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lunedì 3 luglio 2023

Alessandra Carbone. Vasari in Russia. Le prime traduzioni russe de 'Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti'

 

Alessandra Carbone
Vasari in Russia
Le prime traduzioni russe de Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti


Roma, WriteUp, 2021

Recensione di Giovanni Mazzaferro

 



Le difficoltà della ricerca

Alessandra Carbone – leggo in quarta di copertina – è una giovare ricercatrice di letteratura russa. Nell’ambito della sua produzione scientifica si inquadra questo Vasari in Russia, uscito nel luglio 2021. Sin dall’introduzione l’autrice lamenta le difficoltà incontrate a causa della pandemia di Covid e ringrazia bibliotecari russi che con grande cortesia e disponibilità hanno cercato di venire incontro agli ostacoli legati all’impossibilità di condurre personalmente la ricerca sul campo.

Nell’affrontare l’argomento, Carbone opera una divisione fra testimonianze della ricezione delle Vite vasariane in Russia nel corso dell’Ottocento e traduzioni novecentesche. Segnala in particolare che nel 1933 è stata pubblicata una traduzione integrale delle Vite a cura di Lunačarskij e Dživelegov, nell’ambito di una prestigiosa collana dedicata alla traduzione di trattati del Rinascimento italiano gestita dall’editore Academia. In quello stesso anno usciva anche la prima traduzione russa del Libro dell’arte di Cennino Cennini. Non mi è chiaro se si stia parlando della stessa collana e dello stesso editore, ma è evidente che siamo nello stesso momento storico. Nel 1936-1939, peraltro, fu pubblicata una celebre antologia russa di letteratura artistica, poi ristampata negli anni Sessanta. È evidente l’operazione stalinista volta ad affermare l’Unione Sovietica come erede della cultura classica europea. Ma di questi temi Carbone sceglie di non parlare, rimandando il tutto a un secondo volume, dedicato specificamente all’edizione delle Vite del 1933 e alla storia dell’editrice Academia che se ne fece carico. Tutto questo – dicevo – nell’estate del 2021. Quello che è successo dopo, lo sappiamo tutti. Nel febbraio del 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina e ora viviamo in un modo sospeso, in cui presumo le ricerche di Carbone siano interrotte o, se va bene, molto rallentate. A una persona che non conosco, ma che prima ha dovuto subire il Covid e poi gli effetti della guerra, va il più sincero augurio che possa presto tornare a lavorare a pieno ritmo.

 

Un esemplare appartenuto alla famiglia Stroganov

La prima traccia della presenza delle Vite vasariane nel mondo culturale russo si ha con un’esemplare torrentiniano (1550) delle Vite, oggi conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (segnatura Riserva, IV.5). Sui frontespizi sia del primo sia del secondo tomo possiamo leggere la dicitura (scritta da mano identica) ‘Au Comte de Stroganoff”. È molto probabile che il conte di Stroganov in questione fosse Alexandr Sergeevič Stroganov (1733-1811), la cui famiglia doveva la sua ricchezza allo sfruttamento di miniere di sale nella Russia settentrionale. Come altri giovani esponenti delle famiglie russe più abbienti, Stroganov compì il suo gran tour in Europa dal 1752 almeno al 1755, sviluppando una passione divorante per il collezionismo d’arte e di libri. Nel 1800, peraltro, divenne anche presidente dell’Imperiale Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo, carica che ricoprì sino alla morte. Scomparso senza eredi, il titolo di conte passò a un ramo collaterale; ma gli Stroganov si dedicarono più o meno tutti all’arte e al mecenatismo.

Alexander Varnek, Ritratto di Alexandr Sergeevič Stroganov
Fonte: 
https://it.wikipedia.org/wiki/Aleksandr_Sergeevi%C4%8D_Stroganov


L’esemplare in questione è tutt’altro che ignoto. La sua fama ha almeno due motivazioni: in primo luogo è l’unica copia della Torrentiniana che presenti una doppia dedica, da un lato al duca Cosimo (primo tomo) dall’altro al neoeletto papa Giulio III, ossia Giovanni Maria del Monte. È storicamente assodato, infatti, che per un attimo Vasari pensò di cambiare il destinatario delle Vite in coincidenza con l’elezione del nuovo Papa per assicurarsene le grazie. Di questa operazione, eseguita su un numero evidentemente ridottissimo di copie, abbiamo, appunto, come unico testimone l’esemplare appartenuto al conte di Stroganov.  Ma, come dicevo, vi è anche un secondo motivo: quella appartenuta a Stroganov è una delle due torrentiniane che furono riccamente postillate da padre Sebastiano Resta (1635-1714) e che sono state di recente accuratamente commentate da Barbara Agosti e Simonetta Prosperi Valenti Rodinò.



Margherita Melani ha studiato la storia dei due tomi e ha stabilito che furono acquistati da Alexandr Sergeevič finendo a San Pietroburgo. Poi, tramite una serie di passaggi ereditari, sarebbero tornati a Roma con Grigorij Sergeevič Stroganov (1829-1910) che negli ultimi anni della sua vita si trasferì a Roma. Da qui la collezione fu dispersa con vendite private, e l’esemplare Stroganov entrò per acquisto nella Biblioteca Vaticana dal libraio ed editore Leo Samuel Olschki nel 1936. È molto probabile che le cose siano andate così, anche se le note di possesso dei frontespizi non chiariscono quale fosse il conte Stroganov in questione. L’acquisizione del testo andrebbe quindi inserita nella fascinazione di Alexandr Sergeevič per il mondo dell’arte rinascimentale e, più in generale, della cultura occidentale. Sappiamo che il conte conosceva l’italiano e non avrebbe avuto dunque problemi particolari a leggere le Vite. Non ci sono rimaste, però, testimonianze in merito. Mi permetto, a questo punto, di far presente un’osservazione: per capire quale fu l’impatto di Vasari sul mondo russo, probabilmente sarebbe il caso di mappare la presenza di altre edizioni nelle biblioteche di quel paese: non solo la Torrentiniana (1550) e la Giuntina (1568), che già dalla fine del XVI secolo erano introvabili o, comunque, molto costose, quanto piuttosto l’edizione Manolessi (1657) e quella curata dal Bottari (1759-1760). Al di là del loro singolo valore, appare del tutto logico che gli eruditi attingessero proprio alle edizioni più recenti e di più facile reperibilità. In questo senso, quella di Alexandr Sergeevič (ossia di acquistare una Torrentiniana) sembra più una scelta da collezionista che si assicura un esemplare rarissimo che la scelta di un uomo che vuole leggere i medaglioni vasariani.

A leggere sicuramente Vasari (o una parte di esso) furono invece, sicuramente, Stepan  Petrovič Ševyrev (1806-1864) e Sergej Grigorevič Stroganov (1794-1882), erede del conte che aveva acquisito la copia della Torrentiniana. Ne abbiamo testimonianza da una polemica scoppiata sui quotidiani russi nel 1851. Di Ševyrev, poeta e letterato, professore di Storia dell’arte e Letteratura all’Università di Mosca (il fatto che le due discipline non fossero nettamente separate è già indicativo) fu a lungo a Roma, dove imparò perfettamente l’italiano, leggendo Dante, Petrarca, Boccaccio. Fra i testi che hanno a che fare con le arti, oltre a Vasari, cita nei suoi scritti passi da Cicognara e Lanzi. Se le conoscenze letterarie di Ševyrev dovevano essere notevoli, la sua cultura visiva era probabilmente meno raffinata. Nel 1851 fu ritrovato casualmente in Russia un gruppo di cartoni ritrovati rappresentanti quelli inviati da Raffaello nelle Fiandre per la realizzazione degli arazzi della Cappella Sistina. Ševyrev, probabilmente anche per campanilismo, sostenne che erano di Raffaello o della bottega a lui più vicina. Poco importa, nel concreto, seguire la vicenda (si vedano le pagine 58-76); ciò che più interessa è che, per rafforzare le sue tesi, Ševyrev fece uso di un brano particolarmente ambiguo del medaglione dedicato a Raffaello da Vasari. Nella sostanza, l’errata collocazione di una virgola avrebbe stravolto il senso del racconto vasariano, che, secondo Ševyrev, avrebbe, nella realtà, confermato quanto andava sostenendo. L’erudito moscovita cita le edizioni Bottari e Della Valle (p. 64). Possibile che, per smentire queste affermazioni, Sergej Grigorevič Stroganov, che riteneva il set di opere una copia tarda settecentesca (una perizia del 1863 stabilì che erano opera di Felice Campi, pittore italiano del XVIII secolo) abbia attinto alla Torrentiniana acquisita dal suo avo. Mentre Stroganov opera anche osservazioni stilistiche, è fuori di dubbio che Ševyrev sia legato ancora all’uso della fonte letteraria (e addirittura alla sua forzatura) come autorità non smentibile dall’osservazione diretta delle opere.

 

Michail Ivanovič Železnov e la prima traduzione in russo delle Vite vasariane

Di Michail Ivanovič Železnov (1825-1891), autore della prima traduzione russa delle Vite vasariane, sappiamo poco. Studiò all’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo e fu allievo di Karl Brjullov (1799-1852), il più famoso pittore russo dell’Ottocento, notissimo anche in Italia. 

Karl Brjullov, Autoritratto, 1848, Mosca, Tretyakov Gallery
Fonte: http://www.art-catalog.ru/picture.php?id_picture=3644


Nel 1849 accompagnò l’anziano maestro in un tour che, all’andata, raggiunse il Portogallo e, al ritorno, li vide arrivare in Italia. Brjullov non sarebbe più tornato in patria, morendo vicino a Roma nel 1852. Non so, onestamente, se Železnov rimase con lui o prese prima la strada della Russia. Sicuramente i suoi scritti sono strutturati sempre come un’esaltazione di colui che fu, appunto, il suo mentore. Già nel 1856 Železnov pubblicò sulla stampa periodica russa un lungo articolo sulla vita di Brjullov, o, meglio, sul suo ruolo nel mondo artistico europeo. Non può certo sfuggire che in questo contesto il modesto pittore russo paragoni il maestro a Cimabue. Come Vasari aveva assegnato appunto a Cimabue il merito di aver fatto rinascere l’arte in Italia, così Železnov (nuovo Vasari) attribuisce a Brjullov il merito di aver ridestato l’arte in Europa dopo i secoli bui del manierismo e del rococò. Il paragone è ardito, ma Železnov vi si attiene anche nella sua traduzione delle Vite, in cui il frontespizio del primo volume è seguito da una dedica proprio al maestro scomparso qualche anno prima. In realtà, sembrerebbe che la traduzione sia un’impresa ‘italiana’. Železnov è segnalato in Italia fra il 1861 e il 1876, parrebbe in via continuativa, ma la circostanza non è certissima. Sappiamo che nel 1876 abitava a Firenze e nella città toscana è anche sepolta una sua figlia morta infante; nel 1875 fu nominato Accademico onorario a Brera. Purtroppo il resto ci sfugge.

La traduzione di Železnov è incompleta. Furono date alle stampe le parti I, II e IV [1]. I volumi (pare di capire due) furono pubblicati fra 1864 e 1867 a Lipsia dalla casa editrice Franz Wagner, specializzata in edizioni in caratteri cirillici (p. 89). La rete delle conoscenze che misero in contatto traduttore ed editore, nonché le circostanze del lavoro di redazione ci sono ignote. Certo che la probabile lontananza fu foriera di errori grossolani. Presso la Biblioteca Nazionale di San Pietroburgo, ad esempio, è presente una copia che, assieme alla parte prima ha rilegata delle biografie di pittori tratte dalle Vite dei pittori antichi di Carlo Roberto Dati (1667). In realtà, si tratta di altra operetta, pressoché coeva. Se si tiene conto che nel 1865 Železnov pubblicò anche, a San Pietroburgo, la traduzione della Vita di Michelangelo di Ascanio Condivi viene quasi da pensare che il russo svolgesse, da Firenze, un’attività di traduzione per il pubblico russo, volta probabilmente ad arrotondare le sue entrate economiche.

Probabilmente la risonanza della traduzione di Železnov in ambito russo fu, nel concreto, molto modesta. Carbone fa presente che l’opera non fu segnalata né nell’edizione del 1933, a cui ho accennato all’inizio, né in una seconda pubblicata una ventina d’anni dopo. Ciò non toglie che lo sforzo dell’autore vada collocato in un complessivo fenomeno che portò, in quei decenni, alla traduzione delle Vite vasariane in molte lingue. A questo proposito basti ricordare che la prima traduzione francese è del 1839-1842; quella inglese del 1850; la tedesca fu edita fra il 1832 e il 1849. Siamo in un clima europeo di recupero e rivalutazione delle testimonianze dedicate agli artisti medievali e del rinascimento; in Italia, del resto, sono quelli gli anni dell’edizione Le Monnier, curata da Gaetano e Carlo Milanesi, Carlo Pini e Vincenzo Fortunato Marchese. Proprio a questa versione, che (indici a parte) fu pubblicata fra il 1846 e il 1857, guardò probabilmente Železnov, a cominciare dalla struttura della prima parte che, esattamente come nel caso italiano, anticipa l’autobiografia vasariana all’inizio dell’opera. Non ho nessuna prova in merito, ma mi sembra molto probabile, del resto, che, vivendo a Firenze, Železnov possa avere conosciuto qualcuno dei curatori ed essere stato ispirato a tentare l’impresa.

 

Due osservazioni

Non sono purtroppo in grado di dare un giudizio sull’ultimo capitolo del libro, dedicato all’analisi linguistica della traduzione russa. Il motivo è banale. Non conosco il russo. A questo proposito mi permetto di far presente che la scelta della curatrice di non proporre mai (anche e soprattutto nei capitoli precedenti) la traduzione dal cirillico all’italiano dei brani citati limita fortemente la fruizione dell’opera da parte di un pubblico interessato, ma non in grado di comprendere la lingua originale. Il volume, in sostanza, si limita da sé e onestamente è un peccato.

Allo stesso modo è un peccato il numero fastidioso di refusi che capita di incontrare nella lettura del libro. Ormai si sa come vanno le cose; i correttori di bozze non esistono più. Si sorvola su quest’aspetto e si è indotti a far finta che non si sia perso nulla. Si è perso molto, invece, e non mi stancherò mai di ripeterlo, anche a costo di risultare noioso.

 

NOTE

[1] Nel fondo manoscritto relativo a Železnov, conservato a San Pietroburgo, sono conservati materiali per la traduzione delle parti V, VI e VII, che però non esaurivano il piano dell’opera (non essendovi la biografia di Michelangelo).

 

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