Alessandra Carbone
Vasari in Russia
Le prime traduzioni russe de Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti
Roma, WriteUp, 2021
Le difficoltà della ricerca
Alessandra Carbone – leggo in
quarta di copertina – è una giovare ricercatrice di letteratura russa. Nell’ambito della sua produzione scientifica si inquadra
questo Vasari in Russia, uscito nel luglio 2021. Sin dall’introduzione
l’autrice lamenta le difficoltà incontrate a causa della pandemia di Covid e
ringrazia bibliotecari russi che con grande cortesia e disponibilità hanno
cercato di venire incontro agli ostacoli legati all’impossibilità di condurre
personalmente la ricerca sul campo.
Nell’affrontare l’argomento,
Carbone opera una divisione fra testimonianze della ricezione delle Vite
vasariane in Russia nel corso dell’Ottocento e traduzioni novecentesche. Segnala
in particolare che nel 1933 è stata pubblicata una traduzione integrale delle Vite
a cura di Lunačarskij e Dživelegov, nell’ambito di una
prestigiosa collana dedicata alla traduzione di trattati del Rinascimento
italiano gestita dall’editore Academia. In quello stesso anno usciva anche la
prima traduzione russa del Libro dell’arte di Cennino Cennini. Non
mi è chiaro se si stia parlando della stessa collana e dello stesso editore, ma
è evidente che siamo nello stesso momento storico. Nel 1936-1939, peraltro, fu
pubblicata una celebre antologia russa di letteratura artistica, poi
ristampata negli anni Sessanta. È evidente l’operazione stalinista
volta ad affermare l’Unione Sovietica come erede della cultura classica europea.
Ma di questi temi Carbone sceglie di non parlare, rimandando il tutto a un
secondo volume, dedicato specificamente all’edizione delle Vite del 1933
e alla storia dell’editrice Academia che se ne fece carico. Tutto questo –
dicevo – nell’estate del 2021. Quello che è successo dopo, lo sappiamo tutti.
Nel febbraio del 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina e ora viviamo in un modo
sospeso, in cui presumo le ricerche di Carbone siano interrotte o, se va bene,
molto rallentate. A una persona che non conosco, ma che prima ha dovuto subire
il Covid e poi gli effetti della guerra, va il più sincero augurio che possa
presto tornare a lavorare a pieno ritmo.
Un esemplare appartenuto alla
famiglia Stroganov
La prima traccia della presenza
delle Vite vasariane nel mondo culturale russo si ha con un’esemplare torrentiniano
(1550) delle Vite, oggi conservato presso la Biblioteca Apostolica
Vaticana (segnatura Riserva, IV.5). Sui frontespizi sia del primo sia del
secondo tomo possiamo leggere la dicitura (scritta da mano identica) ‘Au Comte
de Stroganoff”. È molto probabile che il conte di Stroganov in questione
fosse Alexandr Sergeevič Stroganov (1733-1811), la cui famiglia doveva la sua
ricchezza allo sfruttamento di miniere di sale nella Russia settentrionale.
Come altri giovani esponenti delle famiglie russe più abbienti, Stroganov compì
il suo gran tour in Europa dal 1752 almeno al 1755, sviluppando una passione
divorante per il collezionismo d’arte e di libri. Nel 1800, peraltro, divenne
anche presidente dell’Imperiale Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo,
carica che ricoprì sino alla morte. Scomparso senza eredi, il titolo di conte
passò a un ramo collaterale; ma gli Stroganov si dedicarono più o meno tutti
all’arte e al mecenatismo.
Alexander Varnek, Ritratto di Alexandr Sergeevič Stroganov Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Aleksandr_Sergeevi%C4%8D_Stroganov |
L’esemplare in questione è
tutt’altro che ignoto. La sua fama ha almeno due motivazioni: in primo luogo è
l’unica copia della Torrentiniana che presenti una doppia dedica, da un lato al
duca Cosimo (primo tomo) dall’altro al neoeletto papa Giulio III, ossia
Giovanni Maria del Monte. È
storicamente assodato, infatti, che per un attimo Vasari pensò di cambiare il
destinatario delle Vite in coincidenza con l’elezione del nuovo Papa
per assicurarsene le grazie. Di questa operazione, eseguita su un numero
evidentemente ridottissimo di copie, abbiamo, appunto, come unico testimone
l’esemplare appartenuto al conte di Stroganov. Ma, come dicevo, vi è anche un secondo motivo:
quella appartenuta a Stroganov è una delle due torrentiniane che furono
riccamente postillate da padre Sebastiano Resta (1635-1714) e che sono state di
recente accuratamente commentate da
Barbara Agosti e Simonetta Prosperi Valenti Rodinò.
Margherita Melani ha studiato la
storia dei due tomi e ha stabilito che furono acquistati da Alexandr Sergeevič finendo a
San Pietroburgo. Poi, tramite una serie di passaggi ereditari, sarebbero tornati
a Roma con Grigorij Sergeevič Stroganov (1829-1910) che negli ultimi anni della
sua vita si trasferì a Roma. Da qui la collezione fu dispersa con vendite
private, e l’esemplare Stroganov entrò per acquisto nella Biblioteca Vaticana dal
libraio ed editore Leo Samuel Olschki nel 1936. È molto probabile che le cose
siano andate così, anche se le note di possesso dei frontespizi non chiariscono
quale fosse il conte Stroganov in questione. L’acquisizione del testo andrebbe
quindi inserita nella fascinazione di Alexandr Sergeevič per il
mondo dell’arte rinascimentale e, più in generale, della cultura occidentale.
Sappiamo che il conte conosceva l’italiano e non avrebbe avuto dunque problemi
particolari a leggere le Vite. Non ci sono rimaste, però, testimonianze
in merito. Mi permetto, a questo punto, di far presente un’osservazione: per
capire quale fu l’impatto di Vasari sul mondo russo, probabilmente sarebbe il
caso di mappare la presenza di altre edizioni nelle biblioteche di quel paese:
non solo la Torrentiniana (1550) e la Giuntina (1568), che già dalla fine del
XVI secolo erano introvabili o, comunque, molto costose, quanto piuttosto l’edizione
Manolessi (1657) e quella curata dal Bottari (1759-1760). Al di là del loro
singolo valore, appare del tutto logico che gli eruditi attingessero proprio
alle edizioni più recenti e di più facile reperibilità. In questo senso, quella
di Alexandr Sergeevič (ossia di acquistare una Torrentiniana)
sembra più una scelta da collezionista che si assicura un esemplare rarissimo
che la scelta di un uomo che vuole leggere i medaglioni vasariani.
A leggere sicuramente Vasari (o una
parte di esso) furono invece, sicuramente, Stepan Petrovič Ševyrev (1806-1864) e Sergej Grigorevič
Stroganov (1794-1882), erede del conte che aveva acquisito la copia della
Torrentiniana. Ne abbiamo testimonianza da una polemica scoppiata sui
quotidiani russi nel 1851. Di Ševyrev, poeta e letterato, professore di Storia
dell’arte e Letteratura all’Università di Mosca (il fatto che le due discipline
non fossero nettamente separate è già indicativo) fu a lungo a Roma, dove
imparò perfettamente l’italiano, leggendo Dante, Petrarca, Boccaccio. Fra i testi
che hanno a che fare con le arti, oltre a Vasari, cita nei suoi scritti passi
da Cicognara e Lanzi. Se le
conoscenze letterarie di Ševyrev dovevano essere notevoli, la sua cultura
visiva era probabilmente meno raffinata. Nel 1851 fu ritrovato casualmente in
Russia un gruppo di cartoni ritrovati rappresentanti quelli inviati da
Raffaello nelle Fiandre per la realizzazione degli arazzi della Cappella Sistina.
Ševyrev, probabilmente anche per campanilismo, sostenne che erano di Raffaello
o della bottega a lui più vicina. Poco importa, nel concreto, seguire la
vicenda (si vedano le pagine 58-76); ciò che più interessa è che, per
rafforzare le sue tesi, Ševyrev fece uso di un brano particolarmente ambiguo
del medaglione dedicato a Raffaello da Vasari. Nella sostanza, l’errata
collocazione di una virgola avrebbe stravolto il senso del racconto vasariano,
che, secondo Ševyrev, avrebbe, nella realtà, confermato quanto andava
sostenendo. L’erudito moscovita cita le edizioni Bottari e Della Valle (p. 64).
Possibile che, per smentire queste affermazioni, Sergej Grigorevič Stroganov,
che riteneva il set di opere una copia tarda settecentesca (una perizia del
1863 stabilì che erano opera di Felice Campi, pittore italiano del XVIII
secolo) abbia attinto alla Torrentiniana acquisita dal suo avo. Mentre
Stroganov opera anche osservazioni stilistiche, è fuori di dubbio che Ševyrev
sia legato ancora all’uso della fonte letteraria (e addirittura alla sua
forzatura) come autorità non smentibile dall’osservazione diretta delle opere.
Michail Ivanovič Železnov e la prima
traduzione in russo delle Vite vasariane
Di Michail Ivanovič Železnov (1825-1891), autore della prima traduzione russa delle Vite vasariane, sappiamo poco. Studiò all’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo e fu allievo di Karl Brjullov (1799-1852), il più famoso pittore russo dell’Ottocento, notissimo anche in Italia.
Karl Brjullov, Autoritratto, 1848, Mosca, Tretyakov Gallery Fonte: http://www.art-catalog.ru/picture.php?id_picture=3644 |
Nel 1849 accompagnò l’anziano
maestro in un tour che, all’andata, raggiunse il Portogallo e, al ritorno, li
vide arrivare in Italia. Brjullov non sarebbe più tornato in patria, morendo vicino
a Roma nel 1852. Non so, onestamente, se Železnov rimase con lui o prese prima
la strada della Russia. Sicuramente i suoi scritti sono strutturati sempre come
un’esaltazione di colui che fu, appunto, il suo mentore. Già nel 1856 Železnov pubblicò
sulla stampa periodica russa un lungo articolo sulla vita di Brjullov, o,
meglio, sul suo ruolo nel mondo artistico europeo. Non può certo sfuggire che
in questo contesto il modesto pittore russo paragoni il maestro a Cimabue. Come
Vasari aveva assegnato appunto a Cimabue il merito di aver fatto rinascere
l’arte in Italia, così Železnov (nuovo Vasari) attribuisce a Brjullov il merito
di aver ridestato l’arte in Europa dopo i secoli bui del manierismo e del
rococò. Il paragone è ardito, ma Železnov vi si attiene anche nella sua
traduzione delle Vite, in cui il frontespizio del primo volume è seguito
da una dedica proprio al maestro scomparso qualche anno prima. In realtà,
sembrerebbe che la traduzione sia un’impresa ‘italiana’. Železnov è segnalato
in Italia fra il 1861 e il 1876, parrebbe in via continuativa, ma la
circostanza non è certissima. Sappiamo che nel 1876 abitava a Firenze e nella
città toscana è anche sepolta una sua figlia morta infante; nel 1875 fu
nominato Accademico onorario a Brera. Purtroppo il resto ci sfugge.
La traduzione di Železnov è
incompleta. Furono date alle stampe le parti I, II e IV [1]. I volumi (pare di
capire due) furono pubblicati fra 1864 e 1867 a Lipsia dalla casa editrice
Franz Wagner, specializzata in edizioni in caratteri cirillici (p. 89). La rete
delle conoscenze che misero in contatto traduttore ed editore, nonché le
circostanze del lavoro di redazione ci sono ignote. Certo che la probabile
lontananza fu foriera di errori grossolani. Presso la Biblioteca Nazionale di
San Pietroburgo, ad esempio, è presente una copia che, assieme alla parte prima
ha rilegata delle biografie di pittori tratte dalle Vite dei pittori antichi
di Carlo Roberto Dati (1667). In realtà, si tratta di altra operetta, pressoché
coeva. Se si tiene conto che nel 1865 Železnov pubblicò anche, a San
Pietroburgo, la traduzione della Vita di Michelangelo di Ascanio Condivi
viene quasi da pensare che il russo svolgesse, da Firenze, un’attività di
traduzione per il pubblico russo, volta probabilmente ad arrotondare le sue entrate
economiche.
Probabilmente la risonanza della
traduzione di Železnov in ambito russo fu, nel concreto, molto modesta. Carbone
fa presente che l’opera non fu segnalata né nell’edizione del 1933, a cui ho
accennato all’inizio, né in una seconda pubblicata una ventina d’anni dopo. Ciò
non toglie che lo sforzo dell’autore vada collocato in un complessivo fenomeno che
portò, in quei decenni, alla traduzione delle Vite vasariane in molte
lingue. A questo proposito basti ricordare che la prima traduzione francese è
del 1839-1842; quella inglese del 1850; la tedesca fu edita fra il 1832 e il
1849. Siamo in un clima europeo di recupero e rivalutazione delle testimonianze
dedicate agli artisti medievali e del rinascimento; in Italia, del resto, sono
quelli gli anni dell’edizione Le Monnier, curata da Gaetano e Carlo Milanesi,
Carlo Pini e Vincenzo Fortunato Marchese. Proprio a questa versione, che
(indici a parte) fu pubblicata fra il 1846 e il 1857, guardò probabilmente
Železnov, a cominciare dalla struttura della prima parte che, esattamente come
nel caso italiano, anticipa l’autobiografia vasariana all’inizio dell’opera.
Non ho nessuna prova in merito, ma mi sembra molto probabile, del resto, che,
vivendo a Firenze, Železnov possa avere conosciuto qualcuno dei curatori ed
essere stato ispirato a tentare l’impresa.
Due osservazioni
Non sono purtroppo in grado di dare un
giudizio sull’ultimo capitolo del libro, dedicato all’analisi linguistica della
traduzione russa. Il motivo è banale. Non conosco il russo. A questo proposito
mi permetto di far presente che la scelta della curatrice di non proporre mai
(anche e soprattutto nei capitoli precedenti) la traduzione dal cirillico
all’italiano dei brani citati limita fortemente la fruizione dell’opera da
parte di un pubblico interessato, ma non in grado di comprendere la lingua
originale. Il volume, in sostanza, si limita da sé e onestamente è un peccato.
Allo stesso modo è un peccato il
numero fastidioso di refusi che capita di incontrare nella lettura del libro.
Ormai si sa come vanno le cose; i correttori di bozze non esistono più. Si sorvola
su quest’aspetto e si è indotti a far finta che non si sia perso nulla. Si è
perso molto, invece, e non mi stancherò mai di ripeterlo, anche a costo di
risultare noioso.
NOTE
[1] Nel fondo manoscritto relativo a
Železnov, conservato a San Pietroburgo, sono conservati materiali per la
traduzione delle parti V, VI e VII, che però non esaurivano il piano dell’opera
(non essendovi la biografia di Michelangelo).
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