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Storia delle antologie di letteratura artistica
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Herschel B. Chipp
Storia delle antologie di letteratura artistica
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Herschel B. Chipp
Theories of Modern Art: a Source Book by Artists and Critics.
[Teorie dell’arte moderna: un libro delle fonti ordinato per artisti e critici]
Col contributo di Peter Selz and Joshua Taylor
Berkeley, University of California Press, 1968
Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Terza
[Teorie dell’arte moderna: un libro delle fonti ordinato per artisti e critici]
Col contributo di Peter Selz and Joshua Taylor
Berkeley, University of California Press, 1968
Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Terza
Questa terza parte della recensione
sull’antologia di Herschel B. Chipp (1913-1992) è dedicata al cubismo, al
futurismo e a neo-plasticismo e costruttivismo, che sono documentati
rispettivamente nel terzo, quarto e quinto capitolo dell’opera. Rispetto alle tendenze
e ai movimenti discussi nella seconda Parte (postimpressionismo, simbolismo e
altre tendenze soggettiviste, fauvismo ed espressionismo) la letteratura
artistica si distingue per una minore prevalenza delle singole personalità
individuali e una più forte articolazione collettiva: non sono più le
testimonianze individuali (i diari ed i carteggi) a dominare, mentre s’impone
la consuetudine di pubblicare manifesti con cui spiegare al pubblico le ragioni
per le quali gruppi di artisti (e molto spesso letterati, poeti e drammaturghi)
intendono associarsi fra loro per proporre forme d’arte radicalmente nuova.
Inoltre, mentre molti degli artisti precedenti (si pensi a Cézanne, van Gogh,
Matisse, Beckmann) riscoprono l’importanza del bagaglio culturale classico, i
nuovi movimenti testimoniano spesso invece una volontà irriducibile e radicale
di rottura rispetto al passato.
Un
compito quasi impossibile: antologizzare la letteratura artistica cubista
Come storico dell’arte Chipp è soprattutto
conosciuto per l’estesa produzione saggistica su Pablo Picasso (1881-1973), che
comprende l’ideazione del catalogo completo delle sue opere nell’ambito del Picasso Project, in gran parte
pubblicato dopo la scomparsa del critico, nel 1992. Alla letteratura artistica
del cubismo, la cui essenza sintetizza nella massima ‘forma come espressione’,
Chipp dedica un’ampia sezione di cento pagine. Rispetto ad altri capitoli, i
testi citati sono anche più ampi e continui.
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Fig. 41) Tre dei volumi del Picasso Project, ideati da Herschel B. Chipp e dedicati rispettivamente alla fase dal cubismo al neoclassicismo (1995), al neoclassicismo I (1995) e al neoclassicismo II (1996). Tutti i volumi sono pubblicati dall’editore Alan Wofsy Fine Arts di San Francisco. Fonte: https://www.art-books.com/the-picasso-project.php |
Il cubismo - scrive Chipp - ha cambiato
l’arte tra 1907 e 1914 più di quanto fosse mai successo dall’epoca
rinascimentale, influenzando architettura, arti applicate, poesia, letteratura
e musica [47]. L’influenza del cubismo non si esaurisce all’interno del
movimento, ma si manifesta in tutte le espressioni artistiche immediatamente
successive, riflettendosi sull’intero secolo. Con l’eccezione proprio dei due
maggiori esponenti del movimento – e dunque di Picasso e Georges Braque (1882-1963)
– la produzione letteraria degli altri artisti che si richiamano al movimento è
intensissima, pur avviandosi solamente dopo l’esibizione di arte cubista al Salon des Indépendants del 1911 (qualche
anno dopo la comparsa delle prime opere cubiste di Picasso nel 1907). Gli
artisti cercano un legame con intellettuali di riferimento, spiegano le proprie
ragioni, e divulgano le loro idee [48]. I più attivi in questo senso sono Jean
Metzinger (1883-1956), Albert Gleizes (1881-1953), Fernand Léger (1881-1955) e
Juan Gris (1887-1927); i maggiori letterati-critici che li accompagnano sono
Guillaume Apollinaire (1880-1918), André Salmon (1881-1969) e Alfred Jarry (1873-1907).
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Fig. 42) Il saggio di André Salmon sulla Giovane pittura francese, che comprende il capitolo Storia aneddotica del cubismo. È pubblicato nel 1912 a Parigi dalla Société des Trente. Fonte: https://archive.org/details/lajeunepeinturef00salm/page/40 |
La sezione si apre con il capitolo sul
cubismo nel saggio di André Salmon sulla Giovane
pittura francese del 1912 (interamente disponibile su internet
all’indirizzo https://archive.org/details/lajeunepeinturef00salm/page/n8).
Salmon è il primo a raccontare in modo fattuale la vita di Picasso e degli
altri cubisti in quegli anni. La traduzione dal francese è di Chipp; va
tuttavia detto che del capitolo esiste anche una traduzione inglese diversa e
più recente ad opera della storica dell’arte Beth S. Gersh-Nesic (si veda: https://books.google.co.jp/books?id=BngwOaFvEecC&printsec=frontcover&hl=it).
Segue la trascrizione quasi integrale del
saggio Du Cubisme di Albert Gleizes e
Jean Metzinger, anch’esso uscito nel 1912 in francese (fu la prima opera
teorica sul cubismo). Va detto che questo (breve) trattato, pubblicato dal
poeta ed editore parigino Eugène Figuière (1882-1944) in concomitanza con la
mostra collettiva della Section d’or
alla galleria La Boétie di Paul Rosenberg (1881-1959) nell’ottobre 1912,
fu oggetto per decenni di polemiche, dopo che il gallerista e critico Daniel
Henry Kahnweiler (1884-1979), grande promotore del cubismo e cognato di
Rosenberg, lo attaccò in maniera veemente nel 1920 nel suo saggio La via al
cubismo (Der Weg zum Kubismus). Uno
dei punti di maggior polemica è il tono didascalico del testo di Gleizes e
Metzinger, giustificato dalla preoccupazione dei due artisti di difendere i
pittori dalle critiche sferzanti di cui sono oggetto. In difesa dei due pittori
Chipp scrive invece: “In Du Cubisme i due artisti cercano di spiegare alcuni dei concetti alla base
del movimento. Essi discutono in termini chiari e razionali l’idea del nuovo
«concettuale» in
opposizione al vecchio «visivo», e spiegano come gli oggetti naturali siano trasformati nel regno
plastico della pittura” [49]. L’edizione del 1912
presenta anche immagini di opere di artisti cubisti, compresi disegni
originali, ed è per questo che è stata spesso presentata in mostre collettive
di arti figurative sul cubismo. Chipp fa notare che, nell’opera, Picasso è
presente con una sola immagine e Braque non lo è affatto: Gleizes e Metzinger,
insomma, sembrano in qualche modo voler rimarcare la loro autonomia rispetto ai
due capigruppo storici del movimento [50]. Sono invece presenti immagini di
opere di Paul Cézanne, André Derain, Georges Braque, Jean Metzinger, Marie
Laurencin, Albert Gleizes, Fernand Léger, Marcel Duchamp, Juan Gris e Francis
Picabia. Una traduzione inglese di Du Cubisme compare per i tipi
dell’editore T. Fisher Unwin l’anno seguente, e curiosamente Metzinger ha il
cognome storpiato per un refuso proprio in copertina . Lo stesso errore compare
lo stesso anno nella recensione russa «О книге Мецанже — Глеза «Du Cubisme»
(Sul libro Du Cubisme di Metzinger and Gleizes), che è opera di una
delle figure centrali dell’avanguardia cubo-futurista del paese, il pittore e
compositore Michael Vasilyevich Matyushin (Михаил Васильевич Матюшин, 1861-1934).
La recensione compare sulla rivista Unione della gioventù (Союз молодежи). Una nuova edizione francese è pubblicata nel
primo dopoguerra, nel 1947, a cura della Compagnie
Française des Arts Graphiques di Parigi, con l’aggiunta di una postfazione
degli autori e di nuove illustrazioni. Il trattato viene più volte riedito in
francese, mentre nel 1986 e nel 1988 compaiono una traduzione spagnola e
tedesca. Il testo di Gleizes e Metzinger
non è, fino a oggi disponibile in italiano, forse risentendo delle polemiche
sulla sua qualità risalenti alla prima parte del secolo scorso.
Di Albert Gleizes vengono citati altri
quattro scritti: Du Cubisme et des moyens
de la comprendre (1920); La peinture
et ses lois: ce qui devrait sortir du cubisme (1924, pubblicato nella
rivista La Vie des lettres et des arts, e comparso in inglese per i tipi di Francis
Boutle Publishers nel 2000, con il titolo The
Laws of painting); Tradition et
cubisme: vers une conscience plastique (pubblicato nel 1927 con articoli e
testi di conferenza tra 1912 e 1924) ed il testo postumo Souvenirs: Le Cubisme 1908-1914 (1957, ripubblicato nel 1997) a
cura dell’Association des Amis d'Albert
Gleizes. Il pittore (che – come scrive Chipp – era molto interessato in
origine a movimenti di arte neoreligiosa) ha scritto molto di cubismo, ma la
quasi totalità dei suoi testi è rimasta in ambito francofono. Per una raccolta
dei numerosi scritti di Gleizes si veda anche http://www.fondationgleizes.fr/fr/gleize/page/albert-gleizes/ses-ecrits.
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Fig. 45) L’articolo Les commencements du cubisme di Guillaume Apollinaire su Les Temps del 14 ottobre 1912 (Fonte: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k2410091/f5.item.texteImage) |
Il letterato e critico d’arte Guillaume
Apollinaire (il primo ad usare il termine “cubisti”) è presente nell’antologia
di Chipp con due testi riportati integralmente: l’articolo Les commencements du cubisme , pubblicato sul quotidiano parigino Les Temps il 14 ottobre 1912 e il
saggio Les peintres cubistes: Méditations Esthétiques del 1913.
L’articolo pubblicato su Les Temps (e tradotto in inglese da Chipp
stesso) ha due meriti: in primo luogo è rivolto al grande pubblico e spiega ai
lettori l’origine del movimento, partendo dall’amicizia tra Maurice de Vlaminck
(1876-1958) e André Derain (1880-1954) e dal loro interesse comune per l’arte
africana; in secondo luogo è alla base della conferenza che Apollinaire tenne a
Berlino nel gennaio 1913, accompagnato da Robert Delaunay, alla galleria Der Sturm (conferenza famosissima che
segna la nascita dell’interesse tedesco per il movimento cubista). Rivelando
preoccupazioni filologiche, Chipp pubblica una versione che interpola la
versione pubblicata sul quotidiano e il manoscritto che Apollinaire utilizza
per la conferenza berlinese, conservato nella collezione di Sonia Delaunay.
Quanto al secondo testo, ossia Les peintres cubistes: Méditations Esthétiques, esso ha origine nella primavera del 1912 ma “appare solamente nel 1913 dopo essere stato oggetto di molte revisioni
in cui il ruolo del cubismo diviene sempre più evidente. Il titolo originalmente
previsto ‘Méditations esthétiques’ viene
sostituito dal nuovo ‘Les peintres cubistes’, ed è spostato a sottotitolo. Si tratta, in parte, di una collezione di
frammenti di articoli da quotidiani e dalla rivista Soirées de Paris, ed in parte di una nuova sezione sui
singoli artisti” [51]. È interessante che Chipp dedichi molto spazio alla
storia di questo scritto. Nel 1965 (ovvero pochi anni prima della pubblicazione
dell’antologia) il saggio era stato oggetto di un’edizione critica grazie a due
affermati linguisti - Jean-Claude Chevalier (1925-2018) e LeRoy C Breunig
(1915-1996) – che ne avevano analizzano la storia e avevano scoperto, appunto,
che (al contrario di quanto creduto per decenni) non era nato come un trattato
cubista, ma semplicemente come raccolta miscellanea di articoli. Di
conseguenza, Chipp scrive che il testo è stato “sopravvalutato come documento sul cubismo, ma sottovalutato per quel
che ci insegna sui pittori contemporanei” [52].
Chipp osserva inoltre come l’espressione
‘pittura cubista’ non compaia una sola volta nei primi sei capitoli della prima
parte (neppure quando si parla di Picasso e Braque, che sono semplicemente
indicati come esponenti della ‘nuova pittura’); l’analisi del manoscritto
originale rivela che inizialmente, nella primavera del 1912, erano considerati
cubisti semplicemente Metzinger, Gleizes e Gris. Solamente nel settembre 1912
Apollinaire “aggiunge due breve sezioni
in cui discute il cubismo stesso e in cui cerca di spiegare le sue famose
quattro categorie di cubismo” [53]. Quella categorizzazione (cubismo
scientifico, orfico, fisico e istintivo) è oggi passata alla storia, ma per
Chipp “Apollinaire era specialmente
attratto dall’innovazione in pittura, su cui aveva raccolto considerevoli
informazioni, ma non voleva scrivere un’apologia del cubismo” [54]. Non
solo: Chipp spiega come in origine l’identificazione dei quattro tipi di
cubismo non rispondesse all’intenzione di sistematizzare un movimento, ma
piuttosto avesse finalità polemiche: Apollinaire sosteneva infatti le tesi
anti-picassiane e anti-braquiane del gruppo cubista della Section d’Or (1912), in favore di una concezione più pura e
intellettuale dell’interazione tra forma e colore. Pensava addirittura che la “Section d’Or” avrebbe portato alla morte
e alla rinascita del cubismo.
La seconda parte del testo di Apollinaire è
intitolata I nuovi pittori e contiene dieci sezioni, dedicate
rispettivamente a Picasso, Braque, Metzinger, Gleizes, Marie Laurencin (ed
Henri Rousseau), Gris, Léger, Picabia, Duchamp e Raymond-Duchamp-Villon. Va
sottolineato che il testo venne pubblicato in italiano contemporaneamente in
tre versioni nel 1945, segno che probabilmente la sua comparsa in Italia era
stata più volte soggetta a censura durante il fascismo e che tutti i curatori
si affrettarono a dare alla luce le loro traduzioni dopo la liberazione.
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Fig. 49) La via al cubismo di Daniel Henry Kahnweiler, nell’edizione originaria tedesca del 1913, nella prima traduzione inglese del 1949 e in quella italiana del 2001. |
Continuando con l’analisi dei testi
proposti da Chipp nella sua antologia, è poi la volta della prefazione al già
menzionato La via al cubismo (Der Weg
zum Kubismus) del critico e gallerista Daniel Henry Kahnweiler. L’opera -
che narra la storia del cubismo dagli esordi del 1907 - è pubblicata nel 1915 in Svizzera, dopo che
il gallerista tedesco è stato espulso dalla Francia a causa del primo conflitto
mondiale (e il suo patrimonio di quadri confiscato). Fino a quell’avvenimento
drammatico, fu proprio Kahnweiler il mecenate di Picasso, Braque, Derain e Gris
a Parigi; in particolare il gallerista aveva l’esclusiva sulla vendita delle
opere di Picasso, che furono destinate
anche a collezionisti tedeschi, americani e russi. Il testo di Kahnweiler è
stato già citato per i toni critici che contiene nei confronti del trattato
cubista di Gleizes e Metzinger. Chipp può usufruire di una tradizione inglese
di Henry Aronson (The Rise of Cubism)
già pubblicata in inglese dall’editore newyorchese Wittenborn and Co. In
italiano La via al cubismo è stato
pubblicato da Mimesis nel 2001 a cura di Licia Fabiani.
Giunti a questo punto, l’antologia di Chipp
si deve confrontare con un fenomeno nuovo. Se fino ad allora tutti gli
innovatori dell’arte contemporanea hanno messo per iscritto, sia pur in forme
diverse, le loro idee innovative sull’arte, con Pablo Picasso ci si imbatte in
un grande dell’arte che non utilizza mai la scrittura. “Sebbene Picasso sia stato in stretto contatto con poeti ed artisti e
abbia scritto numerose poesie e un dramma teatrale, ha scritto solo pochissime
e davvero brevi dichiarazioni su se stesso. Nessuna di essa ci racconta delle
sue idee sull’arte. Per comprenderle dobbiamo basarci su conversazioni
informali con amici intimi e sui ricordi di questi ultimi” [55]. Chipp
riproduce la famosissima intervista di Picasso al gallerista messicano Marius
de Zayas (1880-1961). Già con la sua comparsa, nel 1923, l’intervista divenne
la fonte più autorevole di auto-interpretazione dell’arte da parte del maestro
(comparsa con il titolo Picasso speaks a New York nella rivista The Arts,
l’abbiamo già trovata in
francese nella raccolta antologica di Fels del 1925 e in
tedesco in quella, sempre del 1925, di Paul Westheim). L’altro testo
indirettamente picassiano (l’artista l’aveva controllato e approvato) è una
conversazione con il critico greco francese Christian Zervos (1889-1970),
pubblicata nel decennio seguente da Cahiers
d’Art (1935) di cui Zervos è direttore. Il dialogo fu reso popolare negli
Stati Uniti da una prima traduzione inglese di Alfred H. Barr (1902–1981), primo
direttore del MoMa di New York. A Chipp, evidentemente, la traduzione di Barr
non piace, tanto da incaricare la critica d’arte inglese Myfany Evans (1911-1997)
di preparare una nuova versione. Abbiamo già incontrato un riferimento all’intervista
a Zervos nell’articolo di Alfred Werner del 1965, in cui ci si lamenta
dello scarso uso che di essa hanno fatto i critici d’arte americani. A queste
due interviste Chipp aggiunge qualche brevissima citazione di altre
conversazioni del 1933, 1945 e 1948.
È comunque evidente che Chipp è imbarazzato
dalla scarsità e dalla mancata qualità della letteratura artistica picassiana, e dalla
limitata capacità di Picasso di porre l’arte nel giusto contesto storico: “Tutte le volte che ha a che fare con domande
dirette e precise, [Picasso] è stato evasivo o ha risposto in termini
metaforici. Le sue dichiarazioni, tuttavia, se considerate alla stregua di un
coinvolgimento personale con l’arte e la vita, dovrebbero essere considerate
come parte (ma solamente parte) dell’evidenza per studiare uno stile o un
lavoro particolare. Come i dipinti stessi, le sue dichiarazioni dovrebbero
essere considerate come risposte a situazioni ideologiche specifiche le cui
condizioni esatte noi non siamo in grado di ricostruire in pieno. Esse si
rivelano come commenti fantasiosi e a volte poetici, ricchi di associazioni e
allusioni di diversa natura. Mentre essi evitano sempre una spiegazione
diretta, offrono qualche testimonianza diretta per quel che riguarda aspetti
della lotta personale dell’artista” [56]. Va detto che la ricerca
antologica di dichiarazioni e testi che si possano riferire a Picasso diviene
una priorità della critica americana di quegli anni, come testimoniato dal
testo Picasso on Art: A Selection of
Views di Dore Ashton del 1972. Della Ashton recensiremo un’altra antologia
(Twentieth Century Artists on Art) del 1985, che è basata su criteri molto meno filologici di quelli
di Chipp e rappresenta forse un modello alternativo di raccogliere e codificare
la letteratura artistica contemporanea, facendo ampio utilizzo della citazione
di moltissimi frammenti di testi non più lunghi di una pagina o una pagina e
mezzo.
Dopo l’impossibilità di citare testi
autografi di Picasso, Chipp ha a che fare con problemi analoghi quando si
tratta di prendere in considerazione Georges Braque e Juan Gris. A essere
presentati sono estratti di articoli o saggi di critici d’arte che si
riferiscono ai due. Nel primo caso gli scritti sono del 1910, 1917 e 1945; nel
secondo del 1921 e 1925. Nell’appendice bibliografica a fine volume, a Chipp non
resta che elencare una lunga lista di dichiarazioni, testimonianze e racconti
da parte di terzi come pure monografie di critici d’arte. Sono molto brevi
anche le citazioni di Fernand Léger tratte da cataloghi di mostre del 1924 e
1926; in quest’ultimo caso, tuttavia, si tratta di una scelta
dell’antologizzatore, dal momento che Léger era stato autore di testi
programmatici sin dal 1912.
Per concludere sulla sezione cubista, nella
sua recensione del 1972 Elizabeth Gilmore Holt commenta: “L’antologia documenta in modo eccellente il processo grazie al quale
poeti, artisti e critici – ciascuno nel suo ruolo – hanno contribuito a creare
lo stile ‘cubista’ e lo hanno spiegato nei loro scritti. Tuttavia il lettore
profano e il giovane studente possono restare perplessi di fronte ad alcuni
passi che sembrerebbero richiedere un’esegesi. Sfortunatamente, tale esegesi
eccederebbe lo scopo del presente volume” [57].
Un
breve capitolo sui testi futuristi
La breve sezione sul futurismo è opera di
Joshua C. Taylor (1917-1981), a cui è sempre affidato il compito di documentare
la letteratura artistica preminentemente italiana, provvedendo, se del caso,
alla sua traduzione. Si è già detto nella Parte Prima che Taylor curò la
mostra sul futurismo al MoMa di New York del 1961. Va aggiunto che lo studioso
fu a diretto contatto con l’arte del nostro paese come ufficiale della sezione
Monumenti, Belle Arti e Archivi dell’esercito americano, incaricata di preservare le opere d’arte durante il
conflitto in Italia e di recuperare quelle che erano state trafugate negli anni
della guerra [58].
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Fig. 51) A sinistra: la mostra dei pittori futuristi italiani tenutasi alla Sackville Gallery di Londra nel 1912 (Fonte: British Library - https://www.bl.uk/collection-items/manifesto-of-futurism). A destra: la mostra sul futurismo al MoMa di New York, curata da Joshua C. Taylor nel 1961. |
Taylor antologizza, ovviamente, il Manifesto futurista di Marinetti
pubblicato su Le Figaro nel 1909. Il
testo è tradotto in inglese direttamente quell’anno sotto la direzione di
Marinetti, ma compare in quest’antologia in una nuova versione più completa a
cura, appunto, di Taylor. Il Manifesto
tecnico della pittura futurista dell’11 aprile 1910, a firma di Boccioni,
Carrà, Russolo, Balla e Severini, è riprodotto nella versione inglese curata da
Marinetti per una mostra alla Sackville
Gallery di Londra del 1912, lievemente diversa da quella comparsa su Lacerba nel 1914. Il testo della
presentazione della mostra londinese, firmato dai medesimi cinque artisti e intitolato The Exhibitors to the Public,
è in realtà la traduzione inglese di uno
scritto già pubblicato dai futuristi a Parigi sempre nel 1912 (la mostra
itinerante si era spostata dalla galleria Bernheim-Jeune sulla Senna alla Sackville Gallery sul Tamigi; raggiunse
poi la galleria Der Sturm a Berlino e, di lì, Monaco, Amburgo, Vienna, Bruxelles, L’Aja e Amsterdam).
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Fig. 52) A sinistra: Il Manifesto tecnico della pittura futurista del 1910 (fonte: http://www.libreriamalavasi.com/libri-antichi/la-pittura-futurista-manifesto-tecnico/25514). A destra: il Manifesto tecnico della scultura futurista del 1912 (fonte: http://www.artericerca.com/articoli%20online/Umberto%20Boccioni%20-%20La%20scultura%20-%20Manifesto%20Tecnico%20della%20Scultura%20Futurista.htm) |
Di Boccioni è presente nell’antologia il Manifesto tecnico della scultura futurista
del 1912 (che Taylor aveva già inserito nel catalogo della mostra newyorkese
del 1961). Di Carrà compare il testo Da
Cézanne a noi futuristi, pubblicato su Lacerba
nel 1913 e mai comparso in inglese fino ad allora. Nella prefazione al capitolo
Taylor esamina in particolare il rapporto tra futurismo, cubismo ed
espressionismo. L’articolo di Carrà consente di documentare la polemica
parigina in proposito: “In pittura il
movimento futurista è stato spesso erroneamente considerato come un’emanazione
del cubismo. In realtà sia le sue radici sia i suoi scopi erano molto
differenti, ed erano più allineati a quelli del nuovo movimento di pittura
tedesca che abbiamo infine chiamato espressionismo. Parte della confusione
nacque dall’insistenza con cui i pittori parigini leggevano il Manifesto Tecnico
avendo in mente le procedure analitiche del cubismo. Gli italiani – altrettanto
insistenti nel mantenere l’indipendenza loro quanto la scuola di Parigi lo era
nell’affermare la propria supremazia nel campo dell’arte – sottolinearono
ripetutamente le differenze in sdegnati articoli pubblicati sulla rivista
Lacerba di Firenze” [59]. Taylor spiega
che parte della confusione è anche dovuta al fatto che i pittori futuristi
(alcuni dei quali, come Severini, sono di casa a Parigi) usano “aspetti del linguaggio formale dei cubisti”
[60] e hanno contatti con loro, ma perseguono finalità estetiche diverse.
Sul tema Elizabeth Gilmore Holt ha idee
molto precise: “Il ruolo di Parigi come centro
del circo dell’arte europea nel XIX secolo e la comprensibile ansia di ogni
artista di essere visto in quel cerchio – come prima Roma aveva svolto il ruolo
di arena dell’arte – si manifestano negli scritti futuristi. I teorici italiani
del ‘dinamismo’ pittorico, che ebbe un impatto profondo su altri movimenti,
mostrarono le loro scoperte come gruppo prima di tutto a Parigi. Ne consegue
che il futurismo non si è mai sottratto all’insistenza francese della sua
dipendenza dal cubismo” [61]. In altre parole, la polemica antifrancese
degli italiani finisce per confermare il primato francese.
Neoplasticismo
e costruttivismo come ‘regno nascosto’ della letteratura artistica della prima
parte del XX secolo
Con l’irrompere nell’arte del Novecento di
un’iconografia pienamente astratta i creatori sentono la necessità assoluta di
comunicare al pubblico e a loro stessi le ragioni del passaggio dall’imitazione
della natura (per secoli la ragione logica dell’esecuzione dell’opera) alla
costruzione di forme che non rappresentano oggetti, ma perseguono la
visualizzazione di regole universali e perfette, e come tali espressione di
bellezza assoluta. Tale passaggio si era già verificato in parte col cubismo,
e in particolare nel già citato Du
Cubisme di Albert Gleizes e Jean Metzinger (non a caso sono questi ultimi i
cubisti che più sentono la necessità di teorizzare la loro produzione –
legandola alla regola universale della Section
d’or – mentre i cubisti che rifiutano l’astrazione, come Picasso e Braque,
rifuggono dalla scrittura).
I rappresentanti di questo orientamento
assolutamente astratto “stendevano
manifesti comuni, pubblicavano riviste, scrivevano libri e davano conferenze.
Per nessun’altra categoria di artisti del XX secolo la spiegazione teorica era
la conseguenza di un’unione d’intenti così serrata o di ragioni idealistiche
così forti” [62]. Nel capitolo sull’arte astratta del primo Novecento Chipp
presenta scritti di Robert Delaunay (1885-1941), Stanton Macdonald Wright (1890-1973), Piet Mondrian (1872-1944), Theo van Doesburg (1883-1931), Naum
Gabo (Наум Габо, 1890-1977), Kasimir Malevich (Казими́р Севери́нович Мале́вич, 1879-1935), Vasilij Kandinskij (Васи́лий Васи́льевич Канди́нский, 1866-1944) e
Constantin Brancusi (1876-1957). In tal modo inserisce i testi programmatici
dell’orfismo parigino, del sincromismo statunitense, del neoplasticismo
olandese e del suprematismo russo. Insomma, non siamo più nell’ambito di
movimenti artistici prettamente ‘parigini’.
La diversità di lingue e la molteplicità
delle fonti fanno sì che solamente una parte dei testi siano disponibili in
inglese (o in francese) al momento della pubblicazione dell’antologia. Chipp
sente allora la necessità di anteporre ai passi antologizzati un’introduzione
più lunga di quella inserita negli altri capitoli; vuole testimoniare come vi
siano intere scuole costruttiviste, come ad esempio la Bauhaus, che hanno una
produzione letteraria (e un’attività editoriale) imponente, che è impossibile
includere nell’antologia. Il risultato, comunque, è che questo è uno dei
capitoli che più soffre della difficoltà di proporre tutte le fonti più
rilevanti al pubblico, proprio per difficoltà ‘oggettive’. Tra gli artisti
menzionati con una certa rilevanza nell’introduzione, ma non presenti nella
scelta di testi, vorrei ricordare Walter Gropius (1883-1969), Johannes Itten
(1888-1967), Frantisek Kupka (1871-1957), El Lissintsky (Эль Лиси́цкий,
1890-1947), Oskar Schlemmer (1888-1943) e Vladimir Tatlin (Владимир Евграфович
Татлин, 1885-1956).
I movimenti costruttivisti nascono come
manifestazioni locali, ma all’astrazione dell’arte ed all’universalità delle
regole che la governano corrispondono anche intenzioni globali nel senso
dell’applicazione di modelli di società applicabili al mondo intero. È così per
il movimento olandese De Stijl, che
nato durante il primo conflitto mondiale nell’Olanda neutrale anche in seguito
a certi aspetti radicali della cultura protestante olandese, si diffonde in
Francia e Germania alla fine della guerra come forma artistica mirante a creare
un legame tra i grandi belligeranti. È ancor più il caso del costruttivismo
russo di Gabo e Malevic, legato anch’esso a una filone radicale del pensiero
russo, ma ancorato al trotskismo e dunque all’utopia dell'internazionalismo
proletario. Con l’imporsi del leninismo i costruttivi lasceranno l’Unione
Sovietica e troveranno asilo prima nella Germania di Weimar e poi negli Stati
Uniti.
Delaunay – l’inventore dell’orfismo – è il
teorico della centralità assoluta del colore come forma e oggetto [63]. Vengono trascritti tre suoi passi provenienti da Du
cubisme à l'art abstrait, comparso postumo nel 1958. Si tratta di una
raccolta di documenti del pittore in gran parte ancora inediti all'epoca e
pubblicati a cura del critico Pierre Francastel (1900-1970). La raccolta non
è mai stata oggetto di nuova pubblicazione. Tra i tre testi – oltre a lettere
del 1912 ad August Macke (1887- 1914) e Vasilij Kandinskij, ovvero a pittori
del gruppo Cavaliere azzurro di
Monaco – vi è un famoso articolo intitolato La
Lumière, ovvero La luce. Chipp fa presente che dello stesso articolo
(tradotto in tedesco da Paul
Klee (1879-1940) nel 1913 e pubblicato a Berlino lo stesso anno in
occasione di una mostra alla galleria Der
Sturm, dove come si è già detto Delaunay è accompagnato da Apollinaire)
esistono ben cinque versioni, e – con lo spirito filologico che gli è proprio –
identifica in nota le differenze tra esse. La traduzione di Chipp è la prima
a rendere fruibile il testo in inglese. Raccolte di scritti di Delaunay vengono
pubblicate in inglese solo nel 1978, in tedesco nel 1983 e in italiano nel
1986. Il volume italiano di Scritti
dell’arte di Delaunay a cura di Elena Pontiggia del 1986 (editore Amadeus)
è fuori commercio e non disponibile neppure sul mercato antiquario on line.
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Fig. 55) Il testo di Stanton MacDonald Wright sull’arte moderna del 1916, apparso nel catalogo della Forum Exhibition of Modern American Painters. Fonte: https://archive.org/details/forumexhibitiono00ande_0/page/n6 |
Dell’americano Stanton MacDonald Wright
l’antologia presenta la dichiarazione programmatica del 1916 sul Sincromismo, pubblicata nel catalogo della Forum Exhibition of Modern American Painters
a New York. Con quella mostra la rivista d’arte Forum, di cui Wright è redattore, si pone l’obiettivo di promuovere
un’arte astratta nazionale, indipendente da quella europea. Nel catalogo
pubblicato per l’occasione Wright pubblica un saggio su What is modern painting che spiega l’arte dei contemporanei
americani dando, appunto, una lettura
indipendente dell’arte europea dell’Ottocento. I testi sono disponibili in
italiano in Artisti americani tra le due
guerre: una raccolta di documenti a cura di Francesca Pola, Francesco
Tedeschi, Giuliana Scimé (editore Vita e Pensiero 2004). Chipp menziona anche
il Treatise on color del 1924
(originariamente stampato privatamente da Wright, ma ripubblicato lo stesso
anno in un catalogo di una mostra a Los Angeles), mentre non vi è alcun
riferimento al Blueprint for a textbook
on art del 1945.
Negli ultimi anni del potere zarista i
circoli più avanzati di Mosca conoscono Picasso e Monet meglio di quanto non
capiti nella stessa Parigi [64]. Oltre all’innato radicalismo di parte della
cultura russa, ciò spiega, secondo Chipp, perché l’esperienza del
costruttivismo russo possa essere considerata “l’affermazione più radicale dell’ideale dell’assoluto nell’arte”
[65]. Tuttavia se numerosi scritti compaiono in russo già a partire dal 1916,
Malevic offre la più sistematica presentazione teorica del suo pensiero nel
1927, in occasione del suo viaggio in Germania, quando la Bauhaus pubblica
nella sua collana di testi teorici il trattato Die gegenstandlose
Welt (tradotto in italiano dalla Galleria Milano nel 1972 con il titolo Il Mondo della
Non-Oggettività). Il trattato esce dal contesto tedesco solamente nel 1959,
quando viene tradotto come The
non-objective world a Chicago dallo storico dell’architettura Howard
Dearstyne (1903-1979). Sono gli anni in cui gli Stati Uniti sono conquistati
dall’espressionismo astratto.
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Fig. 57) Il Mondo della Non-Oggettività di Kasimir Malevic, nell’edizione tedesca del 1920, la traduzione inglese del 1959 e la versione italiana del 1972. |
Il Manifesto
realista dello scultore Naum Gabo e del fratello Antoine Pevsner (Антуа́н
Певзне́р, 1884-1962) viene distribuito come volantino nel 1920, in occasione
dell’Esposizione Costruttivista di
Mosca. I due fratelli hanno un rapporto molto stretto con la cultura
dell’Europa occidentale. Il testo – riprodotto integralmente da Chipp – viene
pubblicato in inglese per la prima volta nel 1957 a cura dello storico
dell’arte Herbert Read (1893-1968) e dall’architetto Leslie Martin
(1908-1999), entrambi rappresentanti del modernismo britannico. Un secondo
testo nell’antologia (per molti aspetti interpretativo del primo) appartiene
agli anni passati da Gabo in Gran Bretagna, dopo aver lasciato l’Unione
Sovietica e prima di trasferirsi negli Stati Uniti. È intitolato Sculpture: Carving and construction in space
ed è in origine pubblicato da Gabo insieme ad altri artisti nel 1937 (e poi
ristampato nel 1966).
Il movimento De Stijl viene creato ad Amsterdam nel 1917 da Mondrian, van
Doesburg e Jacobus J. Oud (1872-1944). Secondo Chipp è di gran lunga il
movimento più influente sull’arte della sua epoca. “Le concezioni artistiche di De Stijl erano basate su un solido fondamento ideologico: la filosofia olandese
dell’idealismo, una tradizione intellettuale di sobrietà, chiarezza e logica e
– come Oud scrisse – «l’iconoclastia protestante». Gli artisti credevano nell’esistenza di un’armonia universale di
cui l’uomo era parte subordinandosi a essa. Apparteneva al mondo dello spirito
puro, che era liberato da ogni conflitto, da tutti gli oggetti del mondo fisico
e persino da ogni individualità. In termini di pittura, gli strumenti plastici
erano ridotti agli elementi costitutivi della linea, spazio e colore, sistemati
nelle sue composizioni più elementari” [66].
Secondo van Doesburg “Il quadrato è per
noi quello che fu la croce per i primi cristiani” [67].
Mondrian è uno dei più prolifici scrittori
d’arte del Novecento, a partire dal secondo decennio del secolo a Parigi fino
agli anni Sessanta a New York. Per Mondrian il neoplasticismo è sia teoria
estetica sia principio filosofico-religioso. E dunque – osserva Chipp – per lui
sono molto più importanti il neoplatonismo e la teosofia di quanto non siano
l’amicizia con Picasso e la presenza dei cubisti a Parigi. Chipp riporta due testi di Mondrian e van
Doesburg dalla rivista De Stijl del
1919, disponibili in inglese dai primi anni Cinquanta da traduzioni parziali
dei contenuti della rivista. Seguono due testi più lunghi, sempre di Mondrian: Plastic Art and Pure Plastic Art
(pubblicato in inglese come articolo nel 1937 e poi come volume nel 1945) e una
dichiarazione d’intenti comparsa in un catalogo del MoMa a New York nel 1946.
Con l’esperienza della Bauhaus la cultura
dell’astrazione viene “istituzionalizzata
e propagata con grande energia” [68]. La scuola di Weimar, fondata in
origine da Henry van de Velde (1863-1957) per diffondere l’insegnamento dello
Jugendstil attrae con Gropius un
gruppo straordinario di artisti e insegnanti tutti attivi nell’elaborazione
teorica. Tra 1925 e 1929 vengono pubblicati quattordici libri:
- Walter Gropius, Architettura internazionale, 1925 (seconda edizione rivista 1927)
- Paul Klee, Quaderno di schizzi pedagogici, 1925 (seconda edizione 1927)
- Adolf Meyer: Una casa sperimentale del Bauhaus di Weimar, 1925.
- Oskar Schlemmer, László Moholy-Nagy, Farkas Molnár: Il palcoscenico del Bauhaus, 1925.
- Piet Mondrian, Nuova creazione. Neoplasticismo, 1925.
- Theo van Doesburg, Concetti fondamentali della nuova arte della creazione, 1925.
- Walter Gropius, Nuove opere delle officine Bauhaus, 1925.
- László Moholy-Nagy: Pittura Fotografia Film, 1925. (seconda edizione rivista 1927)
- Wassily Kandinsky: Punto, linea, superficie. Contributo all'analisi degli elementi pittorici, 1926. (seconda edizione 1928)
- Jacobus Johannes Pieter Oud: Architettura olandese, 1926. (seconda edizione rivista 1929)
- Kasimir Malevic: Il Mondo della Non-Oggettività, 1927.
- Walter Gropius: Edifici del Bauhaus a Dessau, 1930.
- Albert Gleizes: Cubismo, 1928.
- Laszlo Moholy-Nagy: Dal materiale all’architettura, 1929.
Di questi testi Chipp antologizza passi dal
già citato Il Mondo della Non-Oggettività
di Malevic. Nota inoltre come quasi tutti gli esponenti della collana si
trasferiscano negli anni Trenta negli Stati Uniti, di fatto contribuendo allo
sviluppo del movimento astratto e modernista oltre oceano.
L’ultimo artista citato tra gli astratti è
lo scultore rumeno Constantin Bracusi (1876-1957), con una serie di aforismi
risalenti al periodo tra 1925 e 1957.
Fine della Parte Terza
Vai alla Parte Quarta (di prossima pubblicazione)
NOTE
[47] Chipp's, Herschel Brown - Theories of Modern
Art: A Source Book by Artists and Critics, with contributions by Peter Selz and
Joshua C. Taylor, Oakland, University of California Press, 1968, 688 pagine. Il testo è integralmente disponibile
all’indirizzo internet
https://archive.org/details/theoriesofmodern00chip.
Citazione a pagina 193.
[48] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.194.
[49] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.197.
[50] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.207.
[51] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), pp.195-196.
[52] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.220.
[53] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.220.
[54] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.220.
[55] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.198.
[56] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), pp.198-199.
[57] Holt, Elizabeth Gilmore -
Theories of Modern Art by Herschel B. Chipp, in The Art Bulletin, Vol. 54, No.
2, giugno, 1972 (pp. 229-231). Il testo è disponibile all’indirizzo:
https://www.jstor.org/stable/3048987?read-now=1&seq=2#page_scan_tab_contents.
Citazione a pagina 230.
[58] Si veda: https://www.monumentsmenfoundation.org/intl/it/the-heroes/the-monuments-men/taylor-capt.
[59] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.281.
[60] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.282.
[61] Holt, Elizabeth Gilmore -
Theories of Modern Art by Herschel B. Chipp (citato), p. 232.
[62] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.309.
[63] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.310.
[64] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.311.
[65] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.311.
[66] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.315.
[67] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.316.
[68] Chipp's, Herschel Brown -
Theories of Modern Art: A Source Book By Artists and Critics (citato), p.313.
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