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lunedì 6 aprile 2020

Francesco Paolo Di Teodoro. Lettera a Leone X di Raffaello e Baldassarre Castiglione


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Francesco Paolo Di Teodoro
Lettera a Leone X di Raffaello e Baldassarre Castiglione


Firenze, Leo S. Olschki, 2020

Recensione di Giovanni Mazzaferro



Le righe che mi accingo a scrivere sono dedicate a un libro e a una mostra sfortunati. In occasione del V centenario della morte di Raffaello, doveva tenersi a Roma, presso le Scuderie del Quirinale, dal 5 marzo al 2 giugno la grande mostra dedicata al pittore urbinate. L’esposizione, aperta il 5 marzo, è stata chiusa tre giorni dopo, in seguito all’emergenza sanitaria legata al coronavirus. Mentre scrivo, non si sa se potrà riaprire. La seconda sala della mostra è dedicata alla celebre Lettera di Raffaello e Baldassar Castiglione a Papa Leone X (al secolo Giovanni de’ Medici, secondogenito di Lorenzo il Magnifico). In coincidenza con l’evento, la casa editrice Olschki ha pubblicato una nuova edizione della Lettera a cura di Francesco Paolo Di Teodoro. L’aspetto più gradevole del volumetto è, senza dubbio, il fatto che sia stato pensato per il ‘grande pubblico’, in uno sforzo di divulgazione (nulla sacrificando al rigore scientifico) che non è sempre banale per chi si occupa di studi di questo tipo. Ad aprire il volume stanno, in particolare, le parole del curatore che chiarisce come l’opera veda la luce in attesa dell’edizione critica della medesima, destinata a essere pubblicata in Scritti di e per Raffaello, la cui uscita è data per imminente.



Quella di Di Teodoro con la Lettera raffaellesca è, in realtà, una lunga consuetudine che data almeno dal 1994, quando lo studioso – facendo seguito alla sua tesi di dottorato - ne fornì la prima edizione per i tipi della bolognese Nuova Alfa editoriale, pubblicandone poi una seconda nel 2003, sempre a Bologna, con Minerva Soluzioni Editoriali. Ho già avuto modo di recensire in questo blog la prima versione del 1994 e ritengo che quanto scritto allora sia, tutto sommato, ancora valido, per cui mi permetto di rinviare a quel testo, che troverete cliccando qui.

Qui di seguito mi limito ad aggiungere alcuni aggiornamenti e una considerazione personale.


Un nuovo testimone

Nella versione odierna Di Teodoro rende conto della scoperta di un nuovo esemplare della Lettera, che egli stesso ha ritrovato e reso pubblico nel 2015. Il testimone si trova presso un archivio privato mantovano e, senza ombra di dubbio, è il manoscritto citato da Bernardino Marliani nel 1584 e da Antonio Beffa Negrini nel 1606. Il manoscritto (che presenta le missive di Baldassar Castiglione) è il frutto del lavoro di Bernardino Marliani, che aveva ricevuto l’incarico da Camillo Castiglione (figlio del celebre letterato) di selezionare, ordinare e pubblicare le lettere del padre. L’opera non fu mai completata. I testimoni della Lettera sono dunque passati da tre a quattro: tre manoscritti e uno a stampa.

Da segnalare inoltre che l’esemplare più importante, autografo di Baldassar Castiglione, si trovava, nel 1994, presso l’archivio privato dei conti Castiglioni, mentre oggi è conservato presso l’Archivio di Stato di Mantova, essendo stato acquistato dallo Stato italiano nel 2016.


La Lettera e la tutela

La Lettera di Raffaello e Baldassar Castiglione doveva fungere da dedicatoria a Papa Leone X nel grande progetto di rilevamento delle antichità di Roma intrapreso dall’artista urbinate su incarico del pontefice. Si tratta, senza ombra di dubbio, di un documento straordinario, posto a simbolo della nascita del concetto di tutela nell’arte. Ciò che rende del tutto particolare il documento è che va oltre il ‘consueto’ lamento di impronta umanistica sulle rovine di Roma (se ne trovano esempi sin dai tempi di Petrarca), ma vi abbina un piano operativo di rilevamento volto al censimento e alla rappresentazione grafica delle antichità della Città Eterna. A stagliarsi su tutto ciò è la progettualità del Raffaello architetto, dell’artista incaricato dal pontefice nel 1514 della costruzione della nuova basilica di san Pietro, dell’uomo imbevuto di cultura classica, che vuole vivere e morire come gli antichi. Da qui a parlare di tutela in senso moderno (e odierno) la distanza è tanta. Non bisogna, insomma, commettere l’errore di trasportare acriticamente a trecento anni prima, senza nessuna attenzione al passare dei secoli, forme di tutela del patrimonio che si sono affermate solo nel corso del XIX e XX secolo. In particolare, vorrei far riferimento al breve emesso da Leone X il 27 agosto 1515. Fu per primo Marcantonio Michiel a collegare tale breve al progetto raffaellesco di mappatura delle antichità romane, dando vita al mito di Raffaello sovrintendente alle antichità della città. Quel breve – scrive Di Teodoro – “aveva il solo fine di consentire a Raffaello di acquisire materiali per la costruzione della nuova basilica di San Pietro […] e salvare quei manufatti marmorei o lapidei che conservavano iscrizioni” (pp. 7-8). Se si aggiunge che nel decreto pontificio è chiaramente esplicitato il fatto che «è sommamente necessario per la costruzione del tempio romano del primo degli apostoli che i materiali di pietre e di marmi, di cui è opportuno abbondare, siano procurati sul posto piuttosto che trasportati da fuori città»” (p. 7), in realtà la mia personalissima percezione è che il breve sia fatto per regolamentare (e far passare tramite Raffaello) il riutilizzo dell’antico (almeno di quello non ritenuto ‘strategico’), aspetto che difficilmente oggi si potrebbe coniugare con la tutela del patrimonio. Ferma restando la straordinarietà della Lettera, dunque, mi sembra importante contestualizzarla ed evitare di farla assurgere a simbolo collocato in una realtà astratta e, di fatto, mai esistita.



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