente di Teofilo”; Teofilo, De diversis artibus, trad. C.R. Dodwell, (New York: Thomas Nelson and Sons Ltd., 1961), p. LXX. I manoscritti parigini contengono capitoli che furono pubblicati da Robert Hendrie come parte del De diversis artibus e inclusi nel manoscritto Harley: Teofilo monaco, Theophilus, qui et Rugerus, presbyteri et monachi, libri III, de diversis artibus: seu Diversarum artium schedula, edizione a cura di R. Hendrie (Londra: J. Murray, 1847). Questi capitoli sono stati anche attribuiti a Eraclio e sono compresi nel capitoli VII e VIII nella traduzione di Ilg di quel testo: Eraclio, Farben und Künsten der Römer, traduzione di Albert Ilg, Quellenschriften für Kunstgeschichte und Kunsttechnik des Mitteralters und der Renaissance, 4 (Vienna: Wilhelm Braumüller, 1888), p. 35.
Ci sono cinque manoscritti citati da Rozelle Parker Johnson che potrebbero contenere frammenti di Teofilo. Sono i seguenti: Dresden Sächsische Landesbibliothek J83; Roma, Vaticano Reg. 2079; Roma, Vaticano Urbin. 293, Vienna ÖNB MS 5512, e Wolfenbüttel MS 4436; Johnson, “The Manuscripts of the Schedula of Theophilus Presbyter” in Speculum 13/1 (1938), pp. 86-103; 87.

[6] Amiens, Bibliothèque Municipale, L’Escalopier MSS 47 e 117.

[7] Lessing, “Theophili Presbyteri Diversarum Artium Schedula”, a cura di Christian Leiste, in Zur Geschichte und Litteratur aus den Schätzen der Herzoglichen Bibliothek zu Wolfenbüttel 6 (Brunswick: Waisenhaus, 1781).

[8] Ci sono numerose edizioni pubblicate del De diversis artibus, nonché traduzioni in inglese, tedesco, francese, spagnolo, polacco, ungherese, italiano e giapponese. Le edizioni di riferimento in inglese sono Theophilus, De diversis artibus, a cura di C.R. Dodwell (vedi nota 5) e Theophilus, On Divers Arts. The Foremost Medieval Treatise on Painting, Glassmaking and Metalwork, a cura di John G. Hawthorne e Cyril Stanley Smith (New York: Dover, 1963). Per una lista completa delle traduzioni si veda infra, nota 124.

[9] Ad esempio, un estratto di Teofilo è incluso in Early Medieval Art, 300-1150. Sources and Documents, a cura di Caecilia Davis-Weyer (Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall, 1971), pp. 172-178. Teofilo è presentato come esempio di artista monastico da Andrew Martindale in The Rise of the Artist in the Middle Ages and Early Renaissance (Londra: Thames and Hudson, 1972), p. 66 e in Pamela Long, Openness, Secrecy, Autorship: Technical Arts and the Culture of Knowledge from Antiquity to Renaissance (Baltimora: Johns Hopkins University Press, 2001), pp. 85-88. L’uso di Teofilo come fonte di informazioni tecniche risale alla prima edizione del testo curata da Lessing, nel XVIII secolo (si veda nota 1); Teofilo è incluso come fonte per le informazioni tecniche anche da Schlosser in Die Kunstliteratur, ein Handbuch zur Quellenkunde der neueren Kunstgeschichte (Vienna: A. Schroll and Co., 1924, ristampato nel 1985)), pp. 22-25; e tale pratica è continuata sino ad oggi. Per Teofilo come fonte informativa sulle pratiche metallurgiche si veda Birgitte Bänsch, Kölner Goldschmiedekunst um 1200. Muster und Modelle, tesi di Ph.D., Münster, 1986 e specialmente David Buckton, “Theophilus and Enamel” in Studies in Medieval Art and Architecture Presented to Peter Lasko, a cura di David Buckton e T.A. Heslop (Dover: Alan Sutton, 1994), pp. 1-13. Per la colorazione del vetro, Donald Royce-Roll, “Twelfth-Century Stained Glass Technology” in Avista Forum 10/11, n. 2/1 (1997/1998) pp. 13-22; e idem, The Importance of Two-Twelfth-century Glass Texts, Theophilus’ “De diversis artibus” and Eraclius’ “De coloribus et artibus romanorum”, for Understanding the Technology and the Colors of Romanesque Stained Glass, tesi di Ph.D, Cornell University, 1988. Sulle tecniche pittoriche: Heinz Roosen-Runge, “Die Buchmalereirezepte des Theophilus” in Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst (1952/53), pp. 159-171; e idem, “Die Farben- und Malrezepte des I . Buches der Schedula diversarum artium des Theophilus Presbyter und die Buchmalerei des frühen Mittelalters” in Actes du XVII Congrès international d’histoire de l’art (L’Aja, Imprimerie Nationale des Pays Bas, 1955), pp. 221-228; e Michael Gullick, “A Bibliography of Medieval Painting Treatises”, in Making the Medieval Book: Techniques of Production: Proceedings of the Fourth Conference of the Seminar in the History of the Book to 1500, Oxford, July 1992, a cura di Linda Brownrigg (Los Altos Hills, CA: Anderson.Lovelace, 1995) pp. 241-244.

[10] Teofilo, Prologo I ed. Dodwell (vedi nota 5), p. 1. Tutte le citazioni e i riferimenti, se non diversamente specificato, sono tratti dall’edizione del trattato curata da Dodwell.

[11] Teofilo, Libro I, cap. I: “Mescolare i colori per dipingere corpi nudi”, ed. Dodwell (vedi nota 5), p. 5; Libro II, cap. VII: “Vetro giallo”, ed. Dodwell (vedi nota 5), p. 41; Libro III, cap. XXVI, “Fare un calice più piccolo”, ed. Dodwell (vedi nota 5), pp. 76-79.

[12] Dodwell (vedi nota 5), pp. XXXVI-XXXIX; Smith e Hawthorne (vedi nota 8), pp. XXXIV-XXXV. Andrew Martindale senza dubbio alcuno definisce Teofilo un artista (si veda nota 9), p. 66; come fa Bruno Reudenbach, che sostiene che il testo è orientato verso gli aspetti pratici, anche se mutua elementi leggendari dalla storia naturale: “Praxisorientierung und Theologie: Die Neubewertung der Werkkünste in De diversis artibus des Theophilus Presbyter” in Helmarshausen: Buchkultur und Goldschmiedekunst im Hochmitteralter, a cura di Ingrid Baumgärtner (Kassel: Euregioverlag, 2003), pp. 199-218, in particolare pp. 199-202. John van Engen in “Theophilus Presbyter and Rupert of Deutz: the Manual Arts and Benedictine Theology in the Early Twelfth Century” in Viator 11 (1980), pp. 147-163 si occupa innanzi tutto delle convinzioni religiose di Teofilo, ma accetta l’idea che l’autore sia un artigiano, p. 147. Peter Lasko in “Roger of Helmarshausen, Author and Craftsman: Life, Sources of Style, and Iconography” in Objects, Images and the Word, a cura di Colum Hourihane (Princeton: Princeton University Press, 2003), pp. 180-201 (in particolare p. 181) scrive: “Molti indizi suggeriscono (ed ora è cosa largamente accettata) che Ruggero scrisse il De diversis artibus, un “libro di testo” su tutte le arti in cui si riscontra particolare enfasi (nel capitolo più lungo) sulla metallurgia”. Nel loro recente articolo, Andreas Speer e Hiltrud Westermann-Angerhausen hanno sollevato interrogativi sul problema della paternità e dell’identità di Teofilo: “Ein Handbuch mitteralterlicher Kunst?” (si veda nota 2); l’argomento standard contro la possibilità che Teofilo fosse effettivamente un artigiano fu formulato per la prima volta da Hermann Degering, “Theophilus Presbiter, qui et Rogerus”, in Westfälische Studien, Beiträgezur Geschichte der Wissenschaft Kunst und Literatur in Westfalen, Alois Bömer zum 60 Geburtstag gewidmet (Lipsia: Hiersemann, 1928), pp. 248-262.

[13] Lynn White, “Theophilus Redivivus” in Technology and Culture, 5 (1964), pp. 224-233. Si vedano in particolar modo le pp. 229-230, dove si sostiene che il terzo prologo fu scritto separatamente rispetto al resto del testo come risposta a Bernardo di Chiaravalle; più recentemente, Silvia Bianca Tosatti, Trattati medievali di tecniche artistiche (Milano: Jaca Book, 2007) ha sostenuto che I prologhi furono scritti quanto meno con l’aiuto di un vescovo o di un abate, se non interamente da una seconda persona (pp. 61-96).

[14] Mary P. Merrifield (a cura di), Original Treatises, Dating from the Xiith to Xviiith Centuries on the Arts of Painting, in Oil, Miniature, Mosaic, and on Glass; of Gilding, Dyeing, and the Preparation of Colours and Artificial Gems (Londra: J. Murray, 1849); Daniel V. Thompson, “Trial Index to Some Unpublished Sources for the History of Mediaeval Craftsmanship” in Speculum 10/4 (1935), pp. 410-431; Thompson, “More Mediaeval Color-making: Tractatus de Coloribus from Munich, Staatsbibliothek, MS. Latin 444” in Isis 24/2 (1936), pp. 382-396; Johnson, “The Manuscripts of the Schedula” (vedi nota 5); Roosen-Runge, “Die Buchmalereirezepte des Theophilus” (vedi nota 9); Teofilo, On Divers Arts, a cura di Hawthorne e Smith (vedi nota 8); Thompson, “Theophilus Presbyter: Words, and Meaning in Technical Translation” in Speculum 42/2 (1967), pp. 313-339; Heinz Roosen-Runge. “Die Tinte des Theophilus” in Festschrift Luitpold Dussler (Monaco, 1972), pp. 87-112; Birgit Bänsch, “Technische Literatur” in Ornamenta Ecclesiae, a cura di Anton Legner, catalogo della mostra, 3 voll (Colonia: Schnütgen-Museum, 1985) vol I, pp. 348-351; idem, Kölner Goldschmiedekunst (vedi nota 9); Royce-Roll, The Importance of Two Twelfth-century Glass Texts (vedi nota 9); Annette Scholtka, “Theophilus Presbyter: Die maltechnischen Anweisungen und ihre Gegenüberstellung mit naturwissenschaftlichen Untersuchungsbefunden” in Zeitschrift für Kunsttechnologie und Konservierung 6/1 (1992), pp. 1-53.
[15] Erica Deuber- Pauli e Dario Gamboni, “Suger, Théophile, le guide pèlerin: éléments de théorie de l’art au XII siècle” in Études de lettres 2 (1980), pp. 43-91; in “La ‘double’ formation de l’artiste selon Théophile: pour une lecture différente des prologues du ‘De diversis artibus’” in Florilegium: scritti di storia dell’arte in onore di Carlo Bertelli (Milano: Electa, 1995), pp. 42-45, Pierre-Alain Mariaux analizza il tema dell’ispirazione divina nei prologhi; non prende in considerazione, tuttavia, il resto del trattato; Tosatti sostiene che Teofilo stesse scrivendo una giustificazione benedettina dell’arte in risposta all’espansionismo cistercense in Trattati medievali (vedi nota 13), pp. 61-96. Si veda anche Lynn White Jr. “Theophilus Redivivus” (cfr. nota 13).

[16] Dodwell (si veda nota 5); pubblicato nel 1961.

[17] Smith e Hawthorne (vedi nota 8); pubblicato nel 1963.

[18] Bruno Reudenbach, “Werkkünste und Künstlerkonzept in der Schedula des Theophilus”, in Stiegemann (a cura di), Schatzkunst (vedi nota 2), pp. 243-248; Reudenbach, “Praxisorientierung und Theologie” (vedi nota 12); Reudenbach, “ ‘Ornatus materialis domus Dei.’ Die Theologische Legitimation handwerklicher Künste bei Theophilus” in Studien zur Geschichte der europäischen Skulptur im 12/13 Jahrhundert, a cura di Herbert Beck e Kerstin Hengevoss-Durköp (Francoforte sul Meno: Heinrich Verlag, 1994), pp. 1-17; e, più di recente, Karine Boulanger e Michael Hérold (a cura di), Le vitrail et les traités du Moyen Âge à nos jours, actes du XXIIIe colloque international du Corpus Vitrearum, Tours, 3-7 Juillet 2006 (Berna: Peter Lang, 2009).

[19] Il progetto è condotto sotto gli auspici del Thomas Institut di Colonia ed è intitolato Theophilus Projekt: Ein Handbuch mittelalterlicher Kunst? Relecture der Schedula diversarum artium und Erschließung ihrer handschriftlichen Überlieferung in Form einer kritisch-digitalen Edition.

[20] Dodwell (vedi nota 5): pp. LVII-LX e XXXIII.

[21] Degering ha proposto che il manoscritto di Vienna provenisse dal monastero di San Pantaleone, anche se gli indizi in merito sono del tutto circostanziali. Si veda Hermann Degering, “Theophilus Presbiter” (cfr. nota 12).

[22] Fol. 149v: emi ego n. hunc librum munster 1444, in die sancti lamberti in dieta inter dominum Eugenium papam et antipapam felicem. Per una discussione sulle varianti nel testo fra H, G e V, si veda Dodwell (cfr. nota 5): pp. LXIII-LXV.

[23] Dodwell (vedi nota 5): pp. LXIV-LXV.

[24] Hubert Silvestre, Le Ms Bruxellensis 10417-58 (s. XII-XIII) et son “Compendium artis picturae” (Bruxelles: Palais des Académies, 1954), pp. 95-140.

[25] Quando questo manoscritto fu pubblicato da Rudolph Raspe nel XVIII secolo, si trovava a Cambridge, Trinity College MS R.15.5. Raspe, A Critical Essay on Oil-painting: Proving that the Art of Painting in Oil was Known Before the Pretended Discovery of John and Hubert van Eyck: to Which are Added, Theophilus De arte pingendi Eraclius De artibus Romanorum, and a Review of Farinator’s Lumen animae (Londra: H. Goldney e T. Cadell, 1781).

[25bis] Questa nota è stata aggiunta dall’autrice in occasione della presente pubblicazione: “Questa tesi si basa su un’iscrizione presente nel manoscritto, al folio 1r, che cita un certo “Padre Rodolfo di Pritte”. Appare probabile che questo Rodolfo fosse un frate dell’Ordine di S. Antonio a Lichtenburg, vicino alla vittà di Pritten, sul fiume Elba. L’analisi della grafia e delle decorazioni suggerisce che il manoscritto sia stato copiato nel vicino monastero cistercense di Altzelle. Il manoscritto non sembra invece essere stato scritto ad Altzelle perché non presenta un ex-libris, come la maggior parte dei manoscritti lì prodotti in quel periodo. A collegare l’esemplare Lipsia 1157 a Lichtenberg sta anche la circostanza che il manoscritto è stato gravemente danneggiato dal fuoco. A Lichtenberg vi fu un grosso incendio nel 1533, dopo il quale molti manoscritti furono lasciati in mano al proprietario terriero della zona e poi portati a Lipsia.

[26] Si veda Raspe (nota 25).

[27] Per la stretta correlazione fra Parigi 1422 e il manoscritto di Wolfenbüttel si veda Dodwell (cfr. nota 5), p. LVIII. Degering suppone anche in via speculativa che il manoscritto possa essere stato acquisito da Niccolò Cusano a San Pantaleone: tale eventualità è accattivante, ma gli indizi per sostenerla sono assai scarsi. Degering (vedi nota 12), p. 253.

[28] Si veda Merrifield, Original Treatises (cfr. nota 14): p. 15. Merrifield non pubblica l’intero testo di Teofilo ma rimanda il lettore alla traduzione inglese dell’opera condotta da Robert Hendrie: Theophilus, qui et Rugerus, presbyteri et monachi (vedi nota 5). In merito all’interesse di Jean Le Bègue per la cultura umanistica e, in particolar modo, per la produzione dei manoscritti, si veda Donald Byrne, “Jean Lebègue and the Iconographical Programme for the Catiline and Jurgurtha” in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 49 (1986), pp. 41-65.

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