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giovedì 3 ottobre 2019

Giovanni Mazzaferro. Un esemplare postillato delle Vite giuntine di Vasari appartenuto a Taddeo Pepoli



Giovanni Mazzaferro
Un esemplare postillato delle Vite giuntine di Vasari appartenuto a Taddeo Pepoli 



Fig. 1) Giorgio Vasari, Le Vite, ‘Edizione di Taddeo Pepoli’, Tomo II, p. 148, Vita di Giovan Francesco detto il Fattore. 
Foto: Giovanni Mazzaferro 



In generale

L’esemplare delle Vite di Giorgio Vasari in edizione giuntina (1568) oggetto di questo articolo si trova attualmente all’estero, in collezione privata; presenta un numero altissimo di postille marginali, in particolar modo nel secondo dei tre tomi che lo compongono.

In generale, si può senz’altro dire che la postillazione risponde a un’esigenza di maggiore chiarezza e fruibilità dell’opera, probabilmente a scopo didattico (ma non è dato sapere se per autoapprendimento o per insegnamento a terzi). Senza ombra di dubbio, l’annotazione dell’opera deve essere durata molti mesi, se non anni. Sfuggono, in tutta onestà, i criteri in base ai quali l’autore delle postille ha scelto le parti da annotare: nel primo volume il proemio, la vita di Cimabue e quella di Nicola e Giovanni Pisani, nel terzo da Taddeo Zuccari a Michelangelo. Il secondo volume è, senza dubbio, quello in cui la postillazione diventa sistematica (sono prive di commento solo le ultimissime biografie) e fa intuire il senso complessivo dell’operazione: gli indici sono sistematicamente integrati con dati desunti dalla lettura del tomo (si veda, ad esempio, l’indice dei nomi, con l’aggiunta di decine e decine di nominativi, quasi tutte figure trattate come secondarie da Vasari all’interno di biografie dedicate ad altri artefici). Di particolare interesse, pare, in proposito, l’annotazione posta all’inizio del medaglione intestato a Polidoro da Caravaggio e a Maturino [Tomo II p. 197]: “Questa vita di Polidoro, e Maturino è tanto compendiosamente scritta, che non occorre cavare alcuna cosa alcuna al margine, ma bisogna leggerla intieramente, chi vuole havere notitia di quele opere di costoro, che in essa si scrivono”. ‘Cavare’ le notizie più importanti mettendole a margine: questo lo scopo del postillatore. Per notizie più importanti si intendono informazioni sul carattere dell’artefice, date di nascita e morte, opere realizzate, eventuali discepoli. Nel caso specifico (peraltro) o lo stesso postillatore o chi per lui deve avere cambiato parere perché in corrispondenza delle vite di Maturino e Polidoro c’è un foglio piegato in quattro con il compendio delle loro biografie, che si attiene in tutto e per tutto al dettato vasariano.

Fig. 2) Giorgio Vasari, Le Vite, ‘Edizione di Taddeo Pepoli’, Tomo II, Tavola delle Vite degli Artefici
Foto Giovanni Mazzaferro

Va peraltro aggiunto che, oltre all’evidenziazione vera e propria dei contenuti e al loro (eventuale) inserimento nell’indice, nell’ambito di tutta l’opera, e quindi anche di tutto il tomo I e del III, è evidente la realizzazione di una serie (oltre trecento) di rinvii finalizzata appunto a facilitare la consultazione. Il che fa pensare a un doppio livello di lettura: un primo livello (completato) contraddistinto dall’inserimento dei rimandi (e dalla correzione nel testo degli errori tipografici segnalati nell’errata corrige di ogni volume) e un secondo (non completato) con l’evidenziazione tramite postille laterali delle notizie salienti sugli artefici.

È solo nell’ambito del sistema dei richiami che il postillatore si permette di mostrare accenti polemici nei confronti di Vasari; a disturbarlo sono i silenzi o l’incoerenza di alcune affermazioni. Alcuni esempi:
  • Incongruenze all’interno di una stessa vita: si veda la Vita di Bartolomeo da Bagnacavallo e d’altri pittori romagnoli (tomo II, p. 213). All’inizio della vita (che è una biografia collettiva) Vasari scrive che Bartolomeo da Bagnacavallo, Amico Bolognese, Girolamo da Cotignola e Innocenzo da Imola nutrirono reciprocamente un’invidia tale da arrecar danno alle rispettive carriere. Alla fine, però (p. 217) dice che Innocenzo fu persona modesta e buona. Il postillatore commenta (a p. 217): “perché dunque nel principio di questa vita lo pone fra gli altri che taccia di superbi et invidiosi?
  • Incongruenze fra una vita e un’altra: Vita di Bramante: della presenza di Bramante a San Pietro – scrive Vasari a tomo II, p. 32 – è rimasto ben poco perché Raffaello e Giuliano da Sangallo successivamente ne modificarono l’opera. Il postillatore segnala: “a c. 62 dice che Giuliano non accettò il carico; ma se ne tornò a Firenze”. E in effetti a c. 62 dello stesso tomo (vita di Giuliano e Antonio da Sangallo) la versione fornita è quella della rinuncia di Giuliano per il troppo lavoro e del ritorno a Firenze con l’assenso del Papa.

La maggior parte delle incongruenze (e dei toni polemici) è presente nel tomo III. Ne segnalo in particolare due, nell’ambito della vita di Michelangelo. In corrispondenza dell’elogio del Mosè, Vasari scrive (tomo III, p. 717 in fondo alla pagina) che Mosè può chiamarsi più di ogni altro ‘amico di Dio’ perché Dio ha voluto mettere insieme e preparargli il corpo per la sua resurrezione tramite la statua di Michelangelo. All'altezza di queste parole, il postillatore scrive: “concetto freddo, e falso”. È chiaro che la contestazione avviene su un piano teologico, e appare logico pensare, a questo punto, che l’annotatore sia un religioso. Più avanti, in corrispondenza della ‘riconciliazione’ di Michelangelo con il Papa (che si trovava a Bologna) – p. 718 – il postillatore appone non una, ma una serie di note, identificandole con lettere e rimandando in fondo alla pagina (vedi foto 3). Vediamo le contestazioni:

Fig.3) Giorgio Vasari, Le Vite, ‘Edizione di Taddeo Pepoli’, Tomo III, p. 717, Vita di Michelangelo
Foto: Giovanni Mazzaferro

  • Dunque dubiosi sono questi suoi racconti; e pure professa sapere il retto per l’amicitia, che haveva con lui come dice di sopra a c. 7 [..]";
  • Et il ponte fatto perché il papa l’andasse a vedere? Vedi a carta 726”. Qui si contesta l’affermazione che Michelangelo non volesse far vedere nessuna delle sue cose, in base a quanto scritto a p. 726 in cui si dice che Giulio II si era fatto fare un ponte levatoio per poter vedere come lavorava;
  • non pare che il Papa havesse bisogno di corrompere, e forse che Giulio non sapeva comandare”: ancora una volta un intervento che sembra essere quello di un religioso. Non si accetta l’idea che il Papa possa corrompere (in questo caso i garzoni di Michelangelo per fargli vedere la cappella Sistina);
  • questa si cominciò doppo tornato il Papa a Roma da Bologna” (riferito alla Cappella Sistina);
  • non ne ha ancora parlato”: si contesta il fatto che Vasari scriva che il Papa gli aveva fatto dipingere la Cappella Sistina “come si disse poco innanzi”.

Le critiche a Vasari si esauriscono però su un piano di mancata coerenza nelle sue affermazioni, al limite di sdegno nei confronti di affronti alla religione, ma mai si addentrano in questioni di campanilismo, e men che meno in fatti stilistici In particolare, il postillatore conosce le controversie relative alla partigianeria dell’autore (la cosiddetta ‘reazione anti-vasariana), particolarmente accentuate agli inizi del Seicento e oggetto di postille in altri esemplari [1], ma a tali critiche risponde con un’annotazione assai equilibrata e realistica in fondo alla Vita di Giovan Francesco detto il Fattore (Tomo II, p. 148): “Il Lomazzo nel 2° libro alla fine del 2 capitolo taccia il Vasari che habbia tralasciato Gaudenzio [2]; e pure ne dice di sopra molto bene in poche parole; et è da considerare che non poteva un pittore com’era il Vasari andar per tutto il mondo a cercar le vite, e l’opere de’ pittori; e se la maggior parte di quelli, le cui vite egli racconta sono toscani; è anco certo che di Toscana erano usciti de’ maggiori pittori, che sino a quel tempo fossero stati; e non defrauda delle dovute lodi Raffaello benché non fosse toscano; e così d’altri, d’altri paesi, che furono famosi” (fig. 1). Vasari, insomma, è complessivamente degno di fede, e proprio per questo ha senso studiarlo e renderne l’opera più fruibile.


I possessori

L’esemplare proviene dalla novecentesca biblioteca Banzi, dove era collocato con segnatura B VII 35-37.

Fig. 4) Giorgio Vasari, Le Vite, ‘Edizione di Taddeo Pepoli’, Ex-libris Biblioteca Banzi
Foto: Giovanni Mazzaferro

Tuttavia sotto l’ex-libris del volume Primo compare una segnatura diversa, parzialmente leggibile, che sicuramente fa riferimento a una precedente collocazione.

Tutti i tre i frontespizi riportano due timbri, uno color seppia che sembra essere il primo ad essere apposto, e il secondo a inchiostro nero, entrambi cassati e resi quasi illeggibili. Tuttavia, almeno nel caso del timbro a inchiostro nero, mi è stato possibile individuare il proprietario. Si veda il frontespizio del secondo volume (fig. 5)

Fig. 5) Giorgio Vasari, Le Vite, ‘Edizione di Taddeo Pepoli’, Timbri di possesso sul frontespizio del Tomo II
Foto: Giovanni Mazzaferro


Vi sono chiaramente identificabili tre massi con le iniziali P L T e una croce in alto. Si tratta del timbro di possesso del bolognese Taddeo Pepoli, come è desumibile dalla relativa scheda dell’Archivio possessori dell’Archiginnasio.

Fig. 6 )Timbro di possesso di Taddeo Pepoli - Bibl. Archiginnasio. Vedi http://badigit.comune.bologna.it/possessori/dettaglio.asp?lettera=165


I tre massi stanno a indicare le tre cime del monte Calvario sormontate da una croce affiancata da due rami d’ulivo (tipici dei monaci olivetani).

Taddeo (1605-1684), discendente della famosa famiglia nobile bolognese dei Pepoli, fu monaco olivetano. Le notizie biografiche in merito alla sua persona sono fornite in Notizie degli scrittori bolognesi raccolte da Giovanni Fantuzzi, Tomo sesto, 1787, Bologna, nella Stamperia di San Tommaso d’Aquino, pp, 358-362. Si veda:

La sua vita religiosa è legata al monastero di San Michele in Bosco, a Bologna, in cui – secondo il Fantuzzi - entrò a quindici anni e di cui divenne abate nel 1645. Pepoli dal 1651 al 1672 ricoprì la carica di Generale dell’Ordine. Presumo (Fantuzzi non è chiaro in proposito) che si sia spostato presso la ‘casa-madre’ dell’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore (nel senese), dove la congregazione aveva avuto origine sulla fine del 1200. Al ritorno a Bologna assunse nuovamente la direzione del monastero di San Michele al Bosco, fin poco prima la morte.

Uomo di lettere e amante delle belle arti, Pepoli è famoso perché diede vita, in questo periodo finale della sua vita, alla biblioteca nel Monastero, grazie anche all’aiuto dell’altro olivetano Don Pietro Bonini. L’interesse di un olivetano per l’opera di Vasari è, senza dubbio, logico, visto che il pittore lavorò a lungo su commissione dell’Ordine; lo è a maggior ragione per chi viveva in San Michele in Bosco, dove Vasari dipinse tre grandi tavole per il refettorio attorno al 1540 (si veda http://www.pinacotecabologna.beniculturali.it/it/content_page/item/368-cena-di-san-gregorio-magno-368). Fu dunque Taddeo Pepoli l’estensore delle postille all’esemplare delle Vite in questione?

Il profilo per certi versi coinciderebbe: Pepoli, ad esempio, era un religioso e aveva una grande passione per i libri. Tuttavia altri aspetti sembrano non tornare. Le biblioteche bolognesi conservano oggi sedici volumi appartenuti a Taddeo Pepoli:

Solo in due casi compaiono sigle manoscritte:

Impossibile stabilire qualsiasi tipo di connessione, ma è comunque interessante notare che Pepoli non sembra essere un postillatore seriale. Lo sarebbe stato, insomma, solo per le Vite di Vasari. Da notare, inoltre,  che alcune delle postille contenute nelle Vite hanno a che fare con la Spagna. Dalle parole del Fantuzzi non risulta una particolare confidenza di Taddeo con la Spagna.

A questo punto l’attenzione si deve spostare sull’altro timbro (quello color seppia) che, tuttavia, non ho avuto modo di identificare. Va peraltro detto che, se si prende il timbro del frontespizio del primo tomo (il meno illeggibile) e lo si ribalta mi sembra di poter leggere, in basso, le lettere ‘retrat’ che potrebbero stare per il termine spagnolo ‘autorretrato’. Al di là del senso della cosa, che non colgo, quello che è importante è tener conto che potrebbe essere il timbro di un possessore spagnolo.

Figura 7 Giorgio Vasari, Le Vite, ‘Edizione di Taddeo Pepoli’, Tomo I, Timbro di possesso color seppia sul primo tomo delle Vite (ribaltato)
Foto: Giovanni Mazzaferro

La Spagna

Le note ‘personali’ del postillatore sono pochissime. Fra queste, la maggior parte hanno a che fare con la Spagna. Le due più evidenti (ma meno importanti, e forse di mano diversa) sono quelle apposte nel terzo tomo in corrispondenza della data di nascita e di morte di Michelangelo, dove si può leggere rispettivamente: ‘Nacimiento de Miguel Angel’ e ‘Muerte de Miguel Angel’. Tutte le altre note sono in italiano, e in italiano perfetto.

In corrispondenza della Vita di Leonardo (tomo II p. 6), laddove si parla del Cenacolo, il postillatore aggiunge: “Ce [?] n’è una copia all’Escuriale nel refettorio del Collegio. F. Josef de Siguenza”. Il riferimento è all’Historia de la Orden de San Jéronimo, Tercera parte, 1605, che in effetti è dedicata alla descrizione dell’Escorial. La citazione è corretta. Ancora, nella Vita di Taddeo Zuccari (tomo III, p. 699), laddove si parla del fratello Federico, il postillatore aggiunge: “questo Federico andò in Spagna per dipingere all’Escuriale vi guadagnò molti denari, e poco honore come racconta F. Joseph de Siguenza nella 3° parte dell’Historia dell’ordine di San Geronimo a c. 742 colonna 2”. Anche qui la citazione è corretta.

Quest’ultima annotazione ci fa capire una cosa: difficilmente l’annotatore è romano. Federico Zuccari fu primo Principe dell’Accademia di San Luca e, pur se considerato un manierista superato dai classicisti belloriani, fu sempre oggetto di un rispetto legato alla fondazione dell’Accademia, da lui fortemente voluta, che qui manca.

Ma in generale possiamo aggiungere che l’Historia di Sigüenza doveva essere particolarmente rara in Italia. Su OPAC ne ho trovate due copie, una a Spoleto e l’altra alla Biblioteca Alessandrina a Roma. Naturalmente è possibilissimo che se ne siano perse, ma il postillatore doveva avere a disposizione una biblioteca ben fornita, specie in materia di testi religiosi (perché solo il terzo volume dell’Historia di Sigüenza ha valore per le belle arti).

E, infine, la nota probabilmente più interessante dell’intero postillato: ancora nella vita di Leonardo (Tomo II, in fondo a p. 4), quando Vasari parla dei disegni su carta dell’artista e dice di averne una testa realizzata in chiaroscuro, il postillatore aggiunge: “una testa di una vecchia di chiaro e scuro è in Spagna appresso D. Geronimo di Villaforte”. Non vi è alcun riferimento a un testo dove potrebbe essere stata letta la notizia, il che fa pensare che l’autore possa averla vista o l’abbia saputo da qualcuno (naturalmente l’attribuzione a Leonardo è da prendere con le molle). Jerónimo Villafuerte Zapata (date di nascita e morte a me sconosciute) fu Maggiordomo del Re di Spagna e Conservatore del Re di Spagna almeno dal 1627. Vicente Carducho, nei suoi Diálogos de la Pintura, pubblicati nel 1633, lo ricorda come uno dei principali collezionisti di Spagna. In realtà, però, ne sappiamo pochissimo, e comunque Carducho non cita la testa di Leonardo [3].

Fig. 8) Giorgio Vasari, Le Vite, ‘Edizione di Taddeo Pepoli’, Tomo II, p. 4, Vita di Leonardo da Vinci
Foto: Giovanni Mazzaferro

Le relazioni con la Spagna si mostrano, dunque, come l’aspetto più peculiare del postillato.


Altre note

Le note ‘personali’ del postillatore, come detto, sono pochissime. Si sono viste quelle spagnole, e si è già citato Lomazzo. In ambito letterario va ricordato anche il rimando a Boccaccio nella vita di Giotto, in cui Vasari scrive che quest’ultimo fu molto lodato nell’ambito della novella di Forese da Baratta (Tomo I, p. 120). Il postillatore aggiunge: “G. 5 N. 5” che sta, chiaramente, per “Giorno 5, novella 5” (e sbaglia, perché è il giorno 6, novella 5). Siguenza, Lomazzo, Boccaccio: sono questi gli unici riferimenti a volumi di altri autori, che comunque danno l’idea di un uomo di cultura.  

Un discorso a parte meritano due note apposte in corrispondenza della Vita di Marcantonio Raimondi. Qui, come noto, Vasari traccia una breve storia dell’incisione e fa riferimento a molte stampe prodotte nei suoi anni. Il postillatore ne aggiunge due relative alla produzione di Dürer; si tratta di un fenomeno abbastanza comune negli esemplari vasariani postillati e testimonia della grande diffusione raggiunta dalla grafica nel corso del XVII secolo. In particolare, le note aggiunte sono le seguenti:
  • tomo II p. 295: la nota compare nel margine inferiore della pagina, in cui si parla delle creazioni di Albrecht Dürer: “ho visto una carta longa 3 braccia con un carro tirato da molte para di cavalli, accompagnati da tutte le virtù, sul quale l’imperatore con un sole di sopra, e sopra li cavalli sono molti versi latini; et è in legno”. Si tratta indubbiamente della xilografia rappresentante il Trionfo di Massimiliano I, la cui prima tiratura è con versi tedeschi (1518), mentre dall’anno successivo i versi diventano latini: https://durerarcoditrionfo.cfs.unipi.it/carro-trionfale/
  • tomo II p. 296: la nota compare nel margine inferiore della pagina, in cui si parla delle creazioni di Albrecht Dürer: “ho visto un Adam, et Eva di rame in 4° molto sottilmente intagliati”. C’è da presumere che si tratti del Peccato originale del 1504: https://www.alinari.it/it/dettaglio/ADA-F-002958-0000


Datazione

Quale datazione hanno le postille? Nel loro testo non c’è alcun riscontro esplicito che ci permetta di fissare una data esatta. Siamo comunque nella prima metà del Seicento. I libri di Lomazzo e Sigüenza sono del 1584 e 1605. Villafuerte diventa Maggiordomo del Re di Spagna nel 1626.

Nel 1647 esce a Bologna la terza edizione delle Vite vasariane, a cura di Carlo Manolessi. Per molti versi, l’edizione di Manolessi viene incontro a diversi aspetti affrontati dal postillatore. In particolare gli indici sono rifatti (male) e sono inserite postille a stampa laterali che permettono al lettore di orientarsi meglio (la qualità e il livello di analisi sono comunque infinitamente inferiori rispetto all’esemplare appartenuto a Taddeo Pepoli). Naturalmente si potrebbe sostenere che l’esemplare Pepoli possa rappresentare anche una sorta di reazione alla versione Manolessi: ci si propone di svolgere meglio un lavoro che non è stato fatto bene. Tuttavia, è assai improbabile che un uomo che dimostra una simile acribia nella lettura delle Vite, apponendo rimandi sistematici alle carte, e citazioni esatte alla pagina di altri volumi, non citi mai l’edizione Manolessi per evidenziarne errori e carenze. Se ne deve desumere che, molto probabilmente, le note sono state apposte prima del 1647; e forse (sempre che l’estensore non abbia avuto altre motivazioni o sia, ad esempio, morto) è proprio l’uscita della versione bolognese a decretare la fine dello sforzo immane di un uomo che, a oggi, continua a essere ancora senza nome.


NOTE

[1] Si veda Giovanni Mazzaferro, Gli esemplari postillati delle ‘Vite’ vasariane: un censimento: http://letteraturaartistica.blogspot.com/2016/06/vasari-postille.html?q=esemplari

[2] La citazione è corretta e fa riferimento a Giovan Paolo Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura, diviso in sette libri etc… Milano, Paolo Gottardo, 1584, in particolare Libro II, p. 112: “Questo gran pittore [n.d.r. Gaudenzio] quantunque con ragione si possa paragonare, per Prudenza, Sapienza, et valore, à quelli che sono nominati, nel Terzo Libro dell’Architettura, nondimeno è stato tralasciato da Giorgio Vasari, nelle vite ch’egli ha scritto de’ Pittori, Scultori, et Architetti; argomento per non apporgli più brutta nota ch’egli ha inteso solamente ad inalzare la sua Toscana fino al cielo". Vedi: https://archive.org/details/trattatodellarte00loma/page/112

[3] Si veda On Art and Painting. Vicente Carducho and Baroque Spain. Edited by Jean Andrews, Jeremy Roe e Oliver Noble Wood, Cardiff, University of Wales Press, 2016, pp. 131-132 con relativa recensione (scritta dal sottoscritto) qui: https://letteraturaartistica.blogspot.com/2016/11/vicente-carducho.html?q=dialogos+de+la+pintura. La citazione di Villafuerte nell’originale di Carducho è nel Dialogo VIII a p. 150: https://archive.org/details/bub_gb_8RNuctXwSl8C/page/n321.



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