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lunedì 21 ottobre 2019

Herschel B. Chipp. [Teorie dell'arte moderna: un libro delle fonti ordinato per artisti e critici]. Parte Terza


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Storia delle antologie di letteratura artistica
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Herschel B. Chipp
Theories of Modern Art: a Source Book by Artists and Critics.
[Teorie dell’arte moderna: un libro delle fonti ordinato per artisti e critici]
Col contributo di Peter Selz and Joshua Taylor


Berkeley, University of California Press, 1968

Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Terza

Fig. 40) L’edizione brasiliana dell’antologia di Hershel B. Chipp, intitolata Teorias Da Arte Moderna e pubblicata dall’editore Martin Fontes (San Paolo del Brasile). A sinistra, l’edizione del 1988, a destra quella del 1999.
Questa terza parte della recensione sull’antologia di Herschel B. Chipp (1913-1992) è dedicata al cubismo, al futurismo e a neo-plasticismo e costruttivismo, che sono documentati rispettivamente nel terzo, quarto e quinto capitolo dell’opera. Rispetto alle tendenze e ai movimenti discussi nella seconda Parte (postimpressionismo, simbolismo e altre tendenze soggettiviste, fauvismo ed espressionismo) la letteratura artistica si distingue per una minore prevalenza delle singole personalità individuali e una più forte articolazione collettiva: non sono più le testimonianze individuali (i diari ed i carteggi) a dominare, mentre s’impone la consuetudine di pubblicare manifesti con cui spiegare al pubblico le ragioni per le quali gruppi di artisti (e molto spesso letterati, poeti e drammaturghi) intendono associarsi fra loro per proporre forme d’arte radicalmente nuova. Inoltre, mentre molti degli artisti precedenti (si pensi a Cézanne, van Gogh, Matisse, Beckmann) riscoprono l’importanza del bagaglio culturale classico, i nuovi movimenti testimoniano spesso invece una volontà irriducibile e radicale di rottura rispetto al passato.


Un compito quasi impossibile: antologizzare la letteratura artistica cubista

Come storico dell’arte Chipp è soprattutto conosciuto per l’estesa produzione saggistica su Pablo Picasso (1881-1973), che comprende l’ideazione del catalogo completo delle sue opere nell’ambito del Picasso Project, in gran parte pubblicato dopo la scomparsa del critico, nel 1992. Alla letteratura artistica del cubismo, la cui essenza sintetizza nella massima ‘forma come espressione’, Chipp dedica un’ampia sezione di cento pagine. Rispetto ad altri capitoli, i testi citati sono anche più ampi e continui.

Fig. 41) Tre dei volumi del Picasso Project, ideati da Herschel B. Chipp e dedicati rispettivamente alla fase dal cubismo al neoclassicismo (1995), al neoclassicismo I (1995) e al neoclassicismo II (1996). Tutti i volumi sono pubblicati dall’editore Alan Wofsy Fine Arts di San Francisco. Fonte: https://www.art-books.com/the-picasso-project.php

Il cubismo - scrive Chipp - ha cambiato l’arte tra 1907 e 1914 più di quanto fosse mai successo dall’epoca rinascimentale, influenzando architettura, arti applicate, poesia, letteratura e musica [47]. L’influenza del cubismo non si esaurisce all’interno del movimento, ma si manifesta in tutte le espressioni artistiche immediatamente successive, riflettendosi sull’intero secolo. Con l’eccezione proprio dei due maggiori esponenti del movimento – e dunque di Picasso e Georges Braque (1882-1963) – la produzione letteraria degli altri artisti che si richiamano al movimento è intensissima, pur avviandosi solamente dopo l’esibizione di arte cubista al Salon des Indépendants del 1911 (qualche anno dopo la comparsa delle prime opere cubiste di Picasso nel 1907). Gli artisti cercano un legame con intellettuali di riferimento, spiegano le proprie ragioni, e divulgano le loro idee [48]. I più attivi in questo senso sono Jean Metzinger (1883-1956), Albert Gleizes (1881-1953), Fernand Léger (1881-1955) e Juan Gris (1887-1927); i maggiori letterati-critici che li accompagnano sono Guillaume Apollinaire (1880-1918), André Salmon (1881-1969) e Alfred Jarry (1873-1907).

Fig. 42) Il saggio di André Salmon sulla Giovane pittura francese, che comprende il capitolo Storia aneddotica del cubismo. È pubblicato nel 1912 a Parigi dalla Société des Trente. Fonte: https://archive.org/details/lajeunepeinturef00salm/page/40

La sezione si apre con il capitolo sul cubismo nel saggio di André Salmon sulla Giovane pittura francese del 1912 (interamente disponibile su internet all’indirizzo https://archive.org/details/lajeunepeinturef00salm/page/n8). Salmon è il primo a raccontare in modo fattuale la vita di Picasso e degli altri cubisti in quegli anni. La traduzione dal francese è di Chipp; va tuttavia detto che del capitolo esiste anche una traduzione inglese diversa e più recente ad opera della storica dell’arte Beth S. Gersh-Nesic (si veda: https://books.google.co.jp/books?id=BngwOaFvEecC&printsec=frontcover&hl=it).

Fig. 43) In alto, da sinistra a destra: Il trattato sul cubismo di Albert Gleizes e Jean Metzinger, nell’edizione originale, pubblicata nel 1912 da Eugène Figuière Éditeurs a Parigi; l’edizione francese successiva, comparsa nel 1947 a cura della Compagnie Française des Arts Graphiques; la traduzione inglese del 1913 pubblicata da T. Fisher Unwin (senza indicazione del traduttore); il terzo numero della rivista Unione della gioventù, in cui appare la recensione russa del pittore e compositore Michael Vasilyevich Matyushin. In basso, da sinistra a destra: le due più recenti versioni francesi del 1980 (Présence) e del 2012 (Hermann), la traduzione spagnola del 1986 (Colección de Arquitectura, traduzione di I. Ramos Serna e F. Torres Monreal) e quella tedesca del 1988 (R. G. Fischer, traduzione di Fritz Metzinger).

Segue la trascrizione quasi integrale del saggio Du Cubisme di Albert Gleizes e Jean Metzinger, anch’esso uscito nel 1912 in francese (fu la prima opera teorica sul cubismo). Va detto che questo (breve) trattato, pubblicato dal poeta ed editore parigino Eugène Figuière (1882-1944) in concomitanza con la mostra collettiva della Section d’or alla galleria La Boétie di Paul Rosenberg (1881-1959) nell’ottobre 1912, fu oggetto per decenni di polemiche, dopo che il gallerista e critico Daniel Henry Kahnweiler (1884-1979), grande promotore del cubismo e cognato di Rosenberg, lo attaccò in maniera veemente nel 1920 nel suo saggio La via al cubismo (Der Weg zum Kubismus). Uno dei punti di maggior polemica è il tono didascalico del testo di Gleizes e Metzinger, giustificato dalla preoccupazione dei due artisti di difendere i pittori dalle critiche sferzanti di cui sono oggetto. In difesa dei due pittori Chipp scrive invece: “In Du Cubisme i due artisti cercano di spiegare alcuni dei concetti alla base del movimento. Essi discutono in termini chiari e razionali l’idea del nuovo «concettuale» in opposizione al vecchio «visivo», e spiegano come gli oggetti naturali siano trasformati nel regno plastico della pittura” [49]. L’edizione del 1912 presenta anche immagini di opere di artisti cubisti, compresi disegni originali, ed è per questo che è stata spesso presentata in mostre collettive di arti figurative sul cubismo. Chipp fa notare che, nell’opera, Picasso è presente con una sola immagine e Braque non lo è affatto: Gleizes e Metzinger, insomma, sembrano in qualche modo voler rimarcare la loro autonomia rispetto ai due capigruppo storici del movimento [50]. Sono invece presenti immagini di opere di Paul Cézanne, André Derain, Georges Braque, Jean Metzinger, Marie Laurencin, Albert Gleizes, Fernand Léger, Marcel Duchamp, Juan Gris e Francis Picabia. Una traduzione inglese di Du Cubisme compare per i tipi dell’editore T. Fisher Unwin l’anno seguente, e curiosamente Metzinger ha il cognome storpiato per un refuso proprio in copertina . Lo stesso errore compare lo stesso anno nella recensione russa «О книге Мецанже — Глеза «Du Cubisme» (Sul libro Du Cubisme di Metzinger and Gleizes), che è opera di una delle figure centrali dell’avanguardia cubo-futurista del paese, il pittore e compositore Michael Vasilyevich Matyushin (Михаил Васильевич Матюшин, 1861-1934). La recensione compare sulla rivista Unione della gioventù (Союз молодежи).  Una nuova edizione francese è pubblicata nel primo dopoguerra, nel 1947, a cura della Compagnie Française des Arts Graphiques di Parigi, con l’aggiunta di una postfazione degli autori e di nuove illustrazioni. Il trattato viene più volte riedito in francese, mentre nel 1986 e nel 1988 compaiono una traduzione spagnola e tedesca. Il testo di Gleizes e  Metzinger non è, fino a oggi disponibile in italiano, forse risentendo delle polemiche sulla sua qualità risalenti alla prima parte del secolo scorso.

Fig. 44) Quattro scritti sul cubismo di Albert Gleizes: Du Cubisme et des moyens de la comprendre (1920); La peinture et ses lois: ce qui devrait sortir du cubisme (1924); Tradition et cubisme: vers une conscience plastique (1927) e Souvenirs: Le Cubisme 1908-1914 (1957).

Di Albert Gleizes vengono citati altri quattro scritti: Du Cubisme et des moyens de la comprendre (1920); La peinture et ses lois: ce qui devrait sortir du cubisme (1924, pubblicato nella rivista La Vie des lettres et des arts, e comparso in inglese per i tipi di Francis Boutle Publishers nel 2000, con il titolo The Laws of painting); Tradition et cubisme: vers une conscience plastique (pubblicato nel 1927 con articoli e testi di conferenza tra 1912 e 1924) ed il testo postumo Souvenirs: Le Cubisme 1908-1914 (1957, ripubblicato nel 1997) a cura dell’Association des Amis d'Albert Gleizes. Il pittore (che – come scrive Chipp – era molto interessato in origine a movimenti di arte neoreligiosa) ha scritto molto di cubismo, ma la quasi totalità dei suoi testi è rimasta in ambito francofono. Per una raccolta dei numerosi scritti di Gleizes si veda anche http://www.fondationgleizes.fr/fr/gleize/page/albert-gleizes/ses-ecrits.

Fig. 45) L’articolo Les commencements du cubisme di Guillaume Apollinaire su Les Temps del 14 ottobre 1912
(Fonte: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k2410091/f5.item.texteImage)

Il letterato e critico d’arte Guillaume Apollinaire (il primo ad usare il termine “cubisti”) è presente nell’antologia di Chipp con due testi riportati integralmente: l’articolo Les commencements du cubisme , pubblicato sul quotidiano parigino Les Temps il 14 ottobre 1912 e il saggio Les peintres cubistes: Méditations Esthétiques del 1913.

L’articolo pubblicato su Les Temps (e tradotto in inglese da Chipp stesso) ha due meriti: in primo luogo è rivolto al grande pubblico e spiega ai lettori l’origine del movimento, partendo dall’amicizia tra Maurice de Vlaminck (1876-1958) e André Derain (1880-1954) e dal loro interesse comune per l’arte africana; in secondo luogo è alla base della conferenza che Apollinaire tenne a Berlino nel gennaio 1913, accompagnato da Robert Delaunay, alla galleria Der Sturm (conferenza famosissima che segna la nascita dell’interesse tedesco per il movimento cubista). Rivelando preoccupazioni filologiche, Chipp pubblica una versione che interpola la versione pubblicata sul quotidiano e il manoscritto che Apollinaire utilizza per la conferenza berlinese, conservato nella collezione di Sonia Delaunay. 

Fig. 46) In alto, da destra a sinistra: l’edizione originale di Les Peintres Cubistes di Guillaume Apollinaire del 1913, pubblicata a Parigi dall’editore Eugène Figuière et Cie; la seconda edizione pubblicata da Athena nel 1922; l’edizione pubblicata a Ginevra nel 1950 dall’editore Pierre Cailler; quella del 1965, curata da LeRoy C Breunig e Jean-Claude Chevalier e pubblicata dall’editore Hermann; infine l’edizione Berg International (1991). In basso, le edizioni pubblicate da Hermann (1980), Berg International (2012), Bortillat (2013), Les editions de Paris (2018) e Omina Poche (2018).  

Quanto al secondo testo, ossia Les peintres cubistes: Méditations Esthétiques, esso ha origine nella primavera del 1912 ma “appare solamente nel 1913 dopo essere stato oggetto di molte revisioni in cui il ruolo del cubismo diviene sempre più evidente. Il titolo originalmente previsto ‘Méditations esthétiques’ viene sostituito dal nuovo ‘Les peintres cubistes’, ed è spostato a sottotitolo. Si tratta, in parte, di una collezione di frammenti di articoli da quotidiani e dalla rivista Soirées de Paris, ed in parte di una nuova sezione sui singoli artisti” [51]. È interessante che Chipp dedichi molto spazio alla storia di questo scritto. Nel 1965 (ovvero pochi anni prima della pubblicazione dell’antologia) il saggio era stato oggetto di un’edizione critica grazie a due affermati linguisti - Jean-Claude Chevalier (1925-2018) e LeRoy C Breunig (1915-1996) – che ne avevano analizzano la storia e avevano scoperto, appunto, che (al contrario di quanto creduto per decenni) non era nato come un trattato cubista, ma semplicemente come raccolta miscellanea di articoli. Di conseguenza, Chipp scrive che il testo è stato “sopravvalutato come documento sul cubismo, ma sottovalutato per quel che ci insegna sui pittori contemporanei” [52].

Fig. 47) A sinistra: la traduzione in inglese di Les Peintres Cubistes ad opera di Lionel Abel, pubblicata da G. Wittenborn and Co. (prima edizione nel 1944 e numerose ristampe). A destra: la traduzione in inglese di Peter Read, pubblicata da University of California Press nel 2004.

Chipp osserva inoltre come l’espressione ‘pittura cubista’ non compaia una sola volta nei primi sei capitoli della prima parte (neppure quando si parla di Picasso e Braque, che sono semplicemente indicati come esponenti della ‘nuova pittura’); l’analisi del manoscritto originale rivela che inizialmente, nella primavera del 1912, erano considerati cubisti semplicemente Metzinger, Gleizes e Gris. Solamente nel settembre 1912 Apollinaire “aggiunge due breve sezioni in cui discute il cubismo stesso e in cui cerca di spiegare le sue famose quattro categorie di cubismo” [53]. Quella categorizzazione (cubismo scientifico, orfico, fisico e istintivo) è oggi passata alla storia, ma per Chipp “Apollinaire era specialmente attratto dall’innovazione in pittura, su cui aveva raccolto considerevoli informazioni, ma non voleva scrivere un’apologia del cubismo” [54]. Non solo: Chipp spiega come in origine l’identificazione dei quattro tipi di cubismo non rispondesse all’intenzione di sistematizzare un movimento, ma piuttosto avesse finalità polemiche: Apollinaire sosteneva infatti le tesi anti-picassiane e anti-braquiane del gruppo cubista della Section d’Or (1912), in favore di una concezione più pura e intellettuale dell’interazione tra forma e colore. Pensava addirittura che la “Section d’Or” avrebbe portato alla morte e alla rinascita del cubismo.

Fig. 48) Le tre edizioni italiane de I pittori cubisti di Guillaume Apollinaire del 1945, nella traduzione di Libero di Libero (Edizioni del Secolo), Giorgio Peri (Le Tre Venezie) e Franca Minoia (Il Balcone).

La seconda parte del testo di Apollinaire è intitolata I nuovi pittori e contiene dieci sezioni, dedicate rispettivamente a Picasso, Braque, Metzinger, Gleizes, Marie Laurencin (ed Henri Rousseau), Gris, Léger, Picabia, Duchamp e Raymond-Duchamp-Villon. Va sottolineato che il testo venne pubblicato in italiano contemporaneamente in tre versioni nel 1945, segno che probabilmente la sua comparsa in Italia era stata più volte soggetta a censura durante il fascismo e che tutti i curatori si affrettarono a dare alla luce le loro traduzioni dopo la liberazione. 

Fig. 49) La via al cubismo di Daniel Henry Kahnweiler, nell’edizione originaria tedesca del 1913, nella prima traduzione inglese del 1949 e in quella italiana del 2001.

Continuando con l’analisi dei testi proposti da Chipp nella sua antologia, è poi la volta della prefazione al già menzionato La via al cubismo (Der Weg zum Kubismus) del critico e gallerista Daniel Henry Kahnweiler. L’opera - che narra la storia del cubismo dagli esordi del 1907  - è pubblicata nel 1915 in Svizzera, dopo che il gallerista tedesco è stato espulso dalla Francia a causa del primo conflitto mondiale (e il suo patrimonio di quadri confiscato). Fino a quell’avvenimento drammatico, fu proprio Kahnweiler il mecenate di Picasso, Braque, Derain e Gris a Parigi; in particolare il gallerista aveva l’esclusiva sulla vendita delle opere di  Picasso, che furono destinate anche a collezionisti tedeschi, americani e russi. Il testo di Kahnweiler è stato già citato per i toni critici che contiene nei confronti del trattato cubista di Gleizes e Metzinger. Chipp può usufruire di una tradizione inglese di Henry Aronson (The Rise of Cubism) già pubblicata in inglese dall’editore newyorchese Wittenborn and Co. In italiano La via al cubismo è stato pubblicato da Mimesis nel 2001 a cura di Licia Fabiani.

Giunti a questo punto, l’antologia di Chipp si deve confrontare con un fenomeno nuovo. Se fino ad allora tutti gli innovatori dell’arte contemporanea hanno messo per iscritto, sia pur in forme diverse, le loro idee innovative sull’arte, con Pablo Picasso ci si imbatte in un grande dell’arte che non utilizza mai la scrittura. “Sebbene Picasso sia stato in stretto contatto con poeti ed artisti e abbia scritto numerose poesie e un dramma teatrale, ha scritto solo pochissime e davvero brevi dichiarazioni su se stesso. Nessuna di essa ci racconta delle sue idee sull’arte. Per comprenderle dobbiamo basarci su conversazioni informali con amici intimi e sui ricordi di questi ultimi” [55]. Chipp riproduce la famosissima intervista di Picasso al gallerista messicano Marius de Zayas (1880-1961). Già con la sua comparsa, nel 1923, l’intervista divenne la fonte più autorevole di auto-interpretazione dell’arte da parte del maestro (comparsa con il titolo Picasso speaks a New York nella rivista The Arts, l’abbiamo già trovata in francese nella raccolta antologica di Fels del 1925 e in tedesco in quella, sempre del 1925, di Paul Westheim). L’altro testo indirettamente picassiano (l’artista l’aveva controllato e approvato) è una conversazione con il critico greco francese Christian Zervos (1889-1970), pubblicata nel decennio seguente da Cahiers d’Art (1935) di cui Zervos è direttore. Il dialogo fu reso popolare negli Stati Uniti da una prima traduzione inglese di Alfred H. Barr (1902–1981), primo direttore del MoMa di New York. A Chipp, evidentemente, la traduzione di Barr non piace, tanto da incaricare la critica d’arte inglese Myfany Evans (1911-1997) di preparare una nuova versione. Abbiamo già incontrato un riferimento all’intervista a Zervos nell’articolo di Alfred Werner del 1965, in cui ci si lamenta dello scarso uso che di essa hanno fatto i critici d’arte americani. A queste due interviste Chipp aggiunge qualche brevissima citazione di altre conversazioni del 1933, 1945 e 1948. 

Fig. 50) Tre edizioni di Picasso on Art di Dore Ashton (rispettivamente del 1972, 1977 e 1988).

È comunque evidente che Chipp è imbarazzato dalla scarsità e dalla mancata qualità della letteratura artistica picassiana, e dalla limitata capacità di Picasso di porre l’arte nel giusto contesto storico: “Tutte le volte che ha a che fare con domande dirette e precise, [Picasso] è stato evasivo o ha risposto in termini metaforici. Le sue dichiarazioni, tuttavia, se considerate alla stregua di un coinvolgimento personale con l’arte e la vita, dovrebbero essere considerate come parte (ma solamente parte) dell’evidenza per studiare uno stile o un lavoro particolare. Come i dipinti stessi, le sue dichiarazioni dovrebbero essere considerate come risposte a situazioni ideologiche specifiche le cui condizioni esatte noi non siamo in grado di ricostruire in pieno. Esse si rivelano come commenti fantasiosi e a volte poetici, ricchi di associazioni e allusioni di diversa natura. Mentre essi evitano sempre una spiegazione diretta, offrono qualche testimonianza diretta per quel che riguarda aspetti della lotta personale dell’artista” [56]. Va detto che la ricerca antologica di dichiarazioni e testi che si possano riferire a Picasso diviene una priorità della critica americana di quegli anni, come testimoniato dal testo Picasso on Art: A Selection of Views di Dore Ashton del 1972. Della Ashton recensiremo un’altra antologia (Twentieth Century Artists on Art) del 1985, che è basata su criteri molto meno filologici di quelli di Chipp e rappresenta forse un modello alternativo di raccogliere e codificare la letteratura artistica contemporanea, facendo ampio utilizzo della citazione di moltissimi frammenti di testi non più lunghi di una pagina o una pagina e mezzo.

Dopo l’impossibilità di citare testi autografi di Picasso, Chipp ha a che fare con problemi analoghi quando si tratta di prendere in considerazione Georges Braque e Juan Gris. A essere presentati sono estratti di articoli o saggi di critici d’arte che si riferiscono ai due. Nel primo caso gli scritti sono del 1910, 1917 e 1945; nel secondo del 1921 e 1925. Nell’appendice bibliografica a fine volume, a Chipp non resta che elencare una lunga lista di dichiarazioni, testimonianze e racconti da parte di terzi come pure monografie di critici d’arte. Sono molto brevi anche le citazioni di Fernand Léger tratte da cataloghi di mostre del 1924 e 1926; in quest’ultimo caso, tuttavia, si tratta di una scelta dell’antologizzatore, dal momento che Léger era stato autore di testi programmatici sin dal 1912.

Per concludere sulla sezione cubista, nella sua recensione del 1972 Elizabeth Gilmore Holt commenta: “L’antologia documenta in modo eccellente il processo grazie al quale poeti, artisti e critici – ciascuno nel suo ruolo – hanno contribuito a creare lo stile ‘cubista’ e lo hanno spiegato nei loro scritti. Tuttavia il lettore profano e il giovane studente possono restare perplessi di fronte ad alcuni passi che sembrerebbero richiedere un’esegesi. Sfortunatamente, tale esegesi eccederebbe lo scopo del presente volume” [57].


Un breve capitolo sui testi futuristi

La breve sezione sul futurismo è opera di Joshua C. Taylor (1917-1981), a cui è sempre affidato il compito di documentare la letteratura artistica preminentemente italiana, provvedendo, se del caso, alla sua traduzione. Si è già detto nella Parte Prima che Taylor curò la mostra sul futurismo al MoMa di New York del 1961. Va aggiunto che lo studioso fu a diretto contatto con l’arte del nostro paese come ufficiale della sezione Monumenti, Belle Arti e Archivi dell’esercito americano, incaricata di preservare le opere d’arte durante il conflitto in Italia e di recuperare quelle che erano state trafugate negli anni della guerra [58].

Fig. 51) A sinistra: la mostra dei pittori futuristi italiani tenutasi alla Sackville Gallery di Londra nel 1912 (Fonte: British Library - https://www.bl.uk/collection-items/manifesto-of-futurism). A destra: la mostra sul futurismo al MoMa di New York, curata da Joshua C. Taylor nel 1961.

Taylor antologizza, ovviamente, il Manifesto futurista di Marinetti pubblicato su Le Figaro nel 1909. Il testo è tradotto in inglese direttamente quell’anno sotto la direzione di Marinetti, ma compare in quest’antologia in una nuova versione più completa a cura, appunto, di Taylor. Il Manifesto tecnico della pittura futurista dell’11 aprile 1910, a firma di Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini, è riprodotto nella versione inglese curata da Marinetti per una mostra alla Sackville Gallery di Londra del 1912, lievemente diversa da quella comparsa su Lacerba nel 1914. Il testo della presentazione della mostra londinese, firmato dai medesimi cinque artisti e intitolato The Exhibitors to the Public, è in realtà la traduzione inglese di  uno scritto già pubblicato dai futuristi a Parigi sempre nel 1912 (la mostra itinerante si era spostata dalla galleria Bernheim-Jeune sulla Senna alla Sackville Gallery sul Tamigi; raggiunse poi la galleria Der Sturm a Berlino e, di lì, Monaco, Amburgo, Vienna, Bruxelles, L’Aja e Amsterdam).

Fig. 52) A sinistra: Il Manifesto tecnico della pittura futurista del 1910 (fonte: http://www.libreriamalavasi.com/libri-antichi/la-pittura-futurista-manifesto-tecnico/25514). A destra: il Manifesto tecnico della scultura futurista del 1912 (fonte: http://www.artericerca.com/articoli%20online/Umberto%20Boccioni%20-%20La%20scultura%20-%20Manifesto%20Tecnico%20della%20Scultura%20Futurista.htm)

Di Boccioni è presente nell’antologia il Manifesto tecnico della scultura futurista del 1912 (che Taylor aveva già inserito nel catalogo della mostra newyorkese del 1961). Di Carrà compare il testo Da Cézanne a noi futuristi, pubblicato su Lacerba nel 1913 e mai comparso in inglese fino ad allora. Nella prefazione al capitolo Taylor esamina in particolare il rapporto tra futurismo, cubismo ed espressionismo. L’articolo di Carrà consente di documentare la polemica parigina in proposito: “In pittura il movimento futurista è stato spesso erroneamente considerato come un’emanazione del cubismo. In realtà sia le sue radici sia i suoi scopi erano molto differenti, ed erano più allineati a quelli del nuovo movimento di pittura tedesca che abbiamo infine chiamato espressionismo. Parte della confusione nacque dall’insistenza con cui i pittori parigini leggevano il Manifesto Tecnico avendo in mente le procedure analitiche del cubismo. Gli italiani – altrettanto insistenti nel mantenere l’indipendenza loro quanto la scuola di Parigi lo era nell’affermare la propria supremazia nel campo dell’arte – sottolinearono ripetutamente le differenze in sdegnati articoli pubblicati sulla rivista Lacerba di Firenze” [59].  Taylor spiega che parte della confusione è anche dovuta al fatto che i pittori futuristi (alcuni dei quali, come Severini, sono di casa a Parigi) usano “aspetti del linguaggio formale dei cubisti” [60] e hanno contatti con loro, ma perseguono finalità estetiche diverse.

Sul tema Elizabeth Gilmore Holt ha idee molto precise: “Il ruolo di Parigi come centro del circo dell’arte europea nel XIX secolo e la comprensibile ansia di ogni artista di essere visto in quel cerchio – come prima Roma aveva svolto il ruolo di arena dell’arte – si manifestano negli scritti futuristi. I teorici italiani del ‘dinamismo’ pittorico, che ebbe un impatto profondo su altri movimenti, mostrarono le loro scoperte come gruppo prima di tutto a Parigi. Ne consegue che il futurismo non si è mai sottratto all’insistenza francese della sua dipendenza dal cubismo” [61]. In altre parole, la polemica antifrancese degli italiani finisce per confermare il primato francese.


Neoplasticismo e costruttivismo come ‘regno nascosto’ della letteratura artistica della prima parte del XX secolo 

Con l’irrompere nell’arte del Novecento di un’iconografia pienamente astratta i creatori sentono la necessità assoluta di comunicare al pubblico e a loro stessi le ragioni del passaggio dall’imitazione della natura (per secoli la ragione logica dell’esecuzione dell’opera) alla costruzione di forme che non rappresentano oggetti, ma perseguono la visualizzazione di regole universali e perfette, e come tali espressione di bellezza assoluta. Tale passaggio si era già verificato in parte col cubismo, e in particolare nel già citato Du Cubisme di Albert Gleizes e Jean Metzinger (non a caso sono questi ultimi i cubisti che più sentono la necessità di teorizzare la loro produzione – legandola alla regola universale della Section d’or – mentre i cubisti che rifiutano l’astrazione, come Picasso e Braque, rifuggono dalla scrittura).

I rappresentanti di questo orientamento assolutamente astratto “stendevano manifesti comuni, pubblicavano riviste, scrivevano libri e davano conferenze. Per nessun’altra categoria di artisti del XX secolo la spiegazione teorica era la conseguenza di un’unione d’intenti così serrata o di ragioni idealistiche così forti” [62]. Nel capitolo sull’arte astratta del primo Novecento Chipp presenta scritti di Robert Delaunay (1885-1941), Stanton Macdonald Wright (1890-1973), Piet Mondrian (1872-1944), Theo van Doesburg (1883-1931), Naum Gabo (Наум Габо, 1890-1977), Kasimir Malevich (Казими́р Севери́нович Мале́вич, 1879-1935), Vasilij Kandinskij (Васи́лий Васи́льевич Канди́нский, 1866-1944) e Constantin Brancusi (1876-1957). In tal modo inserisce i testi programmatici dell’orfismo parigino, del sincromismo statunitense, del neoplasticismo olandese e del suprematismo russo. Insomma, non siamo più nell’ambito di movimenti artistici prettamente ‘parigini’.

La diversità di lingue e la molteplicità delle fonti fanno sì che solamente una parte dei testi siano disponibili in inglese (o in francese) al momento della pubblicazione dell’antologia. Chipp sente allora la necessità di anteporre ai passi antologizzati un’introduzione più lunga di quella inserita negli altri capitoli; vuole testimoniare come vi siano intere scuole costruttiviste, come ad esempio la Bauhaus, che hanno una produzione letteraria (e un’attività editoriale) imponente, che è impossibile includere nell’antologia. Il risultato, comunque, è che questo è uno dei capitoli che più soffre della difficoltà di proporre tutte le fonti più rilevanti al pubblico, proprio per difficoltà ‘oggettive’. Tra gli artisti menzionati con una certa rilevanza nell’introduzione, ma non presenti nella scelta di testi, vorrei ricordare Walter Gropius (1883-1969), Johannes Itten (1888-1967), Frantisek Kupka (1871-1957), El Lissintsky (Эль Лиси́цкий, 1890-1947), Oskar Schlemmer (1888-1943) e Vladimir Tatlin (Владимир Евграфович Татлин, 1885-1956).

Fig. 53) A sinistra: Il saggio Du cubisme à l'art abstrait, di Robert Delaunay, pubblicato postumo nel 1957. A destra: L’articolo La luce di Robert Delaunay, pubblicato nel gennaio 1913 a Berlino sulla rivista Der Sturm e tradotto da Paul Klee.

I movimenti costruttivisti nascono come manifestazioni locali, ma all’astrazione dell’arte ed all’universalità delle regole che la governano corrispondono anche intenzioni globali nel senso dell’applicazione di modelli di società applicabili al mondo intero. È così per il movimento olandese De Stijl, che nato durante il primo conflitto mondiale nell’Olanda neutrale anche in seguito a certi aspetti radicali della cultura protestante olandese, si diffonde in Francia e Germania alla fine della guerra come forma artistica mirante a creare un legame tra i grandi belligeranti. È ancor più il caso del costruttivismo russo di Gabo e Malevic, legato anch’esso a una filone radicale del pensiero russo, ma ancorato al trotskismo e dunque all’utopia dell'internazionalismo proletario. Con l’imporsi del leninismo i costruttivi lasceranno l’Unione Sovietica e troveranno asilo prima nella Germania di Weimar e poi negli Stati Uniti.

Fig. 54) Antologie americane (1978) e tedesche (1983) di scritti di Robert Delaunay.

Delaunay – l’inventore dell’orfismo – è il teorico della centralità assoluta del colore come forma e oggetto [63]. Vengono trascritti tre suoi passi provenienti da Du cubisme à l'art abstrait, comparso postumo nel 1958. Si tratta di una raccolta di documenti del pittore in gran parte ancora inediti all'epoca e pubblicati a cura del critico Pierre Francastel (1900-1970). La raccolta non è mai stata oggetto di nuova pubblicazione. Tra i tre testi – oltre a lettere del 1912 ad August Macke (1887- 1914) e Vasilij Kandinskij, ovvero a pittori del gruppo Cavaliere azzurro di Monaco – vi è un famoso articolo intitolato La Lumière, ovvero La luce. Chipp fa presente che dello stesso articolo (tradotto in tedesco da Paul Klee (1879-1940) nel 1913 e pubblicato a Berlino lo stesso anno in occasione di una mostra alla galleria Der Sturm, dove come si è già detto Delaunay è accompagnato da Apollinaire) esistono ben cinque versioni, e – con lo spirito filologico che gli è proprio – identifica in nota le differenze tra esse. La traduzione di Chipp è la prima a rendere fruibile il testo in inglese. Raccolte di scritti di Delaunay vengono pubblicate in inglese solo nel 1978, in tedesco nel 1983 e in italiano nel 1986. Il volume italiano di Scritti dell’arte di Delaunay a cura di Elena Pontiggia del 1986 (editore Amadeus) è fuori commercio e non disponibile neppure sul mercato antiquario on line.

Fig. 55) Il testo di Stanton MacDonald Wright sull’arte moderna del 1916, apparso nel catalogo della Forum Exhibition of Modern American Painters. Fonte: https://archive.org/details/forumexhibitiono00ande_0/page/n6

Dell’americano Stanton MacDonald Wright l’antologia presenta la dichiarazione programmatica del 1916 sul Sincromismo, pubblicata nel catalogo della Forum Exhibition of Modern American Painters a New York. Con quella mostra la rivista d’arte Forum, di cui Wright è redattore, si pone l’obiettivo di promuovere un’arte astratta nazionale, indipendente da quella europea. Nel catalogo pubblicato per l’occasione Wright pubblica un saggio su What is modern painting che spiega l’arte dei contemporanei americani dando, appunto,  una lettura indipendente dell’arte europea dell’Ottocento. I testi sono disponibili in italiano in Artisti americani tra le due guerre: una raccolta di documenti a cura di Francesca Pola, Francesco Tedeschi, Giuliana Scimé (editore Vita e Pensiero 2004). Chipp menziona anche il Treatise on color del 1924 (originariamente stampato privatamente da Wright, ma ripubblicato lo stesso anno in un catalogo di una mostra a Los Angeles), mentre non vi è alcun riferimento al Blueprint for a textbook on art del 1945.

Fig. 56) A sinistra: Kasimir Malevic, Dal cubismo e futurismo al suprematismo – il nuovo realismo pittorico, pubblicato a Mosca nel 1916. Al centro, Kasimir Malevic, Suprematismo 34 disegni, pubblicato a Vitebsk nel 1920. A destra, Kasimir Malevic, A proposito dei nuovi sistemi sull’arte: statica e velocità, pubblicato a Vitebsk nel 1919.

Negli ultimi anni del potere zarista i circoli più avanzati di Mosca conoscono Picasso e Monet meglio di quanto non capiti nella stessa Parigi [64]. Oltre all’innato radicalismo di parte della cultura russa, ciò spiega, secondo Chipp, perché l’esperienza del costruttivismo russo possa essere considerata “l’affermazione più radicale dell’ideale dell’assoluto nell’arte” [65]. Tuttavia se numerosi scritti compaiono in russo già a partire dal 1916, Malevic offre la più sistematica presentazione teorica del suo pensiero nel 1927, in occasione del suo viaggio in Germania, quando la Bauhaus pubblica nella sua collana di testi teorici il trattato Die gegenstandlose Welt (tradotto in italiano dalla Galleria Milano nel 1972 con il titolo Il Mondo della Non-Oggettività). Il trattato esce dal contesto tedesco solamente nel 1959, quando viene tradotto come The non-objective world a Chicago dallo storico dell’architettura Howard Dearstyne (1903-1979). Sono gli anni in cui gli Stati Uniti sono conquistati dall’espressionismo astratto.


Fig. 57) Il Mondo della Non-Oggettività di Kasimir Malevic, nell’edizione tedesca del 1920, la traduzione inglese del 1959 e la versione italiana del 1972.

Il Manifesto realista dello scultore Naum Gabo e del fratello Antoine Pevsner (Антуа́н Певзне́р, 1884-1962) viene distribuito come volantino nel 1920, in occasione dell’Esposizione Costruttivista di Mosca. I due fratelli hanno un rapporto molto stretto con la cultura dell’Europa occidentale. Il testo – riprodotto integralmente da Chipp – viene pubblicato in inglese per la prima volta nel 1957 a cura dello storico dell’arte Herbert Read (1893-1968) e dall’architetto Leslie Martin (1908-1999), entrambi rappresentanti del modernismo britannico. Un secondo testo nell’antologia (per molti aspetti interpretativo del primo) appartiene agli anni passati da Gabo in Gran Bretagna, dopo aver lasciato l’Unione Sovietica e prima di trasferirsi negli Stati Uniti. È intitolato Sculpture: Carving and construction in space ed è in origine pubblicato da Gabo insieme ad altri artisti nel 1937 (e poi ristampato nel 1966).

Fig. 58) A sinistra: il primo numero della rivista De Stijl nel 1917. Fonte: Wiki Commons. Al centro: Il manifesto sul Neoplasticismo, pubblicato da L’Effort Moderne a Parigi nel 1920 e curato da Pietr Mondrian. A destra: una raccolta di scritti di Mondrian in inglese del 1945, intitolata Plastic Art and Pure Plastic Art.

Il movimento De Stijl viene creato ad Amsterdam nel 1917 da Mondrian, van Doesburg e Jacobus J. Oud (1872-1944). Secondo Chipp è di gran lunga il movimento più influente sull’arte della sua epoca. “Le concezioni artistiche di De Stijl erano basate su un solido fondamento ideologico: la filosofia olandese dell’idealismo, una tradizione intellettuale di sobrietà, chiarezza e logica e – come Oud scrisse – «l’iconoclastia protestante». Gli artisti credevano nell’esistenza di un’armonia universale di cui l’uomo era parte subordinandosi a essa. Apparteneva al mondo dello spirito puro, che era liberato da ogni conflitto, da tutti gli oggetti del mondo fisico e persino da ogni individualità. In termini di pittura, gli strumenti plastici erano ridotti agli elementi costitutivi della linea, spazio e colore, sistemati nelle sue composizioni più elementari” [66]. Secondo van Doesburg “Il quadrato è per noi quello che fu la croce per i primi cristiani” [67].

Mondrian è uno dei più prolifici scrittori d’arte del Novecento, a partire dal secondo decennio del secolo a Parigi fino agli anni Sessanta a New York. Per Mondrian il neoplasticismo è sia teoria estetica sia principio filosofico-religioso. E dunque – osserva Chipp – per lui sono molto più importanti il neoplatonismo e la teosofia di quanto non siano l’amicizia con Picasso e la presenza dei cubisti a Parigi.  Chipp riporta due testi di Mondrian e van Doesburg dalla rivista De Stijl del 1919, disponibili in inglese dai primi anni Cinquanta da traduzioni parziali dei contenuti della rivista. Seguono due testi più lunghi, sempre di Mondrian: Plastic Art and Pure Plastic Art (pubblicato in inglese come articolo nel 1937 e poi come volume nel 1945) e una dichiarazione d’intenti comparsa in un catalogo del MoMa a New York nel 1946.

Con l’esperienza della Bauhaus la cultura dell’astrazione viene “istituzionalizzata e propagata con grande energia” [68]. La scuola di Weimar, fondata in origine da Henry van de Velde (1863-1957) per diffondere l’insegnamento dello Jugendstil attrae con Gropius un gruppo straordinario di artisti e insegnanti tutti attivi nell’elaborazione teorica. Tra 1925 e 1929 vengono pubblicati quattordici libri:
  1. Walter Gropius, Architettura internazionale, 1925 (seconda edizione rivista 1927)
  2. Paul Klee, Quaderno di schizzi pedagogici, 1925 (seconda edizione 1927)
  3. Adolf Meyer: Una casa sperimentale del Bauhaus di Weimar, 1925.
  4. Oskar Schlemmer, László Moholy-Nagy, Farkas Molnár: Il palcoscenico del Bauhaus, 1925.
  5. Piet Mondrian, Nuova creazione. Neoplasticismo, 1925.
  6. Theo van Doesburg, Concetti fondamentali della nuova arte della creazione, 1925.
  7. Walter Gropius, Nuove opere delle officine Bauhaus, 1925.
  8. László Moholy-Nagy: Pittura Fotografia Film, 1925. (seconda edizione rivista 1927)
  9. Wassily Kandinsky: Punto, linea, superficie. Contributo all'analisi degli elementi pittorici, 1926. (seconda edizione 1928)
  10. Jacobus Johannes Pieter Oud: Architettura olandese, 1926. (seconda edizione rivista 1929)
  11. Kasimir Malevic: Il Mondo della Non-Oggettività, 1927.
  12. Walter Gropius: Edifici del Bauhaus a Dessau, 1930.
  13. Albert Gleizes: Cubismo, 1928.
  14. Laszlo Moholy-Nagy: Dal materiale all’architettura, 1929.
Di questi testi Chipp antologizza passi dal già citato Il Mondo della Non-Oggettività di Malevic. Nota inoltre come quasi tutti gli esponenti della collana si trasferiscano negli anni Trenta negli Stati Uniti, di fatto contribuendo allo sviluppo del movimento astratto e modernista oltre oceano.

L’ultimo artista citato tra gli astratti è lo scultore rumeno Constantin Bracusi (1876-1957), con una serie di aforismi risalenti al periodo tra 1925 e 1957.


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NOTE

[47] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book by Artists and Critics, with contributions by Peter Selz and Joshua C. Taylor, Oakland, University of California Press, 1968, 688 pagine. Il testo è integralmente disponibile all’indirizzo internet

[48] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.194.

[49] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.197.

[50] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.207.

[51] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), pp.195-196.

[52] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.220.

[53] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.220.

[54] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.220.

[55] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.198.

[56] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), pp.198-199.

[57] Holt, Elizabeth Gilmore - Theories of Modern Art by Herschel B. Chipp, in The Art Bulletin, Vol. 54, No. 2, giugno, 1972 (pp. 229-231). Il testo è disponibile all’indirizzo:


[59] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.281.

[60] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.282.

[61] Holt, Elizabeth Gilmore - Theories of Modern Art by Herschel B. Chipp (citato), p. 232.

[62] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.309.

[63] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.310.

[64] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.311.

[65] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.311.

[66] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.315.

[67] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.316.

[68] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.313.





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