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lunedì 11 dicembre 2023

Paolo Pastres. Gli scritti di Angelo Maria Cortenovis sull’arte medievale in Friuli

 

Paolo Pastres
Gli scritti di Angelo Maria Cortenovis sull’arte medievale in Friuli

In appendice:
Luigi Lanzi
Elogio del p. A.M Cortenovis

Udine, Deputazione di Storia Patria per il Friuli, 2018

Recensione di Giovanni Mazzaferro




Una figura di riferimento

Di Padre Angelo Maria Cortinovis (1727-1801), barnabita, vissuto a Udine, non si può che ribadire che anch’egli fece parte di quella rete erudita, vivace, ma forse non particolarmente all’avanguardia, che visse in Friuli nella seconda metà del Settecento. Cortinovis, bergamasco, si trasferì a Udine nel 1764, dopo aver praticato l’insegnamento in vari insediamenti barnabiti in giro per l’Italia e aver avuto contemporaneamente modo di coltivare i suoi interessi antiquari (dedicandosi in particolare all’epigrafia e alla numismatica), ma non tralasciando scritti dedicati alla storia della sua congregazione, a questioni relative all’agricoltura e alle scienze. All’ultimo decennio della sua vita risalgono tre brevi scritti relativi alle arti friulane, e in particolare alle arti in epoca medievale, che, giustamente l’autore colloca nell’alveo della cosiddetta riscoperta dei primitivi. A questi scritti è dedicato il presente volume. Si tratta di Sopra alcuni antichi avori del Friuli, risalente probabilmente al 1794; del Sopra varie sculture antiche del Friuli, vergato attorno al 1798; e, infine, del Sopra le antichità di Sesto [n.d.r. al Réghena] nel Friuli. Nessuno di questi brevi scritti, concepiti in almeno due volte su tre in forma di epistola fittizia, fu edito nel corso della vita del padre barnabita. Due (il secondo e il terzo) furono stampati nel 1801, pochi mesi dopo la morte di Angelo Maria, come forma di omaggio nei confronti di una figura di riferimento della cultura udinese; il terzo andò a stampa addirittura solo nel 1826. Si è detto che Cortinovis fu una figura di riferimento nel mondo culturale udinese. Giunse nella città udinese nel 1764 come preposto della locale congregazione dei Barnabiti; ordine che da ormai un secolo si era fatto carico della formazione scolastica preuniversitaria dei giovani udinesi e che nel 1750 aveva creato non uno, ma due collegi destinati nel primo caso ai nobili e nel secondo ai figli della borghesia. Cortenovis fu per decenni ‘preside’ del primo, e i suoi metodi di insegnamento formarono generazioni e generazioni di udinesi. Uno dei suoi allievi fu, ad esempio, Girolamo Asquini, che avremo modo di conoscere per le sue Notizie dei pittori del Friuli. ‘Figura di riferimento’, si diceva; non di svolta. Non lo fu né nei prediletti studi antiquariali, che Pastres definisce tutto sommato attardati, né in quelli artistici, che tuttavia costituiscono premessa e contesto per quelli successivi e, come già detto, sono orientati soprattutto verso l’epoca medievale. Si tratta di una suggestione che Cortenovis può aver raccolto, direttamente o indirettamente, da sue conoscenze personali: fra queste spiccano quelle con Luigi Lanzi, Mauro Boni, Giovanni de Lazara, nessuno dei quali friuliano, ma tutti in Friuli per alcuni anni proprio negli anni Novanta o (nel caso di de Lazara) impegnati nella perlustrazione del territorio; molto probabile che tramite costoro, ma anche tramite il cardinale Stefano Borgia, conosciuto a Roma nel 1785, celebre collezionista e lettore di epigrafi, possa essere venuto a conoscenza del grande progetto di Seroux d’Agincourt e della sua Histoire de l’Art par les monumens, a cui il francese cominciò a lavorare sin dagli anni Ottanta del Settecento e che si concentrava soprattutto sul Medioevo. D’altro canto sembra da escludersi che un uomo così colto potesse non aver letto opere come la Verona illustrata di Scipione Maffei (1731-1732) o non avesse a mente l’esempio del Tiraboschi, così come non conoscesse opere di respiro più locale, a partire dalle Antichità di Aquileia di Gian Domenico Bartoli fino a scritti di minor pretese.

 

Una dimostrazione di amicizia

Prima di prendere in considerazione i tre scritti ‘artistici’ di Cortenovis io vorrei però partire dall’Elogio dell’abate che Luigi Lanzi scrisse e pubblicò nel 1801, appena un mese dopo la sua morte. Lanzi e Cortenovis si conobbero probabilmente sin dal 1788, a Roma; ma fu Cortenovis a offrire riparo a Lanzi quando nel 1796 quest’ultimo, a Bassano per seguire la seconda edizione della sua Storia pittorica, si sentì minacciato dagli eventi bellici (l’arrivo dei Francesi) e si trasferì al Collegio dei Barnabiti di Udine. Qui Lanzi rimase sino al 1801 inoltrato, avendo così modo di assistere alla morte di Cortenovis e di darne conto a Mauro Boni nelle lettere che i due si scrivevano periodicamente (Boni, a sua volta, fu a Udine dal 1795 al 1797, per poi tornare a Venezia). Proprio dall’epistolario Lanzi-Boni, subito dopo la morte di Cortenovis, emerge l’amicizia che il primo nutriva nei confronti del defunto rettore del collegio, tale da spingere Lanzi a fare una cernita degli scritti che valeva la pena pubblicare in onore del religioso scomparso. Lanzi scrisse a Boni che molti degli studi antiquari di Cortenovis erano sì eruditi, ma del tutto congetturali («Io temo che vi sia spesso più d’ingegno che di verità» - cfr. p. 173) e di aver cercato più volte di dissuadere l’amico dal pubblicare tesi strampalate, come quella che già gli antichi greci fossero stati in grado di volare usando dei palloni aerostatici, tesi che avevano come unico risultato quello di minarne la credibilità. Nulla di tutto ciò trapelò nell’elogio. Al di là della dimostrazione di sincera amicizia, ciò che più conta è che Lanzi scrisse a Boni di aver ritoccato anche parti della ‘lettera’ sulla scultura, circostanza di cui dobbiamo, pertanto, tener conto (p. 175).

 

Sopra alcuni antichi avori del Friuli

Scritto probabilmente entro il 1794, Sopra alcuni antichi avori del Friuli è una lettera indirizzata al conte Antonio Bartolini, erudito udinese che, fra le altre cose, progettò la stesura di una guida artistica di Udine, mai realizzata. Bartolini fu il possessore di tutti e tre gli scritti oggetto di questo volume. Il testo (non del tutto completo) fu pubblicato sole nel 1826 in Lettere inedite d’illustri friulani del secolo XVIII o scritte da altri uomini celebri a personaggi friulani, Udine, Mattiuzzi, 1826. La lettera ‘artistica’ sugli avori è forse quella che più riflette gli interessi antiquari di Cortenovis, a cui si abbinano istanze di carattere religioso. Tutti gli oggetti presi in considerazione e descritti di fatto avevano avuto un utilizzo in ambito liturgico, anche quando, in origine, non erano stati pensati per questo tipo di mansione. È il caso, ad esempio, del cofanetto ‘a rosette’, oggi conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Cividale, di produzione bizantina e risalente grosso modo alla prima metà dell’XI secolo; in origine si trattava, con ogni probabilità, di un portagioie, ma fu poi riciclato, come altri oggetti del genere, in contenitori di reliquie. 

Cofanetto di ambito longobardo, Cividale del Friuli, Museo archeologico nazionale
Fonte: https://www.touringclub.it/evento/venaria-reale-to-mostra-ercole-e-il-suo-mito


Nei limiti delle sue capacità, Cortenovis offre un giudizio stilistico («Le sculture sono gentilesche [n.d.r. ossia risalenti ai tempi dei ‘gentili’, dei pagani], e per il loro gusto e carattere mostrano di essere degli ultimi tempi del gentilesimo»; cfr. p. 87). Poi provvede a descriverne le scene che lo decorano decifrando in maniera sostanzialmente corretta scene mitologiche, salvo poi cadere in intima contraddizione proprio alla fine. Il cavaliere che suona la tiorba, in uno dei riquadri laterali del cofanetto, diventa «uno di quei poeti circonforanei che nei bassi tempi giravano per le corti dei sig. e trovatori si chiamavano» (pp. 87-88). In realtà, pur fornendo – come detto – un panorama sufficientemente completo Cortenovis non è in grado di organizzare storicamente la sua trattazione e ricorre, semmai, a una trattazione per genere di oggetti; e così al cofanetto cividalese ne abbina altri, passando poi alla Copertura di Evangelario impiegata per impartire le benedizioni e per i baci dei fedeli, oggi a Udine e alla Pace del duca Orso, tavolette usate per i baci dei fedeli, concludendo ricordando la semplice memoria della cattedra episcopale nel duomo di Grado (oggi non più esistente), per la quale si lancia in improbabili ricostruzioni storiografiche, sostenendo che vada identificata con quella dell’arcivescovo Massimiano a Ravenna. L’aspetto forse più interessante è la consapevolezza che si tratta di oggetti non di produzione locale, ma impiegati come forma di ‘riuso dell’antico’.

 

Sopra varie sculture antiche del Friuli

L’occasione che spinse Cortenovis a scrivere la lettera (fittizia) dedicata a Mauro Boni sulla scultura friulana è spiegata sin dall’inizio: Boni (lo ricordo ancora: a Udine fra fine 1795 e inizio 1797) aveva intenzione, secondo il barnabita, «di scrivere una dissertazione sulle arti della scoltura, pittura, ed architettura che sono fiorite in questa Provincia» e Cortenovis desiderava, di fatto, dare il suo contributo, da un lato con la ‘lettura sulla pittura’ (Sulle antichità di Sesto) dedicata al de Lazara (ma nel 1801 in mano a Bartolini) e dall’altro con questa epistola sulla scultura che, in teoria, dovrebbe comprendere tutto l’arco temporale dai longobardi alla ‘modernità’, ma che di fatto si concentra sul medioevo friulano. Si tratta di una rassegna di manufatti ‘esemplari’ che sono inseriti in una prospettiva storica, sempre nei limiti delle conoscenze di Cortenovis. Non dobbiamo aspettarci affermazioni strabilianti: Angelo Maria comincia parlando di alcune sculture longobarde pervenuta sino ai suoi tempi «le quali ci fanno testimonianza della estrema barbarie alla quale erano discese le arti in questa Provincia ne’ secoli VI e VII» (p. 101) che però sarebbe state meglio conservare per essere ‘molto particolari’. Tuttavia alcuni elementi positivi possono essere colti. Innanzi tutto che, insieme a informazioni letterarie ve ne siano altre colte direttamente sul campo; poi la capacità di distinguere che l’Altare di Ratchis e il Battistero di Callisto appartengano entrambi a età longobarda (p. 56), e, ancora, la consapevolezza che il territorio vada esplorato per riuscire ad avere un’idea concreta del fare artistico è aspetto non secondario: «Di queste sculture quante ve ne saranno in altre simili chiese campestri, che si aprono di rado, e che appena sono visitate nel giorno della loro primaria solennità dai contadini del vicinato? Di particolare importanza, poi, è la chiusa finale, che abbandona la scultura per aprire su una parentesi sugli affreschi visti in un viaggio a Sesto al Réghena. Ne parlerò subito qui di seguito.

Altare del duca Ratchis, Cividale del Friuli, Museo cristiano e tesoro del duomo
Fonte: Sailko tramite Wikimedia Commons

 

Sopra le antichità di Sesto nel Friuli

La visita a Sesto e, in particolare, alla sua antica abbazia (già in stato di abbandono) risale all’estate del 1798. Il resoconto di Cortenovis, ancora una volta si concentra sulle ‘antichità', e, in particolare sugli affreschi ‘trecenteschi’ che vi erano presenti, ora come allora in stato precario, se non perduti. Per ‘trecenteschi’ l’autore intende le scene a fresco dell’Inferno (praticamente illeggibile) e del Paradiso per le quali sottolinea la somiglianza coi celeberrimi affreschi del Camposanto di Pisa, da lui visti evidentemente in giovinezza. 

Antonio da Firenze, Particolare dal ciclo de Il Paradiso, Sesto al Reghena, Abbazia di Santa Maria in Silvis
Fonte: YukioSanjo tramite Wikimedia Commons


Se è vero che tali scene mostrano un’influenza toscana, la lettura cronologica è invece sbagliata; le opere, attribuite oggi ad Antonio da Firenze, sono occasione per cercare di capire la relazione fra pittura primitiva toscana e friulana. Qui confesso di non poter essere del tutto d’accordo col curatore. Cortenovis scrive, con frase involuta: «qui [n.d.r. nell’abbazia] si apprende come i primordi delle arti risorte son quelli fra noi, che in più parti d’Italia ci ha descritto il Vasari, a cui se fossero state note queste pitture Sestine, non le avria certo pretermesse». Pastres aggiunge che in questo passo «si avverte l’eco della mai sopita polemica anti-fiorentina sul primato del «risorgimento» delle arti» (p. 67). Confesso che io non colgo questa eco. Cortenovis ritiene che gli affreschi siano opera di maestranze fiorentine, se non altro perché il modello del Giudizio Universale si rifaceva a quello che Dante aveva descritto nella Divina Commedia. A questo proposito ricorda che le fonti tramandavano l’arrivo di una folta comunità di mercanti fiorentini in Friuli. Nella parte finale della lettera sulle sculture, divagando appunto sulle pitture di Sesto aveva scritto, del resto: «La cappella di S. Niccolò del duomo di Udine, che aveva i ritratti espressi del Petrarca, del Boccaccio, di Cino da Pistoia, e del Cavalcanti ci dimostra, che con tanti toscani che venivano e si stabilivano allora nel Friuli, vi venissero anche dei pittori; ed i ritratti dei loro letterati, e le invenzioni dei loro primi maestri qua portassero» (p. 107). Non solo; aggiunge: «Qui però non posso dissimulare una scoperta che ho fatta nel mio viaggio di Sesto che potrebbe indebolire l’opinione di qualcheduno sopra la originalità delle belle arti in questo paese, indipendente dalle altre scuole d’Italia» (p. 106). Sappiamo peraltro che esattamente in questo punto Cortenovis faceva riferimento esplicito all’amico Mauro Boni (di cui evidentemente non condivideva tutte le opinioni), che strenuamente esaltava la supremazia cronologica dell’arte di area veneta (e quindi anche friulana) rispetto alla Toscana. Lo sappiamo perché è lo stesso abate Lanzi a scrivere in una lettera a Boni di aver cassato il suo nome per motivi di opportunità (cfr. p. 175), pur, nella sostanza, condividendo la sua opinione. Riassumendo: sia Boni sia Cortenovis svolgono, ovviamente, un discorso filopatrio, ma mentre il primo lo fa raccogliendo la lunga tradizione della polemica antivasariana, il barnabita sembra invece accettare che, storicamente, la pittura friulana del ‘risorgimento’ si sviluppi grazie al deciso apporto di artisti toscani, circostanza che Vasari non avrebbe mancato di segnalare se mai avesse conosciuto gli affreschi di Sesto al Réghena.

Non si può concludere senza ricordare che la curatela dello scritto su Sesto fu del conte Antonio Bartolini, che, come già detto, non scrisse mai la progettata guida di Udine. Le sue uniche note artistiche sembrano essere proprio quelle apposte a questo testo di Cortenovis e non sono del tutte prive di un loro interesse, in particolare quando Bartolini descrive (sia pur per interposta persona, almeno stando a quanto dichiara ufficialmente) il cosiddetto Tempietto Longobardo nel complesso monastico di Santa Maria in Valle a Cividale del Friuli. 

Presbiterio del 'Tempietto longobardo', Cividale del Friuli, Monastero delle Orsoline
Fonte: Wolfgang Sauber tramite Wikimedia Commons

Si tratta della prima descrizione del patrimonio artistico del Tempietto, di difficilissimo accesso perché collocato all’interno di un monastero di clausura di suore: «il brano riservato al Tempietto comprende sia le figure femminili in stucco dell’VIII secolo sia gli affreschi medievali» (p. 73). 

Statue di sante in stucco nel 'Tempietto longobardo'
Fonte: Welleschik tramite Wikimedia Commons


La critica d’arte moderna non ha mancato di mettere in evidenza la particolare importanza delle decorazioni in stucco: «sono state notate precise tangenze con la produzione dell’arte omayyade (…), dove nella prima metà dell’VIII secolo furono modellate delle statue femminili e il motivo del tralcio di vite fiorita (questa decorazione aveva già avuto una grande fortuna nell’arte copta e siriaca. Simili assonanze hanno fatto pensare che gli esecutori degli stucchi cividalesi possano essere artisti provenienti dal medio-Oriente (di cultura bizantina) spostatisi in Europa portando con sé una tradizione tecnica ed iconografica ormai da tempo persa ed estranea all’arte locale» (p. 144). Di tutto ciò, ovviamente, Bartolini non era assolutamente consapevole, ma a lui spetta comunque il merito di aver proposto la prima descrizione, sia pur sommaria, degli apparati decorativi del Tempietto.


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