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lunedì 9 dicembre 2019

Dore Ashton. [Artisti del XX secolo che scrivono d'arte]. Parte Seconda


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Storia delle antologie di letteratura artistica
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Dore Ashton
Twentieth-Century Artists on Art 
[Artisti del XX secolo che scrivono d’arte]

New York, Pantheon Books, 1985, 302 pagine

Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Seconda

Fig. 24) La versione cinese dell’antologia Twentieth-Century Artists on Art di Dore Ashton, pubblicata a Shangai nel 1989.

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La letteratura artistica negli Stati Uniti d’America tra 1940 e 1985

Continuiamo ad analizzare l’antologia Twentieth-Century Artists on Art di Dore Ashton (1928-2017) [44]. Per ragioni di spazio ci concentreremo, per quel che riguarda l’arte dopo il 1940, sui testi compresi nella sezione sull’arte degli Stati Uniti, che abbraccia 56 artisti in una settantina di pagine (dovremo comunque ridurre, per le medesime considerazioni sull’estensione della nostra recensione, il numero degli artisti presi qui in considerazione a 45).

La sezione americana discute autori e temi su cui Ashton, famosa soprattutto per i suoi studi sugli esponenti della Scuola di New York, ha scritto di più (basti pensare alle sue monografie su Philip Guston, Robert Motherwell, Isamu Noguchi e Mark Rothko). In realtà, nella sezione s’incontrano dichiarazioni e scritti di artisti di ogni scuola, e dunque non solamente degli espressionisti astratti di New York, ma anche degli artisti figurativi, dei minimalisti e concettuali, degli artisti pop e degli esponenti dell’happening (la stessa Ashton, come vedremo, ha pubblicato saggi anche su artisti non astratti, come Richard Lindner).

Va peraltro detto che, utilizzando un criterio di definizione della nazionalità molto ampio, vengono inclusi nella sezione americana molti artisti che – pur non essendo cittadini statunitensi – hanno operato negli USA come pure nel resto del mondo. Molti di loro potrebbero essere considerati veri e propri cosmopoliti. 

Fig. 25) Il saggio di Dore Ashton sulla scultura americana moderna, pubblicato da Abrams nel 1968

La sezione ci offre una visione di come l’autrice – ai suoi tempi una delle maggiori divulgatrici sull’arte contemporanea – documenti il modo in cui artisti dei suoi tempi scrivono d’arte. La preferenza dell’autrice va evidentemente alla pluralità delle voci. È interessante notare lo spazio riservato agli scultori, in genere trascurati nelle altre antologie (la scultura era peraltro una passione confermata dal suo saggio del 1968 sulla Scultura americana moderna). A essere proposti sono, per lo più, messaggi di impatto immediato (pochi testi superano una pagina). Nella stragrande maggioranza dei casi le citazioni sono tratte da cataloghi di mostre o da interviste pubblicate su riviste specializzate (e, in alcuni casi, da conferenze universitarie; sporadicamente sono riportate trascrizioni radiofoniche). Sono quasi del tutto assenti testi tratti da saggi o articoli degli artisti.

Va senz’altro detto, per spiegare scelte di questo tipo, che in molti casi raccolte sistematiche degli scritti degli artisti del mondo americano del dopoguerra trentacinque anni fa non erano ancora disponibili. Insomma, leggere la sezione rende anche visibile come sia difficile, per un critico operante negli anni Ottanta del Novecento, scrivere una storia dell’arte contemporanea. La letteratura artistica richiede tempo, sedimentazione delle idee, pubblicazione degli scritti, esame degli archivi, analisi dei testi.

Tuttavia, la scelta della Ashton di privilegiare mezzi (interviste, cataloghi) che sono rivolti soprattutto a un lettore in cerca di spunti che sollecitino la sua sete d’informazione piuttosto che stimolare una riflessione complessiva non è semplicemente la conseguenza dell’assenza di fonti. Solo in un caso, ad esempio (quello di Rothko), ella utilizzi brani di artisti che aveva già inserito in monografie da lei già pubblicate, mentre non si comporta in questa maniera quando ha a che fare con Guston, Lindner, Motherwell e Noguchi, su cui pure aveva già scritto.

Twentieth-Century Artists on Art è dunque intenzionalmente un’antologia che intende dare visibilità alla presenza degli artisti nell’età di una comunicazione veloce e forse effimera. E forse è anche un riflesso del modo in cui gli artisti di quell’epoca hanno lavorato, privilegiando l’immediatezza (si pensi alle tecniche del dripping, alla action art, all’happening). Così come l’arte, anche l’espressione del pensiero è affidata all’istinto e all’immediatezza.

Nel corso degli ultimi decenni l’assenza di opere complessive che documentino la letteratura artistica americana della seconda metà del secolo scorso è stata comunque colmata. Si è infatti moltiplicata la presenza sul mercato di lingua inglese, e in alcuni casi anche in altre lingue, di volumi di scritti di artisti, in gran parte curati da critici d’arte. Un ruolo fondamentale è stato svolto da alcune case editrici universitarie, come MIT Press e University of California Press, e da altri editori come Poligrafa (in questo caso pubblicando i testi in parallelo in inglese, francese e spagnolo), che hanno rese disponibili ai lettori raccolte di scritti d’artisti contemporanei.

Ne risulta l’odierna disponibilità di un corpus di scritti molto ampio, che conferma l’egemonia americana dopo la Seconda Guerra Mondiale anche nel campo dell’arte. Fondamentale è stato anche il ruolo degli Archives of American Art presso la Smithsonian Institution (https://www.aaa.si.edu/). In molti casi, poi, esistono fondazioni dedicate a singoli artisti che hanno raccolto pubblicazioni e carte inedite e che offrono al pubblico rassegne bibliografiche sistematiche.

Rispetto a questi sviluppi più recenti, l’antologia della Ashton documenta un tentativo felice, ma ancora iniziale, di testimonianza della letteratura artistica americana contemporanea.


Gli espressionisti astratti

Nell’antologia i testi sono citati – come già detto – in ordine alfabetico, senza alcuna separazione per scuole. In questa recensione gli artisti sono invece ordinati in ordine cronologico di nascita. Tra gli espressionisti astratti presenti nel volume vorrei ricordare Hans Hofmann (1880-1966), Reuben Nakian (1897-1986), Jack Tworkov (1900-1982), Adolph Gottlieb (1903-1974), Mark Rothko (1903-1970), Arshile Gorky (1904-1948), Willem de Kooning (1904-1997), Clyfford Still (1904-1980), Barnett Newman (1905-1970), David Smith (1906-1965), Franz Kline (1910-1962), Louise Bourgeois (1911-2010), William Baziotes (1912-1963), Philip Guston (1913-1980) e, infine, Robert Motherwell (1915-1991). Si tratta insomma di artisti nati tra il 1880 e il 1915.

Fig. 26) A sinistra: Hans Hofmann, Search for the Real, pubblicato da Addison Gallery of American Art nel 1948. A destra: William C. Seitz, Hans Hofmann With Selected Writings by the Artist Museum of Modern Art, 1963.

Nel corso della sua vita, Hans Hofmann ha scritto sia in tedesco sia in inglese. La sua carriera iniziò ancor prima della prima guerra mondiale in qualità di fondatore e gerente di una scuola d’arte astratta a Monaco di Baviera. Hofmann fu autore di manuali di creazione artistica editi, appunto in tedesco e in inglese (Form und Farbe in der Gestalung e Creation in Form and Color, a Textbook for Instruction in Art, rispettivamente ultimati nel 1915 e 1931). Sin dai tempi di Monaco la sua scuola si era andata dedicando sempre più alla formazione di artisti americani. All’arrivo dei nazisti al potere, Hofmann trasferì la sua attività didattica negli Stati Uniti, scoprendosi pittore astratto negli anni Quaranta.

Fig. 27) L’edizione torinese degli scritti di Hans Hofmann, a cura delle Edizioni d’arte Fratelli Pozzo, uscite nel 1964..

Oltre al saggio The Search for Real del 1948, Hofmann redasse testi didattici rimasti dattiloscritti, fino a quando il critico William C. Seitz (1914-1974) non ne pubblicò una miscellanea nel 1963, in occasione di una mostra al MoMa. Un anno dopo la casa editrice Edizioni d’arte fratelli Pozzo di Torino pubblicò in italiano cinque suoi saggi tedeschi e italiani, insieme ad un saggio introduttivo (in inglese) del critico e storico dell’arte americano Sam Hunter (1923-2014), che a lui aveva dedicato qualche anno prima un saggio. Nel 1965 la collezione di Seitz è pubblicata in tedesco. Nel 1967 MIT Press, in occasione della ristampa di The Search for Real vi aggiunse “other essays”. Poi l’interesse per gli scritti di Hofmann sembra essere scomparso, fino alla recente pubblicazione di molti testi nella pagina web a lui dedicata [45].

Fig. 28) Katharine Kuh, The Artist's Voice: Talks with Seventeen Artists, pubblicato da Harper e Row nel 1962.

Il passo di Hofmann citato da Dore Ashton è tratto dalla raccolta d’interviste The artist’s voice realizzata dalla storica dell’arte e curatrice Katherine Kuh (1904–1994) nel 1960. “Esiste sicuramente (...) un'arte astratta. Non tutto ciò che passa sotto il nome di "astratto", tuttavia, è in realtà astratto. (…) Ciò che accade nell'arte astratta è la proclamazione di principi estetici. Col passare del tempo, nella pittura figurativa la base estetica della creazione si era quasi completamente persa. È nel nostro tempo che siamo diventati consapevoli di pure considerazioni estetiche. L'arte non può mai essere imitazione. Ma andiamo oltre. L'arte non è solo l'occhio; non è il risultato di considerazioni intellettuali. L'arte è strettamente legata a leggi intrinseche dettate dal mezzo con cui si esprime. In altre parole, la pittura è pittura, la scultura è scultura, l'architettura è architettura. Tutte queste arti hanno le loro qualità intrinseche” [46]. Si risente l’influenza delle teorie della pura visibilità, che il giovane Hofmann ha assorbito dalla lettura degli scritti di Konrad Fiedler (1841-1895) e Adolf von Hildebrand (1847-1921) e che traghetta negli Stati Uniti in un nuovo contesto.

Fig. 29) L’intervista a dodici artisti organizzata da ARTnews nel 1958 sui rapporti tra arte contemporanea e arte del passato.

Per le sue frequentazioni con gli artisti newyorchesi di scuola astratta lo scultore Reuben Nakian è spesso associato alla Scuola di New York, nonostante i suoi soggetti siano ancora figurativi (e spesso ispirati alla mitologia greco-romana). Nel 1958 Nakian concede un’intervista ad ARTnews, nel quadro di un’inchiesta della rivista newyorchese sul tema Is today’s artist with or against the past? Insieme a lui sono intervistati altri undici artisti. È chiaro il suo amore per l’arte del passato. “L'arte nasce dall'arte. Cézanne disse che sperava di poter aggiungere un nuovo anello alla catena. Cézanne era un vero oracolo - non ambiguo come quello di Delfi. L'arte dovrebbe essere aristocratica, elegante, con giardini e bellissimi costumi, e cavalli e persone che parlano un linguaggio chiaro e colto. Come Goya e Frans Hals, aristocratici ma non remoti” [47]. La pagina web degli eredi di Nakian [48] non presenta raccolte di dichiarazioni e testi dell’artista né, in commercio, esiste una raccolta di suoi scritti.

Fig. 30) La raccolta di scritti di Jack Tworkov, pubblicata dalla Yale University Press nel 2005, a cura di Mira Schor.

Jack Tworkov fu uno dei fondatori della New York School, e, fra di essi uno, dei più impegnati nell’insegnamento. Nel 1973 ricordava così gli anni successivi alla seconda guerra mondiale: “La pittura del dopoguerra a New York si mosse contro due esperienze repressive: la retorica del realismo sociale, predicata soprattutto dagli artisti e gli ideologi sulla base dei progetti artistici degli anni Trenta, e l'egemonia di Parigi nell'arte moderna. La risposta fu un'arte che si oppose a tutte le formule, un'arte in cui l'impulso, l'istinto ed il riflesso automatico, come guide alla realtà interiore, presero il sopravvento su tutte le forme di intellettualizzazione. Non riesco a ricordare nessun periodo della mia vita che mi sia rimasto così impresso in mente come il 1949. Segnò la fondazione dell’Artist's Club di New York e il sorgere di un decennio di pittura tanto fecondo e rivoluzionario quanto l'impressionismo del 1870” [49]. Una raccolta di scritti di Jack Tworkov è stata curata dall’artista e critica d’arte Mira Schor (1950-) per la Yale University Press nel 2005. La pagina web degli eredi [50] non contiene scritti, ma offre una ricca documentazione sui suoi archivi, accessibili allo Smithsonian [51].

Di Adolph Gottlieb, Dore Ashton sceglie un passo di un’intervista radiofonica del 1967 con la critica d’arte Dorothy Seckler (1910-1994), in cui il pittore accettò di ripercorrere la sua carriera, soffermandosi sulle varie fasi della sua produzione artistica [52]. In particolare, un momento decisivo della sua vita è rappresentato dagli anni Quaranta, in cui Gottlieb adottò una nuova scrittura pittorica determinata dalla pura intuizione pittorica: “Iniziavo con una divisione arbitraria della tela in aree rettangolari approssimative, e con un processo di libera associazione mettevo varie immagini e simboli al loro interno. Si trattava di un processo irrazionale.. Non vi era alcun disegno logico o razionale nella loro collocazione. Stavo semplicemente seguendo un impulso, che era irrazionale, cercando di usare il metodo della libera associazione. E poi, quando queste immagini e questi simboli erano combinate fra loro, non li si poteva leggere come un rebus che si potesse interpretare associando immagini e parole. Non vi era alcuna connessione diretta tra loro. E, tuttavia, dalle strane giustapposizioni derivava un nuovo tipo di significato, che si esauriva nella giustapposizione stessa” [53]. 

Fig. 31) Il saggio di Dore Ashton About Rothko, pubblicato da Oxford University Press nel 1983 (a sinistra) e nelle ristampe del 1996 (centro) e 2003 (destra). La versione del 1999 non è qui presente.

Mark Rothko fu grande amico personale dell’antologizzatrice (si frequentarono per almeno vent’anni). L’artista è presente nell’antologia con testi tratti dalla monografia About Rothko che la stessa Ashton gli aveva dedicato nel 1983, in occasione degli ottanta anni dalla sua nascita e tredici anni dopo la sua morte (vi furono tre successive ristampe fino al 2003). I brani sono datati 1943, 1945, 1947 e 1954. Il primo, in realtà (la Ashton non lo scrive nell’antologia), è la prima versione di una lettera a quattro mani scritta nel 1943 da Rothko con l’appena citato Adolph Gottlieb e indirizzata al direttore della sezione artistica del New York Times, Edward Alden Jewell (1888-1947) [54]. Non so dire quale sia l’origine degli altri scritti.

Fig. 32) Le prime edizioni della raccolta di scritti di Rothko curata dal figlio Christopher, uscita per la prima volta in inglese e francese (2004), poi in tedesco e spagnolo (2005) e, infine, in italiano (2007).

L’uomo – scrive Rothko nella sua lettera a Jewell – è ancora interessato a tutte le questioni e i problemi dell’epoca classica antica, e tuttavia può rappresentare i miti antichi in forme di assoluta libertà, che ormai possono omettere la figurazione. “Oggi l'artista - è un brano del 1943 - non è più vincolato dall’obbligo di esprimere tutta l'esperienza dell'uomo attraverso il suo aspetto esteriore. Liberate dalla necessità di descrivere una persona in particolare, le possibilità sono infinite. Tutta l'esperienza dell'uomo diventa il suo modello, e in tal senso si può dire che tutta l'arte è un ritratto di un'idea. (...) La nostra presentazione di questi miti, tuttavia, deve manifestarsi nei nostri termini: essi sono allo stesso tempo più primitivi e più moderni dei miti stessi - più primitivi perché cerchiamo le radici primordiali e ataviche delle idee piuttosto che la loro versione classica aggraziata; più moderni dei miti stessi perché dobbiamo cambiare la descrizione delle loro implicazioni attraverso la nostra esperienza” [55].

Fig. 33) Le prime edizioni della raccolta di scritti di Mark Rothko a cura di Miguel López Remiro, uscita in francese e inglese (2005), in spagnolo (2007) e tedesco (2008).

Oggi, sul mercato librario, sono disponibili due raccolte di scritti di Rothko: Mark Rothko. The artist's reality: philosophies of art, a cura del figlio Christopher nel 2004 e Mark Rothko. Writings on art, a cura di Miguel López Remiro Le due versioni si sono diffuse, in concorrenza fra loro, praticamente in contemporanea. La prima raccolta compare in inglese e in francese nel 2004, in tedesco e spagnolo nel 2005, e infine in italiano nel 2007 (e da allora è periodicamente ristampata in varie lingue). La seconda esce sul mercato inglese e francese (2005), italiano (2007), spagnolo (2008) e tedesco (2009). Recentemente è stata pubblicata in Italia da Abscondita un’edizione a cura di Alessandra Salvini con uno scritto del romanziere, poeta e critico d’arte Michel Butor. Nonostante il successo editoriale, vi sono comunque evidenti problemi di documentazione. Le pagine internet dedicate a Rothko [56] non sono infatti riconducibili alla fondazione, che è stata sciolta dopo gravi irregolarità finanziarie, né agli eredi. In paragone ad altri artisti, anche i fondi archivistici alla Smithsonian Institution sono limitati [57].

Fig. 34) Le edizioni italiane degli scritti di Mark Rothko a cura di Miguel López Remiro (2006 e 2007) e di Antonio Salvini (2017)

Uno fra gli esponenti della Scuola di New York che per primo fece della scrittura uno strumento privilegiato di comunicazione durante la propria breve vita è Arshile Gorky, artista di origine armena cui è stata dedicata quest’anno la prima retrospettiva italiana a Venezia, a Ca’ Pesaro, nell’ambito della Biennale. Il pittore ha alle spalle la tragedia del suo popolo nella Turchia sconvolta dalla prima guerra mondiale e  una storia di depressione e instabilità affettiva anche negli anni americani, dopo il 1920. Alla scrittura egli assegna il tentativo disperato di sfuggire al crollo di tutto il suo universo di affetti, che lo porterà al suicidio. Dore Ashton sceglie brani di alcune lettere da lui inviate alla sorella tra 1939 e 1947, contenute in una biografia del pittore a cura della nipote Karlen Mooradian. Le lettere sono originariamente in armeno. Dai brani scelti dalla Ashton risulta l’immagine di un artista colto, che è stato in contatto con surrealismo e cubismo a Parigi, e non ha mai rinnegato il suo amore per l’arte classica: “Mi piace il calore, la tenerezza, quel che è buono da mangiare, la lussuria, il canto di una singola persona, la vasca da bagno piena per lavarmi sotto l'acqua. Mi piacciono Paolo Uccello, Grünewald, Ingres, i disegni e gli schizzi per la pittura di Seraut e quel grand'uomo di Pablo Picasso” [58]. Anzi, egli ripudia il surrealismo perché lo considera una forma poco seria di fatuo estetismo: “Il surrealismo è arte accademica sotto mentite spoglie. È anti-estetico. Sospetta di ogni eccellenza ed è in gran parte contrario all'arte moderna. Il suo potere di liberazione è estremamente limitato a causa della sua rigidità. Per i suoi seguaci la tradizione dell'arte e la sua qualità significano poco. Sono ubriachi di spontaneità psichiatrica e sogni inspiegabili. Questi surrealisti. Queste persone sono incredibilmente divertenti. Non pensiamo come loro poiché le loro opinioni sulla vita differiscono così tanto dalle nostre e siamo naturalmente di origini opposte. Le loro idee sono piuttosto strane e un po' fluttuanti, quasi giocose. Davvero, non sono così seri in fatto di pittura come vorrei che lo fossero gli artisti. L'arte deve rimanere sempre seria. Forse è perché io sono un armeno e loro no. L'arte deve essere seria, niente sarcasmo, commedia. Non si ride di una persona cara” [59]. 

Fig. 35) Tre edizioni di scritti di Arshile Gorky, a cura di Matthew Spender (a sinistra e al centro) e di Robert Mattison (a destra)

Quel che la Ashton non può sapere è che quelle lettere, pur scritte in modo così accorato, sono state probabilmente ritoccate  e possono essere state addirittura inventate di sana pianta dalla nipote [60]. Il corpus di scritti di Gorky è stato comunque oggetto di studi sistematici e pubblicazioni negli ultimi anni. Matthew Spender ha pubblicato Arshile Gorky, Goats on the Roof: A Life in Letters and Documents nel 2010 e Arshile Gorky: The Plow and the Song: A Life in Letters and Documents nel 2018 (sulla base di nuovi testi). Robert Mattison ha invece curato Arshile Gorky: Works, Writings, Interviews nel 2010. La fondazione Arshile Gorky pubblica online una lista di fonti disponibili, inclusi i riferimenti alla Smithsonian Institution [61].

Fig. 36) Il fascicolo del MoMa di New York con gli interventi di Morris, de Kooning, Glarner, Motherwell e Davis al convegno su Quel che l’arte astratta significa per me, tenutosi nel febbraio 1951.


Di uno dei padri nobili dell’espressionismo astratto, Willem de Kooning, viene citato un famoso discorso tenuto nel febbraio 1951 in occasione della conferenza What Abstract Art Means to Me al MoMa di New York. Il museo pubblica poco dopo gli atti del convegno, che vede anche la partecipazione di George L. K. Morris (1905-1975), Alexander Calder (1898-1976), Fritz Glarner (1899-1972), Robert Motherwell e Stuart Davis (1892-1964).

Fig. 37) Due collezioni di scritti di de Kooning (1988 e 1951) e un suo testo autobiografico pubblicato postumo (2000))

Rispetto alle consuetudini della Ashton, la citazione è lunga (la prolusione completa [62] è comunque disponibile presso il sito della Willem de Kooning Foundation, che ospita anche dichiarazioni [63] e fonti [64]). Dopo aver evocato le diverse concezioni di astrazione del passato (Kandinskij, futurismo, costruttivismo) il pittore si apre sulla propria, e rivela in realtà una totale mancanza di certezze e un’ansia perenne: “Spiritualmente, sono ovunque il mio spirito mi permetta di essere, e questo non è necessariamente nel futuro. Non ho nostalgia, comunque. Se mi trovo di fronte a una di quelle piccole figure mesopotamiche, non ne ho nostalgia; anzi, potrei entrare in uno stato di ansia. L'arte non sembra mai rendermi pacifico o puro. Mi sembra sempre di essere avvolto nel melodramma della volgarità. Non penso di ciò che è dentro o fuori - o dell'arte in generale - come se fosse una situazione di conforto” [65].

Fig. 38) Raccolte di scritti di de Kooning in francese (1992), tedesco (1998) e italiano (2003)

La comparsa sul mercato editoriale di raccolte di scritti di de Kooning è successiva all’uscita dell’antologia della Ashton: i Collected writings del 1988, a cura di George Scrivani, contengono anche il testo appena citato della conferenza del 1951; quel contributo non è invece più presente in una nuova raccolta del 2007 pubblicata da Polígrafa, intitolata Willem de Kooning: works, writings and interviews, a cura di Sally Yard (uscita anche in francese e spagnolo). È stato pubblicato postumo Willem de Kooning: reflections in the studio, un racconto autobiografico basato su conversazioni raccolte da Edvard Lieber nel 2000. Esistono anche svariate versioni di raccolte di scritte in altre lingue diverse dall’inglese.

Fig. 39) Collezioni di scritti di Barnett Newman in inglese (1990), tedesco (1996), francese (2011), giapponese (2012) e spagnolo (2006).

Barnett Newman è stato uno degli artisti che più si sono affidati alla parola per spiegare la propria opera, molto influenzata da concetti della filosofia estetica dell’Ottocento (primo fra tutti l’idea di sublime). La collezione dei suoi scritti e delle sue interviste – curata dalla Barnet Newman Foundation – esiste oggi in inglese (dal 1990), tedesco (1996), francese (dal 2011), giapponese (dal 2012) e spagnolo (2006). La fondazione omonima ne custodisce diari e corrispondenza [66].

Fig. 40) Il saggio Il sublime adesso di Barnet Newmann, tradotto da Viviana Birolli ed abbinato ad uno scritto del filosofo francese Jean-Francois Lyotard

Il testo inserito da Dore Ashton nella sua antologia è del 1944 ed è tratto da un catalogo della Tate Gallery di Londra del 1972: si tratta di una valutazione critica dei meriti teorici dell’impressionismo. Newman scrive che, con l’impressionismo, per la prima volta la preoccupazione di ogni singolo artista (il rinnovamento dei problemi tecnico-formali) si trasforma in una missione affidata ad un intero gruppo di essi. È questo l’elemento di modernità che l’impressionismo ha lasciato a ogni movimento successivo, anche quando si è posto (come il surrealismo) l’obiettivo di riscoprire la scultura greco-antica. E tuttavia, aggiunge Newman, “l'artista oggi ha più feeling e di conseguenza più comprensione per una statua rituale delle Isole Marchesi che per la figura greca. Questo è un curioso paradosso se consideriamo che noi, come prodotti della cultura dell'Europa occidentale, siamo stati educati nel quadro degli standard estetici greci - la tradizione dello stile greco - e non abbiamo avuto alcun contatto intimo con il modo di vita primitivo. Tutto ciò che conosciamo in concreto della vita dei primitivi sono i loro oggetti d'arte” [67].

Fig. 41) A sinistra: la dichiarazione Who is the artist? How does he act? di David Smith su Everyday Art Quarterly (Fonte: https://www.jstor.org/stable/4090741?read-now=1&seq=2#page_scan_tab_contents). Al centro, due edizioni francesi degli scritti di 2007 e 2008. A sinistra, la collezione americana del 2018.

Lo scultore David Smith è l’artista a cui la Ashton concede la citazione più lunga in assoluto. Il brano di Smith è tratto dalla rivista Everyday Art Quarterly, pubblicata a Minneapolis nel 1952. Sulla rivista il pensiero di Smith assume la forma di una poesia; in realtà si tratta della rielaborazione (concordata) di una conferenza tenuta al Walker Art Center della stessa città. La Ashton preferisce comunque ricondurre il brano (che mantiene un contenuto fortemente simbolico) alla sua originaria struttura in prosa. L’analisi di Smith si sofferma, in particolare, sulle difficoltà di comprensioni fra l’artista e il pubblico: “L'artista è al tempo stesso un elemento della natura e l'arbitro della medesima; colui che si è seduto su una nuvola e l'ha vista da lontano, ma allo stesso tempo si è identificato come parte della natura. Il vero artista vede la natura dal suo tempo. Il conflitto con il pubblico è spesso una questione di tempo-natura piuttosto che di arte. (...) Credo che solo gli artisti capiscano veramente l'arte, perché l'arte è meglio compresa seguendo il percorso visionario del creatore che la produce” [68]. Una raccolta di scritti di David Smith è comparsa in francese nel 2007 (con ristampa nel 2008) a cura di Susan J. Cooke; recentemente la stessa curatrice ha pubblicato l’opera in inglese nel 2018 (University of California Press). Una serie di dichiarazioni è disponibile online a cura della fondazione David Smith [69].

Fig. 42) Il numero del 1958 di Evergreen Review con l’intervista a Franz Kline

Franz Kline viene a contatto con gli espressionisti astratti negli anni Cinquanta, sviluppando uno stile informale molto personale. In un’intervista del 1958 al critico d’arte e poeta Frank O’Hara (1926-1966), Kline spiega che il suo stile astratto (su cui ha ancora molti dubbi) non gli impedisce di aver un forte legame con l’arte del passato (cita in proposito Bonnard e Matisse). “Qualcuno dirà che ho uno stile in bianco e nero, o uno stile calligrafico, ma non sono mai partito dal presupposto che ciò fosse consapevolmente uno stile o un atteggiamento nei confronti della pittura. A volte si ha un'idea precisa di ciò che si sta facendo - e altre volte tutto sembra scomparire. Non credo che il mio sia il tipo più moderno e più contemporaneo di pittura, che superi i limiti e si sia già affermato. E poi, non ho quel tipo di atteggiamento di chi manda al diavolo il passato. Provo sentimenti molto forti nei confronti di alcuni dipinti e pittori passati e presenti” [70]. Il testo, pubblicato sulla rivista letteraria Evergreen Review, è ancora oggi una delle poche fonti in cui Kline presenta in prima persona le proprie idee in tema d’arte.

Fig. 43) La collezione di scritti di Louise Bourgeois su Distruzione del padre. Ricostruzione del padre, nelle versioni inglese (1998), francese (2001), tedesca (2001), spagnola (2002) e italiana (2009).

La Ashton riserva poco spazio alla scultrice Louise Bourgeois, nonostante ella abbia scritto molto nel corso della sua lunga carriera  e che i suoi testi siano spesso centrati sull’intreccio tra creazione artistica e psicologia. Per chi studia la letteratura artistica, la Bourgeois appare oggi una delle artiste di maggiore spessore . I suoi scritti, ad esempio, sono stati raccolti nel volumeDestruction of the Father / Reconstruction of the Father. Writings and Interviews, 1923–1997, pubblicato da MIT Press nel 1998 a cura di Marie-Laure Bernadac e Hans Ulrich Obrist, tradotto subito dopo in francese (2001), tedesco (2001), spagnolo (2002) e italiano (2009). Nell’antologia del 1985 si trovano invece solo poche righe, in realtà non convincenti e comunque volte all’idea di associarla (nonostante la sua impostazione figurativa) all’espressionismo astratto.

William Baziotes è uno dei più giovani fra gli artisti della prima generazione della Scuola di New York; si nota, ad esempio, che parla dei suoi compagni di percorso artistico con una certa soggezione. Non è mai stata pubblicata una raccolta di suoi scritti a testimonianza dell’opera, né risulta l’esistenza di una fondazione che sia attiva a conservarne la memoria. Sin dagli anni anni Quaranta , tuttavia, partecipa al dibattito artistico newyorkese. Nel 1954 interviene a un convegno sul processo creativo, tema che, in quegli anni, attrae moltissimo interesse, e rievoca le discussioni estetiche tra artisti nel decennio precedente. Il suo contributo viene pubblicato su The Art Digest nel gennaio 1954: “L'ispirazione mi viene inaspettatamente, mai in virtù di una stimolazione deliberata, mai sedendomi su una sedia: succede sempre improvvisamente di fronte al cavalletto. (...) Il contatto con altri artisti è sempre stato per me di grande importanza. Quando gli artisti che conosco meglio si incontravano dieci o dodici anni fa, parlavano sempre soprattutto della loro idea di pittura. C’era una collaborazione inconscia tra artisti. Il fatto di essere d'accordo o in disaccordo non aveva conseguenze. Era emozionante, e ci spinse a dipingere partendo dalle nostre idee. O si manteneva un alto livello o si sprofondava” [71].

Fig. 44) Da sinistra a destra: la monografia di Dore Ashton Sì, ma ... : uno studio critico su Philip Guston, nell’edizione del 1976 (Viking Press) e del 1990 (University of California Press). Il saggio Philip Gouston a Roma firmato da Dore Ashton e Peter Millernel 2011 e pubblicato da Hatje Cantz

Philip Guston viene ricordato come pittore autodidatta, ma di grande cultura, anche grazie agli studi di storia dell’arte che compì a Roma nel 1948-1949 (Piero della Francesca e Giorgio de Chirico rimasero tra i suoi riferimenti per tutta la vita).  Il testo che lo riguarda è tratto da una conferenza del 1978 all’Università del Minnesota, in cui l’artista ricostruiva il proprio percorso pittorico, che lo aveva condotto attraverso fasi diverse [72]. Si tratta di passi poi inclusi in molte monografie successive sull’artista. “Nella mia esperienza un dipinto non è realizzato con colori e vernici. Non so cosa sia un dipinto; chissà cosa scatena anche solo il desiderio di dipingere? Potrebbero essere cose, pensieri, un ricordo, sensazioni, che non hanno nulla a che fare direttamente con la pittura stessa. Possono provenire da qualsiasi cosa e da dovunque, un’inezia, qualche dettaglio osservato e che solleva interrogativi, e naturalmente dagli effetti dei dipinti precedenti. Il dipinto non è su una superficie, ma su un piano che è immaginato. Si muove nella mente. Non esiste fisicamente. È un'illusione, un pezzo di magia, quindi ciò che vedi non è ciò che vedi. Suppongo che la stessa cosa fosse vera nel Rinascimento[73].

Fig. 45) La collezione di scritti di Philip Gouston, a cura di Clark Coolidge (2010)

La raccolta di scritti, conferenze e conversazioni dell’artista (Philip Guston: Collected Writings, Lectures, and Conversations) è stata pubblicata nel 2010 dal poeta Clark Coolidge (1939-) con prefazione di Dore Ashton. La Gouston Foundation ha una pagina web, che tuttavia risulta essere inattiva.

Robert Motherwell è uno dei più giovani tra gli espressionisti astratti, e, al tempo stesso, uno fra gli artisti contemporanei che più si è preoccupato di preservare la memoria delle idee dei suoi colleghi. Comincia a scrivere a partire dai primi anni Quaranta (quando è in piena fase surrealista). Dal 1943 è il co-redattore capo di una serie editoriale di scritti di artisti contemporanei (Documents of Modern Art) pubblicata dal MoMa di New York [74]. Nel 1947 lancia la rivista Possibilities. Problems of contemporary art, di cui uscì, tuttavia, un solo numero. Nel 1951 pubblica direttamente nella serie del Moma l’antologia di scritti di artisti Dada, poi ripubblicata nel 1989. Nel 1981 l’artista fonda la Dedalus Foundation con il compito di propagare la comprensione dell’arte moderna e del modernismo [75].

Fig. 46) A sinistra: L’unico numero della rivista Possibilities. Problems of contemporary art, diretta da Robert Motherwell (1947). Al centro: l’antologia di letteratura artistica Dada curata da Motherwell nel 1951 e pubblicata dal MoMa di New York. A destra: la seconda edizione dell’antologia Dada del 1989.

Le citazioni di Motherwell sono presentate in forme assai curiosa: appaiono infatti come brani separati tra il 1951 e il 1963, ma sono in realtà tutti tratte dal catalogo di una mostra itinerante che si tiene nel 1976 alla Städtische Kunsthalle di Düsseldorf, al Kulturhuset di Stoccolma e al Museo del XX secolo di Vienna. I passi scelti confermano la capacità dell’artista di guardare ai fenomeni del presente con lo sguardo di uno storico. “Credo che la New York School di quella che viene chiamata Arte moderna abbia come parte del suo background quei frammenti combinati di pensiero e sentimento che, nel loro insieme, noi chiamiamo nella moderna poesia francese l’estetica "simbolista". La sua formulazione è iniziata con Edgar Allan Poe e Charles Baudelaire e ha raggiunto l'apice in Francia durante il decennio 1885-1895, sebbene la sua influenza si sia estesa fino ai nostri tempi, nella persone di numerosi poeti in molti paesi occidentali: tra gli altri, Valéry, Yeats, Joyce, Rilke, Lorca, Apollinaire, Eliot e Cummings. L'influenza dell'estetica simbolica è una proposizione che è forse impossibile da dimostrare e, se pur rappresenta una verità, ne rappresenta una di cui, ne sono certo, molti membri della New York School sono ignari. (...) La mia enfasi qui è che l'arte moderna, di cui fa parte la New York School, ha una storia [76].

Fig. 47) Collezioni di scritti di Robert Motherwell nelle versioni del 1994, 1997 e 2007. A sinistra e al centro, due versioni (1994 e 1997) della raccolta curata da Stephanie Terenzio. A destra, la raccolta curata da Dore Ashton e Joan Banach (2007).

Nella sezione su Motherwell dell’antologia seguono brevi passi sul processo creativo, sull’influenza dell’arte cinese e sull’uso del colore. Esistono attualmente sul mercato due raccolte di scritti di Motherwell, la prima a cura di Stephanie Terenzio e la seconda di Dore Ashton stessa (in cooperazione con Joan Banach). La Dedalus Foundation offre, grazie alla pagina web [77], tutti i materiali d’archivio del pittore direttamente disponibili.


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NOTE

[44] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art, New York, Pantheon Books, 1985, 302 pagine. Il libro è consultabile all’indirizzo https://archive.org/details/twentiethcentury0000asht.


[46] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art (citato), p.217

[47] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art (citato), p.237

[48] Si veda: https://www.nakian.org/

[49] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art (citato), pp.259-260


[51] Si veda: 


[53] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art (citato), p.209


[55] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art (citato), p.247



[58] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art (citato), p.208

[59] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art (citato), pp.208-209






[65] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art (citato), pp.198-199


[67] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art (citato), p.239

[68] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art (citato), pp.250-251


[70] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art (citato), p.226

[71] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art (citato), p.190

[72] Il testo, con il titolo Philip Gouston talking è disponibile all’indirizzo 

[73] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art (citato), p.211



[76] Ashton, Dore - Twentieth-Century Artists on Art (citato), pp.234-235






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