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lunedì 21 settembre 2020

Laurens Kleine Deters. [Le annotazioni di Marcus van Vaernewijck su arte e artisti (1568)]


English Version


Laurens Kleine Deters
‘Paintings that can give great joy to the lovers of art’:
Marcus van Vaernewijck’s notes about art and artists (1568) 
['Pitture che possono dare grande gioia agli amanti dell'arte': le annotazioni di Marcus van Vaernewijck su arte e artisti (1568)]

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Simiolus
Netherlands quarterly for the history of art
Volume 42 2020 Number 1-2 pp. 89-145


Recensione di Giovanni Mazzaferro

 

Pieter de Hode the Elder, Ritratto di Marcus van Vaernewijck, 1619 circa
Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Marcus_van_Vaernewijck.png

Sul volume 37 del 2013-14, la rivista Simiolus pubblicò il saggio di Isabel Zinman, From Ausonia to Batavia: the artists of Hadrianus Junius reconsidered, dedicata alla Batavia di Hadrianus Junius, scritta in latino fra 1566 e 1575. Ho avuto modo di parlare lungamente di quel saggio in questo blog e la prima cosa da dire è che molti degli aspetti introdotti all’epoca da Zinman possono oggi essere richiamati per le note artistiche presenti nel Den spieghel der Nederlandscher audtheyt (Lo specchio delle antichità neerlandesi), opera di Marcus van Vaernewijck (1518-1569) pubblicata a Gand nel 1568. Laurens Kleine Deters pubblica il suo saggio in merito sul numero doppio della rivista olandese che inaugura il volume 42 del 2020, arricchendolo con un’ampia appendice che presenta i passaggi più significativi del testo in lingua originale e in traduzione inglese a fronte, con relativa annotazione. La circostanza rende più facilmente accessibile agli studiosi di letteratura artistica un testo che è stato considerato fonte d’informazione per lo Schilder-boek di Karel van Mander; lo stesso Schlosser, che pure non si può dire particolarmente attento alle fonti nord-europee, trovò il modo di definire brevemente Den Spieghel nella sua Letteratura artistica “scritto importantissimo d’un diligente storico di Gand” (p. 356). Probabilmente il giudizio è dato avendo in mente le pagine dedicate da Van Vaernewijck al Polittico dell’Agnello Mistico di Gand, descritto dall’autore nello Spieghel, ma la realtà è che gli scritti artistici di van Vaernewijck sono stati, nel loro complesso, dimenticati e solo ora è possibile tornare a valutarli nella loro globalità.

 

Fra corografia, elogi poetici e biografie d’artisti

Den Spieghel uscì a Gand nel 1568. Stando alle indicazioni dello stesso autore una prima versione dell’opera era pronta nel marzo 1561 e fu poi rivista fra marzo e aprile 1566. Marcus van Vaernewijck, ossia l’autore, lavorava nell’amministrazione civica di Gand, provenendo da una cultura di formazione umanistica che si sostanziava nel suo essere retore e scrittore. Den Spieghel è un’opera scandita in quattro libri, i primi tre dei quali riflettono per molti versi un’impostazione piuttosto antiquata, che parte dalla Genesi per arrivare ai primi re gallici (libro I), prosegue con i miti della presenza greca e romana nelle Fiandre e nel Brabante, senza far mancare un antico regno di derivazione troiana (libro II e III) – non è il caso di stupirsi: cosa dovremmo dire, del resto, dei miti sulle origini di Roma? -; nel quarto trova spazio la parte ‘moderna’ della narrazione e qui si impongono descrizioni corografiche e storiche soprattutto di Gand e delle città circostanti. Le note artistiche, sia pure in maniera confusa e non sistematica, trovano appunto collocazione nel libro IV. L’attenzione, come appena detto, gravita attorno a Gand e dintorni. In questo senso non deve apparire strano che l’autore dedichi soltanto un paio di righe a città come Anversa; appare evidente che il suo scopo è quello di descrivere i pregi di Gand, delle Fiandre e (marginalmente) della Zelanda, mentre Anversa si trovava nel Brabante e, dunque, fuori dagli interessi di Van Vaernewijck.

Lo scritto dell’erudito fiammingo deriva da una lunga traduzione di natura corografica inaugurata in Italia da Flavio Biondo con l’Italia illustrata, pubblicata postuma nel 1474, e penetrata nel Nord Europa a partire dall’inizio del Cinquecento tramite i circoli umanistici. Per approfondimenti si veda anche il paragrafo Il genere corografico nella recensione alla Batavia di Hadrianus Junius, con alcune precisazioni: la Batavia è successiva a Den Spieghel, sia se si guarda agli anni di redazione (fra 1566 e 1575 per Junius, fra 1561 e 1566 per Van Vaernewijck) sia con riferimento alla pubblicazione (rispettivamente 1585 e 1568). Riguarda inoltre un’area differente, che si trova nell’attuale Olanda, mentre Gand e le Fiandre oggi sono in Belgio; è poi scritta in latino, mentre Van Vaernewijck è già passato all’uso della lingua volgare.

Laurens Kleine Deters fa però presente che gli immediati precedenti dello Spieghel non si possono limitare alla sola tradizione corografica, ma vanno anche allargati al genere dei poemi laudativi e all’influenza del genere biografico sull’onda vasariana. Per quanto riguarda i primi si deve ricordare almeno Jean Lemaire de Belges (c. 1473-c. 1525) che in un poema composto per la morte di Luigi di Lussemburgo (1467-1503), pubblicato nel 1509, inserisce fra i grandi artisti imitatori della natura Jan van Eyck, Jean Fouquet (c. 1420-c. 1480), Giovanni Bellini (1430-1516), Pietro Perugino (1446-1523) e Leonardo (1452-1519) [1]. Ai nostri fini è il caso, poi, di sottolineare l’importanza della figura di Lucas d’Heere (1534-1584), poeta, pittore e scrittore (nonché maestro di Karel van Mander) che fu legato a Van Vaernewijck da profonda amicizia [2] nel 1565 D’Heere dedicò un poema a Van Vaernewijck). D’Heere fu autore, ad esempio, di un’Ode alla pala d’altare dell’Agnello mistico composta probabilmente attorno al 1559 (stampata nel 1565) che sicuramente Van Vaernewijck ebbe a riferimento nella sua descrizione, pur discostandosene in parte, ad esempio nell’identificazione dei ritratti dei fratelli Van Eyck. Ma di D’Heere si ricorda ancora un sonetto dedicato a Hugo van der Goes e, soprattutto, si tramanda (tramite Van Mander) il tentativo (rimasto incompiuto) di comporre le vite dei pittori fiamminghi in rima. Per brevità non posso qui andare oltre, ma mi limito a ricordare che il genere dei poemi laudativi ebbe il suo apice con i celebri Ritratti di pittori fiamminghi di Domenico Lampsonio (1532-1599), pubblicati nel 1572, ma in precedenza fonte particolarmente utile a Vasari per la seconda edizione delle Vite (1568); sempre di Lampsonio è obbligatorio ricordare la Vita di Lambert Lombard (1565), considerata la prima biografia d’artista dei Paesi Bassi.

D’Heere, Van Vaernewijck e Lampsonio conoscevano tutti le Vite vasariane, naturalmente nella loro edizione torrentiniana (1550) e, soprattutto, si conobbero tutti fra di loro. Kleine Deters si chiede sino a che punto i loro scritti possano essere interpretati come un tentativo di un circolo intellettuale di proporre un nuovo canone “dell’Europa settentrionale” rispetto a quello italiano che sta rapidamente diventando egemone. Se posso, mi viene in mente che il meccanismo sarebbe, in tal caso, molto simile a quello segnalato da Thijs Weststeijn in relazione al De Pictura Veterum (1637-1641) di Franciscus Junius nel suo Art and Antiquity in the Netherlands and Britain. The Vernacular Arcadia of Franciscus Junius (1591-1677) (dove sarebbe proposta una visione nord-europea dell’antichità). Kleine Dieters fa comunque presente che nello Spieghel l’autore denota una propensione molto maggiore alla descrizione delle opere che alla redazione di biografie degli artisti. Di fatto le notazioni biografiche sono sostanzialmente assenti, tranne nel caso dei van Eyck, per i quali Van Vaernewijck corregge Vasari (che li aveva fatti nascere a Bruges) chiarendo (correttamente) che erano originari del piccolo villaggio di Maaseik; e si estendono a Lucas d’Heere e, marginalmente, al padre Jean. L’autore sembra più ancorato alla tradizione corografica che al ‘nuovo’ genere biografico.


Hubert e Jan van Eyck, Polittico dell'Agnello Mistico (aperto), Gand, Cattedrale di San Bavone
Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Lamgods_open.jpg

 

Hubert e Jan van Eyck, Polittico dell'Agnello Mistico (particolare) Gand, Cattedrale di San Bavone
Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Hubert_van_Eyck_004.jpg?uselang=it

Hubert e Jan van Eyck, Polittico dell'Agnello Mistico (chiuso), Gand, Cattedrale di San Bavone
Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Polittico_dell%27Agnello_Mistico#/media/File:Lamgods_closed.jpg

La ‘furia iconoclasta’

Tutto ciò detto, la vera sfida è cercare di capire in che modo l’opera si collochi all’interno degli episodi di iconoclastia che si verificarono a ripetizione nei Paesi Bassi in quegli anni, dando poi il via alla cosiddetta Guerra degli Ottant’anni (anche qui, abbiamo avuto modo di parlarne a proposito della Batavia di Franciscus Junius). Se è vero che l’opera di Van Vaernewijck nasce nell’ambito di un progetto corografico di descrizione delle principali opere d’arte di un territorio, è assai probabile che, fra 1561 e 1566, periodo in cui lo stesso autore ne colloca la redazione, le istanze protestanti volte alla distruzione delle immagini siano emerse nella loro drammaticità. Fatto sta che con l’espressione ‘furia iconoclasta’ (in olandese Beldeenstorm – tempesta delle immagini -) si intendono una serie di episodi di distruzione di chiese, sculture, pitture che furono espressione di fanatismo religioso e disagio sociale; il più grave di questi si verificò proprio a Gand nell’agosto del 1566. 

Dirck van Delen, La furia iconoclasta in una chiesa, 1630, Amsterdam, Rijksmuseum
Fonte: https://www.rijksmuseum.nl/collectie/SK-A-4992


Van Vaernewijck, cattolico, fu coinvolto direttamente nella repressione dei moti rivoluzionari; nell’agosto del 1566 e nel luglio del 1568 fu incaricato di reclutare e comandare una milizia cittadina che doveva essere schierata a difesa degli edifici religiosi (p. 100). È possibile, inoltre, che il tempo trascorso fra la fine della redazione dello Spieghel (1566) e la sua pubblicazione (1568) sia legato alle turbolenze di quegli anni. Fatto sta che, quando esce, l’opera assume un significato diverso, di testimonianza di opere andate nel frattempo perdute; il discorso è particolarmente vero per il patrimonio scultoreo, che più risentì della violenza iconoclasta. Se, insomma, si era partiti da istanze corografiche volte a valorizzare il patrimonio e la cultura delle Fiandre, quando esce – scrive l’autore – “lo Spieghel contiene un importante catalogo di arte religiosa nei Paesi Bassi, compilato in un’epoca in cui la validità di queste opere era divenuta oggetto di disputa” (p. 103). Non è certo un caso, ad esempio, che l’autore indichi la prassi delle famiglie borghesi di adornare cappelle famigliari e di commissionare costosi reliquiari in cui erano custoditi i corpi dei santi, sostenendo che i medesimi “sono gli amici del Signore e molto potenti nel regno dei cieli” (p. 121). Ciò detto – continua Kleine Lemers – “Van Vaernewijck registrò le grandi ricchezze della Chiesa non solo per via della loro funzione religiosa, ma anche, e in prima istanza, per il loro valore artistico e la loro importanza.  E, anche se la costruzione o anche solo un contributo alla costruzione di un “canone artistico” non fu scopo esplicito del testo, Van Vaernewijck aiutò anche a emancipare un certo numero di artisti locali” (p. 103).

Tutti elementi, come si vede, che impongono di leggere con attenzione le note artistiche di Van Vaernewijck ora che sono finalmente disponibili in lingua inglese.

NOTE 

[1] Non si può non notare che nel 1509 i tre italiani erano ancora vivi, a testimonianza di un aggiornamento sul fare artistico italiano non scontato. Lemaire fu in Italia almeno tre volte fra 1506 e 1508 (a Torino, Venezia e Roma). Va osservato che il canone artistico italiano indicato dal poeta è così precoce che non compaiono Michelangelo e Raffaello.

[2] Kleine Deters scrive ‘D’Heere’ e non ‘De Heere’, perché quest’ultima versione del cognome, con cui è noto oggi l’artista, fu introdotta solo successivamente da Karel van Mander. In Den Spieghel viene appunto utilizzata la grafia ‘D’Heere’.



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