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lunedì 6 maggio 2019

Carlo Cesare Malvasia. Le pitture di Bologna 1686. A cura di Andrea Emiliani. Parte Seconda



Carlo Cesare Malvasia
Le pitture di Bologna 1686
Ristampa anastatica corredata da indici di ricerca, da un commentario di orientamento bibliografico e informativo e da un repertorio illustrato
A cura di Andrea Emiliani

Bologna, Edizioni Alfa, 1969

Recensione di Giovanni Mazzaferro. Parte Seconda

Fig. 8) Ludovico Carracci, Annunciazione, 1584, Bologna, Pinacoteca Nazionale
Fonte: Paul Hermans tramite Wikimedia Commons



La Francia come obiettivo

Dobbiamo fare un passo indietro e tornare alla Felsina pittrice, che Carlo Cesare dedica niente meno che al Re Sole. Sappiamo benissimo che Malvasia aveva come obiettivo (essendo consapevole che la sua opera sarebbe stata fortemente contestata dal partito tosco-romano) quello di far diffondere la sua ‘storia alternativa’ in Francia. La sua dedica a Luigi XIV non è, insomma, solo piaggeria. Carlo Cesare sapeva benissimo che la nuova frontiera della storiografia artistica, quella in cui si dettava il gusto in tutta Europa, era la Francia. Il progetto non ebbe successo. Troppo forte era il legame che univa il classicismo romano con quello francese (o, se si vuole dirlo in altre parole, troppo suggestiva era la tesi di far risultare la Francia del Re Sole e Parigi in particolare come eredi dei fasti dell’antica Roma). Tuttavia il Re Sole non mancò di mostrare la sua riconoscenza a Carlo Cesare inviandogli un dono (un gioiello col suo ritratto). Quest’ultimo, purtroppo, andò perso nel corso del viaggio, tanto che, in sostituzione, (attorno alla fine del 1682) Malvasia si vide recapitare dapprima una serie di incisioni di parte di Charles Le Brun e poi un secondo gioiello che oggi si trova presso le Collezioni Comunali d’arte.

Nella dedica delle Pitture di Bologna Malvasia ringrazia Charles Le Brun (che definisce ‘impareggiabile Amico’) per avergli fatto spedire una seconda volta le stampe (che quindi dovevano essere presenti anche nel primo invio) e per essersi adoperato per l’invio di un secondo gioiello. Naturalmente, tutto questo può essere solo un peccato di vanità. Tuttavia mi pare strano che Malvasia non abbia cercato di far recapitare una copia della sua guida a Le Brun, un po’ perché si sarebbe trattato di un nuovo tentativo per riproporre l’eccellenza della scuola bolognese e un po’ perché oggettivamente Carlo Cesare poteva avere legittimamente l’ambizione che la sua opera fosse tradotta in francese a beneficio dei viaggiatori d’Oltralpe. Di tutto questo, in termini oggettivi, non vi è alcuna traccia; sarebbe però interessante cercare di capire se un invio vi fu. Ad ogni modo, è assai probabile che se non la princeps del 1686 una o più delle edizioni del Settecento potesse essere reperibile in ambienti accademici in Francia (e quind’anche da Descamps).

Fig. 9) Ludovico Carracci, Pala Bargellini, 1588, Bologna, Pinacoteca Nazionale
Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Carracci_Ludovico_Madonna_Bargellini.jpg

L’indice dei nomi: verso una nuova opera?

Nel tentativo di allargare le possibilità offerte al visitatore, Malvasia redige anche un indice per artista, dando così la possibilità al lettore di costruirsi un itinerario personalizzato dedicato solo ad alcuni artefici. L’indice si trova nelle pagine iniziali e l’aspetto che più lo caratterizza è che è composto ‘solo’ da trentanove nomi (fra cui alcuni di artisti ‘stranieri’ come Leonardo, Michelangelo e Raffaello). È di estremo interesse leggere quanto Carlo Cesare scrive sotto alla dicitura “INDICE De’ Pittori”: “Quelli però solamente, l’opere de’ quali oggidì sembrano le più ricercate e gradite dal curioso Passeggiere. Tutti gli altri, col tempo in che fiorirono, e co’ Maestri da’ quali ordinatamente derivarono, si avranno nel copioso Catalogo, che uscirà ben presto alla luce de’ Pittori Bolognesi” (p. 10). Mi pare che ci non sia dubbio che fosse intenzione di Malvasia completare la sua produzione appunto con un catalogo dei pittori bolognesi. In realtà nulla di tutto ciò accadde, e, per quanto mi risulta, non vi è alcun riscontro al progetto nelle carte residue di Malvasia. Gli ultimi anni della vita di Carlo Cesare furono dedicati piuttosto all’antiquaria. Tuttavia bisogna prendere atto che, in quegli anni, Malvasia pensava a una terza tappa del suo percorso di storiografia artistica, dopo la Felsina e le Pitture di Bologna. Come doveva essere, questo catalogo? Non si sa. È possibile (ma estremamente improbabile, a mio avviso) che Carlo Cesare pensasse a un abecedario sul genere di quello che per primo realizzò il bolognese Padre Pellegrino Orlandi nel 1704. In un paio di occorrenze nel testo, però, l’autore lascia degli indizi, ad esempio quando nell’introduzione si augura “che possano i Bolognesi, a simiglianza di que’ tanto strepitosi Decennali, pubblicar ben presto anch’essi un altrettanto ben provato Catalogo di antichissimi non meno che insignissimi Artefici” (p. 20). I ‘decennali’ in questione sono, chiaramente, quelli che scandiscono le Notizie dei professori del disegno di Filippo Baldinucci, pubblicate a partire dal 1681.

È forte, a questo punto, la suggestione che Malvasia volesse dotare Bologna di uno strumentario storico-critico parallelo, ma alternativo a quello su cui poteva contare Firenze: e così, la Felsina in risposta alle Vite di Vasari, le Pitture di Bologna a fronte delle Bellezze della città di Firenze di Francesco Bocchi, la cui prima edizione è del 1591, ma che nel 1677 viene stampata in forma fortemente ampliata a cura di Giovanni Cinelli, e il mai realizzato Catalogo dei pittori bolognesi da preparare in risposta alle Notizie dei professori del disegno del Baldinucci. Uno strumentario alternativo, si diceva, e non vi è dubbio che vi siano ragioni campanilistiche alla base dell’agire di Carlo Cesare, anche se è pur sempre importante sottolineare che si tratta (per quanto pubblicato) dell’espressione di un modo diverso di concepire la storia, basata su continuità e sviluppo rispetto a quella fiorentina, che concepisce gli avvenimenti storici come fratture improvvise. Fermo restando che si tratta di un paragone improponibile, ho l’impressione che ai giorni nostri Malvasia sarebbe un’evoluzionista e Vasari (ma soprattutto Baldinucci) un creazionista.

Fig. 10) Agostino Carracci, Ultima Comunione di San Girolamo, 1591-1597 circa, Bologna, Pinacoteca Nazionale
Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:
Agostino_carracci_ultima_comunione_san_girolamo_pinacoteca_nazionale_bologna.png

Annibale Carracci, Crocifissione e santi, 1583, Bologna, Chiesa di Santa Maria della Carità
Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:1583_
Annibale_Caracci,_Crucifixion_Santa_Maria_della_Carit%C3%A0,_Bologna.jpg

I primitivi

Non vi è il minimo dubbio che uno degli elementi caratterizzanti della guida di Malvasia sia la forte presenza dei primitivi. Grosso modo – scrive Emiliani (p. XII) - le opere realizzate entro il XV secolo citate ne Le pitture di Bologna sono 350, ovvero circa il 15% del totale. Un numero che può apparire basso, ma che in realtà va confrontato con molti casi di guide seicentesche in cui i primitivi si contano sì e no sulle dita di una mano. Sotto questo punto di vista vorrei ricordare almeno due aspetti. Per primo, le parole spese per Mezzaratta (i cui affreschi, o, meglio, quanto ne rimane, sono oggi in Pinacoteca Nazionale). Gli affreschi della chiesa non sono descritti negli itinerari (l’edificio si trovava ben al di fuori delle mura cittadine) [7], ma comunque ricordati, e con parole lusinghiere, nell’introduzione dell’autore: “ma più d’ogni altra nella capacissima [n.d.r. chiesa] di Mezzaratta fuore di porta S. Mamolo, nella nascita cioè, vita, morte e glorificazione del nostro amorosissimo Redentore, (…) con non per prima pensati ghiribizzi, e con nove e peregrine invenzioni a rappresentarsi a concorrenza altresì di due forestieri, ma però condiscepoli sotto lo stesso Maestro, Christoforo detto da alcuni da Modona, e Galasso da Ferrara. Non istarò qui a rammemorarvi quanto ella fosse lodata questa manifattura, per quel che comporta un tanto inventare, in un sì rozzo secolo, dagli stessi Carracci” (p. 17). L’altro complesso a meritare una citazione in questa righe è, senza dubbio, la basilica di Santo Stefano o, se si preferisce chiamarle così le Sette Chiese. Nelle guide del Lamo (incompleta) e di Cavazzoni Santo Stefano non è mai citato. Naturalmente è possibilissimo che ciò sia dovuto al fatto che i lavori furono lasciati incompiuti (anche se nel caso del Cavazzoni non ne siamo sicuri). Certamente Santo Stefano è, con occhi contemporanei a Malvasia (ma non con i suoi), una chiesa di interesse minore perché testimonia proprio i secoli ‘rozzi’ (la basilica sorge su un’area dedicata in età romana al culto di Iside e vede una vera e propria stratificazione di luoghi di culto). Ancora una volta Carlo Cesare dimostra la sua attenzione verso la continuità della pratica artistica. Malvasia, insomma, vede e registra, al contrario di molti testimoni da fine Cinquecento in poi che vedono (i quadri dei primitivi), ma fanno finta di non vedere. Malvasia si dimostra ‘storico’ come Vasari, ma uno storico diverso (nel senso che propone una lettura diversa, come già detto) e al contrario di scrittori d’arte come Armenini etc, per i quali la storia dell’arte comincia solo con Leonardo, e tutto ciò che è precedente è considerato ridicolo. Laddove Armenini parla di ‘fantocci’, ad esempio, Carlo Cesare descrive polittici (che non sono ancora chiamati tali, ma opere ‘ a caselle’, con cuspidi piramidali) registrando i soggetti se possibile.

La narrazione complessiva della guida, peraltro, testimonia il continuo mutare del patrimonio esposto al pubblico, con la sostituzione delle opere in base al gusto: e quindi gli antichi affreschi sono sostituiti da tempere su tavola a fondo oro, e poi dagli olii, in un panorama che vede la Bologna di Malvasia completamente rimodernata nei secoli; tanto che i quadri dei primitivi vanno cercati (e Carlo Cesare lo fa) nelle sacrestie, o nei locali di servizio delle chiese.

Un caso particolare è quello delle ‘Madonne miracolose’. Malvasia conosce Corona di gratie, manoscritto a sfondo devozionale scritto da Francesco Cavazzoni che, di fatto, è una raccolta di immagini sacre oggi conservata in Archiginnasio. La devozione è, senza dubbio alcuno, il motivo per cui le immagini dei primitivi che meglio sono sopravvissute sono quelle, appunto, delle Madonne miracolose. In sede di abbattimento di vecchi edifici, o di rifacimento complessivo delle chiese, le immagini della devozione popolare sono state letteralmente segate assieme al muro su cui sono dipinte e incorporate nei nuovi edifici: “nella cotidiana rimodernatura, anzi totale reedificazione de’ troppo antichi nostri edifici, sonosi perciò elleno andate per lo più conservando, segatisi i muri, et in grossissimi telai incastrate novamente mutatesi entro le più prossime Chiese, e nelle moderne fabbriche; onde potrete per tutto a vostro talento vederne, considerarle, e sapermi poi dire, in qualsiasi altra Città ne habbiate mai osservato in maggior copia, e più ben fatte di questo tempo” (p. 18). Per Cavazzoni le immagini antiche hanno importanza solo in quanto espressione della devozione; per Malvasia sono invece la prova empirica che la pittura a Bologna non è mai venuta meno e servono dunque al ‘disinganno’ del visitatore.

Guido Reni, La strage degli innocenti, 1611, Bologna, Pinacoteca Nazionale
Fonte: https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtPCQIX-UpkTXUV1lABjheNdOtOsSzT59mQJT0lr7iKjOwz5HGn6FFu_q2TVBTtt6eKFc1SyuYYxRnwdnMy_ATqjN3T6J3NmFxvsMjf27uQvipzhje75nafUvz_GgebZpeG3OxCMdnWrHS/s1600/Guido+Reni--Massacre+of+the+Innocents.1611.jpg tramite Wikimedia Commons
Guido Reni, Pala della Peste, 1630, Bologna, Pinacoteca Nazionale
Fonte: http://www.pinacotecabologna.beniculturali.it/it/content_page/item/312-madonna-col-bambino-in-gloria-e-i-santi-protettori-di-bologna-petronio-francesco-ignazio-francesco-saverio-procolo-e-floriano-br-pala-della-peste

Le fonti di Malvasia

Si è detto di Cavazzoni. Appare lecito chiedersi quali siano le altre fonti di Malvasia. Un peso preponderante è, senza dubbio, rappresentato dalla Bologna perlustrata di Antonio di Paolo Masini (1602-1692), pubblicata nel 1666. Malvasia conosceva personalmente Masini, e già aveva avuto modo di servirsi ampiamente della sua opera nella Felsina pittrice. La Bologna perlustrata, tuttavia, non era una guida artistica, ma era nata come raccolta di materiale liturgico a cui erano state aggiunte notizie di ordine storico e artistico. Appare chiaro, insomma, che, per Carlo Cesare, quello di Masini è un repertorio utilizzato a riscontro dell’oculare ispezione e che fa da prova documentale a quanto scritto nella sua guida. Scrive Malvasia nel paratesto: “chi (ricusando di prestare la dovuta intera fede a queste notizie, che come istoriche, hanno per anima un’illibata et inalterabile verità) richiedesse più tosto le prove materiali di quanto esse contengono […] potrà pienamente soddisfarsi nella Bologna Perlustrata dell’esattissimo Masini, ove, con non minor fatica, e maggior profitto (veduto anch’egli un mar di scritture) le pubbliche et autentiche registrò ei pure d’ogni particolarità” (p. 12). Se Malvasia è storico, insomma, Masini è il ‘notaio’ della situazione. Ma non bisogna tuttavia cadere nel tranello che tutto ciò che è citato dal primo sia stato segnalato dal secondo nel 1666: a ben guardare – scrive Emiliani – sono solo 200 (su 2400) le opere inserite nella Bologna Perlustrata citate da Malvasia ne Le pitture di Bologna. E se si tiene conto che i manufatti presenti sia nella Felsina sia nelle Pitture sono solo 230, si capisce come la guida di Malvasia abbia un suo inestimabile valore non solo come completamento di un progetto storico-critico, ma, in termini positivi, per la mappatura del patrimonio artistico a Bologna alla fine del Seicento.


NOTE

[7] Sono comunque stati descritti in precedenza nella Felsina (1678). Si veda il primo volume dell’edizione critica Cropper-Pericolo pp. 222 e 224.


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