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lunedì 13 maggio 2019

Francesco Mazzaferro. La 'Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura' di Giovanni Gaetano Bottari. Parte Quinta



Francesco Mazzaferro
La Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura di Giovanni Gaetano Bottari

Parte Quinta

Fig. 112) Luigi Rados, Ritratto di Giovanni Gaetano Bottari, tratto dalla Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte da' più celebri personaggi dei secoli XV, XVI, e XVII, pubblicata da M. Gio. Bottari, e continuata fino ai nostri giorni da Stefano Ticozzi, Milano, 1822



Il Tomo Quinto

Abbiamo già visto come i diversi volumi della Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura vedano, di volta in volta, prevalere il passato sul presente o viceversa. Vi è una vera e propria alternanza: il primo (1754) raccoglie testi epistolari tra metà Cinquecento e metà Seicento, il secondo (1757) ospita per due terzi lettere del Settecento, il terzo (1759) è tutto centrato su testi del Cinquecento, il quarto (1764) consiste per nove decimi di lettere del Settecento. Col quinto tomo, pubblicato nel 1766, si torna al passato, con una chiara predominanza di documenti del Cinque e Seicento, anche se va detto che la sequenza delle lettere nel Tomo V non è priva di confusione. Vi è quasi l’impressione che Bottari non sia più in grado di gestire in modo lineare un patrimonio epistolare che in parte ha già raccolto da anni (giacendo ancora inedito) e in parte viene arricchito con nuovi ingressi recenti.


Fig. 113) La copertina e l’introduzione del quinto tomo della Raccolta di lettere di Giovanni Gaetano Bottari, pubblicata nel 1766 (Fonte: https://archive.org/details/raccoltadilette05bottgoog/page/n5 e https://archive.org/details/raccoltadilette05bottgoog/page/n11)..

L’introduzione del volume è molto breve e quasi  insignificante: Giovanni Gaetano spiega che le 175 lettere del Tomo V non sono state inserite nei volumi precedenti semplicemente “per dimenticanza”, anche se non sono inferiori a quelle precedenti per la qualità delle informazioni che esse offrono [111]. È certamente assai sorprendente anche che nel poco spazio riservato alla parte introduttiva, invece di soffermarsi sui contenuti del libro, Bottari annunci l’intenzione di pubblicare, nel successivo Tomo VI, quattro ‘opuscoli’ di Federico Zuccari (1539-1609) che, però, dice di non aver mai visto. Il termine ‘opuscolo’ è nuovo nella Raccolta e differente rispetto a quello consueto di ‘lettera’: è chiaro che non si tratta più di missive.

Quanto alle lettere incluse per precedente ‘dimenticanza’, non vi è dubbio, in effetti, che il Tomo V ne contenga alcune che rappresentano semplicemente la ‘continuazione’ di scelte editoriali precedenti: i testi d’ambito veneto-bergamasco sono probabilmente frutto dell’attività di ricerca del conte Giacomo Carrara (1714-1796), mentre le venti lettere inviate ad Anton Domenico Gabbiani non possono che provenire dal pittore Ignazio Enrico Hugford (1703-1778), che ha accompagnato dall’inizio l’impresa di Bottari. Non a caso, Hugford viene ringraziato anche in questo tomo per le “molte lettere” fornite (in una nota a pagina 23) e, per la prima volta, compare anche come destinatario diretto di missive. Anche la pubblicazione di scambi epistolari fra Mariette e Zanotti non può certo sorprendere. Tra i corrispondenti recenti, si amplia il ruolo dell’architetto veneto Tommaso Temanza (1705–1789).

Qualche parola sulla dedica a Monsignor D. Sergio Sersale: abbiamo visto in tutti i volumi precedenti che la scelta del dedicatario è sempre stata legata allo scontro tra giansenisti e gesuiti. Monsignor Sersale è un pari grado di Bottari (come lui ha il titolo onorario di “Cameriere segreto soprannumerario”), ma soprattutto è parente di Antonino Sersale, arcivescovo di Napoli dal 1754. a capo della coalizione filogiansenista ed antigesuita [112] (da lì a qualche mese, nel gennaio 1767, i gesuiti saranno espulsi dall’intero impero spagnolo, compreso il Regno di Napoli).

Il Tomo V è ‘figlio di un Dio minore’? Forse la spiegazione più probabile sta nella data di pubblicazione: nel 1766 Giovanni Gaetano è colpito di un ictus, e non è escluso che il volume vada in stampa quando Bottari non può dedicargli l’attenzione che vorrebbe.

A mio modo di vedere, tuttavia, pur con limiti evidenti, il Tomo V non è semplicemente un luogo per pubblicare materiale dimenticato (o un’occasione per proseguire la pubblicazione di fondi d’archivio che cominciano forse a mostrare a invecchiare); documenta piuttosto (almeno in alcune sezioni) un notevole sforzo di natura prettamente antologica operato da Bottari: Giovanni Gaetano cerca per la prima volta di assemblare singole lettere d’artista, cercandole fra i volumi delle biblioteche a cui ha accesso. Vorrei sottolineare, in questo senso, la cernita sistematica che Bottari fa, in questo tomo, delle numerose pubblicazioni a carattere epistolografico stampate a Venezia nel Cinquecento. Bottari, ad esempio, inserisce lettere tratte da Paolo Manuzio, Lettere di Varj, 1548; Paolo Gherardo, Nuovo libro di lettere de i piu rari auttori della lingua volgare Italiana, 1545; Ludovico Dolce, Lettere di diversi eccellentissimi uomini, 1554; Dionigi Atanagi, Delle lettere facete e piacevoli di diversi huomini, 1561; Bernardino Pino, Nuova scelta di lettere di diversi Nobilissimi Huomini et Eccellentissimi Ingegni, 1574; Francesco Turchi, Delle lettere facete, et piacevoli di diversi homini grandi et chiari, 1601. In nessuno dei volumi precedenti aveva prodotto uno sforzo antologico di questo tipo.


Una storia dell’arte del Cinque e Seicento attraverso le lettere

Per cogliere il significato del tomo, insomma, occorre consultare le note a piè di pagina, in cui si citano – con discontinuità – le fonti. Ne risulta che Bottari sta facendo tesoro delle biblioteche in cui lavora per selezionare lettere artistiche da più ampie raccolte di missive stampate nel Cinque e Seicento, proponendo al lettore una sorta di accompagnamento epistolare allo sviluppo della storia dell’arte.

Fig. 114) A sinistra: Tiziano, Ritratto di Giovanni Battista di Castaldo, 1485-1490 (Fonte: Wikimedia commons). A destra: Lettera di Tiziano a Giovanni Battista di Castaldo, senza data. (Fonte: https://archive.org/details/raccoltadilette05bottgoog/page/n49)

Ai volumi che sopra citati, se ne possono aggiungere altri: sono le pubblicazioni da cui sono tratte alcune fra le prime venti lettere del tomo (mi limito ad esse per ragioni di spazio). La missiva XIV, con Tiziano Vecellio (1488/1490-1576) che scrive a Giovanni Battista di Castaldo (1493 circa-1563) è tratta, ad esempio, dalla Nuova scelta di lettere di nobilissimi uomini, ed eccelentissimi ingegni, pubblicata da Bernardino Pino a Venezia nel 1574. La lettera IV a Lavinia Fontana (1552-1614) era già comparsa nel 1606 nelle Lettere brevissime del poeta Muzio Manfredi (1535-1609), da cui provengono altre lettere ad artisti minori. Sono sempre del 1606 le Lettere famigliari di Luigi Groto cieco d'Adria, dalle quali è tratta la Lettera X del drammaturgo Luigi Groto (1541-1585) al Tintoretto (1518/1519-1594). Le lettere VII e VIII di Domenico Zampieri (1581-1641) sono tratte dal Le vite de' pittori, scultori, ed architetti moderni di Giovanni Pietro Bellori (del 1672). Certo, non è chiaro perché l’indicazione della fonte sia contenuta per le lettere che attengono alla vita del Carpaccio (XII), del Sansovino (XV), del Guercino (XIII) e del Lomazzo (XVI), mentre manchi per i testi firmati da Bronzino (XVII), Michelangelo (XVIII) e Paolo Giovio (XX), ma – come si diceva – le debolezze del tomo non mancano. 

Fig. 115) A sinistra: Lettere famigliari di Luigi Groto cieco d'Adria, scritte in diuersi generi, et in varie occasioni (1606). Fonte: https://archive.org/details/bub_gb_GFEuPiHD2EUC/page/n4. A destra: La lettera di Luigi Groto al Tintoretto del 27 luglio 1582. Fonte: https://archive.org/details/raccoltadilette05bottgoog/page/n43

Le prime cento lettere del tomo appartengono a questo gruppo di lettere ‘scelte’ tratte da un esame attento della letteratura esistente. Setacciando i volumi nelle biblioteche romane Bottari fa ovviamente ricorso anche al carteggio dei grandi umanisti o poligrafi, come Pietro Bembo (1470-1547), Baldassarre Castiglione (1478-1529), Angelo Claudio Tolomei (1492-1556), Pietro Aretino (1492-1556), Annibal Caro (1507-1566) e Anton Francesco Doni (1513-1574). Di tutti costoro troviamo missive destinate ad artisti. Segnalo poi la corrispondenza di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) con i regnanti di Francia ed Inghilterra e con i Papi (lettere XXII-XXVII tra 1639 e 1665).


La lettera di Giovanni Battista Ponfredi sulla vita di Marco Benefial


Fig. 116) A sinistra: la prima lettera del Tomo V, indirizzata da Giovanni Battista Ponfredi al Conte Niccolò Soderini e dedicata alla biografia del pittore Marco Benefial (fonte: https://archive.org/details/raccoltadilette05bottgoog/page/n13). A destra: il testo (anch’esso in forma di lettera) pubblicato dal Conte Niccolò Soderini in difesa di Marco Benefial nei 1757.

Se la grande maggioranza dei testi del Tomo V è del Cinque e Seicento, la Raccolta si apre tuttavia con una lunga lettera, inviata al conte Niccolò Soderini (1691-1779) dal decoratore Giovanni Battista Ponfredi (o Ponfreni) (1714-1795) sulla vita del suo maestro, il pittore Marco Benefial (1684-1764). In tutti i volumi precedenti Bottari è stato molto attento nella scelta della prima lettera, assegnandola a testi degli artisti più famosi (probabilmente per ragioni commerciali) Qui, molto probabilmente, vuole rendere omaggio all’artista romano, morto due anni prima della pubblicazione. Evidentemente, si trattava di un artista allora più conosciuto di quanto lo sia oggi: l’anno precedente, Mariette aveva chiesto informazioni a Bottari proprio su Benefial e Pompeo Batoni (accomunandolo quindi a uno dei più famosi pittori del tempo), e aveva poi acquistato alcune sue stampe per la sua collezione. Il testo di Ponfredi del 1764 è solo formalmente una lettera, ed è a tutt’oggi la maggiore fonte biografica sulla vita del pittore. Il destinatario della lettera, Niccolò Soderini, era stato il principale (forse l’unico) mecenate e sostenitore romano dell’artista; il mittente, invece, ne era stato un allievo senza fortuna. Quanto a Benefial, si tratta di una figura di pittore ribelle, che incorre in molte sanzioni già negli anni Venti e a Roma viene di fatto emarginato nel 1755 dall’amministrazione di Benedetto XIV (e dunque da circoli che Bottari doveva conoscere assai bene). Soderini lo difende pubblicando nel 1757 una Lettera di un amico ad un accademico di S. Luca sopra alcuni Decreti di quell'Accademia pubblicati contro al Signor Cav. M. Benefial. In termine di gusto, Benefial è un seguace dei bolognesi del Seicento, anche se è contraddistinto da uno stile a volte eclettico e contraddittorio a seconda che stia vivendo una fase di ribellione o integrazione con gli ambienti accademici.

Fig. 117) A sinistra: Marco Benefial, L’adorazione dei magi, 1734 (Fonte: Wikimedia Commons). A destra: Marco Benefial, Il riposo durante la fuga in Egitto, 1750 (Fonte: Wikimedia Commons).

Mariette, Piranesi e Winckelmann

Tra le lettere con i contemporanei, alcune ci consentono di comprendere i grandi temi di discussione dell’epoca. Molto si è scritto [113], ad esempio, sulla polemica pubblica tra Pierre-Jean Mariette (1694-1774) e Giovanni Battista Piranesi (1720-1778) riguardo alla superiorità tra arte greca e romana antica. Il tema è interessante per molti aspetti. In primo luogo, perché si tratta di uno scambio di argomenti estetici che si sviluppa sia in modo pubblico sia in modo privato, e che Giovanni Gaetano documenta per il pubblico italiano. La lettera di Mariette, datata 4 novembre 1764, era già apparsa in realtà in Francia nella Gazette littéraire de l'Europe, ovvero su uno degli organi di stampa che sostenevano illuministi come Voltaire e Diderot. Piranesi risponde nel 1765 con delle Osservazioni, contenute in un fascicolo di 24 pagine pubblicato a Roma dall’editore G. Salomoni (Osservazioni che non sono contenute nella Raccolta). In una lettera privata a Bottari del 17 giugno 1765 (ma poi pubblicata da Bottari in questo tomo), Mariette scrive in modo assai diretto che Piranesi è una semplice pedina in un gioco molto più ampio a Roma, dove sono forti gli interessi che mirano a contenere l’influsso delle idee francesi nella città eterna [114]. In altri termini, Mariette accusa implicitamente Piranesi di essere usato dagli oppositori dell’estetica illuminista a favore di quella dell’Ancient régime. E Bottari non esita a rendere pubblico questo argomento nonostante egli si trovi nello Stato della Chiesa.

Fig. 118) A sinistra: la lettera di Mariette di polemica su Piranesi, pubblicata sulla Gazette littéraire de l'Europe nel novembre 1764 e riprodotta da Bottari nel Tomo V del 1766 (fonte: https://archive.org/details/raccoltadilette05bottgoog/page/n315). A destra: Le Osservazioni Di Gio. Battista Piranesi sopra la Lettre de M. Mariette aux auteurs de la Gazette Littéraire de l'Europe — Roma, 1765 (fonte: https://archive.org/details/gri_33125008809358/page/n6)

Una seconda ragione che rende la missiva interessante è il tema di discussione: scrivendo a Parigi e rivolgendosi al pubblico degli amatori d’arte francesi, il Mariette contesta gli argomenti pubblicati da Piranesi nel suo Della Magnificenza e d'Architettura de' Romani. Va qui notato che il tema stava dividendo in quegli stessi giorni Piranesi e Winckelmann, che era all’apice della sua influenza a Roma. Anzi, gli studiosi moderni hanno cercato di capire chi tra i due sostenitori della supremazia dell'arte greca su quella latina (Mariette e Winckelmann) abbia influenzato l’altro. Per lo storico dell’arte Rudolf Wittkower [115] (1901-1971), Mariette sposa le tesi di Winckelmann per la quale i greci esprimono “nobile semplicità e quieta grandezza”; in un recente studio, Lola Kantor-Kazovsky [116] esprime la posizione contraria: sarebbe Winckelmann a ispirarsi alla posizione di Mariette, secondo il quale l’arte greca dimostra “una bella e nobile semplicità”. Qualunque sia il rapporto di precedenza tra le tesi in questione, i due sono allineati nel pensare che l’arte greca debba incoraggiare il superamento degli eccessi barocchi e rococò, che sono da loro considerati espressione di un mondo non libero. La semplicità greca è in linea con la razionalità illuminista; la bizzarria dell’arte romana (a proposito delle incisioni d’arte romana di Piranesi, Mariette parla di “una profusione d’ornamenti e licenze nauseanti”) è invece raffigurazione di una politica di sopruso verso la libertà dei popoli vicini, primi fra tutti i greci. Ovviamente, Piranesi è invece paladino della superiorità e della grandezza dell’arte e civiltà romana, che documenta nelle proprie incisioni.

La disputa tra Piranesi e Mariette si traduce anche in un rapporto completamente opposto dei due nei confronti di Winckelmann. Giovanni Battista è nemico personale del tedesco; sappiamo che sperava – a metà degli anni Sessanta – che Johann Joachim tornasse in Germania in modo da poter liberare la posizione di “soprintendente alle antichità di Roma”. Invece Mariette esprime (nelle lettere a Bottari) sentimenti di apprezzamento per la preparazione dei Monumenti antichi inediti da parte di Winckelmann in una lettera dell’1 agosto 1764 pubblicata nel Tomo IV [117]. In una del 12 ottobre 1765 (pubblicata nel Tomo V) Pierre-Jean scrive, sempre a Giovanni Gaetano: “Io mi rallegro col sig. Winckelmann d’essere al fin giunto a quel, ch’egli bramava da sì lungo tempo, d’avere un impiego fisso e onorevole nel suo paese [Roma]. Se io fossi ne’ suoi piedi, non lascerei Roma; ma ognuno ha i suoi geni, e la sua maniera di pensare” [118]. Evidentemente Mariette è informato che Winckelmann sta pensando di lasciare Roma (nelle lettere di quegli anni si legge che vuol forse trasferirsi in Svizzera, perché è stanco delle controversie romane).

Fig. 119) A sinistra: Giovanni Battista Piranesi, Della magnificenza ed architettvra de' Romani, 1761. Fonte: https://archive.org/details/gri_33125010859946/page/n9 https://archive.org/details/gri_33125010859946/page/n9. A destra: Johann Joachim Winckelmann, Die Geschichte der Kunst des Altertums, 1764. A destra: Johann Joachim Winckelmann, Storia dell’arte dell’antichità, 1764. Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Winckelmann_Geschichte_der_Kunst_des_Altertums_EA.jpg

Non è facile capire come Bottari si schierasse (o se preferisse non farlo) sulla questione, sia da un punto di vista personale (il rapporto con Piranesi e Mariette) sia da un punto di vista estetico (la superiorità dell’arte romana oppure di quella greca) sia infine da quello di vista politico (l’estetica di Mariette-Winckelmann è in linea con il pensare illuminista). In realtà Bottari cerca di mantenersi equidistante. Personalmente, è amico sia di Piranesi sia di Mariette. È sostenitore da anni del primo (di cui tuttavia, nella Raccolta, non troviamo nulla), fin da quando l’incisore veneto aveva incontrato problemi a Roma a metà degli anni Quaranta del secolo. Non a caso, è dedicato a Giovanni Gaetano il ciclo piranesiano delle Antichità Romane de' Tempi della Repubblica, e de' primi Imperatori nel 1748. La Raccolta, d’altro canto, documenta i rapporti d’amicizia di Bottari con Mariette fin dalla metà degli anni Cinquanta. Dunque Giovanni Gaetano tiene a conservare buoni rapporti con entrambi, anche se non esita a rendere pubblico anche a Roma il loro dissidio. Quanto agli aspetti estetici e politici, Giovanni Gaetano è molto prudente: egli documenta le tesi del Mariette nella Raccolta, ma non fa alcuna esplicita prolusione che possa essere interpretata come un’interpretazione dell’arte antica nel senso illuministica. Come è stato già scritto, Giovanni Gaetano è l’esponente di una Roma illuminata, ma certamente non illuminista.


Temanza e la polemica sull’uso delle armonie musicali in architettura

Un altro testo della Raccolta che diede luogo a una polemica pubblica è la lettera del 29 giugno 1762, inviata dall’architetto Tommaso Temanza a un anonimo (indicato con le lettere F. M. P.), residente a Castelfranco Veneto. Potrebbe trattarsi di Francesco Maria Preti (1701-1774) [119], autore di un trattato sugli Elementi di architettura, pubblicato postumo nel 1780. Come spiega Serenella Rolfi Ozvald, la lettera “diede luogo nel febbraio dell’anno successivo [alla pubblicazione del Tomo], il 1767, a una polemica risposta da parte del bresciano Girolamo Francesco Cristiani, che espose il suo dissenso in due lettere-dissertazioni indirizzate pubblicamente non all’architetto veneto, ma all’editore di quella missiva, ossia Bottari” [120]. Il testo delle due lettere dell’ingegnere Cristiani (1731-1811) [121] non fu accolto, tuttavia, nel successivo tomo della raccolta bottariana (Tomo VI), ma non perché non fosse ritenuto meritevole di attenzione. Anzi: Bottari scrisse a Temanza, pregandolo di preparare una risposta in forma epistolare, sperando così di raggiungere una massa critica sufficiente per l’uscita del Tomo VII (che tuttavia mai uscì). In definitiva, le lettere furono pubblicate solamente nell’edizione curata sessant’anni dopo, nel 1825, da Stefano Ticozzi (1762-1836). Sulla vicenda così scrive Rolfi Ozvald: “Bottari ne fu il regista, e come sappiamo dallo scambio di lettere che ne seguì pubblicato da Stefano Ticozzi, instillò allo stesso Temanza l’idea di una risposta in forma di lettera fittizia indirizzata a lui medesimo da pubblicarsi nella Raccolta, aggiungendo precise istruzioni sulla sua formulazione letteraria” [122].

Fig. 120) Il trattato postumo di Francesco Maria Preti, intitolato Elementi di architettura e pubblicato nel 1780 (Fonte: https://archive.org/details/elementidiarchit00pret/page/n4). La lettera di Tommaso Temanza a F.M.P. di Castelfranco, pubblicata nel Tomo V e datata 29 giugno 1762 (Fonte: https://archive.org/details/raccoltadilette05bottgoog/page/n325)

Il tema oggetto di dibattito è quello relativo all’impiego di regole armoniche (in particolare la media armonica proporzionale) nella progettazione degli edifici, accomunando l’architettura e la musica. Temanza esprime l’opinione che – a differenza della musica – le regole armoniche non possano essere al centro della creazione architettonica, e che Palladio (contrariamente a quanto da lui teorizzato) in realtà non ne abbia mai fatto uso. A suo parere, musica e architettura seguono logiche diverse:  la musica deve seguire la metrica dei versi, mentre l'architettura deve corrispondere alla logica sintattica della prosa. È questa la ragione per la quale l’architettura si deve orientare alla geometria, non alla musica. Temanza scrive queste cose a Preti, uno studioso di architettura ed architetto dilettante, che nei propri progetti fa invece uso sistematico e rigorosissimo di tali regole matematiche. In un’epoca in cui si cerca una risposta olistica a fenomeni creativi differenti (e in cui la musica ha un ruolo così importante nella definizione del gusto), l’affermazione di Temanza viene interpretata come una manifestazione di lesa maestà e provoca la risposta risentita del matematico Girolamo Francesco Cristiani.  

Fig. 121) A sinistra: Le due lettere indirizzate da Girolamo Francesco Cristiani a Bottari nel 1767 per contestare le tesi di Temanza. Fonte: https://bibdig.museogalileo.it/Teca/Viewer;jsessionid=BD15C15A2E54D0EFAF87783A53D404A2?an=980707&vis=D#page/2/mode/2up. A destra: La lettera di Giovanni Bottari a Tommaso Temanza, del 26 marzo 1768, pubblicata da Stefano Ticozzi nel 1825. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t8df80d70;view=1up;seq=272;size=75


Il sesto e ultimo tomo della Raccolta di Bottari

L’ultimo tomo curato da Bottari esce nel 1768, quando il monsignore ha ormai 79 anni. Anche nel Tomo VI vi sono ovviamente elementi di continuità: il riferimento alla Stamperia di Pallade cela sempre i Pagliarini, e l’autorizzazione delle autorità alla stampa viene data in risposta ad una certificazione di Prospero Petroni, come nei due tomi precedenti. Il numero delle lettere, tuttavia, cala drasticamente: ve ne sono ‘solo’ 55. In realtà buona parte del volume (da pagina da 35 a 198) è occupata dalla riproposizione di un unico testo: il trattato L'idea de' pittori, scultori et architetti che Federico Zuccari aveva pubblicato nel 1607.

Il Tomo VI è dedicato al monsignore spagnolo Giovanni Diaz Guerra (Juan Díaz de la Guerra) (1726-1800) uditore alla Sacra Rota (è il secondo uditore ad essere citato nella Raccolta, dopo Innocenzo Conti, a cui era stato dedicato il Tomo IV nel 1764). Il nostro dedicatario – non è certo una sorpresa dopo tutto quel che si è detto su quelli precedenti – è fra i prelati più attivi nella lotta della monarchia spagnola contro i gesuiti, che porta, l’anno precedente alla pubblicazione di questo tomo, allo scioglimento della Compagnia di Gesù a Madrid [123]. Per Bottari (e forse ancor più per la famiglia degli editori Pagliarini, il cui Nicolò era stato addirittura condannato per eresia nel 1761 a sette anni di carcere a cause delle campagne gesuite contro i giansenisti e, dopo la grazia, viveva in esilio in Portogallo) deve essere un sollievo vedere più di settemila gesuiti fisicamente espulsi da tutti i territori dell’impero spagnolo (e trasportati con la forza nello Stato della Chiesa oppure in Corsica). Il dedicatario, in particolare, era originario dell’isola di Maiorca, dove si era particolarmente diffusa da decenni tra i teologi la posizione filoagostiniana cara ai giansenisti.

Possibile che la presenza di una lunga lettera (18 pagine) del pittore spagnolo Francesco Preciado (1712-1789), inviata il 20 ottobre 1765 a Gianbattista Ponfredi e contenente un sommario della storia dell’arte spagnola dal Cinquecento a metà Settecento, fosse un ulteriore omaggio alla Spagna antigesuita.             

Fig. 122) La copertina del sesto tomo della raccolta, pubblicato nel 1768 https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t4wh44047;view=1up;seq=5

L’introduzione, di cinque pagine, è la più lunga di tutta la Raccolta. In essa Bottari ringrazia, oltre al conte Giacomo Carrara per le consuete lettere bergamasche (lo abbiamo già incontrato più volte), anche il pittore genovese Carlo Giuseppe Ratti (1737-1795) e il filologo fiorentino Domenico Maria Manni (1690-1788). Di Manni sappiamo che il suo carteggio con Bottari era stato molto esteso ed aveva avuto inizio ancora negli anni Venti del secolo, durando quarant’anni (alcune lettere fiorentine nella Raccolta potrebbero essere state procurate da lui) [124]. Ratti invece è un nuovo corrispondente, come vedremo. Ma il testo introduttivo si concentra tuttavia sulla questione della pubblicazione degli scritti di Zuccari. Due anni prima, nella brevissima introduzione del Tomo V – come si è detto – Giovanni Gaetano aveva annunciato la pubblicazione di quattro ‘opuscoli’ di Zuccari, di cui aveva sentito parlare da Mariette e che sperava potessero essere reperibili nella biblioteca reale di Francia.

Doveva trattarsi dell’Idea stessa (datata 1607), ma anche di uno scritto del 1605 intitolato Lettera a Principi e Signori amatori del Disegno (si tratta in realtà del Trattato Origine et progresso dell’Accademia del dissegno del 1604, che si può considerare una sorta di ‘coedizione’ con Romano Alberti), di un diario di viaggio (Il passaggio per Italia) e infine di uno scritto sulle feste organizzate a Parma in onore dell’Infanta Margarita di Savoja). L’introduzione è molto esplicita nel dire che Mariette prima si era offerto di reperirli a Parigi e poi, non riuscendoci, aveva in sostanza scritto a Bottari di arrangiarsi.

Fig. 123) A sinistra: L’idea de’ pittori, scultori, e architetti di Federico Zuccari, come pubblicata nel Tomo VI della Raccolta di lettere di Giovanni Gaetano Bottari nel 1768. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t4wh44047;view=1up;seq=55. Al centro: L’edizione originaria del L'idea de'pittori, scultori et architetti, pubblicata nel 1607 (e custodita alla Biblioteque Nationale de France). Fonte: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k111901v.image. A destra: La versione pubblicata da Marco Pagliarini a Roma nel 1768. Fonte: https://archive.org/details/lideadepittorisc00zucc/page/n4

Preso alla sprovvista, Bottari inizia una ricerca spasmodica in tutte le biblioteche italiane e trova a Firenze L’Idea e a Venezia Il passaggio per l’Italia e lo scritto su Parma. Nessuna traccia vi è invece nell’Introduzione del secondo trattato Origine et progresso, di cui Bottari dubita addirittura che esista. La decisione comunque è presa: l’Idea è inserita nel tomo VI, e il Passaggio per l’Italia destinato al VII. Quanto alle ‘feste’ parmensi, Giovanni Gaetano decide di non pubblicarle perché a suo parere ‘fuori tema’. Esattamente le stesse informazioni sono contenute in una lettera del 19 aprile 1768 di Bottari a Mariette che spiega le circostanze del ritrovamento del testo di Zuccari. Naturalmente ci si potrebbe chiedere perché Bottari attribuisca un’importanza tale agli scritti dell’artista da dedicargli quasi tutto un volume (e impegnarsi a dargli ampio spazio anche in quello successivo). La risposta non può che risiedere nel fatto che Zuccari fu primo Principe della Romana Accademia di San Luca.

Fig. 124) A sinistra: La fine del primo libro de L’idea de’ pittori, scultori, e architetti di Federico Zuccari, come pubblicato nel Tomo VI della Raccolta di Bottari (1768). Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t4wh44047;view=1up;seq=119. A destra: La fine del primo libro, come pubblicato separatamente da Pagliarini nel 1768. Fonte: https://archive.org/details/lideadepittorisc00zucc/page/66

È in questa prospettiva, probabilmente, che ci si può spiegare come mai, sempre nel 1768, l’Idea di Zuccari sia stampata separatamente sempre da Pagliarini (senza che vi sia alcun riferimento a Bottari e in assenza di qualsiasi introduzione o dedica). L’impaginazione dei due testi nella Raccolta e nella pubblicazione separata è esattamente la stessa. Le stesse matrici di stampa vengono utilizzate per i due prodotti. Evidentemente, vi era un pubblico pronto a leggere il testo di Zuccari al di fuori della Raccolta e l’editore non volle perdere l’occasione.


Testi rinascimentali e barocchi

Il Tomo VI ospita una quindicina di lettere rinascimentali o barocche, inviate o spedite da artisti di primissimo piano (lettere di Papa Leone X a Raffaello, di Papa Paolo III e Papa Clemente VII a Michelangelo, di Michelangelo a parenti e amici) che il Bottari trova negli archivi vaticani o presso gli eredi di Michelangelo. Segue una lettera di Maderno a Papa Paolo V (1613) sulla pianta e la facciata di San Pietro. 


Testi di pittori genovesi

Genova occupa un ruolo importante nel Tomo VI, grazie al già citato Carlo Giuseppe Ratti.  È Ratti, infatti, a procurare a Bottari una serie di lettere artistiche genovesi. Nella città ligure, Ratti ha appena pubblicato una guida di Genova (Instruzione di quanto può vedersi di più bello in Genova in pittura, scultura e architettura, 1766) e sta scrivendo la prosecuzione Delle vite de’ pittori, scultori, architetti genovesi compilate nel 1674 da Raffaele Soprani.  Fra le missive, sono notevoli la serie di lettere di Giovanni Battista Paggi [125] (1554-1627) e quelle indirizzate a Domenico Piola (1627-1703) e Giovanni Agostino Ratti (1699-1775), padre di Carlo Giuseppe.

Fig. 125) A sinistra: Il frontespizio del primo volume della continuazione Delle vite de’ pittori, scultori, architetti genovesi, pubblicata da Carlo Giuseppe Ratti nel 1768 (come completamento dell’opera di Raffaello Soprani del 1768). Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t8x931v9k;view=1up;seq=9 A destra: La Vita di Giovanni Battista Paggi, inclusa nello stesso volume. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t8x931v9k;view=1up;seq=130 

Le lettere di Paggi sono tutte inviate al fratello Girolamo. In quegli anni il pittore è esiliato da Genova e vive a Firenze (ha ucciso un nobile), e da lì interviene, grazie al fratello, nel dibattito sugli statuti dell’arte genovese, fornendogli argomenti per lettera. Il testo più lungo, del 1591, è un condensato di dodici pagine di storia e teoria pittorica. È ovvio come il tema principale sia quello della natura della pittura come arte liberale, per la quale Firenze offre un modello alla città ligure.

Fig. 126) A sinistra: Domenico Piola, Volta della Sala dell'Autunno, Genova, Palazzo Rosso (1679-1694) Fonte: Wikimedia Commons. A destra: Carlo Giuseppe Ratti, Storie dei SS. Pietro e Caterina, 1778-1784. Fonte: http://www.culturainliguria.it

Nel 1767 Carlo Giuseppe Ratti contatta direttamente Bottari. Gli scrive di aver avuto il suo nome da un pittore amico comune, il fiorentino Ignazio Enrico Hugford, e gli invia – attraverso Giovanni Bianconi – alcune lettere in suo possesso. Inizia allora un carteggio che vede i due discorrere per molti mesi delle biografie dei pittori genovesi coinvolti. Da notare che le loro lettere contengono  condivisi apprezzamenti anche per il Crespi (vi è un evidente parallelismo tra il lavoro di Ratti, che completa le vite degli artisti genovesi scritte da Soprani, e il lavoro di Crespi, che completa le vite dei bolognesi scritte da Malvasia).

Il tomo VI conclude la Raccolta nei termini pensati da Bottari. Nel 1773 Giovanni Gaetano è colpito da un secondo ictus che lo rende invalido fino alla morte nel 1775 (a 86 anni). Come si è detto, Giovanni Gaetano progettava un settimo tomo. Vorrei qui rapidamente far riferimento all’edizione ‘pirata’ del 1773, ovvero al Tomo VII curato da Luigi Crespi, e alla nuova edizione pubblicata in otto volumi da Stefano Ticozzi tra 1822 e 1825, anche per cercare di comprendere se e quanto ci possono dire sui piani editoriali di Bottari, forzatamente interrotti dalla malattia.


Il Tomo VII

Fig. 127) A sinistra: Il volume di Luigi Crespi, pubblicato da Marco Pagliarini nel 1769, con cui egli continua la Felsina Pittrice di Cesare Malvasia. Fonte: https://www.gonnelli.it/it/asta-0013/crespi-luigi-vite-de-pittori-bolognesi-non-.asp. Al centro: la stroncatura di Gian Lodovico Bianconi sull’opera di Crespi, in forma di lettera all’Accademia Clementina di Bologna, pubblicata postuma nel 1802 (Fonte: http://dlib.biblhertz.it/Gh-MAL8284-4020#page/4/mode/2up). A sinistra: I Dialoghi di un amatore della verità scritti a difesa del terzo tomo della Felsina Pittrice, scritti da Luigi Crespi, originariamente pubblicati separatamente nel 1770 e inclusi nel Tomo VII della Raccolta (fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t9r22gt03;view=1up;seq=81;size=150)

Abbiamo già trattato estesamente nella prima parte di questo post la questione dell’edizione ‘pirata’ del VII Tomo della Raccolta, pubblicata da Luigi Crespi all’insaputa dell’anzianissimo Bottari. Il bolognese, peraltro, era uomo che abbinava a brillanti intuizioni atteggiamenti spregiudicati. Nel 1768, ad esempio, aveva progettato assieme al Ratti, di cui abbiamo appena parlato, un volume di lettere artistiche ‘fittizie’ che dessero un’immagine particolareggiata del patrimonio artistico italiano, in risposta ai giudizi sprezzanti espressi da Charles Nicholas Cochin nel suo celebre Viaggio italiano.  Il modello bottariano, insomma, aveva fatto scuola. Per raggiungere il suo obiettivo Crespi si era rivolto a una serie di eruditi locali che dessero conto di quello che oggi definiremmo un ‘patrimonio diffuso’. Fra questi, il pesciatino Innocenzo Ansaldi, che gli inviò l’anno successivo una Descrizione delle pitture di Pescia in forma di bozza, raccomandandosi di non pubblicarla perché incompleta. Fallito il progetto, Crespi non aveva certo esitato a dare alle stampe la guida in questione senza il consenso del suo autore.

In occasione della recensione del recente volume di Giovanna Perini Folesani su Luigi Crespi abbiamo già illustrato le esatte dinamiche della pubblicazione. Crespi aveva inviato da tempo a Bottari scritti di contenuto fortemente polemico che quest’ultimo non aveva mai pubblicato. Crespi sollecitò la pubblicazione, ma Bottari gli fece sapere di non intendere pubblicare un settimo volume. Crespi chiese allora che i suoi scritti gli fossero restituiti, in modo che egli potesse pubblicarli altrove, ma Bottari si rifiutò (si trovano ancora oggi nella Biblioteca Corsiniana). Si trattava di un modo di ‘seppellire’ testi di Crespi cui Bottari non voleva in nessun modo essere associato. In realtà l’anziano monsignore aveva ancora materiale disponibile e aveva infatti incaricato il Conte Giacomo Carrara di produrre un settimo volume, ma quest’ultimo non fu capace di portare a termine l’opera, anche perché si affidò ad un editore bergamasco che non disponeva dei contatti per distribuire l’opera in tutta Italia e fuori da essa. Con l’evidente collaborazione (connivenza?) della famiglia Pagliarini, Crespi precedette il Carrara e fabbricò un’edizione pirata (di cui, in realtà, Bottari sapeva qualcosa). Perché anche Marco Pagliarini, l’editore che aveva collaborato per anni con Bottari, lo tradì? Probabilmente cercava un modo per proseguire (e ringiovanire) un’iniziativa editoriale di successo. Inoltre voleva recuperare le perdite causate dal fallimento editoriale del terzo volume della Felsina pittrice ad opera delCrespi, che non era riuscito a collocare se non in parte. Infine, non poteva certo accettare che un concorrente straniero (quello di Bergamo) si infiltrasse in un segmento di mercato (gli scritti d’arte) così importante. Quando Giovanni Gaetano viene a sapere che il progetto alternativo di Crespi stava per concretizzarsi, egli informò il Carrara chiedendo di bloccare ogni iniziativa editoriale bergamasca. Una cosa è certa: il settimo volume è, di fatto, una celebrazione della figura e del pensiero di Crespi e una sistematica confutazione delle idee dei suoi nemici personali. Il tomo si poggia su tre pilastri: il primo è del tutto apologetico e riguarda la difesa del Crespi dalle accuse di Giovanni Bianconi a proposito del terzo tomo della Felsina Pittrice (a questo fine Crespi introduce nel Tomo un dialogo, già pubblicato separatamente nel 1770, che occupa 45 pagine); il secondo è un testo (anch’esso di 45 pagine) di cui Crespi non conosce autore e nome e che egli attribuisce al pittore genovese Giovanni Battista Paggi (1554-1627), ma che corrisponde perfettamente al Trattato della nobiltà della pittura scritto da Romano Alberti (1555 circa-tra 1599 e 1604) [126]; e il terzo, infine, sono sei lettere firmate Luigi Crespi, e indirizzate a Giovanni Bottari (datate tra 1769 e 1770).

Fig. 128) A sinistra: Cesare Pronti, Il martirio di San Ursicino, senza data. Fonte: Wikimedia Commons. A destra: Carlo Bonomi, Cristo adorato da angeli, san Sebastiano e san Bonaventura, 1610. Fonte: Wikimedia Commons

Con le sue sei lettere, molte probabilmente finte, ovvero mai spedite, Crespi provvede ad aggiornare Giovanni Gaetano sulle sue più recenti ricerche. In ordine cronologico, la prima, datata 2 agosto 1769, contiene i testi di una serie di missive di Giovanni Battista Agucchi (1570-1632), una delle quali è destinata a Lodovico Carracci  (1555-1619). La seconda, del 1 luglio 1770, riporta una lettera di un seguace del Guercino (Padre Cesare Pronti, 1626-1708) attivo a Ravenna che contiene le lodi di Carlo Bononi (1569?-1632).  La terza, del 30 settembre 1770, spiega i motivi per cui Crespi aveva scritto i Dialoghi di un amatore della verità scritti a difesa del terzo tomo della Felsina Pittrice, in cui tutte le accuse contro il suo scritto sono poste nella bocca di un accademico dell’Accademia Clementina di Bologna, e tutte le difese provengono da un ‘dilettante’. Nella lettera si ringrazia Bottari per il sostegno continuo alla pubblicazione e alla stampa della continuazione della Felsina Pittrice (sostegno documentato anche in lettere dei precedenti tomi ‘autentici’, e dunque effettivamente veritiero). Del settembre 1772 è un altro testo, in cui si informa Giovanni Gaetano dell’invio de La Certosa di Bologna descritta nelle sue pitture, appena pubblicato.  Sempre nello stesso mese, Luigi si rivolge a Giovanni Gaetano informandolo sui progressi per un quarto volume (mai ultimato) della Felsina Pittrice.  E infine, il 28 settembre 1772, il bolognese scrive al Bottari in merito al trattato anonimo che attribuisce al Paggi, spiegando le ragioni (errate) di quell’attribuzione, ma anche elencando i suoi dubbi in proposito.


Stefano Ticozzi e la nuova edizione della Raccolta nella Biblioteca Scelta di Stefano Silvestri (1822-1825)

Con la nuova edizione, curata da Stefano Ticozzi (1762-1836), [127] facciamo un passo avanti nella storia italiana di ben cinquant’anni. Nel 1822 la Raccolta viene pubblicata in una versione ampliata (otto volumi) nella Biblioteca scelta di opere italiane antiche e moderne, edita da Giovanni Silvestri (1778-1855) [128]. Con la Biblioteca, che al momento della pubblicazione dell’edizione delle lettere conta già 107 titoli, si intende offrire al pubblico italiano una collana molto vasta di titoli fondamentali del sapere letterario, organizzata in “sei classi”: (i) novellieri, (ii) poesie, (iii) prose, (iv) prose e poesie, (v) storia e (vi) scienza ed arti. Alla morte dell’editore, nel 1855, ne facevano parte più di cinquecento titoli. 

Fig. 129) A sinistra: Stefano Ticozzi, Storia dei letterati e degli artisti del Dipartimento del Piave, 1813. Fonte: https://books.google.de/books?id=Q1f4ID2_GT0C&printsec=frontcover&hl=it. Al centro: Stefano Ticozzi, Vite dei pittori vecelli di Cadore, 1817. Fonte: https://archive.org/details/bub_gb_i_dNx9Sq6oEC/page/n6. A sinistra: Stefano Ticozzi, Dizionario dei pittori dal rinnovamento delle belle arti fino al 1800, 1818. Fonte: https://catalog.hathitrust.org/Record/011606424

Come curatore della nuova edizione l’editore sceglie Stefano Ticozzi, ovvero uno studioso ormai sessantenne con un passato politico nell’amministrazione napoleonica del Regno d’Italia, dove aveva ricoperto il ruolo di prefetto del Dipartimento del Piave (con centro Belluno) fino al suo scioglimento nel 1814. Già allora Ticozzi aveva mostrato interessi eruditi per la provincia che amministrava, dedicandosi alla storia locale (Storia dei letterati e degli artisti del Dipartimento del Piave, 1813; Vite dei pittori Vecelli di Cadore, 1817). L’attenzione per Tiziano è predominante, come testimoniato dal saggio in tre volumi Della Imitazione Pittorica Della Eccellenza Delle Opere Di Tiziano E Della Vita Di Tiziano, pubblicato a Venezia nel 1818. Trasferitosi a Milano, Ticozzi fa il salto di qualità dalla storia locale dell’arte a quella di livello globale con il Dizionario dei pittori dal rinnovamento delle belle arti fino al 1800, pubblicato nel 1818. È quella l’opera che, dimostrando la sua erudizione, conquista l’interesse di Silvestri. In parallelo all’incarico sulle lettere, Ticozzi non esita comunque a portare avanti altri progetti: nel 1820, ad esempio, annota l’edizione De' veri precetti della pittura di Giovanni Battista Armenini e compendia la Storia critica della Inquisizione di Spagna.
Fig. 130) Il lavoro di Ticozzi come annotatore dei Veri Precetti della Pittura di Armenini (Fonte: https://books.google.es/books?id=fAY1AQAAMAAJ&printsec=frontcover&hl=es) e come compendiatore della Storia critica della inquisizione di Spagna (Fonte: https://books.google.de/books?id=UENRAAAAcAAJ&printsec=frontcover&hl=it). Entrambe le pubblicazioni sono uscite nel 1820.
  
Se l’edizione originaria della Raccolta di Bottari è contraddistinta, come sappiamo, da diversi titoli a seconda dei tomi, quella curata da Ticozzi riprende la versione del 1757, reintroducendo il riferimento ai “più celebri personaggi dei secoli XV, XVI e XVII”;  tuttavia la Raccolta di Ticozzi, a contrario del titolo, presenta lettere di artisti fino al primo Ottocento. L’obiettivo dichiarato di Silvestri e Ticozzi è quello di rendere l’opera di nuovo disponibile al ‘grande pubblico’ in una versione economica (la tiratura è di circa 1500 copie, rispetto a quella originaria – ormai fuori mercato – di sole centocinquanta-duecento copie). Come si legge nell’introduzione al primo volume: “Avremmo forse potuto dare migliore ordine a questa Raccolta, disponendo le lettere cronologicamente o per materia; ma in allora non si sarebbero ritenute del Bottari che le sole note, e sarebbesi riguardata come una nuova raccolta; e noi volevamo ad ogni modo riprodurre quella del Bottari, senza prenderci tanto arbitrio” [129]. Dunque, l’impianto della raccolta rimane, essenzialmente, quello di Bottari. L’intento filologico è però pregiudicato, almeno in parte, dal fatto che dalla nuova edizione spariscono tutte le introduzioni e le dediche (siamo del resto in un nuovo mondo postrivoluzionario in cui pubblicare dediche a cardinali e monsignori del mondo giansenista appare fuori luogo, tanto più che Silvestri e Ticozzi si sono entrambi schierati a favore dei Giacobini e delle Repubbliche napoleoniche durante i due decenni precedenti). Nella collezione Ticozzi viene conservato il Tomo VII (senza far alcun riferimento al fatto che sia stato curato dal Crespi). Se da un punto di vista tipografico l’edizione Ticozzi è molto più agevole da utilizzare, da un punto di vista critico, dunque, chiunque la consulti perde, in realtà, informazioni molto importanti rispetto all’originale per comprendere la logica e la storia della raccolta epistolare.  

Fig. 131) Il primo volume dell’edizione della Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura, pubblicata da Giovanni Silvestri nel 1822. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t7tm8g60w;view=1up;seq=1;size=150

L’obiettivo della nuova edizione Ticozzi è anche quello di aggiungere nuove lettere, inserendo missive che Bottari aveva a disposizione, ma non aveva pubblicato, o frutto di ritrovamenti successivi. Si tratta certo – almeno in parte – dei documenti che Bottari aveva preparato per la propria versione ‘bergamasca’ del Settimo Tomo, mai pubblicata. Il tipografo avverte il lettore, nel 1825, che gli otto volumi del 1822-1825 contengono 304 lettere in più rispetto a quelle dell’edizione originaria. Sono state distribuite in tre appendici (in corrispondenza del primo, sesto e settimo volume) e in un nuovo volume (l’ottavo) interamente curato da Ticozzi.

Si è già detto che Ticozzi ha contatti soprattutto in Veneto e a Milano. Non sorprende dunque che fonti principali di nuove lettere siano il bibliografo e collezionista Antonio Marsand (1765-1842) [130] a Padova, il letterato Giannantonio Moschini (1773-1840) a Venezia [131],  Gaetano Cattaneo a Milano (1771-1841) [132] e Giuseppe Tambroni (1773-1824) a Roma (conosciamo quest’ultimo come curatore della princeps del Libro dell’arte di Cennino Cennini nel 1821). Il radicamento nel mondo veneto spiega perché la Raccolta nella versione Ticozzi veda un deciso incremento delle lettere dell’Algarotti (1712-1764) e l’inclusione di una quarantina di missive sia del Canova (1757-1822) sia del Milizia (1725-1798). Compaiono per la prima volta anche lettere di Mengs e di Winckelmann. Siamo dunque ormai (e molto di più di quel che fosse il caso per il Bottari originario) in un contesto fermamente neoclassico.

Fig. 132) L’avvertenza del tipografo, al termine della Raccolta nella versione Ticozzi. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t8df80d70;view=1up;seq=486


NOTE


[112] Si veda la voce Antonino Sensale, a cura di Giulio Sodano, in Dizionario Biografico degli Italiani (2018). La voce si trova all’indirizzo 

[113] Kantor-Kazovsky, Lola - Pierre Jean Mariette and Piranesi: The Controversy Reconsidered.
Memoirs of the American Academy in Rome. Supplementary Volumes, Vol. 4, The Serpent and the Stylus: Essays on G. B. Piranesi (2006), pagine 149-168. Si veda: 


[115] Wittkower, Rudolf, Piranesi’s ‘Parere su l’architettura’, in Journal of the Warburg Institute 2 (1938-1939), pagine 147-158. Il testo è stato ripubblicato con il titolo “Piranesi’s Architectural Creed” nel suo Studies in Italian Baroque, Londra, Thames and Hudson, 1975, 304 pagine (pagine 235-246).

[116] Kantor-Kazovsky, Lola - Pierre Jean Mariette and Piranesi: The Controversy Reconsidered, (citato).



[119] Si veda la voce Francesco Maria Preti a cura di Elisabetta Molteni nel Dizionario Biografico degli Italiani (2016). La voce è disponibile all’indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-maria-preti_(Dizionario-Biografico)/.

[120] Rolfi Ožvald, Serenella, Lettere ad un amico. Da Bottari al giornalismo artistico degli anni Ottanta del Settecento, in Le carte false. Epistolarità fittizia nel Settecento italiano, a cura di F. Forner, V. Gallo, S. Schwarze, C. Viola, Roma, 2017, pp. 469-490. Il testo è disponibile all’indirizzo: 

[121] Si veda la voce Girolamo Francesco Cristiani a cura di Ugo Baldini nel Dizionario Biografico degli Italiani (1985). La voce è disponibile all’indirizzo: 

[122] Rolfi Ožvald, Serenella, Lettere ad un amico. Da Bottari al giornalismo artistico degli anni Ottanta del Settecento (citato)

[123] Pinedo Iparraguirre, Isidoro  - El pensamiento regalista y antijesuita de Manuel de Roda y
Arrieta, secretario de gracia y justicia de Carlos III, Madrid, 2015. Citazione a pagina 341. Il testo è disponibile all’indirizzo: https://eprints.ucm.es/mwg-internal/de5fs23hu73ds/progress?id=w4S9kjHJ7P8X7LPJ694QUVQWFAj2gAZymgmone-7_Uk,&dl

[124] Si veda la voce Domenico Maria Manni a cura di Giuseppe Crimi nel Dizionario Biografico degli Italiani (2007). La voce è disponibile all’indirizzo 

[125] Si veda la voce Giovanni Battista Paggi a cura di Gianluca Zanelli nel Dizionario Biografico degli Italiani (2014). La voce è disponibile all’indirizzo: http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-battista-paggi_%28Dizionario-Biografico%29/.

[126] Il testo del trattao è pubblicato dalla Fondazione Memofonte all’indirizzo 

[127] Gli otto volumi dell’edizione del 1822-1825 sono disponibili all’indirizzo 

[128] Si veda la voce Giovanni Silvestri a cura di Elisa Marazzi nel Dizionario Biografico degli Italiani (2018). La voce è disponibile all’indirizzo: 


[130] Si veda la voce Antonio Marsand a cura di Francesca Brancaleoni nel Dizionario Biografico degli Italiani (2008). La voce è disponibile all’indirizzo: 

[131] Si veda la voce Giannantonio Moschini a cura di Michele Gottardi - Dizionario Biografico degli Italiani (2012). La voce è disponibile all’indirizzo: 

[132] Si veda la voce Gaetano Cattaneo a cura di Nicola Parise nel Dizionario Biografico degli Italiani (1979). La voce é disponibile all’indirizzo: 




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