Giovanni Mazzaferro
Un esemplare postillato delle Vite giuntine di Vasari appartenuto a Taddeo Pepoli
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Fig. 1)
Giorgio Vasari, Le Vite, ‘Edizione di Taddeo Pepoli’, Tomo II, p. 148, Vita di
Giovan Francesco detto il Fattore.
Foto: Giovanni Mazzaferro
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In generale
L’esemplare delle Vite di Giorgio Vasari in edizione
giuntina (1568) oggetto di questo articolo si trova attualmente all’estero, in collezione
privata; presenta un numero altissimo di postille marginali, in particolar modo
nel secondo dei tre tomi che lo compongono.
In generale, si può senz’altro
dire che la postillazione risponde a un’esigenza di maggiore chiarezza e
fruibilità dell’opera, probabilmente a scopo didattico (ma non è dato sapere
se per autoapprendimento o per insegnamento a terzi). Senza ombra di dubbio,
l’annotazione dell’opera deve essere durata molti mesi, se non anni. Sfuggono,
in tutta onestà, i criteri in base ai quali l’autore delle postille ha scelto
le parti da annotare: nel primo volume il proemio, la vita di Cimabue e quella
di Nicola e Giovanni Pisani, nel terzo da Taddeo Zuccari a Michelangelo. Il
secondo volume è, senza dubbio, quello in cui la postillazione diventa
sistematica (sono prive di commento solo le ultimissime biografie) e fa intuire
il senso complessivo dell’operazione: gli indici sono sistematicamente
integrati con dati desunti dalla lettura del tomo (si veda, ad esempio,
l’indice dei nomi, con l’aggiunta di decine e decine di nominativi, quasi tutte
figure trattate come secondarie da Vasari all’interno di biografie dedicate ad
altri artefici). Di particolare interesse, pare, in proposito, l’annotazione
posta all’inizio del medaglione intestato a Polidoro da Caravaggio e a Maturino
[Tomo II p. 197]: “Questa vita di Polidoro, e Maturino è tanto compendiosamente
scritta, che non occorre cavare alcuna cosa alcuna al margine, ma bisogna
leggerla intieramente, chi vuole havere notitia di quele opere di costoro, che
in essa si scrivono”. ‘Cavare’ le notizie più importanti mettendole a margine: questo lo scopo del postillatore. Per notizie più importanti si intendono
informazioni sul carattere dell’artefice, date di nascita e morte, opere
realizzate, eventuali discepoli. Nel caso specifico (peraltro) o lo stesso
postillatore o chi per lui deve avere cambiato parere perché in corrispondenza
delle vite di Maturino e Polidoro c’è un foglio piegato in quattro con il
compendio delle loro biografie, che si attiene in tutto e per tutto al dettato
vasariano.
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Fig. 2) Giorgio Vasari, Le Vite, ‘Edizione di Taddeo Pepoli’, Tomo II, Tavola delle Vite degli Artefici Foto Giovanni Mazzaferro |
Va peraltro aggiunto che, oltre
all’evidenziazione vera e propria dei contenuti e al loro (eventuale)
inserimento nell’indice, nell’ambito di tutta l’opera, e quindi anche di tutto
il tomo I e del III, è evidente la realizzazione di una serie (oltre
trecento) di rinvii finalizzata appunto a facilitare la consultazione. Il che
fa pensare a un doppio livello di lettura: un primo livello (completato)
contraddistinto dall’inserimento dei rimandi (e dalla correzione nel testo
degli errori tipografici segnalati nell’errata corrige di ogni volume) e un
secondo (non completato) con l’evidenziazione tramite postille laterali delle
notizie salienti sugli artefici.
È solo nell’ambito del sistema
dei richiami che il postillatore si permette di mostrare accenti polemici nei
confronti di Vasari; a disturbarlo sono i silenzi o l’incoerenza di alcune
affermazioni. Alcuni esempi:
- Incongruenze all’interno di una stessa vita: si veda la Vita di Bartolomeo da Bagnacavallo e d’altri pittori romagnoli (tomo II, p. 213). All’inizio della vita (che è una biografia collettiva) Vasari scrive che Bartolomeo da Bagnacavallo, Amico Bolognese, Girolamo da Cotignola e Innocenzo da Imola nutrirono reciprocamente un’invidia tale da arrecar danno alle rispettive carriere. Alla fine, però (p. 217) dice che Innocenzo fu persona modesta e buona. Il postillatore commenta (a p. 217): “perché dunque nel principio di questa vita lo pone fra gli altri che taccia di superbi et invidiosi?”
- Incongruenze fra una vita e un’altra: Vita di Bramante: della presenza di Bramante a San Pietro – scrive Vasari a tomo II, p. 32 – è rimasto ben poco perché Raffaello e Giuliano da Sangallo successivamente ne modificarono l’opera. Il postillatore segnala: “a c. 62 dice che Giuliano non accettò il carico; ma se ne tornò a Firenze”. E in effetti a c. 62 dello stesso tomo (vita di Giuliano e Antonio da Sangallo) la versione fornita è quella della rinuncia di Giuliano per il troppo lavoro e del ritorno a Firenze con l’assenso del Papa.
La maggior parte delle
incongruenze (e dei toni polemici) è presente nel tomo III. Ne segnalo in
particolare due, nell’ambito della vita di Michelangelo. In corrispondenza
dell’elogio del Mosè, Vasari scrive (tomo III, p. 717 in fondo alla pagina) che
Mosè può chiamarsi più di ogni altro ‘amico di Dio’ perché Dio ha voluto
mettere insieme e preparargli il corpo per la sua resurrezione tramite la
statua di Michelangelo. All'altezza di queste parole, il postillatore
scrive: “concetto freddo, e falso”. È chiaro che la contestazione avviene
su un piano teologico, e appare logico pensare, a questo punto, che
l’annotatore sia un religioso. Più avanti, in corrispondenza della
‘riconciliazione’ di Michelangelo con il Papa (che si trovava a Bologna) – p.
718 – il postillatore appone non una, ma una serie di note, identificandole con
lettere e rimandando in fondo alla pagina (vedi foto 3). Vediamo le
contestazioni:
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Fig.3) Giorgio Vasari, Le Vite, ‘Edizione di Taddeo Pepoli’, Tomo III, p. 717, Vita di Michelangelo Foto: Giovanni Mazzaferro |
- “Dunque dubiosi sono questi suoi racconti; e pure professa sapere il retto per l’amicitia, che haveva con lui come dice di sopra a c. 7 [..]";
- “Et il ponte fatto perché il papa l’andasse a vedere? Vedi a carta 726”. Qui si contesta l’affermazione che Michelangelo non volesse far vedere nessuna delle sue cose, in base a quanto scritto a p. 726 in cui si dice che Giulio II si era fatto fare un ponte levatoio per poter vedere come lavorava;
- “non pare che il Papa havesse bisogno di corrompere, e forse che Giulio non sapeva comandare”: ancora una volta un intervento che sembra essere quello di un religioso. Non si accetta l’idea che il Papa possa corrompere (in questo caso i garzoni di Michelangelo per fargli vedere la cappella Sistina);
- “questa si cominciò doppo tornato il Papa a Roma da Bologna” (riferito alla Cappella Sistina);
- “non ne ha ancora parlato”: si contesta il fatto che Vasari scriva che il Papa gli aveva fatto dipingere la Cappella Sistina “come si disse poco innanzi”.
Le critiche a Vasari si
esauriscono però su un piano di mancata coerenza nelle sue affermazioni, al
limite di sdegno nei confronti di affronti alla religione, ma mai si addentrano
in questioni di campanilismo, e men che meno in fatti stilistici In
particolare, il postillatore conosce le controversie relative alla
partigianeria dell’autore (la cosiddetta ‘reazione anti-vasariana),
particolarmente accentuate agli inizi del Seicento e oggetto di postille in altri esemplari [1], ma a tali critiche risponde con un’annotazione assai
equilibrata e realistica in fondo alla Vita di Giovan Francesco detto il
Fattore (Tomo II, p. 148): “Il Lomazzo nel 2° libro alla fine del 2 capitolo
taccia il Vasari che habbia tralasciato Gaudenzio [2]; e pure ne dice di sopra
molto bene in poche parole; et è da considerare che non poteva un pittore
com’era il Vasari andar per tutto il mondo a cercar le vite, e l’opere de’
pittori; e se la maggior parte di quelli, le cui vite egli racconta sono
toscani; è anco certo che di Toscana erano usciti de’ maggiori pittori, che
sino a quel tempo fossero stati; e non defrauda delle dovute lodi Raffaello benché
non fosse toscano; e così d’altri, d’altri paesi, che furono famosi” (fig. 1).
Vasari, insomma, è complessivamente degno di fede, e proprio per questo ha
senso studiarlo e renderne l’opera più fruibile.
I possessori
L’esemplare proviene dalla
novecentesca biblioteca Banzi, dove era collocato con segnatura B VII 35-37.
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Fig. 4) Giorgio Vasari, Le Vite, ‘Edizione di Taddeo Pepoli’, Ex-libris Biblioteca Banzi Foto: Giovanni Mazzaferro |
Tuttavia sotto l’ex-libris del
volume Primo compare una segnatura diversa, parzialmente leggibile, che
sicuramente fa riferimento a una precedente collocazione.
Tutti i tre i frontespizi
riportano due timbri, uno color seppia che sembra essere il primo ad essere
apposto, e il secondo a inchiostro nero, entrambi cassati e resi quasi
illeggibili. Tuttavia, almeno nel caso del timbro a inchiostro nero, mi è stato
possibile individuare il proprietario. Si veda il frontespizio del secondo
volume (fig. 5)
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Fig. 5) Giorgio Vasari, Le Vite, ‘Edizione di Taddeo Pepoli’, Timbri di possesso sul frontespizio del Tomo II Foto: Giovanni Mazzaferro |
Vi sono chiaramente
identificabili tre massi con le iniziali P L T e una croce in alto. Si tratta del timbro di possesso del bolognese Taddeo Pepoli, come è
desumibile dalla relativa scheda dell’Archivio possessori dell’Archiginnasio.
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Fig. 6 )Timbro di possesso di Taddeo Pepoli - Bibl. Archiginnasio. Vedi http://badigit.comune.bologna.it/possessori/dettaglio.asp?lettera=165 |
I tre massi stanno a indicare le
tre cime del monte Calvario sormontate da una croce affiancata da due rami
d’ulivo (tipici dei monaci olivetani).
Taddeo (1605-1684),
discendente della famosa famiglia nobile bolognese dei Pepoli, fu monaco
olivetano. Le notizie biografiche in merito alla sua persona sono fornite in Notizie degli scrittori bolognesi raccolte
da Giovanni Fantuzzi, Tomo sesto, 1787, Bologna, nella Stamperia di San
Tommaso d’Aquino, pp, 358-362. Si veda:
La sua vita religiosa è legata al
monastero di San Michele in Bosco, a Bologna, in cui – secondo il Fantuzzi - entrò
a quindici anni e di cui divenne abate nel 1645. Pepoli dal 1651 al 1672 ricoprì
la carica di Generale dell’Ordine. Presumo (Fantuzzi non è chiaro in proposito)
che si sia spostato presso la ‘casa-madre’ dell’Abbazia di Monte Oliveto
Maggiore (nel senese), dove la congregazione aveva avuto origine sulla fine del
1200. Al ritorno a Bologna assunse nuovamente la direzione del monastero di San
Michele al Bosco, fin poco prima la morte.
Uomo di lettere e amante delle
belle arti, Pepoli è famoso perché diede vita, in questo periodo finale della
sua vita, alla biblioteca nel Monastero, grazie anche all’aiuto dell’altro
olivetano Don Pietro Bonini. L’interesse di un olivetano per l’opera di Vasari
è, senza dubbio, logico, visto che il pittore lavorò a lungo su commissione
dell’Ordine; lo è a maggior ragione per chi viveva in San Michele in Bosco,
dove Vasari dipinse tre grandi tavole per il refettorio attorno al 1540 (si
veda http://www.pinacotecabologna.beniculturali.it/it/content_page/item/368-cena-di-san-gregorio-magno-368).
Fu dunque Taddeo Pepoli l’estensore delle postille all’esemplare delle Vite in
questione?
Il profilo per certi versi coinciderebbe:
Pepoli, ad esempio, era un religioso e aveva una grande passione per i libri.
Tuttavia altri aspetti sembrano non tornare. Le biblioteche bolognesi
conservano oggi sedici volumi appartenuti a Taddeo Pepoli:
Solo in due casi compaiono sigle
manoscritte:
Impossibile stabilire qualsiasi
tipo di connessione, ma è comunque interessante notare che Pepoli non sembra essere un
postillatore seriale. Lo sarebbe stato, insomma, solo per le Vite di Vasari. Da notare, inoltre, che alcune delle postille contenute nelle Vite hanno a che fare con la Spagna.
Dalle parole del Fantuzzi non risulta una particolare confidenza di Taddeo con
la Spagna.
A questo punto l’attenzione si
deve spostare sull’altro timbro (quello color seppia) che, tuttavia, non ho
avuto modo di identificare. Va peraltro detto che, se si prende il timbro del
frontespizio del primo tomo (il meno illeggibile) e lo si ribalta mi sembra di poter leggere,
in basso, le lettere ‘retrat’ che potrebbero stare per il termine spagnolo
‘autorretrato’. Al di là del senso della cosa, che non colgo, quello che è
importante è tener conto che potrebbe essere il timbro di un possessore
spagnolo.
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Figura 7 Giorgio Vasari, Le Vite, ‘Edizione di Taddeo Pepoli’, Tomo I, Timbro di possesso color seppia sul primo tomo delle Vite (ribaltato) Foto: Giovanni Mazzaferro |
La Spagna
Le note ‘personali’ del
postillatore sono pochissime. Fra queste, la maggior parte hanno a che fare con
la Spagna. Le due più evidenti (ma meno importanti, e forse di mano diversa)
sono quelle apposte nel terzo tomo in corrispondenza della data di nascita e di
morte di Michelangelo, dove si può leggere rispettivamente: ‘Nacimiento de
Miguel Angel’ e ‘Muerte de Miguel Angel’. Tutte le altre note sono in italiano,
e in italiano perfetto.
In corrispondenza della Vita di
Leonardo (tomo II p. 6), laddove si parla del Cenacolo, il postillatore
aggiunge: “Ce [?] n’è una copia all’Escuriale nel refettorio del Collegio. F.
Josef de Siguenza”. Il riferimento è all’Historia
de la Orden de San Jéronimo, Tercera parte, 1605, che in effetti è dedicata
alla descrizione dell’Escorial. La citazione è corretta. Ancora, nella Vita di
Taddeo Zuccari (tomo III, p. 699), laddove si parla del fratello Federico, il
postillatore aggiunge: “questo Federico andò in Spagna per dipingere
all’Escuriale vi guadagnò molti denari, e poco honore come racconta F. Joseph
de Siguenza nella 3° parte dell’Historia dell’ordine di San Geronimo a c. 742
colonna 2”. Anche qui la citazione è corretta.
Quest’ultima annotazione ci fa
capire una cosa: difficilmente l’annotatore è romano. Federico Zuccari fu primo
Principe dell’Accademia di San Luca e, pur se considerato un manierista
superato dai classicisti belloriani, fu sempre oggetto di un rispetto legato
alla fondazione dell’Accademia, da lui fortemente voluta, che qui manca.
Ma in generale possiamo
aggiungere che l’Historia di Sigüenza
doveva essere particolarmente rara in Italia. Su OPAC ne ho trovate due copie,
una a Spoleto e l’altra alla Biblioteca Alessandrina a Roma. Naturalmente è
possibilissimo che se ne siano perse, ma il postillatore doveva avere a
disposizione una biblioteca ben fornita, specie in materia di testi religiosi
(perché solo il terzo volume dell’Historia
di Sigüenza
ha valore per le belle arti).
E, infine, la nota probabilmente
più interessante dell’intero postillato: ancora nella vita di Leonardo (Tomo
II, in fondo a p. 4), quando Vasari parla dei disegni su carta dell’artista e
dice di averne una testa realizzata in chiaroscuro, il postillatore aggiunge: “una
testa di una vecchia di chiaro e scuro è in Spagna appresso D. Geronimo di
Villaforte”. Non vi è alcun riferimento a un testo dove potrebbe essere stata
letta la notizia, il che fa pensare che l’autore possa averla vista o l’abbia
saputo da qualcuno (naturalmente l’attribuzione a Leonardo è da prendere con le
molle). Jerónimo
Villafuerte Zapata (date di nascita e morte a me sconosciute) fu Maggiordomo
del Re di Spagna e Conservatore del Re di Spagna almeno dal 1627. Vicente Carducho, nei suoi Diálogos de la Pintura, pubblicati
nel 1633, lo ricorda come uno dei principali collezionisti di Spagna. In
realtà, però, ne sappiamo pochissimo, e comunque Carducho non cita la testa di
Leonardo [3].
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Fig. 8) Giorgio Vasari, Le Vite, ‘Edizione di Taddeo Pepoli’, Tomo II, p. 4, Vita di Leonardo da Vinci Foto: Giovanni Mazzaferro |
Le relazioni con la Spagna si
mostrano, dunque, come l’aspetto più peculiare del postillato.
Altre note
Le note ‘personali’ del
postillatore, come detto, sono pochissime. Si sono viste quelle spagnole, e si
è già citato Lomazzo. In ambito letterario va ricordato anche il rimando a
Boccaccio nella vita di Giotto, in cui Vasari scrive che quest’ultimo fu molto
lodato nell’ambito della novella di Forese da Baratta (Tomo I, p. 120). Il
postillatore aggiunge: “G. 5 N. 5” che sta, chiaramente, per “Giorno 5, novella
5” (e sbaglia, perché è il giorno 6, novella 5). Siguenza, Lomazzo, Boccaccio:
sono questi gli unici riferimenti a volumi di altri autori, che comunque danno
l’idea di un uomo di cultura.
Un discorso a parte meritano due
note apposte in corrispondenza della Vita di Marcantonio Raimondi. Qui, come
noto, Vasari traccia una breve storia dell’incisione e fa riferimento a molte
stampe prodotte nei suoi anni. Il postillatore ne aggiunge due relative alla
produzione di Dürer; si tratta di un fenomeno abbastanza comune negli
esemplari vasariani postillati e testimonia della grande diffusione raggiunta
dalla grafica nel corso del XVII secolo. In particolare, le note aggiunte sono
le seguenti:
- tomo II p. 295: la nota compare nel margine inferiore della pagina, in cui si parla delle creazioni di Albrecht Dürer: “ho visto una carta longa 3 braccia con un carro tirato da molte para di cavalli, accompagnati da tutte le virtù, sul quale l’imperatore con un sole di sopra, e sopra li cavalli sono molti versi latini; et è in legno”. Si tratta indubbiamente della xilografia rappresentante il Trionfo di Massimiliano I, la cui prima tiratura è con versi tedeschi (1518), mentre dall’anno successivo i versi diventano latini: https://durerarcoditrionfo.cfs.unipi.it/carro-trionfale/
- tomo II p. 296: la nota compare nel margine inferiore della pagina, in cui si parla delle creazioni di Albrecht Dürer: “ho visto un Adam, et Eva di rame in 4° molto sottilmente intagliati”. C’è da presumere che si tratti del Peccato originale del 1504: https://www.alinari.it/it/dettaglio/ADA-F-002958-0000
Datazione
Quale datazione hanno le
postille? Nel loro testo non c’è alcun riscontro esplicito che ci permetta di
fissare una data esatta. Siamo comunque nella prima metà del Seicento. I libri
di Lomazzo e Sigüenza sono del 1584 e 1605. Villafuerte diventa Maggiordomo
del Re di Spagna nel 1626.
Nel 1647 esce a Bologna la terza
edizione delle Vite vasariane, a cura
di Carlo Manolessi. Per molti versi, l’edizione di Manolessi viene incontro a diversi aspetti
affrontati dal postillatore. In particolare gli indici sono rifatti (male) e
sono inserite postille a stampa laterali che permettono al lettore di
orientarsi meglio (la qualità e il livello di analisi sono comunque
infinitamente inferiori rispetto all’esemplare appartenuto a Taddeo Pepoli).
Naturalmente si potrebbe sostenere che l’esemplare Pepoli possa rappresentare
anche una sorta di reazione alla versione Manolessi: ci si propone di svolgere
meglio un lavoro che non è stato fatto bene. Tuttavia, è assai improbabile che
un uomo che dimostra una simile acribia nella lettura delle Vite, apponendo rimandi sistematici alle
carte, e citazioni esatte alla pagina di altri volumi, non citi mai l’edizione
Manolessi per evidenziarne errori e carenze. Se ne deve desumere che, molto
probabilmente, le note sono state apposte prima del 1647; e forse (sempre che
l’estensore non abbia avuto altre motivazioni o sia, ad esempio, morto) è proprio
l’uscita della versione bolognese a decretare la fine dello sforzo immane di un
uomo che, a oggi, continua a essere ancora senza nome.
NOTE
[1] Si veda Giovanni Mazzaferro, Gli esemplari postillati delle ‘Vite’
vasariane: un censimento: http://letteraturaartistica.blogspot.com/2016/06/vasari-postille.html?q=esemplari
[2] La citazione è corretta e fa
riferimento a Giovan Paolo Lomazzo, Trattato
dell’arte della pittura, scoltura et architettura, diviso in sette libri
etc… Milano, Paolo Gottardo, 1584, in particolare Libro II, p. 112: “Questo
gran pittore [n.d.r. Gaudenzio] quantunque con ragione si possa paragonare, per
Prudenza, Sapienza, et valore, à quelli che sono nominati, nel Terzo Libro
dell’Architettura, nondimeno è stato tralasciato da Giorgio Vasari, nelle vite
ch’egli ha scritto de’ Pittori, Scultori, et Architetti; argomento per non
apporgli più brutta nota ch’egli ha inteso solamente ad inalzare la sua Toscana
fino al cielo". Vedi: https://archive.org/details/trattatodellarte00loma/page/112
[3] Si veda On Art and Painting. Vicente Carducho and Baroque Spain. Edited by
Jean Andrews, Jeremy Roe e Oliver Noble Wood, Cardiff, University of Wales
Press, 2016, pp. 131-132 con relativa recensione (scritta dal sottoscritto)
qui: https://letteraturaartistica.blogspot.com/2016/11/vicente-carducho.html?q=dialogos+de+la+pintura.
La citazione di Villafuerte nell’originale di Carducho è nel Dialogo VIII
a p. 150: https://archive.org/details/bub_gb_8RNuctXwSl8C/page/n321.
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