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venerdì 24 ottobre 2014

Scritti di artisti tedeschi del XX secolo - Lovis Corinth, Scritti autobiografici. Parte seconda


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Scritti di artisti tedeschi del XX secolo - 3

Lovis Corinth
Scritti autobiografici. Parte Seconda

(Recensione di Francesco Mazzaferro)

[Versione originale: ottobre 2014 - Nuova versione: aprile 2019]

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Fig. 4) La prima edizione dell'autobiografia di Lovis Corinth, pubblicata postuma da Hirzel a Lipsia (1926) 
L’Autobiografia (1916-1926)


Consideriamo ora l’Autobiografia. É assolutamente evidente che essa ha una natura completamente diversa dalla novella auto-biografica Dalla mia vita, essendo ovviamente radicata nella realtà. Se le Leggende riflettono le tecniche letterarie del simbolismo, molte pagine dell’Autobiografia sono segnate da tecniche proprie del naturalismo.

Sappiamo dalla documentazione raccolta dal figlio Thomas che il pittore aveva prodotto una bozza autobiografica nel 1892, l’anno di creazione della Secessione di Monaco. Poi, come si è detto, scrisse nel 1908 le Leggende. Ritornò al progetto dell’autobiografia nel 1916.

Corinth aveva grandi ambizioni letterarie. Tuttavia, l’opera non è priva di problemi evidenti. L’Autobiografia è la sommatoria di tre parti dissimili per stile ed intenzione, composte in periodi diversi. La prima parte, datata 1916, riguarda gli anni della gioventù. La seconda parte, del 1917, copre tutti gli anni della maturazione artistica, fino al 1900, e – a dire il vero – è assai deludente, perché si perde nei rivoli delle amicizie ed inimicizie personali, invece di centrare il discorso sull’arte. Vi è poi un buco di una quindicina d’anni, tra il 1900 e la prima guerra mondiale: una sola pagina ricorda l’ictus celebrale del 1911 [24], e dieci parlano delle dispute tra pittori di quegli anni [25]. La terza parte dell’Autobiografia, datata 1925, tratta i dieci anni dall’avvio della Prima Guerra Mondiale fino a pochi mesi prima della scomparsa. In realtà, la terza parte è un diario intimo e disperato, e non ha più il tono della biografia.

Più che un collage, l’Autobiografia è un pasticcio, che la moglie ha deciso comunque di pubblicare in questa forma nel 1926 per rispetto del marito. Anche lo stile della scrittura è molto discontinuo. “Per me è stato difficile giungere alla conclusione della descrizione della mia vita. Non si riesce mai ad arrivare a dare una precisa definizione del proprio carattere. Sono assolutamente insoddisfatto del mio stile di scrittura. Già a scuola ho ricevuto giudizi contrastanti quando scrivevo temi in tedesco. Come tipo di scrittura ideale darei il giudizio più elevato alle Confessioni di Rousseau. Poi ammiro lo stile di Lessing, e vorrei cercare di scrivere lungo la stessa linea. Ma entrambe le cose mi sono impossibili, e non riuscirò mai a migliorare. La cosa principale per me è quella di catturare in modo sintetico il mio carattere. Io voglio mostrarmi come artista.” [26]  L’altro modello sono le Memorie del pittore Anselm Feuerbach, che “sono le uniche ad avere grande valore.” [27]

Non fu comunque un successo editoriale: è interessante notare come la vedova, Charlotte Berend-Corinth (che ne aveva curato la pubblicazione) non includa alcun commento sull’esito commerciale dell’Autobiografia, nel sul libro La mia vita con Lovis Corinth (1947). Michael Zimmermann cita un giudizio molto elogiativo del critico d’arte Julius Meier-Graefe [28]. Ma, dopo la prima edizione, l’Autobiografia non fu più pubblicata fino al 1993, data del volume che ho consultato, edito dalla Kiepenheuer Verlag di Lipsia. La nuova pubblicazione tascabile dell’editore Holzinger di Lipsia del 2013 ha fatto dell’Autobiografia un volume facile reperibilità. Non ne esistono traduzioni in altra lingua.


Le tre parti dell’Autobiografia

Il primo terzo del testo (80 pagine su 226) è sugli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. Un’edizione separata e più estesa, con il titolo “Meine frühen Jahre” [29] , ovvero a “I miei primi anni”, verrà pubblicata dalla moglie nel 1954, che dirà di averne scoperto lei l’esistenza riordinando le carte del marito.

Questa prima parte, che fu scritta nel 1916, ha ambizioni letterarie, di tipo naturalistico. Per certi aspetti, sembra di essere in un quadro di Leibl o di Courbet, pittori molto vicini al cuore di Corinth. Non vi è dubbio che l’intenzione sia quella di descrivere l’ambiente provinciale e dimesso della famiglia, nella Prussia Orientale, tra Könisberg e Frankfort am Oder. Già il passaggio tra il villaggio rurale di Tapiau dove nacque (oggi in Russia: Gwardejsk) e Könisberg, dove visse da giovane e poi studiò, (oggi la russa Kaliningrad) segna il conflitto tra due mondi: Il giovane Corinth parla a stento tedesco, e quando apre la bocca a scuola, il primo giorno, non sa pronunciare bene il proprio cognome, scatenando l’ilarità generale in classe [30]: è forse la pagina più bella e amara dell’Autobiografia. I ritorni al paese d’origine, molti anni dopo, da pittore famoso e riverito sono occasioni di rivincita personale [31]. Colpisce che nelle ultime pagine finali del libro – quelle scritte a ridosso della morte – il pittore rivisiti alcuni dei temi dell’infanzia, con un tono di profonda amarezza, rivelando di aver sofferto fin d’allora di depressione, di aver avuto una madre fredda e priva di empatia, di essere stato odiato dalla zia – che lo ospitava a Könisberg – e di aver subito torti e ostilità dalla sorellastra. Solamente il padre sembra essere un punto di riferimento per il giovane Corinth e rimanere un ricordo pieno di nostalgia per il Corinth anziano. Charlotte scrive nel suo “La mia vita con Lovis Corinth” che il marito teneva il ritratto del padre appeso in casa, lavorava su una scrivania appartenuta al padre e lo citava. almeno ogni due giorni [32].

La seconda parte delle memorie è ultimata nel 1917, quando Corinth si avvicina ai sessanta anni. Vi si parla della formazione accademica a Könisberg e in Turingia (e anche delle grandi bevute che pregiudicheranno la sua salute per sempre. Il suo professore preferito (Otto Günther, pittore  della scuola realista di mezzo Ottocento) lo consiglia di partire per Monaco, uno dei centri più importanti della pittura europea; Corinth vi arriva intorno al 1880 e studia da Ludwig von Löfftz, paesaggista e soprattutto ottimo maestro di disegno. A Günther resterà sempre affezionato; le note in cui registra la progressiva emarginazione del maestro ed infine la sua morte prematura, in piena solitudine, sono piene di profonda amarezza.

Come già detto, in questa sezione dell’opera è proposto lo scritto intitolato “Intrighi ed osservazioni”, che inizia affermando che “quanto più forte è l’individualità di un artista, tanto più viene esposto dal pubblico a fraintendimenti”. È la parte dell’autobiografia che più si sofferma  sull’intreccio tra questioni estetiche e vita degli artisti, e giunge a concludere pessimisticamente che intrigo e malevolenza compaiono sempre nel corso di una carriera. Il tono è di disincanto. Corinth scrive di essersi recato nel 1884 in viaggio di studio in Belgio e non a Parigi, per timore di ritorsioni dopo la guerra franco-tedesca del 1871. In realtà si trasferisce ad Anversa anche per amore dell’arte fiamminga. Poi – deluso dai suoi insegnanti e probabilmente molto solo (“Un vero prussiano orientale non può mischiarsi con stranieri” [33]) – decide di spostarsi a Parigi, dove risiede per quattro anni, fino al 1887, anche lì senza grandi entusiasmi. Una volta tornato dalla Francia, inizia per Corinth una fase confusa, in cui prima va a Berlino, poi a Monaco e fa più volte la spola tra le due città, alla ricerca di altri pittori, amici e personaggi facoltosi pronti ad acquistare i suoi quadri. Monaco ha più tradizione come centro artistico, Berlino è più dinamica come metropoli. Infine, nel 1891, Corinth sceglie Monaco ed entra nella locale Secessione, la prima in Germania, facendo conoscenza con il simbolismo di Franz von Stück. Non passa molto tempo, e Corinth si dissocia dalla Secessione di Monaco, creando con nove altri colleghi (il piú famoso dei quali fu Max Slevogt) una ‘Libera associazione’ (Freie Vereinigung) rivale della Secessione (che risponde espellendolo). Si ripete quanto ho già notato in un precedente articolo su Max Pechstein: in quegli anni, i gruppi di artisti nascevano e si scioglievano continuamente, come oggigiorno succede con le rock band.

A Monaco Corinth conosce i primi successi commerciali, ad esempio con la “Deposizione”, eseguita in chiave simbolista/secessionista; ma non riesce a ritagliarsi un ruolo ed uno spazio sufficienti per le sue aspirazioni. Quando la sua “Salomé con la testa di Giovanni” viene rifiutata dalla giuria della Secessione, capisce che è venuto il tempo di cambiare aria. Segue un invito di Walter Leistikow e di Max Liebermann e si trasferisce a Berlino, entrando nella locale Secessione. A Monaco lascia solo due o tre amici: Eckmann, Strathmann, Theodor Heine. Sente il bisogno di dipingerli (Eckmann) o – come si è già visto – di scrivere saggi critici su di loro (Strathmann, Heine).

A Berlino trova il grande successo che attendeva da tempo con “Perseo ed Andromeda”. Poco dopo decide di creare una scuola per pittrici, tra l’ilarità di molti colleghi, La sua prima studentessa (Charlotte Berend) sarà anche la sua futura moglie. Solo Leistikow (1865-1908), forse l’unico pittore che gli è veramente amico a Berlino, lo sostiene.

Sebbene inserito nel circolo berlinese dei Cassirer nel 1900-1910 (si è già detto delle pubblicazioni per Bruno e Paul) e collegato a Liebermann e Slevogt come impressionista fin dai tempi di Monaco, Corinth è uomo di poche amicizie stabili, e troverà il modo di litigare con tutti. Di Paul Cassirer odia l’atteggiamento accentratore, e l’indole intrigante; finiranno per andare a processo l’uno contro l’altro. Con Liebermann e Slevogt litiga nel 1911, quando nel gruppo dei pittori della Secessione cominciano a verificarsi tensioni. Del resto, gli stessi Liebermann e Cassirer si voltano le spalle. Una guerra di tutti contro tutti. La moglie Charlotte Berend descrive nella “Mia vita con Lovis Corinth” il lungo litigio del marito con Max Liebermann. La rottura si produce quando Corinth assume la presidenza della Secessione nel 1911; Corinth e Liebermann si riappacificano solamente nel 1925, davanti al Presidente Friedrich Ebert. Le pagine scritte da Corinth su Liebermann nella sua Autobiografia sono molto negative. La moglie rivede Liebermann per la prima volta dopo dodici anni, nel 1926, ad una mostra sulla grafica di Corinth, giá morto [34]. La frattura, così aspra. era stata una delle conseguenze collaterali dell’attacco di Nolde a Liebermann [35] e della creazione – anche contro Corinth – della Nuova Secessione, quella espressionista: il gruppo del Ponte (Brücke), Nolde, e molti altri. Liebermann accusa Corinth di non averlo difeso fino in fondo dagli espressionisti e di averne approfittato per farsi eleggere presidente della Secessione al suo posto. Presidenza che deve lasciare immediatamente, dopo l’ictus del 1911. Nel 1915 Corinth riassume la Presidenza: è però ormai rimasto a capo di un piccolo gruppo di artisti conservatori (questa secessione conservatrice sarà chiamata il Tronco della Secessione, ovvero Rumpf-Sezession). Dopo aver litigato con Liebermann e Cassirer, il suo punto di riferimento a Berlino diviene Fritz Gurlitt; è con lui che pubblicherà gli Scritti (Schriften) del 1920.

Le sezioni seguenti (dalla quattro alla otto) costituiscono la terza ed ultima parte dell’Autobiografia, datata 8 maggio 1925, poco prima della scomparsa. Corinth muore il 17 luglio, di una polmonite, durante un viaggio in Olanda per ammirare l’opera di Rembrandt e di Frans Hals: insieme con Rubens, erano i pittori che da sempre aveva più amato.

Questa parte finale è estremamente frammentaria; a volte si tratta di una narrazione continua; a volte di una sorta di diario in cui gli avvenimenti sono presentati giorno per giorno. Prevalgono le sconsolate considerazioni dell’artista su una serie di gravi traumi storici e personali, compensati – nelle ultime pagine – dalle gioie della vita familiare. Il primo trauma è l’ictus che lo colpisce nel 1911, al momento della massima fama artistica in Germania (in quel momento, come appena ricordato, presiede la Secessione di Berlino); il secondo trauma è la sconfitta della Germania nella Prima guerra mondiale, vista anche come segno della incapacità storica della Germania di creare le basi di una forte cultura di stampo nazionale; il terzo trauma è la crisi economica, politica e sociale.
Ciò non significa però che non vi sia speranza alcuna. Cinque sono le vie di uscita: un’arte tedesca rinnovata, basata sulla piena libertà spirituale; l’erotismo, come fonte di energia; la famiglia; il riposo e la pittura sul lago bavarese Walchensee; ed infine, come risultato di tutti gli aspetti sopra citati, sia positivi sia negativi, la conquista di un rinnovato stile pittorico che colloca Corinth nella modernità.


Alcuni temi che emergono dalla lettura dell’Autobiografia

a)      Le malattie (l’ictus, l’alcool, la depressione)

Come già detto, nel 1911 Corinth è colpito da un ictus. L’unico riferimento diretto a quell’evento nell’Autobiografia è un “Frammento” [36] . Fu un colpo durissimo, che ne mise a dura prova le capacita nel pieno di una fase di intensa attività, se si pensa – ad esempio – a quanto Corinth aveva scritto sull’arte negli anni precedenti, pubblicando un volume all’anno (le Leggende, il manuale “Apprendere la pittura”, la “Vita di Leistikow”). Con pudore, Corinth non racconta nulla di preciso, ma ci dice che la sua intera vita gli scorre improvvisamente davanti, costringendolo ad un ripensamento. Un anno dopo, nel 1912, dipinge il Sansone accecato, un’immagine simbolica della malattia.

gebrauchtes Buch – Corinth, Lovis – Selbstbiographie

Fig. 5) La seconda edizione dell'Autobiografia pubblicata da Kiepenheuer a Lipsia nel 1993
Nelle ultime pagine del libro diventa poi chiaro come Corinth abbia comunque sempre convissuto con la malattia, sia dal punto di vista fisico, sia da quello nervoso. Ne parla dopo aver raggiunto l’apice del successo, con un’ampia mostra retrospettiva organizzata da Ludwig Justi alla Galleria Nazionale di Berlino in occasione dei sessantacinque anni, nel 1923.  “Le malattie, una paralisi del lato sinistro, un tremito mostruoso della mano destra, acuito dagli sforzi che faccio usando l'ago [nota dell’editore: per l’incisione] e causato da eccessi precedenti con l’alcol, mi precludono qualsiasi abilità calligrafica mia personale. Un impegno costante per raggiungere il mio obiettivo - non ho mai raggiunto il livello sperato - ha inasprito la mia vita, e ogni lavoro si è concluso con la depressione di dover continuare ancora questa vita.” [37] “In realtà sono stato – posso dire fin da bambino – tormentato dalla più grave malinconia. Non vi è giorno alcuno, in cui io non abbia pensato fosse meglio separarmi da questa vita. Una cosa sola fece la differenza: non lo ho mai fatto. Ebbi paura di dovermene pentire. Per questo motivo ho evitato il possesso di una qualsiasi arma, revolver, pugnale. Non ho neppure mai posseduto un rasoio da barba, non ho mai voluto lasciarmi prendere la mano, fare d’impeto quel che non era giusto.” [38]. “Eppure io sono stato infelice durante tutta la mia vita. All’inizio questa guerra sotterranea della mia sorellastra contro di me, un continuo litigio, sul perché non avesse ricevuto alcuna educazione scolastica, una segreta persecuzione contro la mia vita. Questa situazione è rimasta in me dall’epoca dell’infanzia fino ad oggi. (…) Con il mio carattere non ho amato nessuno e sono sembrato a tutti (…) piuttosto schifoso e grossolano. A ciò si è aggiunto un animo invidioso nei confronti di ogni apparenza serena e ogni superiore capacità. Un’ambizione bruciante mi ha sempre torturato. Non è passato giorno in cui io non abbia dannato la mia vita e l’abbia voluta terminare.” [39] “Berlino, 13 Agosto 1923. Oggi soffro di nuovo di una grave forma di depressione. Da giorni cerco di dipingere uno schizzo del “Figliolo prodigo”. Voglio cercare  di descrivere questo stato dal vero. Mi sono reso conto che la mia pittura è davvero una pura schifezza. La vita non ha senso, non vi è prospettiva alcuna, vi è una cortina buia, cui si aggiunge la rabbia nei miei confronti e nei confronti dei miei lavori. Dimentico le mie capacità e vorrei strombazzare al mondo intero: che cosa trovate in me, sono un povero sfortunato! Non vi accorgete che io non sono nulla – non sono un artista – nulla – sono avvilito in modo patologico – attorno a me non vi è alcun raggio di sole; la vita intera è stata inutile.” [40] E l’ultimo anno, nel 1925, dopo aver parlato con entusiasmo del suo “Cavallo di Troia”, scrive: “Ho esaltato le mio opere in modo particolare, solo perché in nessun altro periodo sono stato visitato da depressioni morali come in questo tempo. Vorrei piangere. Uno schifo di ogni pittura mi cattura. Perché devo continuare a lavorare? Tutto è spazzatura. Questa orribile inerzia nel continuare a lavorare mi fa vomitare. Ho 67 anni, quest’estate mi avvicinerò ai 68. Che cosa deve fiorire di nuovo?” [41] Quell’estate morirà.  

Il resoconto della moglie Charlotte sulla malattia del marito è davvero drammatico: attacchi seri di depressione un giorno sì e un giorno no, cui lei aveva imparato a reagire, essendo di fatto la sua terapeuta [42].


b)      La guerra

Se si leggono in parallelo le lezioni tenute da Max Sauerlandt a Berlino (l’“Arte negli ultimi trent’anni [43]) e l’articolo di Maurice Denis su “Ce que sera la peinture française après la guerre»” [44] ci si può rendere conto di quanto artisti francesi e tedeschi – nonostante orientamenti stilistici simili – fossero parte di uno scontro frontale tra due culture che si consideravano aprioristicamente nemiche, uno scontro iniziato attorno al 1910 e di cui il conflitto militare rappresentò una sorta di tragico prolungamento. Insomma: se vi fu la guerra, è anche perché le due culture si odiavano. Non fu solamente responsabilità dei militari, dei politici  e degli industriali. Anche i pittori volevano la guerra. Vi sono elementi davvero paradossali: nella vera e propria “guerra civile” tra i pittori che vivevano a Berlino nei primi decenni del secolo, Corinth fu a lungo il simbolo dell’impressionismo (stile di orientamento francese) contro l’espressionismo (stile di orientamento tedesco). Eppure, questa non fu affatto la sua prospettiva personale. Visse quattro anni a Parigi, ma lì non si integrò mai, e spesso nell’Autobiografia parla delle angherie subite  all’Académie Julian, dove pagava lo scotto di essere tedesco (e dunque di essere responsabile della sconfitta di Sedan e della perdita di Alsazia e Lorena). Tornato in Germania, il suo scopo fu di dimostrare che l’arte tedesca aveva talenti almeno uguali, se non superiori a quella francese (lo ripete più volte). E dunque, se gli esiti stilistici tra Corinth e Nolde sono molto diversi, i suoi argomenti polemici anti-francesi sono molto simili a quelli di Nolde. Anzi, spesso i toni sciovinisti di Corinth sono più stridenti di quelli di Nolde.

È tenendo conto di queste convinzioni che si deve pensare alla disperazione fanatica di Corinth per la sconfitta, che – in fondo – è per lui soprattutto la constatazione, una volta di più, dell’inferiorità della sua Prussia rispetto alla Francia. “Abbiamo vissuto la sollevazione dell'Impero Tedesco contro l’Europa intera, e coloro che poterono sperimentarlo, hanno visto un avvenimento che è andato molto al di là delle rappresentazioni eroiche del mondo antico. La fiducia nel Kaiser, nel comando dei militari ed infine la fiducia assoluta nella vittoria erano così incrollabili (…) che coloro che furono scelti per questa guerra santa furono considerati da tutti come i più felici dei mortali. Le parate delle truppe toccavano anche i più duri di cuore. Le truppe, ricoperte di fiori e tutte concentrate nel canto, si avvicinavano alle stazioni; al loro fianco correvano i bambini, accompagnando padri e fratelli, e portavano con orgoglio il loro elmetto o la loro arma. Spesso si vedevano padre e figlio – entrambi soldati - abbracciarsi, dirsi addio e poi unirsi ai loro rispettivi plotoni in marcia.” [45]

Alla fine, la guerra è persa. E tuttavia - scrive Corinth -  “ci si puó chiedere se il vincitore sanguinario esca da questa battaglia come vero vincitore. (…) Se il vincitore si impone in una orrenda apoteosi con una corona che gronda sangue, avanza con sorriso purpureo su un terreno sconvolto in mezzo ai cadaveri, certo non si occuperà, come ritegno e buoni costumi invece imporrebbero, della domanda meschina se si sia comportato in modo barbaro o vandalico nelle terre conquistate. Taglierà il nodo gordiano, e detterà al mondo le sue leggi.” [46]

c)       La crisi

La guerra è finita, e spira il vento della rivoluzione. “Vergogna!”, scrive Corinth, ed addossa la responsabilità alla cricca socialdemocratica. [47] “Il futuro è buio, terribile. (…) Io mi sento prussiano e credo che questo sia il solo stato ci possa salvare”, sotto la guida del Kaiser e dei militari. [48] “La rivoluzione è scoppiata” – scrive il 10 Novembre 1918 e ripete: “Io mi sento prussiano e un tedesco dell’impero (Kaiserlicher Deutscher)” [49].  Un settimana dopo annota: “I socialdemocratici fanno la voce grossa. Si sono presi il potere che prima avevano i militari” [50] ed il 7 dicembre 1918 aggiunge: “Il potere dei militari è stato annientato per sempre.” [51] La successione di annotazioni disperate si sussegue: “La bancarotta dello Stato è dietro l’angolo” [52]. Il 10 gennaio 1923 annota “Il dollaro ha raggiunto 10.000 marchi. L’inflazione prende il sopravvento, le persone non sanno che cosa potrà mai succedere. (…) I giornali parlano di ‘decadenza dell’Europa’. Se almeno fosse davvero così: io vedo però un solo collasso, la ‘fine della Germania’. Non è arrivato nessun vendicatore: nessun Mosè o nessun Bismarck.” [53] Ed è del 31 agosto 1923: “L’ultimo atto dello sfascio si avvicina alla conclusione: La Germania va a pezzi e si divide in parte separate. Spero la mia profezia sia sbagliata, ma … Addio!” [54]

Ma la profonda crisi ha anche effetti paradossali. L’inflazione travolgente distrugge il valore del denaro, e dunque crea nell’alta borghesia un interesse commerciale per beni rifugio come le opere d’arte. Questo da un lato crea incentivi alla speculazione, ma consente anche al pittore un successo economico, almeno fin quando la manovra economica di aggiustamento del 1923 (che pose fine all’inflazione) riduce la liquidità in circolazione. I suoi quadri sul Walchensee (il luogo di riposo estivo in Baviera) vanno a ruba. “Non ho mai venduto cosí tanti quadri quanto dopo il crollo. Me li strappavano letteralmente dal cavalletto, e mai vi era stato un tale moltiplicarsi delle mostre in tutta la Germania. Che le nostre pitture venissero considerate un investimento sicuro al posto del denaro instabile, è assolutamente sicuro.” [55]. E poi aggiunge: “Proprio al momento della fine della guerra raggiunsi un enorme successo grazie ai motivi del Walchensee, in termini finanziari ed ideali. Ogni berlinese voleva possedere un quadro di quell’angolo delle montagne bavaresi, e così successe che oltre alle nature morte, mi specializzai in questo bel angolo del Walchensee.” [56].


d)      Un’arte tedesca rinnovata

La guerra è persa, il Paese è in crisi: ma Corinth crede che questa sia l’occasione di ricostruire l’arte tedesca: “Il Paese è distrutto: al lavoro!” [57]. Il compito è quello di ricostruire l’arte tedesca in modo autonomo da quello dell’arte francese, e Corinth, come Presidente della Secessione Berlinese (dopo il 1915, una Secessione conservatrice, come detto), si assume quest’incarico. “Io non sono mai stato un appendiabito o un adulatore. Ho sempre apprezzato l’arte francese, ma non l’ho mai imitata. Ho parlato, ho scritto e mi sono impegnato per l’arte tedesca, ed ero convinto già prima della Guerra mondiale che l’arte tedesca avrebbe superato per eccellenza il rango di quella francese. Adesso è necessario aver fiducia in noi stessi e godere di indipendenza. Non si tratta di megalomania, perché ho vissuto quattro anni a Parigi e non ho trovato tra i miei compagni di studio nessuno che avesse un talento tale che non potesse essere paragonato con i tedeschi.” [58]. Lo stesso concetto viene ripetuto ancora due volte, segno (lo abbiamo già visto: è la conclusione di Dalla mia vita nelle Leggende) che quegli anni francesi segnarono Corinth, creando in lui un senso di disagio. “Nell’autunno 1884 mi recai a Parigi. Lo spirito che mi accolse era senz’altro più impressionante che in Germania. Studiai in una famosa scuola. I francesi che incontrai lì non mi sembrarono affatto dotati. Visualizzazioni tradizionali. Vi sono rimasto per tre anni. Non ho mai scoperto un talento. Tra i tedeschi, in particolare all’Accademia di Monaco, vi era molto più slancio. Ammiro la pittura francese da Watteau a Monet, altrimenti non vi è nulla che possa dirsi eccezionale.” [59]. Dunque, nessun amore per alcuno dei post-impressionisti. “La mia consapevole motivazione – scrive ancora nel 1923, l’anno di una sua retrospettiva di grande successo – era di portare l’arte tedesca al livello più alto. Avevo visto quel che gli artisti francesi potevano fare da qualche tempo, noi potevamo fare molto di più. Io parlai di fronte alla nostra gioventù, posso dire con successo.” [60]


e)      L’erotismo

Basta dare un’occhiata alle pitture di Corinth per rendersi conto di quanto importante sia stato il ruolo dell’erotismo in tutte le fasi della sua vita.

“Mi rimane da spiegare – scrive il pittore – quel che al giorno d’oggi si pensi tra i pittori sull’erotismo ed in particolare quel che io ne pensi. Il pubblico ritiene che questa direzione dell’arte sia indecente e possa essere ammirata esclusivamente in luoghi isolati. (…) Io la penso in modo diverso. La vita sentimentale delle persone diviene molto più impetuosa sotto la spinta dei contatti sessuali. Come la musica tra gli uomini e il canto degli uccelli si basa solamente sull’istinto sessuale, così anche la pittura è una pura espressione dei sensi.” [61]


f)       Il Walchensee

Un altro dei piaceri della vita – e forse quello per il quale Corinth è più conosciuto tra il largo pubblico – è il riposo operoso sul Walchensee, il luogo dove egli al tempo stesso riscopre il piacere della pittura all’aria aperta (nel senso tecnico, en plein air) e modifica il proprio stile.

Per cinque anni abbiamo trascorso l’estate sul Walchensee. Regalai a mia moglie un piccolo appezzamento di terra, e abbiamo costruimmo una baita. Lei ha diretto i lavori in modo molto accorto e la baita è divenuta sua, dal momento che io sono davvero poco pratico, e non sarei riuscito a cavarmela con i lavori. La baita offriva una bella veduta sul lago, e presto fui in grado di dipingere tutti i motivi che sarebbero divenuti una gioia per l’umanità.” [62]


g)      La famiglia

L’angelo di Corinth è la moglie Charlotte, più giovane di ventitré anni, la prima delle sue studentesse di pittura alla scuola per giovani artiste di Berlino. La ritrasse in quasi tutte le situazioni. Fu pittrice indipendente, ed espose anche dopo il matrimonio.

“(…) A ciò si aggiunge un futuro che non potrebbe essere più nero. Non sarei riuscito a sopportarlo, se uno spirito non mi avesse consolato, e non mi avesse sostenuto e rafforzato in questa miseria. Lo spirito che mi ha sostenuto in modo umano, è quello di mia moglie e dei miei figli. Mia moglie, oltre ad avere un grande talento ed essere stata mia studentessa prima del matrimonio, è donna di grande intelligenza e capacità di prevedere e pianificare gli avvenimenti. Fu davvero soprattutto lei ad appoggiarmi e ad aiutarmi in tutte le situazioni difficili della vita attuale.” [63]


h)      Il nuovo stile

Quali sono gli aspetti di modernità nel nuovo stile di Corinth? Si è già detto che è più facile coglierli da spettatori dei dipinti dei suoi ultimi anni che da lettori dell’Autobiografia.

Riferendosi all’ultimo Corinth, Horst Uhr parla di una nuova sintesi di contenuto e forma [64] e non esita a far riferimento a “un nuovo espressionismo” [65]. Sono evidenti il nuovo senso di drammaticità, il nuovo uso del colore, la scomparsa dei contorni ben determinati, il diverso modo di ritrarre i volti, la minore attenzione alla sensualità, al nudo, ai motivi decorativi. Le figure, che prima dominavano la narrativa, ed anzi da essa sembravano voler uscire dalla tela in modo illusionistico, adesso sono immerse nel paesaggio, con cui condividono forme e colori. La narrativa, nel suo complesso, cambia: se prima le storie erano perfettamente compiute, adesso sembrano abbozzate; se prima il pittore sembrava narrarci una saga mitologica in diretta – quasi fosse una telecronaca radiofonica – adesso è il racconto nostalgico e irrimediabile del passato che ci viene mostrato.”

Ci troviamo, di fronte, a un’evidente contraddizione; un uomo che è un vero reazionario, che è pronto a giustificare l’uso delle armi per impedire che le cose cambino, un suddito dell’Impero che non riconosce la Repubblica, che però rivoluziona il suo modo di dipingere e lo fa in senso moderno. Tutte cose – come detto – che risultano dall’analisi dei dipinti, non certo dalla lettura degli scritti. E che, ad essere onesti, riguardano le tecniche di esecuzione delle opere, non certo la teoria artistica o il pensiero politico.

Si legga con quale disprezzo Corinth parla del “moderno” nell’Autobiografia. “In questi tempi moderni, è stato il tango ad essere l’asso vincente e la pittura cubista e l’ingenuità dei selvaggi africani hanno avuto la meglio su ogni cosa semplice. Si è preso a calci lo studio della natura. Questo nostro tempo è stato così vanaglorioso nella sua indifferenza, che noi non abbiamo più avuto gli strumenti per risvegliare i nostri sensi, ormai addormentatisi.” [66]

A ciò corrisponde la decisione di assumere la presidenza della Secessione di Berlino (la Rumpf-Sezession iperconservatrice) quando tutti i pittori espressionisti l’hanno abbandonata, e gli stessi Cassirer e Liebermann hanno smesso di sostenerla. Corinth si sente – in cuor suo – l’ultimo della precedente generazione. Del resto, nei calendari delle mostre della Secessione, Corinth firma importanti dichiarazioni contro l’avanguardia. Si tratta di posizioni che aveva già espresso prima in un articolo sulla già citata rivista Pan del 1910 e poi in una lezione agli studenti tedeschi del 1914. Siamo all’inizio della guerra e Corinth sa bene di parlare ai futuri soldati, molti dei quali andranno a morire.

Fig. 6)  La terza versione dell'Autobiografia, pubblicata nel 2012 dall' Europäischer Literaturverlag di Bremen
Ecco che cosa scrive sulla lezione nell’Autobiografia: “Ho predicato in un discorso alla gioventù tedesca, che noi  si deve percorrere la via che conduce alla santa arte tedesca, la via che i nostri predecessori ci hanno mostrato. Vogliamo mostrare al mondo che oggi l’arte tedesca marcia al vertice del mondo. Basta con questa imitazione scimmiesca che abbiamo fatto dell’arte gallico-slava durante il nostro ultimo periodo pittorico. Oggi vogliamo coltivare quella ‘terribile serietà’ di cui ho parlato da anni, quando quell’arte falsa ancora andava per la maggiore. Quella ‘terribile serietà’ è a noi necessaria per scrollarci dal giogo straniero e dettare una nostra arte tedesca. Dettare? L’espressione è troppo arrogante. Piuttosto vogliamo seguire la natura, ognuno al proprio modo e secondo la propria individualità, cosicché non ci possa mancare nulla per raggiungere, con questa santa serietà, finalmente un’arte tedesca e nazionale. Bisogna aggiungere ancora un altro elemento di cui parlai alla gioventù tedesca. Se si vuole rigenerare l’arte tedesca, è soprattutto necessaria la libertà di spirito. Vogliamo avere libertà, perché essa solo ci può condurre al culmine che sogniamo così ardentemente.” [67] L’arte moderna, aggiunge, è il frutto di un’epidemia che si è diffusa dalla Francia, e si è propagata in Spagna e nei Balcani, ed intende imitare l’ingenuità di uomini esotici e selvaggi. Contro quest’arte – aggiunge Corinth – abbiamo già combattuto una guerra che assomiglia a quella attuale. [68] Si parla di guerra a futuri soldati, ed il nemico è lo stesso. Modernità dunque significa seguire la strada che hanno indicato Leibl, Feuerbach e Victor Müller. E qui viene l’attacco frontale contro gli espressionisti tedeschi, che egli definisce “uomini senza patria, che abusano della bandiera del progresso giovanile” [69]. Essi si concentrano sul colore, ma la loro è pura ipocrisia: si concentrano su Leibl e dimenticano Feuerbach. La conclusione: si corre il pericolo di perdere tutto quello che è tipicamente tedesco nella nostra arte. Il 13 novembre 1918 scrive “L’arte conquisterà la libertà. È possibile che il sangue dei caduti non sia stato versato invano. Ma la resa dei conti deve ancora venire, temo.” [70] Su questo non si sbagliò: il peggio sarebbe venuto dopo la sua morte nel 1925, con la presa del potere del nazismo e la distruzione dell’Europa.


Un pittore incompreso?

Se dunque Corinth non si sente parte dell’avanguardia, tuttavia il rapporto del grande pubblico con la sua arte fu spesso caratterizzato da un atteggiamento di ripulsa che lo accostò all’arte moderna. E’ così che ci racconta che il suo ritratto del Presidente Friedrich Ebert fu oggetto di tali contestazioni da essere ritirato – a richiesta del Presidente stesso - dalle sale del Kronkprinzenpalais, dove era esposta la sezione d’arte moderna della Galleria Nazionale. “Per quel che riguarda il mio ritratto, io lo lascio in tutta tranquillità al giudizio dei posteri. Tra alcuni anni, quando il giudizio sarà divenuto più neutrale ed equilibrato, anche la mia arte sarà oggetto di un giudizio più giusto.” [71].

È però importante sottolineare che questa valutazione può essere stata il risultato dello specifico stato d’animo del pittore. A Corinth furono tributati onori eccezionali, dopo la morte: una mostra alla Galleria Nazionale di Berlino, una serie di esposizioni itineranti a Dresda, Chemnitz, Düsseldorf, Francoforte sul Meno, Lipsia, Monaco, Vienna, Amburgo, Brema, Kassel, Wiesbaden, Colonia, Danzica e Könisberg; la pubblicazione stessa dell’Autobiografia. È la moglie a darci un dettagliato resoconto, con grande emozione, della retrospettiva del 1926 a Berlino: alla Galleria Nazionale sono esposte le bandiere della Repubblica a mezz’asta, davanti ad esse vi sono bracieri ardenti, e all’inaugurazione interviene il Cancelliere Luther, che lo addita come esempio a tutti i tedeschi [72]. La Repubblica, che Lovis Corinth non aveva mai amato, gli si inchina davanti.


Gli scritti della moglie e del figlio

Charlotte Berend-Corinth (1880-1967), giovane e bella donna emancipata, energica e risoluta, orfana di padre suicida, innamorata pazza di un uomo molto più anziano e sempre malato, fu una buona pittrice ed espose a suo nome in diverse esposizioni della Secessione. Come già detto, il marito la ritrasse in decine e decine di quadri.


Fu lei a redigere l’Autobiografia nel 1925 e ad organizzarne la pubblicazione nel 1926. Entrò a far parte della giuria della Secessione di Berlino e vi espose i suoi quadri. Espose alla Biennale di Venezia nel 1926. Nel 1927 aprì la sua scuola di pittura. Ebrea, ebbe l’intelligenza di lasciare il paese con i due figli non appena il rischio di un’affermazione nazista divenne evidente (non fu sempre così: la moglie di Max Liebermann e la prima moglie di Carl Hofer morirono in campo di concentramento, perché rimasero bloccate in Germania, da dove divenne impossibile emigrare con la guerra). Charlotte si trasferì in Francia e da lì in Italia nel 1932, dove visse prima ad Alassio e poi a Firenze, per un totale di cinque anni. La riviera ligure era per lei una specie di rifugio: Bordighera era stata il luogo in cui aveva aiutato Lovis a riprendersi dall’ictus del 1911. A Firenze la raggiunse nel 1935 la sorella Alice, scrittrice famosa, insieme alla famiglia. [73] Poco prima delle leggi razziali, Charlotte lasciò l’Italia, e si trasferì con i figli prima in Svizzera e poi, nel 1939, negli Stati Uniti, dove continuò la carriera artistica. Morì nel 1967.


Fig. 7) Una versione on-demand dell'Autobiografia di Lovis Corinth prodotta nel 2017 da Hofenberg
Nel 1937 terminò uno struggente libro di lettere immaginarie al marito, La mia vita con Lovis Corinth (Mein Leben mit Lovis Corinth), ma non poté pubblicarlo: Corinth era stato incluso nella lista dell’Arte degenerata, e lei era ebrea. L’opera uscirà solo nel 1947, finita la guerra. Nel 1958 pubblicherà un secondo libro, intitolato semplicemente Lovis, e (nello stesso anno) il catalogo ragionato delle opere del marito. Il suo archivio è conservato all’Accademia delle belle arti di Berlino. [74]


Il volume del 1948, che ho consultato in una versione del 1960, ci fornisce una serie di particolari sulla pubblicazione dell’Autobiografia. Charlotte ci dice che intraprese l'opera nell’ottobre del 1925  dopo aver trovato tra le carte del marito alcuni appunti organizzati in forma caotica. Si trattava di pensieri che Corinth aveva fissato sul lato sinistro di un quaderno utilizzato in precedenza per scrivere il manoscritto del manuale Apprendere la scrittura (1909).  Come è facile immaginare il testo era estremamente frammentario; a volte si ripeteva; intere frasi erano cassate in seguito a pentimenti dell’autore.  Pur tuttavia, la moglie volle lasciare il più possibile intatta la traccia fornita dal marito, anche se l’editore avrebbe voluto invece mettervi mano, se non altro per ricostruire gli eventi cronologicamente. [75]

Il figlio di Corinth (Thomas) ha dedicato la sua vita alla raccolta e pubblicazione dell’edizione critica di tutto il materiale documentario sul padre: lettere, appunti, pagine inedite di scritti, pagine da memorie di altri pittori, articoli di giornale, ed una ricca collezione di fotografie: 570 pagine, in tutto, pubblicate nel 1979. Quel che colpisce è la quasi assoluta mancanza di corrispondenza con interlocutori che non fossero cittadini tedeschi. I viaggi in Italia ed in Svizzera hanno prevalente scopo di riposo, ma il panorama di riferimento di Lovis è esclusivamente nazionale. E’ quasi ironico pensare che suo figlio (anche per le vicende familiari appena narrate) sia vissuto negli Stati Uniti.


NOTE

[24] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 149

[25] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, pp. 175-182

[26] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 186

[27] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 190

[28] Zimmermann, Michael F. – Lovis Corinth, citato, p. 10

[30] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 49

[31] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 78  e p. 225

[32] Berend-Corinth - Charlotte, Mein Leben, citato , p. 64

[33] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 124

[34] Berend-Corinth - Charlotte, Mein Leben, citato, p. 74

[35] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 179

[36] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 149

[37] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 194

[38] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 199

[39] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, pp. 210-211

[40] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 200

[41] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 216

[42] Berend-Corinth - Charlotte, Mein Leben, Citato, pp. 26, 35, 63

[43] Sauerlandt Max - Die Kunst der Letzten Dreissig Jahre, Berlin, Rembrandt Verlag, 1935

[44] Le Correspondant, 25 novembre 1916, pubblicato in Maurice Denis, Théories, 1890-1910; du symbolisme et de Gauguin vers un nouvel ordre classique, Rouart et Watelin, Parigi, 1920 (si veda: https://archive.org/details/thories189019100deniuoft)

[45] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 152

[46] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 151

[47] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 163

[48] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 165

[49] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 167

[50] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 169

[51] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 170

[52] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 173

[53] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 188

[54] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 201

[55] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 204

[56] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 204-207

[57] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 190

[58] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 184

[59] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 190

[60] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 189

[61] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 191

[62] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 194

[63] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 198

[64] Uhr, Horst - Lovis Corinth, Berkeley, University of California Press, 1990 (Si veda: http://publishing.cdlib.org/ucpressebooks/view?docId=ft1t1nb1gf;brand=ucpress)

[65] Uhr, Horst - Lovis Corinth, citato, p. 227

[66] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 153

[67] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 154

[68] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 157

[69] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 158

[70] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 168

[71] Corinth, Lovis – Selbstbiographie, citato, p. 209

[72] Berend-Corinth - Charlotte, Mein Leben, citato pp. 21, 53 e ss., 65 e ss.

[73] Cultura tedesca a Firenze. Scrittrici e artiste tra Otto e Novecento, a cura di Maria Chiara Mocali, Claudia Vitale, Firenze, Le Lettere, pp. 285


[75] Berend-Corinth - Charlotte, Mein Leben, citato pp. 32-33

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