Pagine

lunedì 8 aprile 2024

Cristina Galassi. L’occhio del conoscitore. Le ricognizioni di Cavalcaselle e le opere della Galleria Nazionale dell’Umbria nel taccuino XI della Biblioteca Marciana

 

Cristina Galassi
L’occhio del conoscitore
Le ricognizioni di Cavalcaselle e le opere della Galleria Nazionale dell’Umbria nel taccuino XI della Biblioteca Marciana

Trascrizione delle carte a cura di Chiara Cruciani

Perugia, Aguaplano Libri, 2023

Recensione di Giovanni Mazzaferro



Cavalcaselle in Umbria

Del tutto a sorpresa (almeno per quanto riguarda il sottoscritto), giunge in libreria un nuovo volume dedicato a Giovan Battista Cavalcaselle (1819-1897), il grande conoscitore italiano che visitò instancabilmente musei e chiese di quasi tutta l’Europa, colpito da quella ‘febbre dell’arte” che, come scriveva, lo agitava continuamente. La nuova attenzione dedicata a Cavalcaselle, dopo quella che era culminata nel 1988 nella fondamentale monografia di Donata Levi, è legata, senza dubbio alcuno, alla possibilità, dal 2019, di consultarne online le carte (e in particolare i famosissimi disegni) conservate nel suo Fondo presso la Biblioteca Nazionale Marciana. Chiedo venia se, in proposito, citerò il mio Il giovane Cavalcaselle. «Il più curioso, il più intrepido, il più appassionato di tutti gli affamati di pittura», oltre alla tesi di laurea magistrale di Emma Santi, dedicata al viaggio spagnolo del legnaghese, operato nel 1852, tesi da cui è stato tratto un saggio molto interessante; a tutto ciò si aggiunge, appunto, il presente L’occhio del conoscitore, scritto da Cristina Galassi, con la trascrizione dei testi fornita da Chiara Cruciani e con una resa grafica del tutto inedita elaborata da Raffaele Marciano insieme alla stessa Cruciani. Sul punto mi soffermerò più avanti. L’oggetto dell’attenzione di Galassi è il taccuino segnato Ms. Cod. It. IV, 2036 (=12277) taccuino XI, che, di fatto, è relativo a Perugia (e dintorni) e risale, almeno nel suo impianto originale, al 1858; in particolare l’analisi si concentra ‘solo’ su quelle opere che oggi sono conservate presso la Galleria Nazionale dell’Umbria, tralasciando le altre.

Ho scritto ‘solo’ fra virgolette perché in realtà si tratta senza dubbio alcuno dell’operazione di trascrizione e commento più imponente mai tentata nell’ambito degli studi su Cavalcaselle. Mi si permetta una notazione personale: avendo letto le carte, io so cosa voglia dire passare le nottate cercando di capire cosa scrivesse Cavalcaselle, con la sua calligrafia certo non particolarmente amichevole, in un italiano del tutto precario, fortemente influenzato dal veneto. E la prima sensazione che ho provato sfogliando il volume è stata di ammirazione nei confronti del lavoro di Galassi e Cruciani, che – credetemi – è davvero notevole. A ciò si aggiunga che l’apparato iconografico del volume è eccellente: di tutte le opere disegnate da Cavalcaselle e conservate alla Galleria Nazionale dell’Umbria sono fornite le riproduzioni degli originali, con immagini di qualità altissima e questo è già eccezionale; se mi è consentito, ancor più eccezionale è essere riusciti a individuare tutte le opere disegnate dal conoscitore veneto, esercizio certo non facile, specie quando gli appunti grafici si riducono a puro segno stilizzato e rinunciano in anticipo alla raffigurazione mimetica.

Le carte del taccuino, si diceva, risalgono al 1858. Cavalcaselle era tornato in Italia, dopo l’esilio per motivi politici, nel luglio del 1857 con l’incarico da parte di una compagine societaria costituita dagli inglesi Charles Eastlake, Tom Taylor, Austen Layard e John Murray III, di raccogliere materiale per la redazione di un commento scientificamente aggiornato a una nuova, progettata, edizione inglese delle Vite di Vasari. Quella precedente, di Mrs. Jonathan (ma in realtà Eliza) Foster era stata considerata ampiamente deludente. Quel progetto naufragò solo nel 1859-1860, quando Cavalcaselle si rese conto, specie dopo aver visitato a Roma le catacombe e le opere dei primitivi, che non era possibile ‘emendare’ la storia di Vasari, ma bisognava scriverne una del tutto nuova, tenuto conto che l’aretino partiva da Cimabue, e che quindi rischiava di restar fuori tutto il materiale raccolto su artisti cronologicamente precedenti. Quando nel 1858 è a Perugia, con ogni probabilità in novembre (l’unica data che compare nel taccuino è scritta in basso a destra a c. 10v («Perugia 16 9bre») ed è perfettamente compatibile con altri spostamenti in zone limitrofe di cui conosciamo la cronologia) la decisione non è ancora maturata e Giovanni Battista lavora ancora sul progetto vasariano; è indice della circostanza la frequenza delle misurazioni dei quadri espresse in ‘inches’, ossia in pollici inglesi (c’è un solo caso con dimensioni annotate in sistema metrico decimale): il conoscitore si preoccupa di fornire ai suoi committenti informazioni sulle dimensioni delle opere esprimendole secondo criteri inglesi, perché non vi siano possibilità di equivoco nei confronti dei futuri lettori.

 

Gli anni attorno all’Unità d’Italia

L’autrice, nel suo saggio iniziale, mette giustamente in evidenza che i disegni e gli appunti di Cavalcaselle sono fondamentali perché immediatamente precedenti all’unità d’Italia e agli anni caotici, specie fra 1859 e 1866 – anni di cui ricostruisce i principali eventi in maniera impeccabile -, che portano alla dispersione di molte opere (e non solo di quelle giudicate minori) a fronte della ricerca di quadri da prelevare ed esportare all’estero da parte di mercanti e direttori di museo europeo. Su questo punto vorrei essere molto chiaro ed esprimerò un parere che – sia chiaro – riguarda solo me e non è imputabile all’autrice; neppure Cavalcaselle, uomo divorato dalla passione di vedere tutto, ma cronicamente privo di denaro per pagarsi gli spostamenti, fu immune da questo fenomeno. Immediatamente prima della visita umbra del novembre 1858 fu, fra settembre e ottobre 1858, nelle Marche assieme a Charles Eastlake, direttore della National Gallery, avendo così la possibilità di studiare le opere del maceratese e del fermano, ma fungendo anche da consulente per Eastlake spesso. Si veda in merito Giovanni Mazzaferro, Lo sguardo condiviso: il viaggio di Giovan Battista Cavalcaselle e Charles Eastlake nel Centro Italia (settembre 1858). Sotto questo punto di vista, è curioso (ma vero) che la Madonna della Rondine di Carlo Crivelli, che fu poi oggetto di scontro con Eastlake nel 1862, quando quest’ultimo cercò, riuscendoci, di esportarla con mezzi del tutto legali, sia stata vista per la prima volta da Eastlake e da Cavalcaselle insieme. Esiste, cioè, un equivoco. Si ritiene che il grande viaggio di ‘istruzione’ di Cavalcaselle sia stato compiuto dal legnaghese insieme a Giovanni Morelli nel 1561, su incarico del neonato regno d’Italia, a inventariare le opere d’arte marchigiane e umbre degne di essere tutelate dal governo. Non è così: come lo stesso taccuino XI oggetto del lavoro di Galassi dimostra, dal 1858 il legnaghese frequentava la zona ed era senza dubbio colui che meglio la conosceva (molto più di Morelli): lo aveva fatto, come detto, innanzi tutto per suo interesse intelettuale personale, per scrivere il commento alla nuova edizione delle Vite, ma anche come consulente di Eastlake. Che poi, nelle pochissime note autobiografiche, ad esempio nella sorta di 'curriculum' inviato nel 1862 al Ministero dell'Istruzione, di fatto per richiedere di essere assunto, Giovan Battista abbia citato l'esperienza del 1861 e non quella del 1858, è perfettamente comprensibile: le motivazioni del tour con Eastlake erano tutto tranne che patriottiche. Sia comunque chiaro che quando, nel 1861, il suo ruolo cambiò e divenne quello di difensore del patrimonio lo assolse col massimo impegno, apponendo il sigillo regio a tutte le opere che riteneva degne di entrare nel patrimonio pubblico. Anzi, era perfettamente convinto che quel sigillo avesse valore giuridico; costituisse, di fatto, un esproprio. Da qui la dura presa di posizione contro l’esportazione della Madonna della Rondine nel 1862, a cui, assieme a Morelli, aveva apposto il sigillo, opera, in realtà, di giuspatronato privato, seppure ‘dimenticata’ in chiesa e, non a caso, rivenduta dai legittimi proprietari alla National Gallery non appena se ne presentò l’occasione. Il regno d’Italia nacque ultraliberista e di espropri non voleva proprio sentir parlare.

Non è del tutto chiaro che progetto avessero in mente Morelli e Cavalcaselle quando, nel 1861, girarono l’Umbria e le Marche; Morelli, inizialmente, auspicava la creazione di una grande galleria nazionale a Firenze, una nuova Brera, da affiancare agli Uffizi. Ben presto il suo progetto fu spazzato via dalla decisione governativa di lasciare libri e oggetti d’arte in proprietà ai singoli municipi nei quali si trovavano gli enti ecclesiastici soppressi. Morelli, in merito, ebbe parole di fuoco. Le possiamo leggere nei suoi taccuini relativi al viaggio nelle Marche (purtroppo quello umbro è andato perso): se la prese coi ‘comunisti’ (non in senso politico, ma intendendo qui le amministrazioni municipali) prevedendo che, ben presto, a corto di soldi, avrebbero venduto le opere d’arte al miglior offerente. Non aveva del tutto torto: è la fine che rischiò di fare, ad esempio, l’Incoronazione della Vergine di Giovanni Bellini a Pesaro, per la quale il municipio, all’unanimità, decise nel 1866 la vendita alla National Gallery, salvo intervento governativo a bloccare il tutto. Non sappiamo se Cavalcaselle pensò mai a una galleria nazionale a Firenze; se lo fece, ripiegò (almeno dal 1862) su una galleria dell’arte umbra (ma comprensiva anche della marchigiana) da insediare a Perugia.

La scelta finale, quella che andò verso il decentramento, fu, in realtà, non una decisione ideologicamente sostenuta dall’importanza di mantenere il patrimonio a livello diffuso, ma questione di pura necessità. Le Commissioni provinciali naturalmente reclamavano che le opere rimanessero sul territorio; a essere onesti, in assenza di una rete di funzionari, erano composte da quegli stessi nobili ed eruditi che, per motivi economici, non esitavano a vendere le proprie e altrui opere all’estero. La verità è che mancavano i soldi per creare nuovi ‘grandi’ musei (cos' come mancavano i soldi alle grandi famiglie nobiliari, sempre più indebitate) e le priorità erano ben altre (ad esempio quelle legate all’istruzione), sicché si decise di lasciare le opere sul territorio: fu un colpo di fortuna, a essere sinceri, non una scelta di 'decentramento consapevole' volta a valorizzare il patrimonio diffuso.

 

Questa edizione

Io ho seri problemi a esprimere giudizi non entusiastici su questo volume (e quindi dirò solo che mi sarebbe piaciuto che vi fosse stato anche un indice dei nomi). Oltre all’apparato iconografico eccellente e ai commenti puntualissimi, in cui Galassi esamina anche la storia di ogni opera e la sua fortuna critica precedente e successiva, il grande pregio de L’occhio del conoscitore è che fissa un nuovo standard per la trascrizione dei testi cavalcaselliani. Non posso fare altro che spiegarmi rimandando alle illustrazioni qui allegate (ringrazio l’editore per avermele gentilmente fornite). Se si prende in considerazione l’Annunciazione e san Luca di Benedetto Bonfigli (n. inv 138) e si confronta il quadro col disegno di Cavalcaselle, si viene colti da un senso di disperazione: il disegno propriamente detto è letteralmente assediato da note di qualsiasi tipo, sui colori, sullo stato di conservazione, sull’iconografia, su fulminei rimandi a opere di altri autori, su associazioni di idee molteplici e a volte anche contraddittorie. Noi in realtà non abbiamo di fronte un testo che comincia dalla prima riga in alto e che finisce con l’ultima in basso, ma dobbiamo fronteggiare una serie infinita e intricatissima di spunti che si formano nella mente del conoscitore e che Cavalcaselle deposita, frammentariamente, sulla pagina, all’esclusivo scopo di rammentarsene quando riprenderà in mano l’appunto grafico. È evidente, insomma, che l’impianto del disegno ha funzione memorativa, ma solo per chi l’ha realizzato. Tutti gli altri rischiano di non cogliere pienamente il significato delle note. Note, peraltro, che vengono apposte certamente non tutte nello stesso momento. Cavalcaselle tornò a Perugia in diverse occasioni, non solo nel 1858, ma anche negli anni successivi e scrisse sopra i disegni e gli appunti che già aveva preso, senza preoccuparsi (salvo in rari casi) di distinguere fra note stese in un dato anno o in un altro. Vi prego di credermi; quella che avete di fronte non è certo la pagina più complicata da un punto di vista interpretativo. Ne esistono di ben peggiori.

Benedetto Bonfigli, Annunciazione e san Luca, Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria, inv. 138
Fotografia: Sandro Bellu. Su cortese concessione dell'editore

Giovan Battista Cavalcaselle, Disegno dall'Annunciazione e san Luca di Benedetto Bonfigli in Ms. It. IV 2036(=12277), tacc. XI, c. 56v, Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Fondo Cavalcaselle

Di fronte a situazioni di questo tipo, ci si è sempre arrangiati alla bell’e meglio (compreso il sottoscritto). Galassi, invece, - mi pare di capire col contributo decisivo di Raffaele Marciano e Chiara Cruciani - scopre l’uovo di Colombo: dissemina il disegno di Cavalcaselle con una serie di pallini numerati e, privilegiando una lettura per nuclei tematici (particolarmente utile quando più opere sono disegnate sulla stessa pagina), trascrive il tutto in una pagina a parte, lasciando spazi per cambi di opere o di figure oggetto dell’analisi cavalcaselliana (frequenti sono, nell’originale disegni di particolari dell’opera). 

Lo stesso disegno di Cavalcaselle con l'aggiunta di pallini numerati redazionali che rimandano alla trascrizione delle note. Su gentile concessione dell'editore

Trascrizione delle note in una pagina a fianco del disegno, seguendo l'ordine numerico dei pallini redazionali. 

Tutto riacquisisce, nel limite del possibile, un senso di ordine che è indispensabile per l’interprete per comprendere il metodo di Giovan Battista e le sue idee sulle opere, sulle attribuzioni, sulle affinità con altri dipinti. In tutta onestà, io non ho nessuna difficoltà a definire storica questa edizione, e sono profondamente convinto che, d’ora in poi, nessuno potrà fare a meno di confrontarsi con una soluzione di questo tipo. Se – come auspico – vi saranno altri ‘matti’ (non si offenda l’autrice; mi considero membro del club a pieno titolo) che vorranno trascrivere altri taccuini dovranno attenersi a questo metodo. Ho scritto ‘trascrizione’ e non ‘edizione critica’, non a caso. Un’eventuale edizione critica di un qualsiasi taccuino – qualcosa che ancora non esiste – dovrà infatti aggiungere al tanto che già qui si trova un lavoro filologico mirante a registrare le sedimentazioni cronologiche degli appunti (mi viene in mente, di primo acchito, che i pallini potrebbero avere un fondino di colore diverso a seconda degli anni in cui le note sono state apposte) e dovrà prendere in considerazione tutti i fogli di un quaderno: nel caso specifico anche quelli in cui sono disegnate opere che oggi non sono nella Galleria Nazionale delle Marche, ma sparse in giro per il mondo o ancora in situ (o addirittura opere che non siamo in grado di identificare). Pretendo troppo? Probabilmente sì, ma è evidente che il libro di Cristina Galassi segna un cambio di passo che ingolosisce lo studioso e lo porta a sperare sempre in meglio.


Nessun commento:

Posta un commento