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Scritti di artisti tedeschi del XX secolo - 3
Lovis Corinth
Scritti autobiografici. Parte Seconda
(Recensione di Francesco Mazzaferro)
[Versione originale: ottobre 2014 - Nuova versione: aprile 2019]
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L’Autobiografia (1916-1926)
[Versione originale: ottobre 2014 - Nuova versione: aprile 2019]
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Fig. 4) La prima edizione dell'autobiografia di Lovis Corinth, pubblicata postuma da Hirzel a Lipsia (1926) |
Consideriamo ora l’Autobiografia.
É assolutamente evidente che essa ha una natura completamente diversa dalla
novella auto-biografica Dalla mia vita,
essendo ovviamente radicata nella realtà. Se le Leggende riflettono le tecniche letterarie del simbolismo, molte
pagine dell’Autobiografia sono
segnate da tecniche proprie del naturalismo.
Sappiamo dalla documentazione raccolta dal figlio Thomas che il pittore
aveva prodotto una bozza autobiografica nel 1892, l’anno di creazione della
Secessione di Monaco. Poi, come si è detto, scrisse nel 1908 le Leggende. Ritornò al progetto
dell’autobiografia nel 1916.
Corinth aveva grandi ambizioni letterarie. Tuttavia, l’opera non è priva di
problemi evidenti. L’Autobiografia è la sommatoria di tre
parti dissimili per stile ed intenzione, composte in periodi diversi. La prima
parte, datata 1916, riguarda gli anni della gioventù. La seconda parte, del
1917, copre tutti gli anni della maturazione artistica, fino al 1900, e – a
dire il vero – è assai deludente, perché si perde nei rivoli delle amicizie ed
inimicizie personali, invece di centrare il discorso sull’arte. Vi è poi un
buco di una quindicina d’anni, tra il 1900 e la prima guerra mondiale: una sola
pagina ricorda l’ictus celebrale del 1911 [24], e dieci parlano delle dispute
tra pittori di quegli anni [25]. La terza parte dell’Autobiografia, datata 1925, tratta i dieci anni dall’avvio della
Prima Guerra Mondiale fino a pochi mesi prima della scomparsa. In realtà, la
terza parte è un diario intimo e disperato, e non ha più il tono della biografia.
Più che un collage, l’Autobiografia è un pasticcio, che la
moglie ha deciso comunque di pubblicare in questa forma nel 1926 per rispetto
del marito. Anche lo stile della scrittura è molto discontinuo. “Per me è stato
difficile giungere alla conclusione della descrizione della mia vita. Non si
riesce mai ad arrivare a dare una precisa definizione del proprio carattere. Sono
assolutamente insoddisfatto del mio stile di scrittura. Già a scuola ho
ricevuto giudizi contrastanti quando scrivevo temi in tedesco. Come tipo di
scrittura ideale darei il giudizio più elevato alle Confessioni di Rousseau. Poi ammiro lo stile di Lessing, e vorrei
cercare di scrivere lungo la stessa linea. Ma entrambe le cose mi sono
impossibili, e non riuscirò mai a migliorare. La cosa principale per me è
quella di catturare in modo sintetico il mio carattere. Io voglio mostrarmi
come artista.” [26] L’altro modello sono
le Memorie del pittore Anselm Feuerbach, che “sono le
uniche ad avere grande valore.” [27]
Non fu comunque un successo editoriale: è interessante notare come la
vedova, Charlotte Berend-Corinth (che ne aveva curato la pubblicazione) non
includa alcun commento sull’esito commerciale dell’Autobiografia, nel sul libro La
mia vita con Lovis Corinth (1947). Michael Zimmermann cita un giudizio
molto elogiativo del critico d’arte Julius Meier-Graefe [28]. Ma, dopo la prima
edizione, l’Autobiografia non fu più
pubblicata fino al 1993, data del volume che ho consultato, edito dalla
Kiepenheuer Verlag di Lipsia. La nuova pubblicazione tascabile dell’editore
Holzinger di Lipsia del 2013 ha fatto dell’Autobiografia
un volume facile reperibilità. Non ne esistono traduzioni in altra lingua.
Le tre parti dell’Autobiografia
Il primo terzo del testo (80 pagine su 226) è sugli anni dell’infanzia e
dell’adolescenza. Un’edizione separata e più estesa, con il titolo “Meine frühen Jahre” [29] , ovvero a “I miei primi anni”, verrà pubblicata
dalla moglie nel 1954, che dirà di averne scoperto lei l’esistenza riordinando
le carte del marito.
Questa prima parte, che fu scritta nel 1916, ha ambizioni letterarie, di
tipo naturalistico. Per certi aspetti, sembra di essere in un quadro di Leibl o
di Courbet, pittori molto vicini al cuore di Corinth. Non vi è dubbio che
l’intenzione sia quella di descrivere l’ambiente provinciale e dimesso della
famiglia, nella Prussia Orientale, tra Könisberg e Frankfort am Oder. Già il
passaggio tra il villaggio rurale di Tapiau dove nacque (oggi in Russia:
Gwardejsk) e Könisberg, dove visse da giovane e poi studiò, (oggi la russa
Kaliningrad) segna il conflitto tra due mondi: Il giovane Corinth parla a
stento tedesco, e quando apre la bocca a scuola, il primo giorno, non sa
pronunciare bene il proprio cognome, scatenando l’ilarità generale in classe [30]:
è forse la pagina più bella e amara dell’Autobiografia.
I ritorni al paese d’origine, molti anni dopo, da pittore famoso e riverito
sono occasioni di rivincita personale [31]. Colpisce che nelle ultime pagine
finali del libro – quelle scritte a ridosso della morte – il pittore rivisiti
alcuni dei temi dell’infanzia, con un tono di profonda amarezza, rivelando di
aver sofferto fin d’allora di depressione, di aver avuto una madre fredda e
priva di empatia, di essere stato odiato dalla zia – che lo ospitava a
Könisberg – e di aver subito torti e ostilità dalla sorellastra. Solamente il
padre sembra essere un punto di riferimento per il giovane Corinth e rimanere un
ricordo pieno di nostalgia per il Corinth anziano. Charlotte scrive nel suo “La mia vita con Lovis Corinth” che il
marito teneva il ritratto del padre appeso in casa, lavorava su una scrivania
appartenuta al padre e lo citava. almeno ogni due giorni [32].
La seconda parte delle memorie è ultimata nel 1917, quando Corinth si
avvicina ai sessanta anni. Vi si parla della formazione accademica a Könisberg
e in Turingia (e anche delle grandi bevute che pregiudicheranno la sua salute
per sempre. Il suo professore preferito (Otto Günther, pittore della scuola realista di mezzo Ottocento) lo
consiglia di partire per Monaco, uno dei centri più importanti della pittura
europea; Corinth vi arriva intorno al 1880 e studia da Ludwig von Löfftz, paesaggista
e soprattutto ottimo maestro di disegno. A Günther resterà sempre affezionato;
le note in cui registra la progressiva emarginazione del maestro ed infine la sua
morte prematura, in piena solitudine, sono piene di profonda amarezza.
Come già detto, in questa sezione dell’opera è proposto lo scritto
intitolato “Intrighi ed osservazioni”,
che inizia affermando che “quanto più forte è l’individualità di un artista,
tanto più viene esposto dal pubblico a fraintendimenti”. È la parte
dell’autobiografia che più si sofferma
sull’intreccio tra questioni estetiche e vita degli artisti, e giunge a
concludere pessimisticamente che intrigo e malevolenza compaiono sempre nel
corso di una carriera. Il tono è di disincanto. Corinth scrive di essersi
recato nel 1884 in viaggio di studio in Belgio e non a Parigi, per timore di
ritorsioni dopo la guerra franco-tedesca del 1871. In realtà si trasferisce ad
Anversa anche per amore dell’arte fiamminga. Poi – deluso dai suoi insegnanti e
probabilmente molto solo (“Un vero prussiano orientale non può mischiarsi con
stranieri” [33]) – decide di spostarsi a Parigi, dove risiede per quattro anni,
fino al 1887, anche lì senza grandi entusiasmi. Una volta tornato dalla
Francia, inizia per Corinth una fase confusa, in cui prima va a Berlino, poi a
Monaco e fa più volte la spola tra le due città, alla ricerca di altri pittori,
amici e personaggi facoltosi pronti ad acquistare i suoi quadri. Monaco ha più
tradizione come centro artistico, Berlino è più dinamica come metropoli.
Infine, nel 1891, Corinth sceglie Monaco ed entra nella locale Secessione, la
prima in Germania, facendo conoscenza con il simbolismo di Franz von Stück. Non
passa molto tempo, e Corinth si dissocia dalla Secessione di Monaco, creando
con nove altri colleghi (il piú famoso dei quali fu Max Slevogt) una ‘Libera associazione’ (Freie Vereinigung) rivale della Secessione
(che risponde espellendolo). Si ripete quanto ho già notato in un precedente
articolo su Max Pechstein: in quegli anni, i gruppi di artisti nascevano e si
scioglievano continuamente, come oggigiorno succede con le rock band.
A Monaco Corinth conosce i primi successi commerciali, ad esempio con la “Deposizione”,
eseguita in chiave simbolista/secessionista; ma non riesce a ritagliarsi un
ruolo ed uno spazio sufficienti per le sue aspirazioni. Quando la sua “Salomé con la testa di Giovanni” viene
rifiutata dalla giuria della Secessione, capisce che è venuto il tempo di
cambiare aria. Segue un invito di Walter Leistikow e di Max Liebermann e si
trasferisce a Berlino, entrando nella locale Secessione. A Monaco lascia solo due
o tre amici: Eckmann, Strathmann, Theodor Heine. Sente il bisogno di dipingerli
(Eckmann) o – come si è già visto – di scrivere saggi critici su di loro
(Strathmann, Heine).
A Berlino trova il grande successo che attendeva da tempo con “Perseo ed
Andromeda”. Poco dopo decide di creare una scuola per pittrici, tra l’ilarità
di molti colleghi, La sua prima studentessa (Charlotte Berend) sarà anche la
sua futura moglie. Solo Leistikow (1865-1908), forse l’unico pittore che gli è veramente
amico a Berlino, lo sostiene.
Sebbene inserito nel circolo berlinese dei Cassirer nel 1900-1910 (si è già
detto delle pubblicazioni per Bruno e Paul) e collegato a Liebermann e Slevogt
come impressionista fin dai tempi di Monaco, Corinth è uomo di poche amicizie
stabili, e troverà il modo di litigare con tutti. Di Paul Cassirer odia
l’atteggiamento accentratore, e l’indole intrigante; finiranno per andare a
processo l’uno contro l’altro. Con Liebermann e Slevogt litiga nel 1911, quando
nel gruppo dei pittori della Secessione cominciano a verificarsi tensioni. Del
resto, gli stessi Liebermann e Cassirer si voltano le spalle. Una guerra di
tutti contro tutti. La moglie Charlotte Berend descrive nella “Mia vita con Lovis Corinth” il lungo
litigio del marito con Max Liebermann. La rottura si produce quando Corinth
assume la presidenza della Secessione nel 1911; Corinth e Liebermann si
riappacificano solamente nel 1925, davanti al Presidente Friedrich Ebert. Le
pagine scritte da Corinth su Liebermann nella sua Autobiografia sono molto negative. La moglie rivede Liebermann per
la prima volta dopo dodici anni, nel 1926, ad una mostra sulla grafica di
Corinth, giá morto [34]. La frattura, così aspra. era stata una delle
conseguenze collaterali dell’attacco di Nolde a Liebermann [35] e della
creazione – anche contro Corinth – della Nuova Secessione, quella espressionista:
il gruppo del Ponte (Brücke), Nolde,
e molti altri. Liebermann accusa Corinth di non averlo difeso fino in fondo
dagli espressionisti e di averne approfittato per farsi eleggere presidente
della Secessione al suo posto. Presidenza che deve lasciare immediatamente,
dopo l’ictus del 1911. Nel 1915 Corinth riassume la Presidenza: è però ormai rimasto
a capo di un piccolo gruppo di artisti conservatori (questa secessione
conservatrice sarà chiamata il Tronco della Secessione, ovvero Rumpf-Sezession). Dopo aver litigato con
Liebermann e Cassirer, il suo punto di riferimento a Berlino diviene Fritz
Gurlitt; è con lui che pubblicherà gli Scritti
(Schriften) del 1920.
Le sezioni seguenti (dalla quattro alla otto) costituiscono la terza ed
ultima parte dell’Autobiografia,
datata 8 maggio 1925, poco prima della scomparsa. Corinth muore il 17 luglio,
di una polmonite, durante un viaggio in Olanda per ammirare l’opera di
Rembrandt e di Frans Hals: insieme con Rubens, erano i pittori che da sempre
aveva più amato.
Questa parte finale è estremamente frammentaria; a volte si tratta di una
narrazione continua; a volte di una sorta di diario in cui gli avvenimenti sono
presentati giorno per giorno. Prevalgono le sconsolate considerazioni
dell’artista su una serie di gravi traumi storici e personali, compensati –
nelle ultime pagine – dalle gioie della vita familiare. Il primo trauma è
l’ictus che lo colpisce nel 1911, al momento della massima fama artistica in
Germania (in quel momento, come appena ricordato, presiede la Secessione di
Berlino); il secondo trauma è la sconfitta della Germania nella Prima guerra
mondiale, vista anche come segno della incapacità storica della Germania di
creare le basi di una forte cultura di stampo nazionale; il terzo trauma è la
crisi economica, politica e sociale.
Ciò non significa però che non vi sia speranza alcuna. Cinque sono le vie
di uscita: un’arte tedesca rinnovata, basata sulla piena libertà spirituale;
l’erotismo, come fonte di energia; la famiglia; il riposo e la pittura sul lago
bavarese Walchensee; ed infine, come risultato di tutti gli aspetti sopra
citati, sia positivi sia negativi, la conquista di un rinnovato stile pittorico
che colloca Corinth nella modernità.
Alcuni temi che emergono dalla
lettura dell’Autobiografia
a)
Le malattie (l’ictus, l’alcool, la depressione)
Come già detto, nel 1911 Corinth è colpito da un ictus. L’unico riferimento
diretto a quell’evento nell’Autobiografia
è un “Frammento” [36] . Fu un colpo durissimo, che ne mise a dura prova le
capacita nel pieno di una fase di intensa attività, se si pensa – ad esempio –
a quanto Corinth aveva scritto sull’arte negli anni precedenti, pubblicando un
volume all’anno (le Leggende, il
manuale “Apprendere la pittura”, la “Vita di Leistikow”). Con pudore, Corinth
non racconta nulla di preciso, ma ci dice che la sua intera vita gli scorre
improvvisamente davanti, costringendolo ad un ripensamento. Un anno dopo, nel
1912, dipinge il Sansone accecato,
un’immagine simbolica della malattia.
Fig. 5) La seconda edizione dell'Autobiografia pubblicata da Kiepenheuer a Lipsia nel 1993 |
Nelle ultime pagine del libro diventa poi chiaro come Corinth abbia
comunque sempre convissuto con la malattia, sia dal punto di vista fisico, sia
da quello nervoso. Ne parla dopo aver raggiunto l’apice del successo, con
un’ampia mostra retrospettiva organizzata da Ludwig Justi alla Galleria
Nazionale di Berlino in occasione dei sessantacinque anni, nel 1923. “Le malattie, una paralisi del lato sinistro,
un tremito mostruoso della mano destra, acuito dagli sforzi che faccio usando l'ago [nota
dell’editore: per l’incisione] e causato da eccessi precedenti con l’alcol, mi
precludono qualsiasi abilità calligrafica mia personale. Un impegno costante per
raggiungere il mio obiettivo - non ho mai raggiunto il livello sperato - ha
inasprito la mia vita, e ogni lavoro si è concluso con la depressione di dover continuare
ancora questa vita.” [37] “In realtà sono stato – posso dire fin da bambino –
tormentato dalla più grave malinconia. Non vi è giorno alcuno, in cui io non
abbia pensato fosse meglio separarmi da questa vita. Una cosa sola fece la
differenza: non lo ho mai fatto. Ebbi paura di dovermene pentire. Per questo
motivo ho evitato il possesso di una qualsiasi arma, revolver, pugnale. Non ho
neppure mai posseduto un rasoio da barba, non ho mai voluto lasciarmi prendere
la mano, fare d’impeto quel che non era giusto.” [38]. “Eppure io sono stato
infelice durante tutta la mia vita. All’inizio questa guerra sotterranea della
mia sorellastra contro di me, un continuo litigio, sul perché non avesse
ricevuto alcuna educazione scolastica, una segreta persecuzione contro la mia
vita. Questa situazione è rimasta in me dall’epoca dell’infanzia fino ad oggi.
(…) Con il mio carattere non ho amato nessuno e sono sembrato a tutti (…)
piuttosto schifoso e grossolano. A ciò si è aggiunto un animo invidioso nei
confronti di ogni apparenza serena e ogni superiore capacità. Un’ambizione
bruciante mi ha sempre torturato. Non è passato giorno in cui io non abbia dannato
la mia vita e l’abbia voluta terminare.” [39] “Berlino, 13 Agosto 1923. Oggi
soffro di nuovo di una grave forma di depressione. Da giorni cerco di dipingere
uno schizzo del “Figliolo prodigo”. Voglio cercare di descrivere questo stato dal vero. Mi sono
reso conto che la mia pittura è davvero una pura schifezza. La vita non ha
senso, non vi è prospettiva alcuna, vi è una cortina buia, cui si aggiunge la
rabbia nei miei confronti e nei confronti dei miei lavori. Dimentico le mie
capacità e vorrei strombazzare al mondo intero: che cosa trovate in me, sono un
povero sfortunato! Non vi accorgete che io non sono nulla – non sono un artista
– nulla – sono avvilito in modo patologico – attorno a me non vi è alcun raggio
di sole; la vita intera è stata inutile.” [40] E l’ultimo anno, nel 1925, dopo
aver parlato con entusiasmo del suo “Cavallo di Troia”, scrive: “Ho esaltato le
mio opere in modo particolare, solo perché in nessun altro periodo sono stato
visitato da depressioni morali come in questo tempo. Vorrei piangere. Uno
schifo di ogni pittura mi cattura. Perché devo continuare a lavorare? Tutto è
spazzatura. Questa orribile inerzia nel continuare a lavorare mi fa vomitare.
Ho 67 anni, quest’estate mi avvicinerò ai 68. Che cosa deve fiorire di nuovo?” [41]
Quell’estate morirà.
Il resoconto della moglie Charlotte sulla malattia del marito è davvero
drammatico: attacchi seri di depressione un giorno sì e un giorno no, cui lei aveva
imparato a reagire, essendo di fatto la sua terapeuta [42].
b)
La guerra
Se si leggono in parallelo le lezioni tenute da Max Sauerlandt a Berlino (l’“Arte negli ultimi trent’anni [43]) e
l’articolo di Maurice Denis su “Ce que
sera la peinture française après la guerre»” [44] ci si può rendere conto
di quanto artisti francesi e tedeschi – nonostante orientamenti stilistici simili
– fossero parte di uno scontro frontale tra due culture che si consideravano
aprioristicamente nemiche, uno scontro iniziato attorno al 1910 e di cui il conflitto
militare rappresentò una sorta di tragico prolungamento. Insomma: se vi fu la
guerra, è anche perché le due culture si odiavano. Non fu solamente
responsabilità dei militari, dei politici
e degli industriali. Anche i pittori volevano la guerra. Vi sono
elementi davvero paradossali: nella vera e propria “guerra civile” tra i
pittori che vivevano a Berlino nei primi decenni del secolo, Corinth fu a lungo
il simbolo dell’impressionismo (stile di orientamento francese) contro
l’espressionismo (stile di orientamento tedesco). Eppure, questa non fu affatto
la sua prospettiva personale. Visse quattro anni a Parigi, ma lì non si integrò
mai, e spesso nell’Autobiografia
parla delle angherie subite all’Académie Julian, dove pagava lo scotto
di essere tedesco (e dunque di essere responsabile della sconfitta di Sedan e
della perdita di Alsazia e Lorena). Tornato in Germania, il suo scopo fu di
dimostrare che l’arte tedesca aveva talenti almeno uguali, se non superiori a
quella francese (lo ripete più volte). E dunque, se gli esiti stilistici tra
Corinth e Nolde sono molto diversi, i suoi argomenti polemici anti-francesi
sono molto simili a quelli di Nolde. Anzi, spesso i toni sciovinisti di Corinth
sono più stridenti di quelli di Nolde.
È tenendo conto di queste convinzioni che si deve pensare alla disperazione
fanatica di Corinth per la sconfitta, che – in fondo – è per lui soprattutto la
constatazione, una volta di più, dell’inferiorità della sua Prussia rispetto
alla Francia. “Abbiamo vissuto la sollevazione dell'Impero Tedesco contro
l’Europa intera, e coloro che poterono sperimentarlo, hanno visto un
avvenimento che è andato molto al di là delle rappresentazioni eroiche del
mondo antico. La fiducia nel Kaiser, nel comando dei militari ed infine la
fiducia assoluta nella vittoria erano così incrollabili (…) che coloro che
furono scelti per questa guerra santa furono considerati da tutti come i più
felici dei mortali. Le parate delle truppe toccavano anche i più duri di cuore.
Le truppe, ricoperte di fiori e tutte concentrate nel canto, si avvicinavano
alle stazioni; al loro fianco correvano i bambini, accompagnando padri e
fratelli, e portavano con orgoglio il loro elmetto o la loro arma. Spesso si
vedevano padre e figlio – entrambi soldati - abbracciarsi, dirsi addio e poi
unirsi ai loro rispettivi plotoni in marcia.” [45]
Alla fine, la guerra è persa. E tuttavia - scrive Corinth - “ci si puó chiedere se il vincitore
sanguinario esca da questa battaglia come vero vincitore. (…) Se il vincitore
si impone in una orrenda apoteosi con una corona che gronda sangue, avanza con
sorriso purpureo su un terreno sconvolto in mezzo ai cadaveri, certo non si
occuperà, come ritegno e buoni costumi invece imporrebbero, della domanda
meschina se si sia comportato in modo barbaro o vandalico nelle terre
conquistate. Taglierà il nodo gordiano, e detterà al mondo le sue leggi.” [46]
c)
La crisi
La guerra è finita, e spira il vento della rivoluzione. “Vergogna!”, scrive
Corinth, ed addossa la responsabilità alla cricca socialdemocratica. [47] “Il
futuro è buio, terribile. (…) Io mi sento prussiano e credo che questo sia il
solo stato ci possa salvare”, sotto la guida del Kaiser e dei militari. [48] “La
rivoluzione è scoppiata” – scrive il 10 Novembre 1918 e ripete: “Io mi sento
prussiano e un tedesco dell’impero (Kaiserlicher
Deutscher)” [49]. Un settimana dopo
annota: “I socialdemocratici fanno la voce grossa. Si sono presi il potere che
prima avevano i militari” [50] ed il 7 dicembre 1918 aggiunge: “Il potere dei
militari è stato annientato per sempre.” [51] La successione di annotazioni
disperate si sussegue: “La bancarotta dello Stato è dietro l’angolo” [52]. Il
10 gennaio 1923 annota “Il dollaro ha raggiunto 10.000 marchi. L’inflazione
prende il sopravvento, le persone non sanno che cosa potrà mai succedere. (…) I
giornali parlano di ‘decadenza dell’Europa’. Se almeno fosse davvero così: io
vedo però un solo collasso, la ‘fine della Germania’. Non è arrivato nessun
vendicatore: nessun Mosè o nessun Bismarck.” [53] Ed è del 31 agosto 1923:
“L’ultimo atto dello sfascio si avvicina alla conclusione: La Germania va a
pezzi e si divide in parte separate. Spero la mia profezia sia sbagliata, ma …
Addio!” [54]
Ma la profonda crisi ha anche effetti paradossali. L’inflazione travolgente
distrugge il valore del denaro, e dunque crea nell’alta borghesia un interesse
commerciale per beni rifugio come le opere d’arte. Questo da un lato crea
incentivi alla speculazione, ma consente anche al pittore un successo
economico, almeno fin quando la manovra economica di aggiustamento del 1923
(che pose fine all’inflazione) riduce la liquidità in circolazione. I suoi
quadri sul Walchensee (il luogo di riposo estivo in Baviera) vanno a ruba. “Non
ho mai venduto cosí tanti quadri quanto dopo il crollo. Me li strappavano
letteralmente dal cavalletto, e mai vi era stato un tale moltiplicarsi delle
mostre in tutta la Germania. Che le nostre pitture venissero considerate un
investimento sicuro al posto del denaro instabile, è assolutamente sicuro.” [55].
E poi aggiunge: “Proprio al momento della fine della guerra raggiunsi un enorme
successo grazie ai motivi del Walchensee, in termini finanziari ed ideali. Ogni
berlinese voleva possedere un quadro di quell’angolo delle montagne bavaresi, e
così successe che oltre alle nature morte, mi specializzai in questo bel angolo
del Walchensee.” [56].
d)
Un’arte tedesca rinnovata
La guerra è persa, il Paese è in crisi: ma Corinth crede che questa sia
l’occasione di ricostruire l’arte tedesca: “Il Paese è distrutto: al lavoro!”
[57]. Il compito è quello di ricostruire l’arte tedesca in modo autonomo da
quello dell’arte francese, e Corinth, come Presidente della Secessione
Berlinese (dopo il 1915, una Secessione conservatrice, come detto), si assume
quest’incarico. “Io non sono mai stato un appendiabito o un adulatore. Ho
sempre apprezzato l’arte francese, ma non l’ho mai imitata. Ho parlato, ho
scritto e mi sono impegnato per l’arte tedesca, ed ero convinto già prima della
Guerra mondiale che l’arte tedesca avrebbe superato per eccellenza il rango di
quella francese. Adesso è necessario aver fiducia in noi stessi e godere di
indipendenza. Non si tratta di megalomania, perché ho vissuto quattro anni a
Parigi e non ho trovato tra i miei compagni di studio nessuno che avesse un
talento tale che non potesse essere paragonato con i tedeschi.” [58]. Lo stesso
concetto viene ripetuto ancora due volte, segno (lo abbiamo già visto: è la
conclusione di Dalla mia vita nelle Leggende) che quegli anni francesi
segnarono Corinth, creando in lui un senso di disagio. “Nell’autunno 1884 mi
recai a Parigi. Lo spirito che mi accolse era senz’altro più impressionante che
in Germania. Studiai in una famosa scuola. I francesi che incontrai lì non mi
sembrarono affatto dotati. Visualizzazioni tradizionali. Vi sono rimasto per
tre anni. Non ho mai scoperto un talento. Tra i tedeschi, in particolare
all’Accademia di Monaco, vi era molto più slancio. Ammiro la pittura francese
da Watteau a Monet, altrimenti non vi è nulla che possa dirsi eccezionale.” [59].
Dunque, nessun amore per alcuno dei post-impressionisti. “La mia consapevole
motivazione – scrive ancora nel 1923, l’anno di una sua retrospettiva di grande
successo – era di portare l’arte tedesca al livello più alto. Avevo visto quel
che gli artisti francesi potevano fare da qualche tempo, noi potevamo fare
molto di più. Io parlai di fronte alla nostra gioventù, posso dire con
successo.” [60]
e)
L’erotismo
Basta dare un’occhiata alle pitture di Corinth per rendersi conto di quanto
importante sia stato il ruolo dell’erotismo in tutte le fasi della sua vita.
“Mi rimane da spiegare – scrive il pittore – quel che al giorno d’oggi si
pensi tra i pittori sull’erotismo ed in particolare quel che io ne pensi. Il
pubblico ritiene che questa direzione dell’arte sia indecente e possa essere
ammirata esclusivamente in luoghi isolati. (…) Io la penso in modo diverso. La
vita sentimentale delle persone diviene molto più impetuosa sotto la spinta dei
contatti sessuali. Come la musica tra gli uomini e il canto degli uccelli si
basa solamente sull’istinto sessuale, così anche la pittura è una pura
espressione dei sensi.” [61]
f)
Il Walchensee
Un altro dei piaceri della vita – e forse quello per il quale Corinth è più
conosciuto tra il largo pubblico – è il riposo operoso sul Walchensee, il luogo
dove egli al tempo stesso riscopre il piacere della pittura all’aria aperta
(nel senso tecnico, en plein air) e
modifica il proprio stile.
Per cinque anni abbiamo trascorso l’estate sul Walchensee. Regalai a mia moglie
un piccolo appezzamento di terra, e abbiamo costruimmo una baita. Lei ha diretto i
lavori in modo molto accorto e la baita è divenuta sua, dal momento
che io sono davvero poco pratico, e non sarei riuscito a cavarmela con i
lavori. La baita offriva una bella veduta sul lago, e presto fui in grado di dipingere tutti i motivi che sarebbero divenuti una gioia per l’umanità.” [62]
g)
La famiglia
L’angelo di Corinth è la moglie Charlotte, più giovane di ventitré anni, la
prima delle sue studentesse di pittura alla scuola per giovani artiste di
Berlino. La ritrasse in quasi tutte le situazioni. Fu pittrice indipendente, ed
espose anche dopo il matrimonio.
“(…) A ciò si aggiunge un futuro che non potrebbe essere più nero. Non
sarei riuscito a sopportarlo, se uno spirito non mi avesse consolato, e non mi
avesse sostenuto e rafforzato in questa miseria. Lo spirito che mi ha sostenuto
in modo umano, è quello di mia moglie e dei miei figli. Mia moglie, oltre ad
avere un grande talento ed essere stata mia studentessa prima del matrimonio, è
donna di grande intelligenza e capacità di prevedere e pianificare gli
avvenimenti. Fu davvero soprattutto lei ad appoggiarmi e ad aiutarmi in tutte
le situazioni difficili della vita attuale.” [63]
h)
Il nuovo stile
Quali sono gli aspetti di modernità nel nuovo stile di Corinth? Si è già
detto che è più facile coglierli da spettatori dei dipinti dei suoi ultimi anni
che da lettori dell’Autobiografia.
Riferendosi all’ultimo Corinth, Horst Uhr parla di una nuova sintesi di contenuto e forma [64] e non esita a far riferimento a “un nuovo espressionismo” [65]. Sono evidenti il nuovo senso di drammaticità, il nuovo uso del colore, la scomparsa dei contorni ben determinati, il diverso modo di ritrarre i volti, la minore attenzione alla sensualità, al nudo, ai motivi decorativi. Le figure, che prima dominavano la narrativa, ed anzi da essa sembravano voler uscire dalla tela in modo illusionistico, adesso sono immerse nel paesaggio, con cui condividono forme e colori. La narrativa, nel suo complesso, cambia: se prima le storie erano perfettamente compiute, adesso sembrano abbozzate; se prima il pittore sembrava narrarci una saga mitologica in diretta – quasi fosse una telecronaca radiofonica – adesso è il racconto nostalgico e irrimediabile del passato che ci viene mostrato.”
Ci troviamo, di fronte, a un’evidente contraddizione; un uomo che è un vero reazionario, che è pronto a giustificare l’uso delle armi per impedire che le cose cambino, un suddito dell’Impero che non riconosce la Repubblica, che però rivoluziona il suo modo di dipingere e lo fa in senso moderno. Tutte cose – come detto – che risultano dall’analisi dei dipinti, non certo dalla lettura degli scritti. E che, ad essere onesti, riguardano le tecniche di esecuzione delle opere, non certo la teoria artistica o il pensiero politico.
Riferendosi all’ultimo Corinth, Horst Uhr parla di una nuova sintesi di contenuto e forma [64] e non esita a far riferimento a “un nuovo espressionismo” [65]. Sono evidenti il nuovo senso di drammaticità, il nuovo uso del colore, la scomparsa dei contorni ben determinati, il diverso modo di ritrarre i volti, la minore attenzione alla sensualità, al nudo, ai motivi decorativi. Le figure, che prima dominavano la narrativa, ed anzi da essa sembravano voler uscire dalla tela in modo illusionistico, adesso sono immerse nel paesaggio, con cui condividono forme e colori. La narrativa, nel suo complesso, cambia: se prima le storie erano perfettamente compiute, adesso sembrano abbozzate; se prima il pittore sembrava narrarci una saga mitologica in diretta – quasi fosse una telecronaca radiofonica – adesso è il racconto nostalgico e irrimediabile del passato che ci viene mostrato.”
Ci troviamo, di fronte, a un’evidente contraddizione; un uomo che è un vero reazionario, che è pronto a giustificare l’uso delle armi per impedire che le cose cambino, un suddito dell’Impero che non riconosce la Repubblica, che però rivoluziona il suo modo di dipingere e lo fa in senso moderno. Tutte cose – come detto – che risultano dall’analisi dei dipinti, non certo dalla lettura degli scritti. E che, ad essere onesti, riguardano le tecniche di esecuzione delle opere, non certo la teoria artistica o il pensiero politico.
Si legga con quale disprezzo Corinth parla del “moderno” nell’Autobiografia. “In questi tempi moderni,
è stato il tango ad essere l’asso vincente e la pittura cubista e l’ingenuità dei
selvaggi africani hanno avuto la meglio su ogni cosa semplice. Si è preso a
calci lo studio della natura. Questo nostro tempo è stato così vanaglorioso
nella sua indifferenza, che noi non abbiamo più avuto gli strumenti per
risvegliare i nostri sensi, ormai addormentatisi.” [66]
A ciò corrisponde la decisione di assumere la presidenza della Secessione
di Berlino (la Rumpf-Sezession iperconservatrice)
quando tutti i pittori espressionisti l’hanno abbandonata, e gli stessi
Cassirer e Liebermann hanno smesso di sostenerla. Corinth si sente – in cuor
suo – l’ultimo della precedente generazione. Del resto, nei calendari delle
mostre della Secessione, Corinth firma importanti dichiarazioni contro l’avanguardia.
Si tratta di posizioni che aveva già espresso prima in un articolo sulla già
citata rivista Pan del 1910 e poi in
una lezione agli studenti tedeschi del 1914. Siamo all’inizio della guerra e
Corinth sa bene di parlare ai futuri soldati, molti dei quali andranno a
morire.
Ecco che cosa scrive sulla lezione nell’Autobiografia:
“Ho predicato in un discorso alla gioventù tedesca, che noi si deve percorrere la via che conduce alla
santa arte tedesca, la via che i nostri predecessori ci hanno mostrato.
Vogliamo mostrare al mondo che oggi l’arte tedesca marcia al vertice del mondo.
Basta con questa imitazione scimmiesca che abbiamo fatto dell’arte
gallico-slava durante il nostro ultimo periodo pittorico. Oggi vogliamo
coltivare quella ‘terribile serietà’ di cui ho parlato da anni, quando quell’arte
falsa ancora andava per la maggiore. Quella ‘terribile serietà’ è a noi
necessaria per scrollarci dal giogo straniero e dettare una nostra arte
tedesca. Dettare? L’espressione è troppo arrogante. Piuttosto vogliamo seguire
la natura, ognuno al proprio modo e secondo la propria individualità, cosicché
non ci possa mancare nulla per raggiungere, con questa santa serietà,
finalmente un’arte tedesca e nazionale. Bisogna aggiungere ancora un altro
elemento di cui parlai alla gioventù tedesca. Se si vuole rigenerare l’arte
tedesca, è soprattutto necessaria la libertà di spirito. Vogliamo avere
libertà, perché essa solo ci può condurre al culmine che sogniamo così
ardentemente.” [67] L’arte moderna, aggiunge, è il frutto di un’epidemia che si
è diffusa dalla Francia, e si è propagata in Spagna e nei Balcani, ed intende
imitare l’ingenuità di uomini esotici e selvaggi. Contro quest’arte – aggiunge
Corinth – abbiamo già combattuto una guerra che assomiglia a quella attuale.
[68] Si parla di guerra a futuri soldati, ed il nemico è lo stesso. Modernità
dunque significa seguire la strada che hanno indicato Leibl, Feuerbach e Victor
Müller. E qui viene l’attacco frontale contro gli espressionisti tedeschi, che
egli definisce “uomini senza patria, che abusano della bandiera del progresso
giovanile” [69]. Essi si concentrano sul colore, ma la loro è pura ipocrisia:
si concentrano su Leibl e dimenticano Feuerbach. La conclusione: si corre il
pericolo di perdere tutto quello che è tipicamente tedesco nella nostra arte.
Il 13 novembre 1918 scrive “L’arte conquisterà la libertà. È possibile che il
sangue dei caduti non sia stato versato invano. Ma la resa dei conti deve
ancora venire, temo.” [70] Su questo non si sbagliò: il peggio sarebbe venuto
dopo la sua morte nel 1925, con la presa del potere del nazismo e la
distruzione dell’Europa.
Fig. 6) La terza versione dell'Autobiografia, pubblicata nel 2012 dall' Europäischer Literaturverlag di Bremen |
Un pittore incompreso?
Se dunque Corinth non si sente parte dell’avanguardia, tuttavia il rapporto
del grande pubblico con la sua arte fu spesso caratterizzato da un
atteggiamento di ripulsa che lo accostò all’arte moderna. E’ così che ci
racconta che il suo ritratto del Presidente Friedrich Ebert fu oggetto di tali
contestazioni da essere ritirato – a richiesta del Presidente stesso - dalle
sale del Kronkprinzenpalais, dove era
esposta la sezione d’arte moderna della Galleria Nazionale. “Per quel che
riguarda il mio ritratto, io lo lascio in tutta tranquillità al giudizio dei
posteri. Tra alcuni anni, quando il giudizio sarà divenuto più neutrale ed
equilibrato, anche la mia arte sarà oggetto di un giudizio più giusto.” [71].
È però importante sottolineare che questa valutazione può essere stata il
risultato dello specifico stato d’animo del pittore. A Corinth furono tributati
onori eccezionali, dopo la morte: una mostra alla Galleria Nazionale di
Berlino, una serie di esposizioni itineranti a Dresda, Chemnitz, Düsseldorf,
Francoforte sul Meno, Lipsia, Monaco, Vienna, Amburgo, Brema, Kassel,
Wiesbaden, Colonia, Danzica e Könisberg; la pubblicazione stessa dell’Autobiografia. È la moglie a darci un
dettagliato resoconto, con grande emozione, della retrospettiva del 1926 a
Berlino: alla Galleria Nazionale sono esposte le bandiere della Repubblica a
mezz’asta, davanti ad esse vi sono bracieri ardenti, e all’inaugurazione
interviene il Cancelliere Luther, che lo addita come esempio a tutti i tedeschi
[72]. La Repubblica, che Lovis Corinth non aveva mai amato, gli si inchina
davanti.
Gli scritti della moglie e del
figlio
Charlotte Berend-Corinth (1880-1967), giovane e bella donna emancipata,
energica e risoluta, orfana di padre suicida, innamorata pazza di un uomo molto
più anziano e sempre malato, fu una buona pittrice ed espose a suo nome in
diverse esposizioni della Secessione. Come già detto, il marito la ritrasse in
decine e decine di quadri.
Fu lei a redigere l’Autobiografia
nel 1925 e ad organizzarne la pubblicazione nel 1926. Entrò a far parte della
giuria della Secessione di Berlino e vi espose i suoi quadri. Espose alla Biennale
di Venezia nel 1926. Nel 1927 aprì la sua scuola di pittura. Ebrea, ebbe
l’intelligenza di lasciare il paese con i due figli non appena il rischio di
un’affermazione nazista divenne evidente (non fu sempre così: la moglie di Max
Liebermann e la prima moglie di Carl Hofer morirono in campo di concentramento,
perché rimasero bloccate in Germania, da dove divenne impossibile emigrare con
la guerra). Charlotte si trasferì in Francia e da lì in Italia nel 1932, dove
visse prima ad Alassio e poi a Firenze, per un totale di cinque anni. La
riviera ligure era per lei una specie di rifugio: Bordighera era stata il luogo
in cui aveva aiutato Lovis a riprendersi dall’ictus del 1911. A Firenze la
raggiunse nel 1935 la sorella Alice, scrittrice famosa, insieme alla famiglia.
[73] Poco prima delle leggi razziali, Charlotte lasciò l’Italia, e si trasferì
con i figli prima in Svizzera e poi, nel 1939, negli Stati Uniti, dove continuò
la carriera artistica. Morì nel 1967.
Nel 1937 terminò uno struggente libro di lettere immaginarie al marito, La mia vita con Lovis Corinth (Mein Leben mit Lovis Corinth), ma non
poté pubblicarlo: Corinth era stato incluso nella lista dell’Arte degenerata, e lei era ebrea. L’opera
uscirà solo nel 1947, finita la guerra. Nel 1958 pubblicherà un secondo libro, intitolato
semplicemente Lovis, e (nello stesso
anno) il catalogo ragionato delle opere del marito. Il suo archivio è
conservato all’Accademia delle belle arti di Berlino. [74]
Fig. 7) Una versione on-demand dell'Autobiografia di Lovis Corinth prodotta nel 2017 da Hofenberg |
Il volume del 1948, che ho consultato in una versione del 1960, ci fornisce
una serie di particolari sulla pubblicazione dell’Autobiografia. Charlotte ci dice che intraprese l'opera
nell’ottobre del 1925 dopo aver trovato
tra le carte del marito alcuni appunti organizzati in forma caotica. Si trattava
di pensieri che Corinth aveva fissato sul lato sinistro di un quaderno
utilizzato in precedenza per scrivere il manoscritto del manuale Apprendere la scrittura (1909). Come è facile immaginare il testo era
estremamente frammentario; a volte si ripeteva; intere frasi erano cassate in
seguito a pentimenti dell’autore. Pur
tuttavia, la moglie volle lasciare il più possibile intatta la traccia fornita
dal marito, anche se l’editore avrebbe voluto invece mettervi mano, se non
altro per ricostruire gli eventi cronologicamente. [75]
Il figlio di Corinth (Thomas) ha dedicato la sua vita alla raccolta e pubblicazione dell’edizione critica di tutto il materiale documentario sul padre: lettere, appunti, pagine inedite di scritti, pagine da memorie di altri pittori, articoli di giornale, ed una ricca collezione di fotografie: 570 pagine, in tutto, pubblicate nel 1979. Quel che colpisce è la quasi assoluta mancanza di corrispondenza con interlocutori che non fossero cittadini tedeschi. I viaggi in Italia ed in Svizzera hanno prevalente scopo di riposo, ma il panorama di riferimento di Lovis è esclusivamente nazionale. E’ quasi ironico pensare che suo figlio (anche per le vicende familiari appena narrate) sia vissuto negli Stati Uniti.
NOTE
NOTE
[24] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 149
[25] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, pp. 175-182
[26] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 186
[27] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 190
[28] Zimmermann, Michael F. – Lovis Corinth, citato, p.
10
[29] Corinth, Lovis - Meine frühen Jahre, Hamburg,
Claassen, 1954 Sezioni del testo sono disponibili su Internet. Si veda
http://books.google.de/books?id=97gpSmVuHQwC&pg=PP1&lpg=PP1&dq=Meine+fru%CC%88hen+Jahre+lovis+corinth&source=bl&ots=KOJTLahFrD&sig=8OuWhJH1jGfwtfS9sAbYb4G3BeA&hl=it&sa=X&ei=r2YwVInOHcXVatSAgrAJ&ved=0CFkQ6AEwBw#v=onepage&q=Meine%20fru%CC%88hen%20Jahre%20lovis%20corinth&f=false e http://gutenberg.spiegel.de/buch/meine-fr-1494/1
http://books.google.de/books?id=97gpSmVuHQwC&pg=PP1&lpg=PP1&dq=Meine+fru%CC%88hen+Jahre+lovis+corinth&source=bl&ots=KOJTLahFrD&sig=8OuWhJH1jGfwtfS9sAbYb4G3BeA&hl=it&sa=X&ei=r2YwVInOHcXVatSAgrAJ&ved=0CFkQ6AEwBw#v=onepage&q=Meine%20fru%CC%88hen%20Jahre%20lovis%20corinth&f=false e http://gutenberg.spiegel.de/buch/meine-fr-1494/1
[30] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 49
[31] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 78 e p. 225
[32] Berend-Corinth - Charlotte, Mein Leben, citato , p. 64
[33] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 124
[34] Berend-Corinth - Charlotte, Mein Leben, citato, p. 74
[35] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 179
[36] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 149
[37] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 194
[38] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 199
[39] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, pp. 210-211
[40] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 200
[41] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 216
[42] Berend-Corinth - Charlotte, Mein Leben, Citato, pp. 26, 35, 63
[43] Sauerlandt Max - Die Kunst der Letzten Dreissig Jahre,
Berlin, Rembrandt Verlag, 1935
[44] Le
Correspondant, 25 novembre 1916, pubblicato in Maurice Denis, Théories,
1890-1910; du symbolisme et de Gauguin vers un nouvel ordre classique, Rouart
et Watelin, Parigi, 1920 (si veda: https://archive.org/details/thories189019100deniuoft)
[45] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 152
[46] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 151
[47] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 163
[48] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 165
[49] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 167
[50] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 169
[52] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 173
[53] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 188
[54] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 201
[55] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 204
[56] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 204-207
[57] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 190
[58] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 184
[59] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 190
[60] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 189
[61] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 191
[62] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 194
[63] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 198
[64] Uhr, Horst - Lovis Corinth, Berkeley, University of California
Press, 1990 (Si veda: http://publishing.cdlib.org/ucpressebooks/view?docId=ft1t1nb1gf;brand=ucpress)
[65] Uhr, Horst - Lovis Corinth, citato, p. 227
[66] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 153
[67] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 154
[68] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 157
[69] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 158
[70] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 168
[71] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 209
[72] Berend-Corinth - Charlotte, Mein Leben, citato pp.
21, 53 e ss., 65 e ss.
[73] Cultura tedesca a Firenze. Scrittrici e artiste tra Otto e Novecento, a
cura di Maria Chiara Mocali, Claudia Vitale, Firenze, Le Lettere, pp. 285
[75] Berend-Corinth - Charlotte, Mein Leben, citato pp. 32-33
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