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mercoledì 28 maggio 2014

Caroline Palmer. Colour, Chemistry and Corsets: Mary Philadelphia Merrifield's 'Dress as a Fine Art'

Italian Version

Caroline Palmer
Colour, Chemistry and Corsets:

Mary Philadelphia Merrifield's Dress as a Fine Art



Note by Giovanni Mazzaferro
Hereafter is published the Italian translation of the article 'Colour, Chemistry and Corsets: Mary Philadelphia Merrifield's Dress a Fine Art' published by Caroline Palmer on the number 1 (January 2013) Volume 47 of the journal 'Costume'. All copyrights are headed to the publisher of the magazine (Maney Publishing) and the authoress; I thank them both for allowing me to present the Italian translation of the work. The essay by Caroline Palmer in English is available at http://www.maneyonline.com/doi/abs/10.1179/0590887612Z.00000000012.

This is also the third essay in the series dedicated to Mary Philadelphia Merrifield. The previous, noted on this blog are:

*  *  *
Fig. 1 Pagina di apertura del saggio di Mary Philadelphia Merrifield
'The Harmony of Colours as Exemplified in the Exhibition',
Art Journal Illustrates Catalogue (London: George Virtue, 1851), p. 1

L’armonia dei colori e il commercio: le belle arti, la scienza e il mercato

La Merrifield si deve essere guadagnata grande attenzione agli occhi di un pubblico più ampio quando fu invitata a scrivere un saggio sull’‘Armonia dei Colori’ per il prestigioso catalogo illustrato dell’Esposizione Universale, tenutasi al Crystal Palace nel 1851 [Fig. 1]. [1] Nel catalogo compariva in compagnia di personaggi famosi, come il critico d’arte Ralph Nicholson Wornum (1812-1877) e quattro professori di geologia, botanica, scienze e meccanica. Tutti gli autori sono descritti nella prefazione del catalogo come ‘autorità eminenti ed esperte’: una misura di quanto la Merrifield fosse riuscita a far crescere la sua reputazione grazie alle sue opere. [2]



Fu nel saggio pubblicato per l’Esposizione Universale che la Merrifield cominciò a muoversi verso il mondo della moda, attratta dal suo interesse per la teoria dei colori e per la sua applicazione nelle arti decorative, in particolar modo nel disegno dei tessuti. La Merrifield criticò i produttori inglesi presenti alla Mostra per il poco gusto mostrato nei loro spazi espositivi, ben peggiori di quelli di altri paesi in fatto di cromatismo. Mise in fila, esemplificandole, le ‘combinazioni coloristiche grezze e e sgradevoli’ usate dagli espositori britannici, come Monteith di Glasgow, i cui cotoni stampati producevano alla vista un effetto che era ‘così accecante da essere quasi doloroso’. [3] Effettuò un’analisi scientifica dei possibili modi per poter mostrare i tessuti e decise di mostrare come tali modi potessero essere resi più efficienti applicando le regole scientifiche basate sulle teorie del contrasto armonico fra i colori di Michel-Eugéne Chevreul, da poco tradotte in inglese. [4] In Inghilterra troppo spesso la resa coloristica era considerata ‘solamente una questione di gusto’ – si lamentò la Merrifield – piuttosto che una scienza governata da regole fisse che potevano essere studiate e imparate. Era sua opinione che, dal momento che era una questione di orgoglio nazionale, fosse vitale migliorare la sostanza delle cose attraverso un’appropriata educazione al design. [5]


Fig. 2) 'Bradford Court: le sezioni dei tessuti e della lana all'Esposizione Universale',
da Recollections of the Great Exhibition of 1851 (Londra, Lloyd Brothers and Co,, and Simpkin Marshall and Co., 1851). Cromolitografia e acquerello, Londra, Victoria and Albert Museum, 19538:9.


Oltre a questo approccio scientifico la Merrifield indirizzò anche i produttori inglesi allo studio di esempi di belle arti. Criticò la mancanza di un’adeguata formazione dei designer inglesi rispetto a quelli francesi e tedeschi, evidenziando il contrasto esistente fra il buon gusto coloristico dei pittori inglesi e l’evidente assenza dello stesso fra gli operatori commerciali. Il conseguimento di un buono e armonioso stile coloristico in pittura [n.d.r. – sosteneva la Merrifield-] è il risultato di lunghe osservazioni e di molto studio non solo della natura, ma anche delle opere di altri artisti; lo stesso percorso doveva essere seguito nella produzione di tessuti o non sarebbero stati conseguiti gli stessi risultati. [6]

La Merrifield non avvertì il bisogno di scusarsi per avere mescolato l’arte accademica con considerazioni di carattere commerciale o per aver tentato di divulgare il buon gusto seguendo questa strada. Considerava il giudizio estetico come un aspetto assolutamente democratico e aperto a tutti piuttosto che qualcosa di ristretto ad un cenacolo di conoscitori aristocratici nati con un qualche misterioso non so che che conferiva loro un istinto estetico. Non vi era distinzione né di classe né di genere, ma solo l’opportunità di fornire un’educazione. ‘Nove volte su dieci’ – dichiarò – ‘si troverà che il buon occhio significa l’occhio educato’. [7]. In questo modo legittimava anche il suo diritto di donna della classe media a partecipare ai dibattiti estetici come critica ben informata.

Per secoli gli scrittori satirici avevano accusato le donne di volgarizzare l’arte associandola al mondo del commercio. Le spettatrici donne, ad esempio, erano state accusate di scambiare le esibizioni d’arte come una sorta di grande mercato e di preferire i ritratti alla moda ai dipinti di storia frutto di un pensiero ‘alto’. [8]. La Merrifield, al contrario, cercò di innalzare il livello qualitativo dei prodotti commerciali introducendo nel campo le teorie artistiche, esattamente come avrebbe fatto più tardi con la moda. In questo senso il suo scritto riflette un atteggiamento man mano più attento nei confronti delle manifatture e delle arti decorative nella prima Inghilterra vittoriana.

Verso la fine del suo saggio, la Merrifield opera un attacco pungente nei confronti dei modelli berlinesi per i lavori in lana – ‘queste offese in forma di immagini’, come li descrive – e definisce ‘deplorevole’ il fatto che le signore debbano buttar via tanto tempo su di essi. A supporto delle sue tesi cita i commenti critici di Cheuvrel su questo popolare tipo di lavoro a ricamo, dichiarando che:

Se metà del tempo che le giovani signore sprecano per queste inutili fatiche fosse dedicato all’acquisizione della conoscenza dei principi che governano l’armonia dei colori […] sarebbero subito evidenti i benefici che si avrebbero in lavori utilizzabili a fini domestici, in termini di qualità e di maggior gusto. [9]

Quello che è interessante, in questo implicito attacco al gusto femminile, è che la Merrifield indica come lo studio della scienza e l’apprezzamento dell’arte tra le donne debba essere incoraggiato, perché si tratta di cose che avrebbero giovato alla casa. Piuttosto che convincere le donne ad abbandonare i loro doveri tradizionali, come molti temevano, la Merrifield notava che proprio questi studi avrebbero migliorato l’ambiente domestico. La conoscenza, da parte delle donne, dei principi scientifici ed estetici applicati alle arti decorative è quindi presentata come di diretto beneficio per la famiglia, e, per estensione, per la società britannica nel suo complesso.

Può darsi che sia stato l’interesse ad elevare il livello delle arti decorative per la casa che l’abbia più tardi condotta a produrre una serie di articoli dedicati al ricamo (o ‘fancy-work’) sull’Art Journal: ‘On Design, As Applied to Ladies’ Work’. [10] Ancora una volta, questi articoli enfatizzano l’importanza dell’armonia fra i colori basata su regole scientifiche e mirano ad educare le donne in fatto di gusto. In tutti i suoi scritti la Merrifield sottolinea i vantaggi ottenibili nell’istituire una connessione fra le belli arti, i principi scientifici e il mondo del commercio. Al contempo reclama maggior serietà e autorevolezza per i punti di vista delle donne nel regno del gusto.


Dagli affreschi alla moda: l’arte del vestire

Il concetto che l’educazione scientifica e artistica per le donne potesse incrementare il gusto nazionale e anche l’economia della nazione viene ulteriormente esplorato dalla Merrifield nei suoi scritti sulla moda. Quando, nel 1854, scrive il suo Dress as a Fine Art, la Merrifield è ben lungi dal proporsi con la modestia che ci si potrebbe aspettare da un’autrice vittoriana. Il suo nome appare con orgoglio sulla copertina, il suo status viene pubblicizzato come quello di un’autrice di successo di molti libri sull’arte e vengono enfatizzati anche i suoi riconoscimenti accademici: si indica che è stata eletta membro onorario dell’Accademia di Belle Arti a Bologna. [11]

Nel produrre l’opera, che si basava su una serie di articoli pubblicati in precedenza sull’Art Journal (nel 1852 e nel 1853), la Merrifield affrontava un argomento tradizionalmente etichettato come legato alla frivolezza delle donne e lo innalzava per associazione al livello delle belle arti e della scienza, dimostrando vasta conoscenza in entrambi i settori. [12] Di formato piccolo e scarno, l’opera fu pubblicata, per appena 2 shilling e 6 pennies, come parte della collana ‘Railway Reading Series’ da Arthur, Virtue & Co, editori dell’Art Journal. Nonostante l’aspetto modesto l’opera aveva grandi ambizioni, mirando ad educare un pubblico di massa nelle questioni legate all’arte e al gusto e a liberare l’abbigliamento dal ‘dispotismo’ dalle esagerazioni delle mode passeggere – da tutte le ‘deformità e le eccentricità di questo mostro dalle molte facce, la moda’. [13] La Merrifield criticava quella che lei considerava come l’ossessione contemporanea per la novità e il capriccio, e raccomandava alle donne di concentrarsi piuttosto nell’adattare le mode alle loro forme, alla loro età, alla loro carnagione, tenendo conto di aspetti pratici come quanto caldo facevano i vestiti e la facilità di movimento che consentivano. I modelli migliori – insisteva – erano quelli che si tenevano a distanza dalle mode contemporanee e aderivano invece al principio generale di dare importanza alle forme naturali, dateci da Dio: spalle strette e fianchi larghi per le donne e spalle larghe con fianchi stretti per gli uomini (pp. 11-12, 30).

La prefazione per un’edizione americana rivela l’impatto avuto dal libro. Di esso si dice che ‘ha ricevuto in Inghilterra l’approvazione incondizionata propria delle migliori pubblicazioni; interi capitoli ne sono stati copiati nei periodici contemporanei’. [14] L’opera affrontava gli aspetti legati alla moda per il vestiario, le acconciature, i cappelli e le calzature, l’uso dei motivi decorativi e degli ornamenti e l’armonia dei colori. Una sezione particolarmente popolare si concentrava inoltre sull’abbigliamento per i bambini, con posizioni particolarmente critiche riservate ai vestiti poco pratici e manifestamente poco salutari imposti alle giovani donne. Con riferimento ai vestiti che lasciavano le spalle scoperte, ad esempio, la Merrifield si lamentava che facevano sembrare le giovani donne dei bruchi che stanno uscendo dal loro bozzolo (pp. 107-25, in particolare 108).

Nella parte iniziale del libro, la Merrifield prendeva in considerazione le differenti caratteristiche della moda nella storia, illustrando le sue osservazioni con incisioni tratte da quadri antichi (Figura 3). Non era la prima a stabilire questo tipo di legame fra arte e costume, posto che spesso chi scriveva sui periodici discuteva di vestiti in termini di arte e viceversa. [15]. C’era stata anche, poco tempo prima, una serie di pubblicazioni sul costume nella storia. La Merrifield fece esplicito riferimento, per esempio, a un saggio di Elizabeth Rigby (1809-1893) pubblicato sulla Quarterly Review dal titolo ‘The Art of Dress’ (1847). Parte del saggio si concentrava su come la moda era rispecchiata in pittura da Holbein a Reynolds. [16] Seguendo l’esempio della Rigby, il lavoro della Merrifield si concentrava sull’importanza di applicare i principi delle belle arti alla moda contemporanea, ed è possibile che questo saggio abbia ispirato la Merrifield ad approfondire il tema. Sia per la Rigby sia per la Merrifield il punto vitale era che l’abbigliamento doveva essere abilmente adattato alle caratteristiche dell’individuo piuttosto che seguire il dettato delle mode mutevoli. Riecheggiando il teatro classico, la Rigby promosse quelli che denominò i tre ‘grandi principi’ della moda che una donna doveva sempre osservare: ‘la propria corporatura, la sua età e le sue specificità!’ [17] Sia nell’una sia nell’altra vi era inoltre una considerevole componente religiosa a determinare i loro giudizi sulla moda, con un’enfasi morale sull’importanza dell’onestà e della semplicità.

Fig. 3 Mary Philadelphia Merrifield. 'Anna, Contessa di Chesterfield - Vandyck', probabilmente basata su un particolare dal ritratto di Katherine, Contessa di Chesterfield, e Lucy, Contessa di Huntington ad opera di Anthony van Dyck (1636). Illustrazione da Dress as a Fine Art (Londra: Arthur Hall, Virtue and Co., 1854), p. 58, 9,2x 4,5 cm


Il saggio della Rigby era stato scritto a sua volta in seguito alla History of British Costume (1834) di James Palncheé e a The Book of Costume (1846) di una ‘Lady of Rank’ [n.d.t. signora di rango] (Mary Margaret Egerton], che miravano entrambi ad innalzare il livello degli studi sulla moda. Plancheé (1796-1880) aveva scritto il suo libro innanzi tutto per i romanzieri, gli attori e gli artisti, per incoraggiarli a porre maggiore accuratezza storica nella descrizione dei costumi. [18] La Egerton (1801-1858), d’altro canto, aveva posto in particolare risalto l’importanza ben più ampia della moda facendo presente che, ben al di là dall’essere solo una questione legata alla vanità femminile, riguardava ‘il livello di civilizzazione di una società, comprendendo anche gli interessi per le arti e il commercio’. Ebbe modo di affermare che la moda era vitale per la prosperità di una nazione e quindi meritevole di studio da parte di esperti, statisti e uomini d’affari, così come da parte del ‘gentil sesso’. [19] Si tratta di un concetto successivamente sviluppato nel lavoro della Merrifield.

In Dress as a Fine Art troviamo molti riflessi delle teorie del gusto già espresse dalla Merrifield nel suo saggio sull’Esposizione Universale, con il medesimo impulso patriottico verso il raggiungimento dell’obiettivo. Come nel caso del modo in cui i produttori di tessuti britannici avevano esposto i loro prodotti alla Mostra, l’abbigliamento delle signore inglesi viene criticato in quanto inferiore a quello delle straniere. Le signore inglesi sembrano dei pavoni eccessivamente rilucenti nei loro ‘colori vistosi o appariscenti’ (pp. 127-29). Lo scopo principale per cui veniva scritto il libro era di ristabilire la reputazione della nazione in fatto di buon gusto, incoraggiando presso le donne britanniche una comprensione complessiva dell’armonia dei colori, ‘fondata sull’osservanza di certe leggi di natura’ (p. 2). La Rigby, da par suo, aveva difeso le donne inglesi, giudicando il loro gusto superiore a quello delle straniere (anche delle francesi!). E’ interessante notare peraltro come la Merrifield critichi il fatto che il colore sia usato nell’abbigliamento come un indicatore di rango sociale o dell’appartenenza ad una parte politica, mentre la Rigby giudichi il mantenimento di distinzioni nell’abbigliamento fra classi sociali come di vitale importanza. Queste differenze fra le due scrittrici riflettono probabilmente diverse formazioni culturali, con la Rigby su posizioni più conservatrici perché di estrazione sociale superiore rispetto alla Merrifield.

Sviluppando gli argomenti già presentati nel saggio sull’Esposizione Universale, la Merrifield usa regole scientifiche per dar forza ai suoi giudizi estetici, discutendo dell’armonia dei colori in relazione all’abbigliamento e alla carnagione della pelle. Spiega i principi fondamentali del contrasto armonico fra i colori – citando Chevreul e lo scrittore di ottica Sir David Brewster (1781-1868) – e li applica alla moda (pp. 132-41). La più nota scrittrice di moda Mary Haweis (1848-1898) ripeterà molte delle informazioni da lei fornite nel suo The Art of Dress (1879), riutilizzando un’illustrazione praticamente identica per spiegare lo schema dei colori complementari (Figura 4).


Fig. 4 Mary Philadelphia Merrifield, 'Diagramma - Colori contrastanti o che si compensano',
illustrazione da Dress as a Fine Art (1854), p. 136, 4,5 x 5,5 cm


Come nel caso delle arti decorative, la Merrifield auspica che le capacità degli operatori del mondo delle belle arti possano essere combinate con le risultanze scientifiche per raffinare la moda femminile. Si chiede: ‘L’abbigliamento non è forse un’arte manifatturiera come fare un servizio da caffè o da tè?’ (pp. 96-97). Ogni commento che presenta sulla moda è quindi accompagnato da esempi tratti dalla pittura o dalla scultura. Nel criticare l’uso dei vestiti corti, ad esempio, ci dice che, nel caso di quelle signore che sono avanti cogli anni, sono ‘disgustosi’,

sia che le loro forme si siano ingrossate in maniera talmente eccessiva da far sembrare in confronto le figure femminili di Rubens snelle e minute, sia che la pelle, diventa giallastra, si sia afflosciata sostituendosi ai muscoli asciutti del collo, facendo tornare alla mente uno di quelle vecchie donne che alcuni dei Maestri italiani erano soliti inserire nelle loro opere per rafforzare il contrasto con la bellezza delle figure principali. (pp. 13-14)

L’ampiezza della gamma dei riferimenti della Merrifield è stupefacente, posto che riesce a mescolare la scultura classica e le pitture degli Antichi Maestri con le illustrazioni della moda contemporanea e le stampe satiriche. Nell’esprimere tutta la sua antipatia per le sottogonne a cerchio, per esempio, l’autrice mette a confronto le vesti eleganti e fluenti dei ritratti femminili di Van Dyck con la stampa di Hogarth intitolata Taste in High Life (1742) e le illustrazioni di moda tratte da Le Moniteur de la Mode (pp. 60-64). (Figura 5). I commenti della Merrifield sono spesso assai divertenti: ad esempio, le moderne maniche a zampa di montone [n.d.t. cfr. ‘Gigot’ in http://georgianagarden.blogspot.it/2010/12/tipi-di-maniche.html] sono così larghe sulle spalle che le signore potrebbero essere scambiate per ‘l’Ercole Farnese in sottogonna’ o per un ‘covone di fieno con una testa in cima’ (pp. 52, 12) (Figura 6). La gamma degli esempi presume un alto livello di conoscenza dell’arte da parte del pubblico che legge, ma il testo è reso più accessibile dai riferimenti alle incisioni delle opere pubblicate sull’Art Journal e, in un caso, ad un intaglio tratto dall’Illustrated London News.

Figura 5 Mary Philadelphia Merrifield. A sinistra: 'La gonna a cerchio secondo Hogarth' , basata su un particolare dall'incisione di William Hogarth Taste in High Life (1742). A destra: 'Costumi moderni francesi', basati su Jules David, Le Moniteure de la Mode. Illustrazioni tratte da Dress as a Fine Art (1854), pp. 62-63; 5,2 x 7,5 cm; 8,3 x 9,2 cm

Figura 6 Mary Philadelphia Merrifield, 'Maniche alla Gigot, da un'opera francese',
illustrazione tratta da Dress as a Fine Art (1854), p. 52, 9,7 x 7,8 cm

In tutta l’opera la Merrifield mette in discussione i soliti stereotipi sulla preferenza delle donne per gli estremi nella moda contrapponendovi ed esaltando l’importanza della finezza, in pieno accordo con i principi presentati nei trattati di belle arti dell’epoca. Le sue raccomandazioni contestano sempre con forza l’associazione tradizionale del gusto femminile con gli eccessi stravaganti , gli ornamenti elaborati e i colori squillanti ed artificiali. Preferisce le forme semplici, ‘caste’ e graziose, rifiutando le distorsioni assurde provocate dai ‘busti odiosi’ e dalle larghe crinoline di cui erano pieni tutti i libri di moda contemporanei (pp. 33-35). Ancora una volta riecheggiando i trattati d’arte, la Merrifield insiste affermando che tutti gli ornamenti nei modelli dei tessuti e delle vesti dovrebbero essere appropriati ed utili, come nel caso dell’abbigliamento dei Quaccheri. In particolare ella loda gli abiti dei Quaccheri perché appaiono essere puliti, decorosi e smorzati nei colori, senza eccessivi fronzoli (pp. 79-81, 92). La Rigby, al contrario, non aveva tempo per le religioni dissenzienti, elemento che è espresso dalla sua descrizione dai toni abbastanza caustici del loro abbigliamento dimesso. [20]

Soprattutto, la Merrifield esalta alcuni pittori in particolare come modelli ideali per la moda. Esattamente come nell’articolo della Rigby, lo stile del primo XVII secolo di Van Dyck è visto come uno dei più eleganti che siano mai stati testimoniati dalla pittura. Entrambe le scrittrici, invece, condividono l’antipatia per i modelli ‘irragionevoli’ del XVIII secolo, testimoniati dalle modelle di Gainsborough, con le loro ‘ vesti voluminose e svolazzanti, le acconciature scarmigliate e gli enormi cappelli’ (pp. 74, 79). (Figura 7). [21] Tutte e due, al contrario, vedono Reynolds come un maestro della compostezza classica, attribuendo ‘all’abilità e al buon gusto dei pittori’ (p. 78) il ritorno di modelli eleganti nell’ultima parte del XVIII secolo. [22] I pittori moderni sono anch’essi usati come esempi da emulare, suggerendo ad esempio che il petto di una donna è raffigurato nella maniera migliore possibile se coperto con modestia da una veste bianca (p. 14). (Figura 8). In proposito, la Merrifield cita i Pilgrims Arriving in Sight of Rome di Charles Eastlake (1827, Tate Britain, Londra) e l’Italian Mother Teaching her Child the Tarantella (1842, Victoria and Albert Museum, Londra).

Figura 7 Mary Philadelphia Merrifield, 'Signora con cappello a tesa larga', basata probabilmente su un particolare di Thomas Gainsborough, Mr e Mrs William Hallett: 'La passeggiata mattutina' (1785).
Illustrazione da Dress as a Fine Art (1854), p. 80, 9,4 x 5,4 cm

Figura 8 Mary Philadelphia Merrifield, 'Vestito italiano'. Illustrazione da Dress as a Fine Art (1854), p. 15; 5,4 x 4 cm

La Merrifield sperava che, studiando le opera di artisti simili, le donne imparassero a valorizzare le loro doti naturali con strumenti mutuati dall’arte, attraverso le combinazioni armoniche dei colori e l’utilizzo sapiente delle vesti, piuttosto che usando accorgimenti artificiali, come il trucco del viso o la tintura dei capelli: ‘Nessun inganno deve essere praticato, nessun artifizio impiegato oltre a quello che viene esercitato dal pittore, che […] seleziona i colori che meglio stanno in armonia tra di loro’ (p. 2). E ancora ci dice che armonizzare le tinte delle vesti con quelle della propria carnagione naturale suscita un’impressione molto più favorevole su chi ci guarda che una qualsiasi carnagione artificiale.

Qui incontriamo il concetto a tutti familiare della donna come opera d’arte, da essere mostrata e vista, ma con le donne sempre più incoraggiate ad innalzarsi al livello di oggetti d’arte realizzati con buon gusto piuttosto che a bambole alla moda puramente commerciali. La Merrifield assicurava le donne che assomigliando ai modelli composti con attenzione nei quadri degli Antichi Maestri piuttosto che ai ritratti ‘da quattro soldi’ spesso criticati dai critici d’arte avrebbero attratto esclusivamente lo sguardo ammirato dei veri conoscitori.


I busti e il buon gusto

Mentre insisteva sul fatto che l’arte potesse fornire buoni esempi, la Merrifield additava anche l’influenza potenzialmente corruttiva delle immagini sulle mode femminili. In particolare criticò aspramente gli illustratori di moda uomini perché incoraggiavano la pratica ‘perniciosa’ dei busti annodati in maniera strettissima, uno dei temi più importanti della sua pubblicazione. Ciò non solo era cagionevole per la salute, ma brutto – insisteva la Merrifield – perché distorceva le proporzioni naturali del corpo in maniera pù ‘barbara’ di quanto facessero i Cinesi legando i piedi delle loro bambine (p. 16). La Merrifield accusò le riviste di moda di offrire alle loro lettrici delle ‘calunnie sulla bellezza delle forme’.

Un occhio abituato allo studio della natura poteva a stento osservare, molto più che imitare, le mostruosità di un gusto depravato che screditavano le varie pubblicazioni che aspiravano a divulgare l’ultimissima moda. Quello non abituato rischiava di venir sedotto dall’atmosfera patinata di quelle illustrazioni che, ‘come il canto delle Sirene […] conduceva solo al brutto’ (p. 104).


La Merrifield supplicò artisti maschi, come Horace Vernet (1789-1863) e Jules David (1808-1892), che spesso operavano in qualità di illustratori di moda, di non perpetuare immagini tanto distorte, perché avrebbero persuaso le loro ‘vittime sfortunate’ a stringere i loro busti e a spremere i loro piedi dentro scarpe scomode, ‘senza alcun riguardo per i calli’ (p. 105). Criticò inoltre i ritrattisti maschi perché ‘alimentavano la vanità e il cattivo gusto’ mostrando piedi così innaturalmente piccoli nelle loro immagini di donne (pp. 104-05, 65-68). [23] Così, mentre chi scriveva sui periodici se la prendeva con le donne per le artificialità e gli eccessi che mostravano in fatto di moda, la Merrifield indirizzò invece il suo attacco sugli artisti e gli illustratori di moda maschi. Il cattivo gusto femminile non era innato – diceva l’autrice -, ma causato da esempi così pericolosi.

In disaccordo con la moda contemporanea dei corsetti allacciati stretti per stringere la vita, la Merrifield fu radicale nel raccomandare di indossare vestiti larghi e comodi, com’è necessario per muoversi naturalmente. Lodò gli abiti moderni greci, turchi ed algerini (Figura 9) con le loro vesti meno aderenti e osservò che erano sempre stati uno dei soggetti preferiti dai pittori (pp. 30-40). [24] Confrontò fra loro la Greek Girl di Charles Eastlake (1827, Tate Britain, Londra) con la Syrian Maid di Henry William Pickersgill (in mostra nel 1837 alla Tate Britain, Londra) che appariva ‘rigida e costretta’ perché sembrava che il pittore le avesse dato un corsetto (pp. 39-40). Anche se non rigettava del tutto i corsetti, la Merrifield scoraggiava l’utilizzo dei modelli che dovevano essere allacciati in maniera estremamente stretta, specie per le ragazze giovani (pp. 41, 116, 118-20) (Figura 10). Il canto poteva migliorare l’aspetto fisico ‘più di qualsiasi busto al mondo’ – insisteva -, mentre ‘montare le creme, impastare i biscotti e il pan di zenzero’ avrebbero costituito un esercizio adatto per i muscoli (pp. 41, 30). Non solo forme femminili più naturali sarebbero state più salutari per le donne stesse, ma sarebbe stato di beneficio anche per la comunità artistica, che aveva difficoltà a trovare modelle con vite non compresse artificialmente: ‘ad ulteriore conferma della prevalenza di questa cattiva abitudine, potremmo rifarci ai quadri di [William] Etty, in cui questo difetto è davvero troppo appariscente’ (p. 19). La Merrifield riconobbe che si era creato un circolo vizioso, in cui corpi artificiali dipinti in arte avevano corrotto i costumi delle donne e i corpi deformati delle donne avevano rovinato il nudo artistico.

Fig. 9 Mary Philadelphia Merrifield, 'Popolana della zona di Atene'.
Illustrazione da Dress as a Fine Art (1854), p. 31, cm. 8,7 x 4

Fig. 10 Mary Philadelphia Merrifield, 'Figure che mostrano gli effetti dei busti allacciati stretti'.
Illustrazione da Dress as a Fine Art (1854), pp. 26-27, cm. 5,5 x 7 e 6 x 7

In atto di sfida la Merrifield raccomandò anche l’utilizzo dell’abbigliamento Bloomer (Figura 11), nonostante quest’ultimo fosse stato oggetto di una satira feroce sulla stampa contemporanea (pp. 81-84). Questo tipo di abbigliamento era stato presentato a Brighton nel novembre del 1851 ed è realisticamente possibile che Mrs Merrifield partecipasse all’incontro [25]. La Merrifield spiega che le idee promosse da Amelia Bloomer (1818-1894) [n.d.r. in fatto di abbigliamento] non erano state recepite, nonostante il pregio di essere pratiche, perché rappresentavano un cambiamento troppo improvviso e perché i colori scelti erano troppo sgargianti. L’abbigliamento era fondamentalmente americano e democratico – disse la Merrifield – e quindi non incontrò il favore degli inglesi, che preferivano che la loro moda fosse aristocratica e francese. In questo contesto l’atteggiamento della Merrifield, rivolto al futuro, riflette uno spostamento nei manuali e nei periodici dedicati alla bellezza delle donne, come nel pensiero medico, verso la bellezza naturale ottenuta attraverso uno stile di vita sano piuttosto che con strumenti artificiali. Contemporanea di Barbara Leigh Smith Bodichon (1827-1891) e del Gruppo di Langham Place, la Merrifield anticipò quindi le campagne della Rational Dress Society, fondata nel 1881, e dell’Aesthetic Dress degli anni ’80 e ’90 dell’Ottocento.


Figura 11 Mary Philadelphia Merrifield, 'Mrs. Bloomer'. Illustrazione da Dress as a Fine Art (1854), p. 82, cm. 10,2 x 4,3

Come nel caso delle arti applicate, la Merrifield era convinta che la strada per contrastare la moda dannosa dei corsetti allacciati troppo stretti fosse di far familiarizzare le donne con i più bei esempi dell’arte ed era convinta che tale conoscenza potesse essere acquisita in massima misura ‘attraverso la contemplazione di belle pitture e sculture’ (p. 23). Insisteva dicendo che né le antiche sculture greche né i grandi maestri italiani avevano mai dato importanza alle vite strette. Offri una serie infinita di esempi di bellezze ‘coi fianchi larghi’, compresa la Venere Medici, la Psyche di William Theed e la statua della Regina Vittoria di John Gibson (tutte quante apparse in illustrazione sull’Art Journal nel corso del 1851) (pp. 26-8, 41). Anche se, ovviamente, le opere d’arte originali non erano accessibili a tutti, l’autrice fece notare che incisioni delle statue e dei dipinti più belli, così come piccole ed economiche copie in gesso erano facilmente reperibili. In particolare la Merrifield raccomandò un gesso della Greek Slave, di Hiram Powers (1805-1873), che poteva essere acquistato per appena uno shilling. ‘ Una di queste statuette […] si dovrebbe trovare nella toilette di ogni ragazza che desideri comprendere e conoscere le proporzioni e la bellezza della figura umana’ (pp. 23-24) (Figura 12). Esposta alla Mostra Universale tenutasi al Crystal Palace nel 1851, la statua aveva fatto clamore. Fu considerata di particolare interesse per le visitatrici e ebbe un peso non banale nel promuovere il movimento contro la schiavitù. [26] Per la Merrifield, tuttavia, la sua importanza consisteva nell’essere uno strumento educativo per rammentare alle giovani donne i mali dei corsetti.

Fig. 12 Minton, Hollis and Co., Statuetta de La Schiava greca, 1862 (prodotta nel 1848 come copia dalla statua del 1843 di Hiram Powers), porcellana dell'isola di Paro, cm. 35,4 x 11 x 9,9.
Londra, Victoria and Albert Museum, CIRC. 90-1968, dono di C.H. Gibbs-Smith

Nell’opinione della Merrifield l’essenziale era che chiunque comprendesse le leggi naturali delle forme e delle proporzioni. Per questo espresse in maniera radicale il desiderio che le conoscenze artistiche fossero condivise fra tutte le classi, nella convinzione che l’accesso universale all’arte potesse essere di beneficio per la società nel suo complesso:

Noi aspiriamo a un giorno in cui l’educazione artistica sia estesa a tutte le classi, quando la conoscenza del bello sarà aggiunta a quella dell’utile e quando il buon gusto […] detterà le nostre mode nell’abbigliamento così come in altre cose […]. Speriamo che lo studio delle forme venga ulteriormente esteso […] ed entri nello schema generale dell’educazione. (pp. 95-96).

Si lamentò che lo studio delle forme fosse stato limitato, sino ad allora, ai soli uomini; questi ultimi avevano il vantaggio delle lezioni e degli studi accademici, mentre l’educazione delle donne era ‘sempre ottenuta fra mille difficoltà’. Insistette sul fatto che ad ogni giovane donna si dovesse dare ‘una conoscenza generale delle forme e dei principi della bellezza con riferimento al corpo umano’ (p. 22). In totale disaccordo con chi si poneva scrupoli su ciò che le donne potevano o non potevano vedere, la Merrifield rifiutò assolutamente il luogo comune che le donne dovessero essere protette dalla vista di corpi femminili nudi. Certa gente – dichiarò – era ‘così ottusa’ da ritenere che l’osservazione delle statue prive di vesti fosse ‘contraria alla delicatezza e alla purezza dell’animo femminile’, ma ella sperava che ‘la parte pensante della società’ convenisse con lei che ciò poteva solo apportare benefici:

Mentre siamo assolutamente d’accordo sull’opportunità che vi siano scuole separate per maschi e femmine, noi siamo convinte che la conoscenza delle forme dovrebbe essere trasmessa a tutte le persone, e che le giovani donne non saranno mogli o madri peggiori per il fatto di comprendere il funzionamento del corpo umano e per aver acquisito la capacità di apprezzarne le sue bellezze. (pp. 22-23)

Esattamente come per il saggio sull’Esposizione Universale, la Merrifield ritiene che lo studio dell’arte e i doveri femminili siamo perfettamente compatibili. Anche se i suoi scritti si muovono all’interno delle logiche prevalenti di decoro e femminilità accettabile, le sue richieste erano, a quell’epoca, rivoluzionarie e proto-femministe. A suo parere, lo studio dell’arte aveva la potenzialità di produrre cambiamenti positivi nella vita delle donne povere. A differenza di Haweis, che si dimostrò sprezzante sull’ignoranza degli operatori della moda, la Merrifield insistette perché in particolare le sarte potessero beneficiare dello studio del design. ‘Ora, supponiamo soltanto che chi disegna i vestiti abbia la conoscenza del pittore sulle forme e sull’armonia di linee e colori; ci rendiamo conto di che rivoluzione si produrrebbe nell’abbigliamento?” (p. 98). Collegandosi a ciò, l’autrice si scagliò contro le misere paghe delle sarte, ‘schiave bianche’ che lavoravano duramente esattamente come i carpentieri e gli imbianchini, ma che erano pagate la metà, semplicemente perché erano donne. ‘Quale ragione potrebbe essere addotta – si chiedeva – perché il lavoro di una donna, se egualmente ben fatto non debba essere pagato quanto quello di un uomo?’ (p. 102). L’educazione artistica non era vista come un cimento destinato ad autocompiacere le signore della classe media, ma come uno strumento vitale per migliorare il tenore di vita delle classi povere. La Merrifield raggiunge il massimo del suo radicalismo quando suggerisce che le donne dovrebbero svolgere anche un ruolo professionale, tenendo lezioni nelle scuole femminili per migliorare, moda, design e illustrazioni (p. 106). In tal modo – afferma – lo studio di arte e moda da parte delle donne potrebbe condurre a profondi miglioramenti sociali.

Proprio come la Egerton e la Rigby, la Merrifield contestava in maniera ferma la percezione comune che l’interesse per l’abbigliamento fosse solo un capriccio femminile. Concentrandosi soprattutto sul legame fra tale interesse e gli studi artistici e scientifici conferì alla materia molta maggiore importanza:

Con riferimento alla questione della vanità e della frivolezza, noi riteniamo che una persona che studi l’armonia dei colori così come applicata all’abbigliamento […] assorbirà un tale amore per lo studio che il suo animo, invece di esserne corrotto, potrà giungere, passo dopo passo, a indagare i fenomeni magnifici della natura e, dallo studio della moda potrà sollevarsi fino allo studio della filosofia della natura. (p. 173)

In questo senso – dichiarò la Merrifield – la moda poteva condurre, attraverso l’intermediazione dell’arte, fino alla scienza.


Conclusioni

Questo è proprio ciò che sembra essere successo nel suo caso specifico. Nel 1857 a Mrs. Merrifield fu concessa una pensione civile in riconoscimento dei servizi che aveva reso all’arte, ma a questo punto, ironicamente, smise di scrivere d’arte preparando invece guide alla sua città di residenza (Brighton) e studiando la storia naturale. [27] Per i vent’anni successivi trasferì la sua attenzione alla botanica, in particolar modo alle alghe marine, e riuscì anche a far dare il suo nome ad una di queste: la Rityphlea merrifildiae. Scrisse articoli per giornali scientifici, come Nature e collaborò nell’allestimento di esposizioni di storia naturale per il Museo di Brighton, ora trasferito al Booth Museum. [28]  Mantenne inoltre immutate le sua capacità di traduttrice, imparando il danese, il norvegese e lo svedese per poter leggere la letteratura in materia. Sull’Oxford Dictionary of National Biography è catalogata innanzi tutto come algologa, anche se nel censimento del 1881 lei stessa registrò la sua occupazione come ‘Autrice di opere sull’arte’. [29] Lo spostamento indolore della Merrifield dall’arte alla scienza mostra come all’epoca questi due campi fossero strettamente collegati fra loro nella percezione della gente. Come scrisse la contemporanea storica dell’arte Anna Jameson (1794-1860): ‘l’una è l’anima dell’altra. L’uomo di grande scienza è un vero critico d’arte’. [30] Per la Merrifield l’abbigliamento fu un’area in cui entrambi questi aspetti gemelli della conoscenza confluivano insieme, offrendo l’opportunità di educare il gusto pubblico. Come molte donne della prima età vittoriana la Merrifield nutrì scopi filantropici e utilizzò le sue conoscenze nell’arte e nella scienza al servizio di una comunità più ampia. [31] A dire il vero, fu proprio questo desiderio pratico di giovare alla società che spesso giustificava in quel periodo il fatto che le donne scrivessero libri. Il suo contributo è peraltro tipicamente ‘femminile’ per l’epoca, nel senso che è sorretto dal concetto di dovere pubblico; tutti i suoi scritti, siano essi sulla moda, gli affreschi o la botanica, sono presentati con la dichiarazione di un alto senso morale e spirito patriottico più che per desiderio di fama personale. Tuttavia, anche se il suo lavoro tende a rimanere nell’ambito della visione largamente convenzionale della donna come utile contributrice, certi aspetti degli scritti della Merrifield (in particolare sulla moda) sembrano rivoluzionari. E’ particolarmente radicale la sua visione dell’abbigliamento come un’area grazie alla quale le donne possono trasformare la sfera pubblica, contribuendo attivamente alla reputazione e alla prosperità economica della nazione.

Anche se non sembra che abbia avuto le frequentazioni vantaggiose di molte altre donne scrittrici dell’epoca, la Merrifield pensò chiaramente che il suo sesso e la sua appartenenza alla classe media non fossero di barriera alcuna alla sua partecipazione alla cultura scritta e lei è la dimostrazione di come le donne vittoriane potessero acquisire una notevole considerazione semplicemente grazie alle loro pubblicazioni, rimanendo al di fuori dei circoli professionali. Le recensioni contemporanee delle opere della Merrifield mostrano grande rispetto nei confronti dei suoi risultati ed è evidente che era ammirata non solo nelle cerchie erudite ma anche come scrittrice d’arte e nell’ambito della comunità scientifica, a dispetto della sua mancanza di status professionale.

Successivamente sottovalutata, forse perché di difficile ‘classificazione professionale’, la Merrifield si merita di essere posta molto più al centro nella storia dell’Inghilterra del diciannovesimo secolo. Io ho mostrato che, ben lungi dall’essere una mera traduttrice (come spesso viene presentata) aveva dato un importante contributo ai dibattiti sui materiali e sulle tecniche pittoriche, sulla diffusione della teoria dei colori e sulla considerazione della moda in termini estetici. Questo articolo ha indicato in particolare come il suo approccio ‘scientifico’ e solidamente razionale alla moda abbia aiutato ad avvalorare il gusto femminile e a controbattere al luogo comune di lunga data secondo cui le donne erano interessate solo a una ‘pigra frivolezza’


NOTE 

[1] Mary Philadelphia Merrifield, ‘The Harmony of Colours as exemplified in the Exhibition’, Crystal Palace Exhibition Illustrated Catalogue (Londra, 1851), pp. I-VIII; pubblicato in origine come numero speciale della rivista Art Journal.

[2] Prefazione, Chrystal Palace Exhibition Illustrated Catalogue, p. V.

[3] Merrifield, ‘The Harmony of Colours’, p. V.

[4] Michel-Eugène Chevreul, De la loi du contraste simultané des couleurs (Parigi, 1839), tradotto da Charles Martel come The Principles of Harmony and Contrast of Colours (Londra, 1854).

[5] Merrifield, ‘The Harmony of Colours’, p. I-II, VIII.

[6] Merrifield, ‘The Harmony of Colours’, p. VIII.

[7] Merrifield, ‘The Harmony of Colours’, p. I.

[8] John Barrell, The Political Theory of Painting from Reynolds to Hazlitt (New Haven e Londra: Yale University Press, 1986), pp. 65-68; Caroline Palmer. ‘Women Writers on Art and Perceptions of the Female Connoisseur. 1780-1860’ (tesi di dottorato inedita, Oxford Brookes University, 2009), pp. 37-39.

[9] Merrifield, ‘The Harmony of Colours’, pp. VI-VII.

[10] Art Journal (Febbraio, Marzo e Maggio 1855), pp. 37-41. 73-75, 133-37. La Merrifield divenne inoltre una regolare collaboratrice dell’Home Companion: Daily News, 5 ottobre 1855, numero 2927.

[11] Nel 1853 divenne anche membro della Royal Society of Arts.

[12] ‘On the Harmony of Colours in its Application to Ladies’ Dress’, Art Journal, vol. 14 (Gennaio-Aprile 1852); (Gennaio-Aprile, Giugno, Agosto, Settembre 1853), parti I-VII. Gli articoli erano correlate con un altro articolo sul vestiario dei bambini apparso sullo Sharpe’s London Magazine. Stando a quanto scritto nella prefazione, i saggi erano inoltre stati pubblicati sull’americano Godey’s Lady’s Book.

[13] Mary Philadelphia Merrifield, Dress as a Fine Art (Londra, Arthur Hall, Virtue and Co., 1854), p. 96. Da qui in poi i riferimenti alle pagine di questo libro saranno forniti all’interno del testo.

[14] Dress as a Fine Art (Boston: John P. Jewett & Co. 1854), p. III.

[15] Naturalmente più tardi, nel corso del secolo, arte e moda divennero sempre più legate nel concetto di estetica del vestire.

[16] [Elizabeth Rigby] ‘The Art of Dress’, pubblicato prima sulla Quarterly Review, no. 79 (Marzo 1847), 372-99 e ristampato col titolo di Music, and the Art of Dress (Londra, John Murray, 1852), pp. 95-110. La Rigby sposò Charles Eastlake nel 1849, divenendo Lady Eastlake nel 1850, ma sia il saggio sia il libro furono pubblicati anonimi. Si veda Susanna Avery-Quash e Julie Sheldon, Art for the Nation. The Eastlakes and the Victorian Art World (Londra, National Gallery, 2011); The Letters of Elizabeth Rigby, Lady Eastlake, a cura di Julie Sheldon (Liverpool, Liverpool University Press, 2009).

[17] Rigby, Music, and the Art of Dress, p. 73.

[18] James R. Planché, History of British Costume, from the Earliest Period to the Close of the Eighteenth Century (Londra, C. Knight, 1834), pp. XII-XIII.

[19] ‘Prefazione’, [Mary Margaret Egerton], The Book of Costume: Or, Annals of Fashion: From the Earliest Period to the Present Time (Londra, Henry Colburn, 1846). La Egerton, contessa di Wilton, era figlia del Conte di Derby e dell’attrice Elizabeth Farren.

[20] Rigby, Music, and the Art of Dress, pp. 67, 71-72.

[21] Rigby, Music, and the Art of Dress, pp. 99-102.

[22] Rigby, Music, and the Art of Dress, pp. 104-06.

[23] La Merrifield sostenne che piedi bellissimi si potevano trovare solo tra gli Egizi e le donne Indù.

[24] Molte delle sue illustrazioni esemplificative erano disegnate da Trachten und Gebräuche der Neugriechen (Roma, 1825, Berlino, 1831).

[25] Helena Wojtczak, Women of Victorian Sussex (Hastings: Hastings Press, 2003), pp. 36-37.

[26] Alison Smith, The Victorian Nude: Sexuality, Morality and Art (Manchester: Manchester University Press, 1996), pp. 82-84; Deborah Cherry, Beyond the Frame: Feminism and Visual Culture, Britain 1850-1900 (Abingdon: Routledge, 2000), pp. 110-11.

[27] Mary Philadelphia Merrifield, Brighton, Past and Present. A Handobook for Visitors and Residents, Brighton (1857); A Sketch of the Natural History of Brighton and its Vicinity (Brighton, 1860).

[28] Il suo erbario fu conservato al Natural History Department del British Museum e si trova al Natural History Museum. La Plant Sciences Library, Università di Cambridge, conserva sua corrispondenza relativa soprattutto al suo erbario (GB/NNAF/P131989). La Merrifield diede anche il suo contributo alla collezione dei Royal Botanic Gardens a Kew.

[29] Census Returns of England and Wales, 1881, Kew, Surrey, England: The National Archives of the UK (TNA): Public Record Office (PRO), 1881. Class: RG11; Piece: 1663; Folio: 108; Page 15, GSU roll: 1341397.

[30] [Anna Jameson], ‘Sculpture in England’, Monthly Chronicle, no. 3 (1839), 529.

[31] Un esempio pratico degli scopi filantropici della Merrifield è il suo coinvolgimento nella Sussex and Brighton Ladies’ Sanitary Association. Si veda Wojtczak, Women of Victorian Sussex, pp. 152-53, 157. Quest’associazione consigliava i poveri su come pulire in maniera effettiva le loro case, fornendo gli spazzoloni e i detersivi per farlo. La Merrifield è registrata come segretaria onoraria della società e pubblicò ‘The Need of Sanitary Knowledge to Women’ sul St James’s Magazine, 1 (Aprile 1861), 90-97.




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