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Francesco Mazzaferro
La Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura di Giovanni Gaetano Bottari
Parte Prima
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Fig. 1) Anonimo, Ritratto di Giovanni Gaetano Bottari, 1775. Roma, Chiesa di Santa Maria in Trastevere a Roma. Fonte: https://www.flickr.com/photos/hen-magonza/7308366226 |
La
Raccolta come proto-antologia di
letteratura artistica
Non credo vi possa essere dubbio alcuno
[1] che all’origine dell’ancor’oggi ininterrotta serie di antologie di scritti
di artisti – molte delle quali abbiamo recensito in questo blog – vi sia la Raccolta
di lettere sulla pittura, scultura ed architettura: scritte da' più celebri
professori che in dette arti fiorirono dal secolo XV al XVII [2],
pubblicata nel 1754 da Giovanni Gaetano Bottari (1689-1775). Da un lato la Raccolta
inaugura un nuovo genere, quello della collezione di lettere d’artista, che
rimane il filone più popolare tra le antologie di letteratura artistica fino
all’inizio del Novecento; dall’altro, quasi tutte le antologie ottocentesche di
fonti di storia dell’arte usano come una delle loro fonti principali proprio la Raccolta.
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Fig. 2) Tomba di Giovanni Battista Bottari nella Chiesa di Santa Maria in Trastevere a Roma, 1775. L’epitaffio è stato composto da Pier Francesco Foggini, suo amico e sodale in ambito sia religioso sia artistico. Fonte: http://www.borgato.be/MISCELLANEA/ROMA_TRASTEVERE-SGI-SRU/html/1775.html#Testa |
È senza dubbio Bottari a scoprire per
primo il valore della lettera d’artista non solamente come testimonianza
diretta – ovvero senza alcuna mediazione di terzi – della vita e del pensiero
dell’artista, ma anche come documentazione che fa chiarezza sulla professione
dell’artista. Fin dal Cinquecento compaiono a mezzo stampa molti repertori di
lettere di uomini illustri, ma a dispetto dell’affermazione in quegli anni del
principio della nobiltà dell’arte, non vengono mai pubblicate raccolte che
siano (anche solo in parte) specificamente dedicate alle lettere di pittori,
scultori ed architetti, nonostante tentativi siano documentati già nella
seconda metà del Seicento ad opera del Malvasia [3]. Una delle grandi difficoltà per
compilare una selezione di lettere d’artisti (a differenza di letterati o
uomini di governo) è che la maggioranza di pittori, scultori ed architetti scrive in maniera non regolare e spesso per
ragioni totalmente estranee a considerazioni estetiche: solo uno studioso come
Bottari, che ha accesso privilegiato a biblioteche e archivi e gode di una
fittissima rete di corrispondenti può rintracciare un numero sufficiente di
missive per pensare alla pubblicazione prima di un volume e, poi, alla
prosecuzione della Raccolta.
Ovviamente, il modo in cui il religioso fiorentino (Bottari era monsignore)
presenta le lettere è il riflesso della cultura erudita del Settecento: siamo
di fronte a una raccolta di dimensioni straordinariamente estese, strutturata
secondo criteri che oggi possono sembrare esclusivamente compilativi, e la cui
preoccupazione sembra essere semplicemente quella di pubblicare tutto ciò che
viene rintracciato nelle biblioteche. D’altra parte, le prime antologie moderne
di testi (letterari e non), pubblicate in Francia e altrove in Europa proprio
in quegli anni, hanno spesso la stessa forma di repertori amplissimi e
disordinati, in più volumi, con finalità documentaria e senza l’ambizione – che
sarà invece prevalente nelle antologie ottocentesche – di codificare il sapere
in un corpus compatto di testi contenuto in un singolo volume. Le antologie del
Settecento sono forse il momento di passaggio tra l’erudizione di inizio secolo
e le prime manifestazioni di un enciclopedismo che sorge a metà Settecento. Del
resto, i legami profondi di Bottari con il mondo religioso giansenista francese
e olandese gli permettono di assistere alla nascita, al di fuori dell’Italia,
di una nuova cultura – proprio quella dell’enciclopedismo illuminista – di cui
egli non è parte e che anzi contesta (scrive nel 1750 una Critica dell’Esprit de Lois di Montesquieu), ma che ispira, ad
esempio, uno dei suoi corrispondenti più importanti: Pierre-Jean Mariette
(1694-1774).
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Fig. 3) Charles-Nicolas Cochin (drawing) and Augustin de Saint-Aubin (engraving), Portrait of Pierre-Jean Mariette, 1765. Source: Wikimedia Commons |
L’opera di Bottari è una vera e propria
impresa, che occupa l’autore dal 1754 al 1768. Dobbiamo infatti a Bottari la
pubblicazione di 1027 lettere in sei volumi per un totale di 2180 pagine. Nel
1773 viene poi pubblicato – come vedremo – un settimo volume, che di fatto è
un’edizione-pirata, a cura di Luigi Crespi. Considerando anche quest’ultimo
tomo le lettere crescono a 1045 e la Raccolta
si estende a 2386 pagine.
Non vi è alcun dubbio che Bottari sia
figlio della cultura erudita del suo tempo (specialmente di quella che si
sviluppa in Toscana). Proprio in nome di questa curiosità (che lo porta a
dedicarsi non solamente all’arte, ma anche alla letteratura, alla linguistica,
alla medicina, alle scienze e soprattutto alla teologia) egli mette insieme –
sia in forma diretta sia attraverso corrispondenti soprattutto in Toscana e in
Italia del nord – un’ampia raccolta di materiali epistolari scritti da o
indirizzati ad artisti, o comunque d’interesse artistico (materiali in parte
rimasti inediti e poi pubblicati da Ticozzi nel 1822-1825). Comincia
pubblicando un solo volume nel 1754; nel 1757 ristampa il tomo in questione
(con minime varianti) aggiungendone un secondo; infine prosegue nella sua
impresa dando alle stampe nuovi tomi (fino al sesto) all’incirca ogni due-tre
anni. In tal modo, Bottari persegue due obiettivi che vanno al di là
dell’erudizione. Da un lato, cerca di completare e raccontare in modo diverso –
dando voce direttamente agli artisti – quelle ‘vite degli artisti’ che in
realtà padroneggia assai bene: Bottari conosce perfettamente, infatti, le Vite del Vasari (di cui sarà commentatore tra 1759 e 1760) ma anche la Felsina pittrice di Malvasia e molti altri testi della letteratura artistica precedente
o coeva. D’altro lato si propone di documentare le discussioni estetiche dei
suoi tempi, usando le lettere come strumento (in un’epoca che proprio alla
lettera o alla ‘pseudo-lettera’ assegna quel compito, come testimoniato dal
concetto di République des Lettres).
La Raccolta, con il passare degli
anni, diviene così anche uno strumento di dibattito sull’arte recente e
contemporanea.
Bottari organizza la pubblicazione
delle lettere in modo sapiente, e dimostrando anche una discreta capacità
commerciale. Nel 1754 (primo tomo) e nel 1759 (terzo tomo) pubblica due
raccolte di missive che rispecchiano perfettamente il contenuto di due volumi
da lui pubblicati quasi contemporaneamente: si tratta, rispettivamente, dei Dialoghi sopra le tre arti del disegno
(1754) e dell’edizione critica delle Vite
di Vasari (1759). Siamo di fronte, in questi casi, a gruppi di lettere relative
all’arte rinascimentale e barocca. Nel 1757 (secondo tomo) e nel 1764 (quarto
tomo) prima inizia a inserire nella Raccolta
testi relativi alle discussioni estetiche contemporanee e poi si concentra su
di esse. Il quinto (1766) e il sesto tomo (1768) sono invece destinati alla
pubblicazione di testi epistolari già disponibili da tempo, ma precedentemente
non selezionati e di nuovi ingressi nella sua raccolta di missive.
Certamente, Bottari scrive e si occupa
d’arte, ma non è uno storico dell’arte. A dire il vero, conosce personalmente
il primo grande storico dell’arte, ovvero Johann Joachim Winckelmann (1717-1768),
che arriva a Roma nel 1755 (un anno dopo la pubblicazione del primo volume
della Raccolta). I due, in realtà,
mostrano di avere idee molto diverse, sul classicismo come categoria estetica,
ma più in generale sul modo di concepire l’arte. Al contrario di Winckelmann,
Bottari non crede nella grandezza primigenia dell’arte greca rispetto a quella
romana - non a caso, è amico e protettore di uno dei rivali intellettuali di
Winckelmann, ovvero di Giovanni Battista Piranesi (1720-1778), sostenitore del
primato dell’arte romana su quella greca -
né sviluppa in senso compiuto un percorso storico di sviluppo
stilistico. Winckelmann, da parte sua, considera i Dialoghi del 1754 insignificanti. È indicativo, da questo punto di
vista, che la Raccolta di Bottari non
presenti lettere scambiate con Winckelmann né missive fra quest’ultimo e uno
qualsiasi dei suoi numerosissimi corrispondenti. Semplicemente, il progetto
dell’erudito fiorentino è diverso da quello dello studioso tedesco e non si
inserisce nell’ambito della nascita della storia dell’arte (anche se il Lanzi
lo cita ben 45 volte nella sua Storia
pittorica): Bottari è, invece, il capostipite di un nuovo genere
nell’ambito della letteratura artistica, dando vita a una proto-antologia di
fonti. Il fatto che Bottari non sia stato né il primo storico d’arte né il
primo critico d’arte moderno, ma ‘semplicemente’ il primo antologizzatore
(ovviamente, sui generis) della letteratura artistica ha certamente contribuito
a sminuirne il valore agli occhi dei moderni.
In questi anni ho letto moltissime
antologie. Sia pur nella necessaria diversità della forma (da quella
repertoriale ed erudita-universale del Bottari a quella tematica-specializzata
dedicata soprattutto all’arte contemporanea dei giorni nostri) mi sembra di
poter dire che la redazione di
un’antologia comporti sempre tre caratteristiche. In primo luogo, lo sforzo
documentario della raccolta di testi (anche quando riesce nell’obiettivo della
codificazione del sapere) sembra far premio sulla capacità di sintesi; ne
consegue che quasi mai l’antologia indirizza il dibattito artistico verso nuove
direzioni. In secondo luogo, la forma antologica si pone spesso in collisione
rispetto agli obiettivi della critica d’arte: l’antologia dà voce agli artisti
proprio per impedire che sia soffocata da quella dei critici. Infine, nei
criteri di scelta delle opere antologizzate, l’antologia è sempre espressione
della cultura dominante del proprio tempo: erudizione, illuminismo, idealismo,
positivismo, e così via. È questa (percepita) impersonalità
dell’antologizzatore che ha ridotto il giudizio critico e la visibilità di
Bottari, come di quasi tutti i suoi successori, fino a oggi. E tuttavia un contributo cruciale non può
essere negato né a Giovanni Gaetano né a chi ne ha seguito le tracce: senza di
loro la trasmissione delle fonti sarebbe stata molto più difficile.
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Fig. 4) Agostino Masucci, Ritratto di Clemente XII, 1731. Fonte: Wikimedia Commons |
La figura di Giovanni Gaetano Bottari
È davvero sorprendente che – almeno per
quanto mi risulta – non esista una monografia dedicata a Bottari e alla sua
vastissima produzione saggistica. La fonte principale a cui ho fatto ricorso,
ovvero la voce a lui dedicata dallo storico Giuseppe Pignatelli nel Dizionario Biografico degli Italiani, è
del 1973 e dunque è, in qualche modo, invecchiata. Al termine del suo scritto,
l’autore della voce conclude: “Erede di
due filoni di cultura storica tradizionale tipicamente italiani, quello
grammaticale della Firenze della Crusca e quello antiquario della Roma
controriformistica, il B. rimase sostanzialmente estraneo al rinnovamento della
cultura europea ed allo stesso metodo storico muratoriano; ma seppe dare
ugualmente un utile contributo nel fornire la tradizione da lui prediletta di
efficienti strumenti di lavoro; nel combattere ostinatamente per la
salvaguardia delle opere d'arte medievali; nel costituire una biblioteca
armoniosa in ogni sua parte quale la Corsiniana di Roma, di cui ordinò e
descrisse sommariamente anche il fondo dei manoscritti. Al prestigio che lo
circondò da vivo non deve essere stato estraneo, infine, anche il suo gusto un
po' antiquato di conoscitore d'arte ed il fascino delle edizioni da lui curate,
alcune delle quali, illustrate da incisori eccellenti, costituiscono notevoli
esempi di eleganza nel panorama dell'editoria italiana del Settecento” [4].
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Fig. 5) Girolamo Ticciati, Busto di Clemente XII, 1731. Fonte: Wikimedia Commons |
Quella descritta da Pignatelli è
l’immagine di un uomo molto colto e tuttavia immerso in studi polverosi,
all’interno di una Roma sonnolenta e bigotta che ha ormai perso il passo della
storia. Francamente, nonostante l’autorità del biografo e la sua conoscenza
sugli uomini della chiesa italiana di quegli anni [5], credo che sia necessario
un aggiornamento. Mi sembra, infatti, che, anche alla luce degli studi più
recenti [6], la Roma di Bottari (quella
dei papi Clemente XII e Benedetto XIV) si stia sempre più rivelando un ambiente
culturalmente molto vivace ed estremamente tollerante, più di molte altre
regioni d’Europa dell’epoca (non a caso è quella Roma ad attirare artisti e
intellettuali dal mondo protestante, come Mengs e Winckelmann). Di quella Roma
“illuminata” (anche se certamente non illuminista) – che non solamente offre
una disponibilità impareggiabile di monumenti antichi e collezioni d’arte
private, ma inaugura nel 1733 il primo museo pubblico al mondo e la prima
accademia del nudo nel 1754 – Bottari è uno dei protagonisti.
Bottari, insomma, è esponente di un
mondo ‘illuminato’, ma non ‘illuminista’. Ciò vale anche nel campo
estetico. Giovanni Gaetano è un uomo
illuminato perché, man mano che la Raccolta
avanza, sente il bisogno di dar maggior spazio al dibattito sull’arte dei suoi
giorni e non sembra voler censurare anche le voci di dissenso. Se il primo
volume del 1754 è totalmente concentrato sugli artisti tra metà Cinquecento e
metà Seicento, gli ultimi volumi ricordano, per contenuto, una pubblicazione
periodica dedicata ai temi di discussione del nuovo secolo. Eppure Bottari non
è illuminista, perché non vede ragioni fondamentali per modificare il mondo in
cui vive.
Questo non vuol dire che, come fa il
Pignatelli, il significato della riflessione sull’arte di Bottari debba essere
svalutato perché scontato e non in linea ideologicamente con l’illuminismo.
Anzi, cercheremo di individuare in Giovanni Gaetano alcuni accenti quasi
proto-romantici (quando, ad esempio, parla di figure come Domenichino, che sono
prototipi degli artisti ‘maledetti’ tanto amati dai romantici, in quanto
dipendenti dal capriccio dei potenti e incapaci di essere compresi dal
pubblico). Certo, quello di Bottari è un proto-romanticismo del tutto
inconsapevole, che ha origine nel moralismo giansenista e nell’idea della
dipendenza dell’uomo dalla grazia divina. Del resto, se avessimo chiesto a Johann Heinrich Füssli se si considerava un preromantico (come oggi tutti lo definiscono) , egli non
avrebbe capito la domanda.
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Fig. 6) Johann Heinrich Füssli, La disperazione dell'artista davanti alle rovine, 1778-80. Fonte: Wikimedia Commons |
Bottari era un fiorentino di cultura
vastissima. Nel corso della sua lunga vita ebbe modo di
occuparsi di questioni teologiche, di temi scientifici, di critica letteraria e,
infine, di questioni d’arte. Qui non parleremo delle numerose edizioni di
trattati di medicina e scienze che curò o di cui fu autore (si occupò, ad
esempio, di terremoti) e sorvoleremo sulla sua vastissima produzione di ambito
religioso-teologico. Quel che è certo è che Giovanni Gaetano fu non solamente
uno studioso, ma anche uomo di azione. Già ventisettenne dirigeva la stamperia
granducale a Firenze (si occupò di libri per tutta la vita) e, entrato nel
clero, non esitò a manifestare ben presto i propri orientamenti religiosi,
molto avversi all’ordine dei gesuiti (considerati eccessivamente 'mondani' e dunque compromessi col peccato) e favorevoli,
invece, agli agostiniani, molto più rigidi. Fin da giovane, insomma, Bottari è un rigorista.
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Fig. 7) Agostino Masucci, Ritratto di Clemente XII e del cardinal Neri Maria Corsini, 1730 circa. Fonte: http://www.cahiersdesarts.it/wp-content/uploads/2018/11/05.jpg |
In questo contesto, Bottari si dedica
anima e corpo a dimostrare la compatibilità tra la dottrina della chiesa
cattolica e il giansenismo, movimento religioso e filosofico che ha origine nel
pensiero del teologo olandese Cornelius Otto Jansen (1585-1638), sviluppatosi
in Europa del Nord (principalmente all’abbazia di Port Royal in Francia, ma, ad
esempio, anche a Utrecht) e molto presente fra gli eruditi italiani dell’epoca.
In realtà i testi di Jansen erano stati condannati dall’Inquisizione cent’anni
prima, ovvero nel 1641, ma Bottari è convinto che si tratti di un malinteso e
che essi siano facilmente riconducibili all’interno della dottrina della
chiesa.
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Fig. 8) La quarta edizione del Vocabolario della Crusca (1729), curata da Giovanni Gaetano Bottari. Fonte: https://libreriaprandi.it/vocabolario-degli-accademici-della-crusca/ |
A Firenze Giovanni Gaetano è al
servizio della famiglia Corsini e, sin da giovane, collabora a progetti
tipografici di grande prestigio che hanno proprio nei Corsini i loro promotori
e sostenitori finanziari, come l’edizione del De Etruria regali del Dempster (1719-1726) e – insieme ad Antonio Francesco Gori -, il Museum
Florentinum (1731-1734). Negli anni fiorentini Bottari si occupa molto
anche di letteratura (con studi sul Boccaccio e su molti altri autori) ed entra
a far parte dell’Accademia della Crusca, curando addirittura la quarta edizione
del Vocabolario (1729-1738). In quegli anni è sostenuto da Rosso Antonio
Martini (1720–1809), che, oltre a indirizzarlo alla Crusca e a caldeggiare che
si interessi al progetto di proseguimento di una Raccolta Di Prose Fiorentine (1716-1745), fu (come vedremo) una
delle figure che più lo aiutarono nel reperimento delle lettere d’artisti per
la Raccolta. Ma l’attenzione di
Giovanni Gaetano non si restringe alla lingua italiana: è autore, ad esempio, molto
attento alla letteratura latina d’epoca moderna.
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Fig. 9) Il frontespizio delle Sculture e pitture sagre estratte dai cimiterj di Roma pubblicate gia [sic] dagli autori della Roma sotterranea ed ora nuovamente date in luce colle spiegazioni di Giovanni Gaetano Bottari (1737). Fonte: https://www.gonnelli.it/it/asta-0022/bottari-giovanni-gaetano-sculture-e-pitture-sa.asp |
Quando Lorenzo Corsini (1652-1740)
diviene papa nel 1730 col nome di Clemente XII, Bottari si trasferisce a Roma alle
dipendenze del cardinale Neri Corsini (1685–1770), altro esponente della
famiglia, vicino alle idee gianseniste. Giovanni Gaetano attira la benevolenza del Papa stesso, che gli
assegna prima un incarico universitario alla Sapienza in materia teologica, poi
gli impartisce l’incarico di creare la sua biblioteca privata e infine lo nomina
secondo custode della Biblioteca Vaticana. Sempre per Papa Corsini Bottari comincia a curare e pubblicare volumi
riccamente illustrati contenenti incisioni su Roma (in particolare sulla Roma
sotterranea).
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Fig. 10) Pierre Subleyras, Ritratto di Papa Benedetto XIV Lambertini, 1741. Fonte: Wikimedia Commons |
Quando Clemente XII muore e viene
sostituito nel 1740 da Papa Benedetto XIV Lambertini (1675-1758), Bottari trova
nel nuovo pontefice un amico e un uomo di grande cultura. Sono condizioni per
lui ideali, anche grazie alla politica di maggiore tolleranza del nuovo Papa
nei confronti del giansenismo, al punto che gli viene riconosciuto un titolo
onorifico, sia pur di non altissimo livello (la dizione ufficiale, con cui
Bottari viene chiamato in una lettera del Crespi già nel 1751, è ‘cameriere segreto di Sua Santità’). Le tesi gianseniste sono di fatto tollerate e non
vengono più perseguite, anche se sono contrastate con la massima virulenza dai
gesuiti: dal 1742 viene pubblicato dal libraio ed editore Pagliarini (lo stesso
della Raccolta) il Giornale de' letterati, che difende le
tesi del gruppo; nel 1749 Bottari diviene animatore dell’ “Archetto”, un circolo di giansenisti che si riunisce a Palazzo
Corsini. Da segnalare che, su richiesta di Bottari, il Pagliarini si reca
all’estero per lunghi viaggi alla ricerca della corrispondente letteratura
giansenista francese e olandese. Sono gli anni in cui a Giovanni Gaetano
vengono affidati altri incarichi per opere che illustrino le ricchezze di Roma
(ad esempio, la guida in latino e in italiano Del Museo Capitolino, Roma 1741-1755). Si collocano in questo
periodo anche il primo tomo della Raccolta
(1754) e i Dialoghi sopra le tre arti
del disegno (sempre 1754). In parallelo, Bottari continua a pubblicare
studi sulla lingua e sulla letteratura, come pure su temi scientifici (i giansenisti sono grandi ammiratori di Cartesio).
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Fig. 11) Anton Raphael Mengs, Ritratto di Clemente XIII, 1758. Fonte: Wikimedia Commons |
Con la nomina a Papa, nel 1758, di Clemente
XIII (1693-1769) si apre, dopo alcuni anni interlocutori, una fase di grande
conflittualità e radicalizzazione. All’inizio Giovanni Gaetano ottiene altri
successi insperati: tra 1758 e 1761 riesce addirittura a far pubblicare (sia
pur a Napoli) il catechismo giansenista e molti testi programmatici dei teorici
francesi. Vorrei osservare che proprio in quegli anni esce la sua edizione
commentata delle Vite del Vasari. A
settant’anni, Bottari è, insomma, all’apice del successo. E tuttavia la
situazione complessiva volge presto al peggio: il Sant'Uffizio condanna la
dottrina giansenista nel 1761, il cardinale Luigi Torrigiani (1697-1777), nuovo
Segretario di Stato, cerca in quell’occasione di allontanare Bottari da Roma, e
Clemente XIII pubblica nel 1765 una bolla d’encomio indirizzata agli odiati
gesuiti. L’anno dopo, nel 1766, Giovanni Gaetano viene colto da un ictus che lo
debilita. La Raccolta è forse una
delle poche attività che continua a seguire. Muore nove anni dopo, nel 1775,
passando gli ultimi anni in pessime condizioni di salute, e dopo un secondo
attacco, che lo colpisce nel 1773 (è anche l’anno dell’edizione pirata di
Crespi) che lo lascia per due anni in condizioni di non autosufficienza.
Bottari,
il giansenismo, i libri e le fonti storiche
Si è detto delle origini del
giansenismo. Alla base della dottrina di Jansen sta una diversa interpretazione
della colpa e della grazia dal peccato; il giansenismo sostiene poi il
rigorismo teologico e una moralizzazione dei costumi che porti ad atteggiamenti
più spirituali e meno legati al lusso della curia. Vi è però un aspetto che
vorrei qui citare, cui Romana Palozzi ha dedicato attenzione nel suo articolo Mons. Giovanni Bottari e il circolo dei
giansenisti romani [7]: i libri sono “l’arma
giansenista per eccellenza” e Bottari – che ha curato la ricchissima
biblioteca dei Corsini e percorre tutta la carriera in tema di libri a Roma
fino a divenire primo custode della Vaticana sotto Benedetto XV – crea una rete
di scambi di volumi tra biblioteche italiane e straniere che serve soprattutto
all’obiettivo della battaglia per il rinnovamento religioso. La studiosa giunge
addirittura alla conclusione che quando, alla morte di Giovanni Gaetano, questa
struttura di corrispondenti si disintegra, l’intero giansenismo romano non può
che scomparire.
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Fig. 12) Antonio David, Ritratto del Cardinal Neri Corsini, 1730. Fonte: Wikimedia Commons. |
La Paolozzi aggiunge: “Abbiamo già visto l’interesse del Bottari e
dei suoi amici per le diverse pubblicazioni che venivano a mano a mano alla
luce; essi procurano di conoscerle, se è possibile, tutte: e quando non
arrivano ad acquistarle direttamente per scarsezza di mezzi o per limitazione
di copie, cercano di supplire con gli scambi. Questa diffusione del libro,
considerato ottimo mezzo di educazione ed efficace arma di lotta, è
caratteristica dell’attività dei giansenisti. Il Bottari, sollecitato pure
dall’interesse dell’uomo colto per ogni genere di libri, si può dire che abbia
i suoi agenti, i suoi informatori, i suoi intermediari in tutti i maggiori
centri librari dell’Italia e dell’estero” [8].
Spesso delle opere
gianseniste pubblicate all’estero vengono acquistate numerose copie, in modo
che possano essere distribuite in tutta l’Italia. Giovanni Gaetano è davvero un
intellettuale operativo: crea, sotto la sua protezione, legami tra librai
romani e controparti in Francia, Olanda, Sassonia (grazie all’amico Giovanni
Bianconi). È così che nascono – tra gli anni Quaranta e Cinquanta del
Settecento – quei rapporti tra librai, intermediari ed esperti che sosterranno
la raccolta delle lettere per i decenni successivi.
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Fig. 13) Pietro Bracci, Busto di Benedetto XIV, 1750 circa Fonte: Wikimedia Commons |
Uno degli aspetti più rilevanti dello
studio di Romana Palozzi, se applicato alla Raccolta,
è il contributo dei giansenisti romani allo “studio della storia nelle fonti” che ha il compito di “ristabilire la verità della tradizione
sulla testimonianza del documento, (…) ristabilire l’autorità del passato sulle
arroganze e le intolleranze del presente, sgombrare il terreno dagli abusi e
dagli arbitrî. Per la riabilitazione dei diritti dello Stato di fronte alla
Chiesa, lo studio della storia diventa una forza rivoluzionaria” [9]. Le
fonti storiche sono utilizzate per giustificare il ritorno a una Chiesa umile e
pura, libera da ricchezze e corruzione, tutta intrisa di spiritualità. Lo
studio delle fonti ecclesiastiche è, per Bottari, centrale fin dagli anni
Trenta. Non può essere infine completamente ignorato che nel 1754 – anno di
pubblicazione del primo volume della Raccolta
di lettere – uno dei sodali più vicini a Bottari, ovvero Pier Francesco Foggini
(1713-1783), anch’egli religioso giansenista, appassionato d’arte e archeologia
nonché bibliotecario vaticano, inizia la pubblicazione di una raccolta di
scritti di Sant’Agostino e di altri padri della chiesa sulla questione basilare
per i giansenisti della colpa e del libero arbitrio (“S.Augustini De gratia Dei et libero arbitrio hominis et
praedestinatione sanctorum opera selecta”), che si concluderà nel 1771 con
l’uscita del settimo volume
Storia
della Raccolta: da un volume (1754) a
una raccolta decennale (1757-1768) e piratata (1773)
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Fig. 14) Il frontespizio della raccolta di lettere curate da Giovanni Gaetano Bottari nell’edizione Barbiellini (1754 – fonte https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t40s19s1q;view=1up;seq=5) e il medesimo primo tomo ripubblicato nell’edizione Pagliarini (1757 - fonte: https://archive.org/details/raccoltadiletter01bott/page/n5) |
La storia della Raccolta è quella di un progetto che nasce da un evento specifico
nel 1754 (Bottari ha ormai 65 anni) e diviene un’impresa che accompagna gli
ultimi decenni di vita di Giovanni Gaetano. Il monsignore ha accesso a un
nucleo di materiali manoscritti grazie ai suoi contatti con un gruppo di
eruditi toscani che lavorano a un progetto di raccolta di lettere già nei
tardi anni Venti del secolo. A distanza di trent’anni Giovanni Gaetano si pone
l’obiettivo di portare a termine quell’iniziativa, anche grazie alla
disponibilità di altre lettere che ha trovato prima come addetto alla
Biblioteca Corsini a Roma e poi come custode della Biblioteca Vaticana.
L’edizione in volume unico, che presenta 203 lettere, è pubblicata a Roma
presso le officine degli eredi Barbiellini, mercanti di libri e stampatori, ed
esce assieme (come già spiegato) ai Dialoghi
sopra le tre arti del disegno, pubblicati dal monsignore a Lucca.
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Fig. 15) Giovanni Paolo Panini, Benedetto XIV Lambertini e il cardinale Silvio Valenti Gonzaga, 1750-1760 circa. Fonte: http://www.museodiroma.it/it/opera/benedetto-xiv-lambertini-e-il-cardinale-silvio-valenti-gonzaga |
L’opera è dedicata a Silvio Valenti
Gonzaga (1690–1756), Segretario di Stato di Benedetto XIV. La dichiarazione di
conformità della Raccolta con le
regole del Sant’Uffizio per la pubblicazione è firmata dal Bottari stesso il 29
giugno 1751 (è in realtà l’unico luogo del volume in cui compare il suo nome,
secondo una pratica che Bottari ha già utilizzato in altre sue opere). L’intervallo fra autorizzazione alla stampa ed effettiva pubblicazione dura,
quindi, tre anni e lascia intravedere problemi con il lavoro degli
stampatori (che in quegli anni comprende
anche la raccolta preventiva di sottoscrizioni da parte del pubblico
interessato, a cui vengono inviate in anteprima le prime pagine del testo, in
modo tale che gli interessati possano decidere se ordinare il volume, anticipando
il pagamento). In una lettera di Luigi Crespi a Bottari del 4 aprile 1753, del
resto, pubblicata anni dopo nel Tomo IV della Raccolta, si fa riferimento proprio ai ritardi dei Barbiellini [10].
L’introduzione recita testualmente: “L’utile, che si può trarre da queste
Lettere, non è solamente di venire in cognizione di varie cose appartenenti
alle vite di molti celebri Professori, che pure da se solo sarebbe molto
notabile, e da desiderarsi; ma anche se ne possono ricavare molti precetti
appartenenti alle tre belle Arti, e molta storia delle loro famose opere, e il
modo d’ordinarle, e disporle, e il significato di esse, e la maniera di
rappresentare molte figure ideali, e diverse invenzioni, e concetti morali, e
poetici; il che può essere di ajuto, e
di lume agli artefici nel condurre a perfezione le loro opere” [11].
L’ambizione, quindi, non è tanto quella è di cogliere nelle lettere
testimonianze private sulla biografia degli artisti, ma di avviare sulla loro
base una ricerca su aspetti teorici – anche normativi – dell’arte nel corso del
tempo, ricerca che possa essere utile anche agli artisti contemporanei. Va
detto che, francamente, quest’obiettivo non è stato raggiunto: sono poche le
lettere a poter essere d’insegnamento ad altri artisti su questioni estetiche.
E tuttavia, il successo deve essere
grande. Per la prima volta il pubblico ha a disposizione una raccolta dove non
si leggono le vite degli artisti raccontate da un loro collega (ad esempio il
Vasari) o da autori di biografie, ma li sente parlare in prima persona. Segue
dopo tre anni una nuova edizione della Raccolta,
questa volta concepita in due tomi, che escono entrambi nel 1757 [12]. I due
tomi del 1757 sono pubblicati non più dagli Eredi Barbiellini, ma da Niccolò e
Marco Pagliarini [13]. Il cambio dell’editore non è solamente legato ai ritardi
della prima edizione, ma probabilmente anche al ruolo che Bottari svolge come
leader del giansenismo romano: gli eredi Barbiellini (che pur sono
specializzati in pubblicazioni d’arte) sono infatti vicini ai gesuiti (i nemici
storici del giansenismo), mentre la libreria/casa editrice Pagliarini offre uno
strumento di diffusione internazionale delle più recenti pubblicazioni
gianseniste in Europa [14].
La scelta di lettere nel primo tomo
corrisponde esattamente a quella della Raccolta
del 1754, anche se vi sono differenze tipografiche per le quali si passa da 328
a 339 pagine. Viene inoltre modificato il titolo, e alla dizione ‘professori’
viene sostituito il termine ‘personaggi’.
Il secondo tomo (che comprende meno
lettere del primo –127 missive – ma si estende comunque per 321 pagine) esiste
in due versioni, che si distinguono solamente perché una ha una breve
introduzione di due pagine [15], mentre l’altra ne è priva (le pagine sono occupate da una vignetta
calcografica con alcuni disegni ornamentali) [16]. Nell’introduzione Giovanni
Gaetano spiega di aver avviato la produzione di un secondo tomo perché ha
continuato a raccogliere lettere e molte altre ne ha ricevute in dono dai suoi
corrispondenti. Il numero delle lettere ancora nelle sue mani è così ampio che
annuncia la pubblicazione – appena possibile – di un terzo tomo. Chiarisce poi
che ha deciso di includere non solamente trascrizioni da manoscritti inediti,
ma anche lettere già contenute in testi a stampa talmente rari da rendere
difficile la consultazione. Ad aiutare il lettore, il volume si conclude con un
indice analitico molto dettagliato che include autori, temi e argomenti di
entrambi i tomi.
L’annunciato terzo tomo [17] viene
pubblicato nel 1759 (sempre da Niccolò e Marco Pagliarini). Il titolo viene
semplificato: scompare il riferimento al fatto che le lettere siano state
scritte dagli artisti e ci si limita a una Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura. Sparisce anche il riferimento temporale che limitava gli scritti al periodo tra 1400 (un
secolo per la verità assai poco documentato) e 1600. In tal modo viene
ulteriormente allargata la platea di mittenti che vengono inclusi nella Raccolta e si apre ai testi dei
contemporanei. L’introduzione elenca in dettaglio la nuova e diversa
provenienza delle ulteriori 227 lettere (che occupano ben 412 pagine): Giovanni
Gaetano ha ricevuto infatti da amici e corrispondenti nuovi testi, e li
ringrazia per la gara di generosità che fanno tra loro per contribuire alla
prosecuzione dello sforzo editoriale. A differenza del volume precedente, gli
indici posti alla fine del terzo tomo si riferiscono unicamente ai testi
pubblicati in quell’occasione e non sono più integrati con quelli dei tomi
precedenti.
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Fig. 16) A sinistra: Il frontespizio del quarto volume della Raccolta di lettere di Giovanni Gaetano Bottari. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t76t2114d;view=1up;seq=5 A destra: Il frontespizio del sesto volume della Raccolta di lettere. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t4wh44047;view=1up;seq=5;size=150 |
Quando pubblica il Tomo IV (1764) [18]
Bottari ha ormai 75 anni. Per la prima volta l’imprimatur non risulta più
concesso attraverso una procedura di autocertificazione (come in tutti i casi
precedenti) ma con l’intervento dell’abate Prospero Petroni (1716-1785). Alcuni
repertori bibliografici su internet per questa ragione, citano proprio Petroni
come curatore del tomo (e di quelli seguenti). Ovviamente non è così. Non si può tuttavia escludere – se non fu un
semplice avvicendamento dovuto a questioni burocratiche – che a Petroni sia
stata invece assegnata una funzione di controllo: nel 1761 Papa Clemente XIII
ha avviato la sua offensiva teologica contro i giansenisti, e forse non si vuol
lasciare a Bottari – che è il loro capo a Roma – la possibilità di
‘autocertificare’ il rispetto delle norme di fede. Qualunque sia il ruolo di
Petroni, il Tomo IV ospita 240 lettere in 424 pagine, a cui si aggiunge un
trattato rinascimentale del 1571 di Francesco Bocchi (1548-1613) su Donatello. Tuttavia, più del
90% delle lettere risale al Settecento e più di cento sono missive ricevute dal
Bottari stesso. Nell’introduzione
Giovanni Gaetano ringrazia in particolare il conte Giacomo Carrara a Bergamo
(fondatore dell’Accademia Carrara) e il francese Pierre-Jean Mariette.
La presenza di Petroni come
certificatore dell’opera continua con l’edizione del quinto (1766) [19] e del
sesto tomo (1768) [20]. Quest’ultimo è pubblicato nella Stamperia di Pallade, che è comunque la casa editrice di Niccolò e Marco
Pagliarini. Va ricordato che tra le due date il Bottari (nel 1766, ovvero a 77
anni) è colpito da un ictus, che gli impedisce di seguire direttamente la
curatela del sesto volume. Il suo entusiasmo per la letteratura artistica
rimane comunque intatto. La breve introduzione del quinto tomo (che presenta
175 lettere in 317 pagine) ignora il contenuto del tomo stesso, ma annuncia con
eccitazione quasi giovanile la recente scoperta – grazie a uno scambio di
informazioni tra Mariette e Zanotti, ovvero i suoi corrispondenti parigini e
bolognesi – di "opuscoli" rarissimi (non si usa qui il consueto termine 'lettere') di Federico Zuccari; alla circostanza è
attribuita tale importanza che Bottari si sbilancia (rivelando una certa
ingenuità) e afferma che gli "opuscoli" occuperanno una posizione di rilievo nel
tomo successivo (il sesto). Quel che l’introduzione non racconta è come sia
prezioso il contributo che proprio il tomo quinto offre al lettore: un
centinaio di lettere sono selezionate da Bottari, in forma antologica,
setacciando raccolte a stampa di missive del Cinquecento e del primo Seicento,
il più delle volte pubblicate a Venezia.
Il sesto tomo (367 pagine, sia pur
solamente per 55 lettere) contiene invece una lunga introduzione, scritta di
nuovo in prima persona, per spiegare che (contrariamente a quanto sperato) né
a Bologna né a Parigi vi sono lettere dello Zuccari; la responsabilità del malinteso è attribuita al Mariette. La
tenacia dell’anziano Giovanni Gaetano gli ha tuttavia permesso di identificare
tre testi a stampa di Zuccari in biblioteche fiorentine e veneziane: il primo (L’idea dei pittori, scultori e architetti,
una trattazione in due libri) è interamente presentato nel sesto tomo della Raccolta; il secondo (Il passaggio per Italia) viene programmato
per essere pubblicato nel settimo tomo (in preparazione) e il terzo (trattandosi di uno scritto sulle feste organizzate a Parma in onore dell’Infanta Margarita di Savoja) è invece scartato in quanto non consono con la Raccolta. Come ci informa Simonetta Prosperi Valenti Rodinò in un articolo su Le lettere di Luigi Crespi a Giovanni Gaetano Bottari nella Biblioteca Corsiniana, l’anziano Giovanni Gaetano incarica il conte Giacomo Carrara di ultimare la preparazione del settimo volume; quest’ultimo non si rivolge al consueto editore Pagliarini a Roma, ma contatta un editore bergamasco [20 bis].
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Fig. 17) Il frontespizio del Tomo VII (fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t9r22gt03;view=1up;seq=5;size=150) e l’Imprimatur di Prospero Petroni (fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t9r22gt03;view=1up;seq=214;size=150 ) |
Nel 1773 viene sì pubblicato un settimo tomo [21], ma non è quello affidato da Bottari al conte Carrara. In realtà, si tratta di un volume curato dal pittore (e canonico) Luigi Crespi (1708-1779), che di Bottari è stato già per alcuni anni uno dei principali corrispondenti. Autorizzato, come di consueto, da Prospero Petroni, non contiene nulla di quanto promesso nel sesto volume.
Giovanni Lodovico Bianconi (1717–1781),
che per la verità è nemico giurato di Crespi [22], descrive quest’ultimo volume
come un’edizione pirata in un articolo da lui pubblicato sulle Effemeridi Letterarie di Roma nel 1773,
un nuovo giornale letterario fondato quell’anno proprio dal Bianconi. “Il valoroso Mons. Bottari, fin dal 1754 si
diede a pubblicare varie lettere pittoriche scritte da celebri professori, o
dilettanti antichi, e moderni, ed ha condotta una sì bella raccolta sino al tomo
sesto felicemente. I molti materiali da lui preparati per la continuazione, da
noi più volte veduti, ci assicuravano di leggere quanto prima il seguito di
quest’opera tanto utile, e dilettevole. Ma quale maraviglia non fu la nostra
vedendo all’improvviso gli stessi giorni comparire colle stampe del Pagliarini
un settimo tomo delle lettere pittoriche compilato dal sig. Canonico Crespi
Bolognese, noto pel suo terzo tomo della Felsina Pittrice, e per
la Certosa descritta nelle sue pitture? Parecchi amatori delle belle arti bramarono sentire, se Monsig. Bottari
avava [sic] data questa commissione
al sig. Canonico, o almeno la permissione di mettere in questa messe la sua
falce. Io non ne so nulla, disse il
dotto Prelato, anzi mandò pel libro con somma curiosità, non avendolo mai
veduto. Lo lesse, e richiesto, se si avesse a male di questa burla, egli, che è
sempre un po’ frizzante nelle sue risposte, rispose che no, ma che si avrebbe
molto a male, se egli ne fosse stato l’autore” [23].
In verità il testo polemico di
Bianconi crea l’impressione sbagliata che Crespi e Bottari non si fossero
frequentati. Nulla di più falso. Una recente pubblicazione su Crespi di Giovanna Perini Folesani [23bis] rivela che il carteggio fra i due comprende almeno 212 lettere, di cui 157 di Crespi a Bottari e 55 in direzione opposta. Il carteggio 'reale' si estende almeno dal 1751 al 1770. Delle 212 lettere, solamente 38 sono pubblicate nella Raccolta (36 di Crespi e 2 di Bottari). Con riferimento alle sole missive pubblicate, la prima lettera di Crespi a Bottari, inserita
nel Tomo II del 1757, risale già al 1751 (nello stesso tomo sono pubblicate tre
sue lunghe prolusioni, in forma di lettera inviata a Giovanni Gaetano, su
Bellori e Vasari, a proposito della preminenza tra Raffaello e Michelangelo);
nel Tomo III le lettere di Crespi salgono a quattro; includono due lunghe
discussioni sulle tecniche di restauro indirizzate nel 1756 a Francesco
Algarotti e una bella biografia del padre pittore Giuseppe Maria, inviata a
Bottari, del 1757; nel Tomo IV il numero di lettere di Crespi a Bottari esplode
(sono ben 32) e documenta i loro rapporti negli anni 1751-1760 (con continui invii reciproci di stampe e
medaglie). In una lettera del 16 ottobre 1751 si apprende che il canonico
bolognese è uno dei primi a essere informato dei preparativi in atto per la
stesura della futura Raccolta del
1754 e a complimentarsene con Giovanni Gaetano. Lo stesso giorno Crespi comunica il progetto all’anziano pittore ed erudito bolognese Giampietro Zanotti (1674-1765),
creando in tal modo – per Bottari – un altro dei legami di corrispondenza più
utili per raccogliere informazioni sulla scuola bolognese. Crespi avvisa Giovanni Gaetano del suo imminente viaggio a Dresda (1752-1753),
gli invia una lettera da Vienna sulla biblioteca imperiale che ha appena
visitato (dicembre 1752), il 4 aprile 1753 gli comunica il proprio progetto di
scrivere il proseguimento della Felsina
Pittrice di Malvasia, il 3 settembre 1757 lo ringrazia per aver ricevuto il
secondo tomo della Raccolta, nel
novembre dello stesso anno aiuta Bottari a contattare gli eredi Manolessi per
cercare i vecchi rami della loro edizione delle Vite del Vasari e nell’ottobre 1759 lo informa dello stato di avanzamento del terzo tomo della Felsina. Il rapporto epistolare diretto s’interrompe nel 1760: la Raccolta non ospita più lettere tra i due nei Tomi V e VI (né vi compaiono scambi epistolari tra Crespi e altre persone), se non un breve testo a Bottari del 1766 (Tomo V). Sappiamo dal già citato articolo di Simonetta Prosperi Valenti Rodinò che, in realtà, la corrispondenza continua, ma che Bottari non la include più nella Raccolta. Ad esempio, Crespi gli invia nel 1764 una lunga lettera-trattato sull’Essay on the theory of painting di Jonathan Richardson (1665-1745). Lo stesso anno Crespi invia a Bottari un’altra lettera (anch’essa inedita) per commentare le disposizioni testamentarie in morte dell’Algarotti, e un’altra ancora nel 1765 in occasione della scomparsa dello Zanotti. [23 ter] Quest’ultima lettera contiene toni polemici perché Bottari non risponde più in modo regolare. Tornando alla Raccolta, nel 1765 Bottari fa un’affermazione molto criptica su Crespi a Mariette, a proposito dello stato di avanzamento dei lavori del terzo volume della Felsina Pittrice: “Credo anch’io, che non avremo così presto, come tutti desiderano, le Vite de’ pittori Bolognesi, perché il sig. canonico Crespi è molto occupato” [24]. Sta di fatto che lettere tra Bottari e Crespi ricompaiono solamente nel Tomo VII (curato da Crespi) e sono datate 1770. Anche considerando il carteggio inedito, non sembra esservi più stato alcun rapporto epistolare tra 1766 e 1770.
Quali conclusioni trarre? Mi limito qui
a formulare interrogativi a cui possono certamente essere date risposte
diverse. I due si sono scritti anche tra 1760 e 1770, e le
lettere sono semplicemente andate perse? Si può invece ipotizzare che
l’amicizia si sia spezzata, che Bottari abbia volontariamente escluso Crespi
dai volumi successivi della Raccolta
e che quest’ultimo si sia vendicato nel 1773 con un’edizione pirata, ovvero con
una vera e propria impostura? Davvero, nel 1773 l’ottantaquattrenne Bottari
nulla sa dell’intenzione del sessantacinquenne pittore bolognese di realizzare
in proprio il settimo tomo della Raccolta,
come scrive Bianconi? E come mai non viene informato né dall’editore
Pagliarini, con cui ha un rapporto molto intenso da molti anni, né da Prospero
Petroni, che autorizza i tre precedenti tomi? Oppure il livello d’impostura è tale che il tomo è stato stampato da altri e mai autorizzato ufficialmente? Il carteggio inedito di Bottari contenuto nella Biblioteca Corsini ci offre qualche indizio. In primo luogo, Bottari in realtà è informato di quel che sta succedendo fin dall’aprile 1772, un anno prima della pubblicazione, da Crespi stesso. Il Monsignore scrive allora subito al conte Carrara, a cui aveva affidato la cura del settimo volume, per chiedergli di sospendere immediatamente la pubblicazione così come prevista: ne approfitta per sfogarsi e rivelare la sua sorpresa che non solamente Crespi, ma anche l’editore Pagliarini lo abbiano tenuto all’oscuro fino a quel momento [24 bis]. .
Come si giustifica l’editore? In una dichiarazione dello stampatore al pubblico, inserita all’inizio del Tomo VII afferma che i lettori chiedono a gran voce l’uscita di un nuovo
tomo e che dunque l’editore si è mosso “a
farne istanza a così degno Letterato; ma con mio sommo rammarico non ho potuto
conseguire ciocchè domandava, essendo Egli occupato in altri studi più seri, e
certamente più proficui; onde ho dovuto rivolgermi ad un insigne Pittore, e
Scrittore forestiere, voglio dire al Gentilissimo Signor Canonico Luigi Crespi
Bolognese, il quale dopo d'aver continuata la Felsina Pittrice del Malvasia, e
pubblicata co' miei torchi, s’è compiaciuto ancora di mandarmi alcune Lettere,
parte da esso scritte, e poche d'altri Autori. Non volendo dunque defraudare il
comune desiderio, né aspettare, che il Volume giungesse alla mole degli altri,
con tutta la sollecitudine le ho date alle stampe, e sicuro d’incontrare il
vostro gradimento ve lo presento” [25]. Dunque l’iniziativa dell’opera
sarebbe dello stampatore (Pagliarini), e l’incarico a Crespi sarebbe
riconducibile al rifiuto di Bottari di continuare l’opera.
Certamente, in rapporto agli altri volumi editi da Pagliarini, alcuni aspetti particolari fanno del Tomo VII un’opera meno curata e forse prodotta in gran fretta. In primo luogo, a differenza di tutti
quelli precedenti, il volume non è dedicato a nessuna personalità (e dunque
non vi è il consueto testo introduttivo a firma dei Pagliarini rivolto a un
individuo preciso, e destinato a tesserne le lodi nella speranza di ottenere un
qualche supporto finanziario). In secondo luogo, il fregio nel frontespizio è
esattamente uguale a quello di una pubblicazione di Bottari del 1748, ovvero le
Lezioni tre sopra il tremoto, ma è
anche usato dai Pagliarini per altri titoli (ad esempio, la Descrizione d’un feto umano di Giovanni
Sorbi del 1749).
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Fig. 20) Il frontespizio del Tomo VII della Raccolta (a sinistra – 1773. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t9r22gt03;view=1up;seq=5 ), confrontato con i frontespizi del testo di Bottari sul terremoto (al centro - 1748. Fonte: https://pictures.abebooks.com/TRUEWORLDOFBOOKS/22789376797.jpg) e con quello di Giovanni Sorbi sul feto umano (a destra – 1749. Fonte: https://books.google.de/books?id=YitVAAAAcAAJ&printsec=frontcover&hl=it). Si tratta in tutti i casi di pubblicazioni della casa editrice Pagliarini. |
Siamo dunque in presenza di una combutta tra Crespi e Pagliarini. Il primo forse si sente tradito da Bottari, che non pubblica più da anni le sue lettere nella Raccolta. Il secondo ha forse avuto sentore che un settimo volume è in preparazione e che sarà affidato non a lui, ma ad un concorrente fuori Roma. Del resto, il concetto di correttezza professionale in quegli anni era soggetto a interpretazione e Bottari stesso, come vedremo, era stato a volte molto disinvolto nel pubblicare le ‘sue’ lettere.
Sappiamo anche – come scrive Serenella Rolfi Ožvald [26] – che, quando cinquant'anni dopo, nel 1825. il Ticozzi pubblicò una nuova versione della Raccolta, trovò le lettere che erano in mano al Bottari, pronte per la stampa della sua edizione del Tomo VII, e che videro la luce solo allora. Dunque, né Crespi né Pagliarini avevano accesso all’archivio di Bottari. Certo, il numero dei documenti che Crespi può raccogliere nell’ultimo tomo della Raccolta è molto limitato: solamente sedici lettere e due lunghi testi non epistolari per 206 pagine, di cui più di una buona metà sono dello stesso pittore bolognese. Si tratta dunque, in gran parte, di una pubblicazione di suoi scritti.
Sappiamo anche – come scrive Serenella Rolfi Ožvald [26] – che, quando cinquant'anni dopo, nel 1825. il Ticozzi pubblicò una nuova versione della Raccolta, trovò le lettere che erano in mano al Bottari, pronte per la stampa della sua edizione del Tomo VII, e che videro la luce solo allora. Dunque, né Crespi né Pagliarini avevano accesso all’archivio di Bottari. Certo, il numero dei documenti che Crespi può raccogliere nell’ultimo tomo della Raccolta è molto limitato: solamente sedici lettere e due lunghi testi non epistolari per 206 pagine, di cui più di una buona metà sono dello stesso pittore bolognese. Si tratta dunque, in gran parte, di una pubblicazione di suoi scritti.
Emuli
e traduttori (1817-1857)
L’elogio mortuario di Bottari,
pubblicato nel 1775 dal già citato Giovanni Ludovico Bianconi sull’Antologia Romana [27], cita – sia pur brevemente – la Raccolta, ponendola in relazione sia con
i Dialoghi sopra le tre arti del disegno
sia con l’edizione delle Vite del
Vasari [28], ma anche facendo riferimento alla continua attività di Giovanni
Gaetano come corrispondente epistolare non solamente con artisti ed esperti
d’arte, ma anche con studiosi di ogni genere [29].
Serenella Rolfi Ožvald ha recentemente
dimostrato come la raccolta di Bottari sia considerata a partire dal primo
Ottocento una fonte autorevole per lo studio della storia dell’arte. “Già nel 1821 il Catalogo di libri d’arte
di Leopoldo Cicognara aveva registrato
l’utilità della Raccolta e delle
lettere d’artista in quanto strumenti utilizzati senza indugio nei cantieri
della storia dell’arte. Nella Storia pittorica della Italia di Lanzi [nota di redazione: del 1795-96]
la Raccolta ricorre almeno 45 volte come fonte circostanziale, o di giudizio di
valore” [30].
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Fig. 21) A sinistra: La traduzione in francese della Raccolta del Bottari, pubblicata da Louis-Joseph Jay nel 1817. Fonte: https://archive.org/details/recueildelettre00unkngoog/page/n4. A destra: Il primo degli otto volumi dell’edizione delle lettere di Bottari, curata e continuata da Stefano Ticozzi nel 1821. Fonte: https://archive.org/details/diletteresulla07bott/page/n5 |
Nel 1817 viene pubblicata una
traduzione francese. Ne è autore Louis-Joseph Jay (1755-1836), professore di
disegno a Grenoble. La versione di Jay è ridotta a un solo volume.
Nell’introduzione Jay chiarisce di aver voluto ridurre i sette volumi a
dimensioni più gestibili dai lettori (in tutto, la versione francese presenta
338 lettere in 667 pagine), eliminando tutte le epistole di autori minori ma
anche integrando la raccolta con nuove lettere (soprattutto d’ambiente
francese).
Nel 1822 Stefano Ticozzi (1762-1836),
uno studioso che si dedica all’arte in tarda età dopo aver svolto un ruolo
importante nell’amministrazione napoleonica in Italia e aver sofferto l’epurazione, riprende in mano i volumi di Bottari e pubblica la Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte da'
più celebri personaggi dei secoli XV, XVI, e XVII che, come scritto nel
frontespizio, è presentata come pubblicata
da M. Gio.Bottari e continuata fino ai nostri giorni da Stefano Ticozzi [31]. La serie viene estesa da sette ad otto volumi, l’ultimo dei quali compare
nel 1825. Mi pare importante sottolineare che Ticozzi ripubblica il settimo
volume (ovvero l’edizione-pirata di Crespi) come facente parte a tutti gli
effetti del progetto bottariano. Un’edizione anastatica dell’edizione
Bottari-Ticozzi del 1822-1825 viene pubblicata dall’editore tedesco G. Olms nel
1975 e da quello italiano A. Forni nel 1979.
La storia della fortuna della Raccolta di Bottari non può ignorare le Lettere d’artisti di Ernst Karl Guhl (1819-1862), uno
studioso berlinese che pubblica nel 1853 e nel 1857 due volumi di testi in gran
parte tradotti dalla collezione di Bottari-Ticozzi, ma anche da quelle
successive di Gaye (che ricerca lettere dei primitivi e della prima fase del
Rinascimento, riempiendo una lacuna lasciata aperta da Bottari) e Gualandi (che
vuol invece integrare la collezione di pittori bolognesi).
Che cosa possiamo imparare sulla vita e
gli interessi di Giovanni Gaetano Bottari leggendo i sette volumi della Raccolta (incluso quella curato da
Crespi)? Non a caso, secondo Julius von Schlosser, si tratta di uno degli
aspetti più interessanti della Raccolta.
Ecco quello che egli scrive nella sua Letteratura artistica del
1924, per la verità rivelando qualche imprecisione sui numeri: “Per la massima parte dei volumi
domina l’attivissima corrispondenza del Bottari stesso con artisti e
conoscitori del suo tempo” [32].
Nei sei tomi tra 1754 e 1768 troviamo
158 testi ricevuti da Giovanni Gaetano e 13 da lui spediti; ad essi si
aggiungono sei missive nel Tomo VII del 1773. Si tratta dunque di un numero
limitato, ma non marginale, rispetto alle 1027 lettere complessive (superiore
al dieci per cento). L’autore ha dunque utilizzato questo strumento
(soprattutto nel 1764, quando inserisce nel Tomo IV 119 lettere a lui inviate o
da lui spedite) anche per documentare i propri rapporti epistolari con una
serie di corrispondenti: in ordine quantitativo decrescente, si tratta di Pierre-Jean Mariette (in totale, il più continuo, con 50 lettere da lui
ricevute e quattro a lui spedite nei primi sei tomi), Luigi Crespi (36 lettere
ricevute e 2 spedite), Giampietro Zanotti (rispettivamente 20 e 4 testi),
Giovanni Poleni (17 lettere ricevute),
Tommaso Temanza e Giacomo Carrara (in entrambi i casi, 7 lettere
ricevute), Carlo Giuseppe Ratti (5 lettere ricevute) e Giovan Battista Ponfredi
(3 lettere inviate). A essi vanno aggiunti altri undici corrispondenti con cui
lo scambio epistolare si limita a una sola occasione.
Leggendo il carteggio artistico di
Bottari, la prima impressione è che egli abbia voluto tener ben distinti i suoi
campi d’azione. O le lettere sono state emendate oppure Bottari non scriveva
mai di altro ai propri corrispondenti in materia artistica. Nelle missive
scritte a Bottari e nelle sue non vi sono mai riferimenti (se non del tutto marginali)
alla conduzione della Chiesa, al suo rapporto con i tre papi che ha servito
(Clemente XII, Benedetto XIV e Clemente XIII) o all’amministrazione delle
biblioteche in Vaticano. Il lettore ha a che fare con il carteggio di un
appassionato d’arte e di letteratura artistica, che scrive soprattutto di
incisioni, pittura e lettere d’artisti. L’accenno più rilevante agli ‘odiati’
gesuiti è in una lettera del Mariette del dicembre 1758, in cui si critica un
restauro del Pantheon da loro promosso [33]. In nessun caso ho trovato
riferimenti al giansenismo né a questioni religiose.
A differenza di quanto sarebbe
probabilmente accaduto nel secolo precedente, nonostante Bottari sia uomo di
chiesa, la sua preoccupazione maggiore non è quella di censurare la nudità delle
immagini o di ragionare sull’appropriatezza teologica delle composizioni
iconografiche. En passant, vorrei anzi citare le lettere pubblicate nel Tomo IV
in cui riceve richieste da Pierre-Jean Mariette (1756) e Luigi Crespi (1757) a
proposito di stampe ‘lascive’ (di fatto, erotico-pornografiche) di Marcantonio
Raimondi (con Mariette) e di Agostino Carracci e Giulio Romano (con Crespi).
Nonostante il suo giansenismo, l’abate non ha paura di confrontarsi con il
libertinismo francese e di farlo sapere pubblicando le relative lettere.
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Fig. 23) Marcantonio Raimondi, Scena erotica, dopo il 1524. Fonte: Wikimedia Commons. |
Ovviamente, le lettere collezionate e
pubblicate riflettono sempre l’atmosfera del tempo (e alcune, tra Cinque e
Seicento, sono imbevute di spirito controriformato), ma non sembra proprio che
Bottari abbia cercato di compilare (sia per il presente sia per il passato) una
storia antologica dell’arte orientata a temi teologici ed ecclesiastici.
In genere, si ha l’impressione di un
uomo libero e tollerante in materia d’arte. Nelle lettere non ho letto vere e
proprie stroncature di opere d’arte né censure, e sembra quasi che egli si
muova in un mondo che considera generalmente bello (vi sono invece opinioni più
forti, anche se mai estreme, nei suoi Dialoghi
sopra le tre arti del disegno del 1754). Ciò non significa che Giovanni
Gaetano non sia capace di porre in dubbio le tradizioni consolidate di
pensiero. Interessante, ad esempio, come in uno scambio con Zanotti del 1758
(Tomo III) egli cerchi di ricucire il dialogo tra sostenitori di Vasari e
Malvasia, semmai facendo il rilievo che il Malvasia non ha sufficientemente
dato merito ai primitivi bolognesi (da Vitale da Bologna a Francesco Francia).
Si è già detto come egli sia d’estrazione toscana (molto evidente nella scelta
degli scritti di epoca rinascimentale, ad esempio nella prima parte della
versione della Raccolta pubblicata
nel 1754), ma è chiaro il suo interesse non solamente per il mondo bolognese
carraccesco, tipico nell’età del classicismo Romano e durante il papato di
Benedetto XIV Lambertini, ma per gli sviluppi dell’arte a Parigi e nel mondo
veneto (Venezia e Bergamo).
Quest’impressione di libertà è
confermata dal fatto che Bottari si preoccupa (come vedremo con più attenzione
in seguito) di pubblicare nella sua Raccolta
le biografie di Giuseppe Maria Crespi (1665-1747) e Marco Benefial (1684-1764),
nella forma di due pseudo-lettere che contengono la descrizione della loro vita
e opere, inserite rispettivamente nel Tomo II e nel Tomo V. Ebbene, quel che è
comune ai due artisti è l’asprezza dei loro rapporti rispettivamente con
l’Accademia Clementina e l’Accademia di San Luca. Insomma, Giovanni Gaetano
vuole includere anche testimonianze su quelli che oggi verrebbero chiamati outsiders.
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Fig. 24) A sinistra: la lettera di Mariette agli autori della Gazette littéraire de l'Europe il 4 novembre 1764 (Fonte: https://books.google.fr/books?id=lchMAAAAYAAJ&printsec=frontcover&hl=fr#v=twopage&q&f=false). A destra: la medesima lettera pubblicata da Bottari nel Tomo V della Raccolta (1766). Fonte: https://archive.org/details/raccoltadilette05bottgoog/page/n315. |
Un’altra prova di libertà intellettuale
riguarda la pubblicazione di una lettera di Pierre-Jean Mariette agli “Autori
della Gazette littéraire de l'Europe”
nel Tomo V della Raccolta. Si tratta
di un testo già pubblicato in Francia nel 1764 e tradotto per l’occasione in
italiano. Il nucleo della missiva ha come oggetto una polemica pubblica tra due
amici di lunga data di Bottari: Mariette da un lato e Giovanni Battista
Piranesi (1720- 1778) dall’altro. Ebbene, Bottari non ha paura di tradurre il
testo in modo che sia accessibile al pubblico di lingua italiana. Sappiamo
comunque da Lola Kantor-Kazovsky che Bottari ha ripulito altri brani del
carteggio con Mariette, addolcendo una serie di affermazioni molto dure dello
studio francese su Piranesi, in tal modo attenuando i termini frontali dello
scontro tra i suoi amici [34].
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Fig. 25) Pietro Labruzzi, Ritratto postumo di Giovanni Battista Piranesi, 1779. Fonte: Wikimedia Commons. |
L’unico caso di autocensura documentato
nella Raccolta (Tomo IV) riguarda i
Carracci. Pierre-Jean Mariette chiede a Giovanni Gaetano, il 24 dicembre 1758,
perché non pubblichi tutti gli scritti dei Carracci che ha trovato nella Biblioteca Vaticana. In nota a piè di pagina di quella lettera quest’ultimo
scrive: “Quelle note del Carracci, senza
sapere quale sia de’ tre più famosi, si trovano manoscritte nella libreria
Vaticana, ma sono brevissime, e non contengono altro che strane mordacità”
[35]. Nella Raccolta ne vengono inserite assai poche.
Che
cosa manca nella Raccolta?
Mi sembra infine utile menzionare quel
che non si legge nella Raccolta.
In primo luogo, ho trovato assai poco
sull’antichità classica: è un tema su cui Bottari ha in realtà lavorato a lungo
nella sua vita (scrivendo testi importanti – come abbiamo già detto – sia
sulla Roma sotterranea sia sui Musei Capitolini) ed è a mio giudizio assai
probabile che egli abbia avuto rapporti frequenti sia con gli alti prelati che
si occupavano di conservazione delle opere d’arte sia con i grandi collezionisti
romani. Per la precisione, l’unico riferimento nella Raccolta all’antichità classica è contenuto in un nucleo di lettere
nel Tomo V, pubblicato nel 1766 (e dunque dodici anni dopo l’avvio
dell’impresa). Il tema è in particolare trattato in una lettera di Bottari a
Mariette del 16 ottobre 1765, dove egli parla delle tavole dell’incisore Giuseppe
Vasi (1710-1782) per il Museo Capitolino
[36], ma anche della pubblicazione del quarto tomo de Le Antichità di Ercolano Esposte a Napoli e delle incisioni di tema
archeologico del pittore neoclassico inglese Gavin Hamilton (1723-1798). Vi
sono anche alcune altre lettere scambiate tra Hamilton e il pittore Ignazio
Enrico Hugford (1703-1778), uno dei sostenitori storici della Raccolta. È di quell’anno anche la
pubblicazione nella Raccolta del
testo di Mariette in polemica con Piranesi, appena citato.
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Fig. 26) Il frontespizio de Le Antichità di Ercolano Esposte, 1757. Fonte: Wikimedia Commons |
Insomma, il Tomo V offre uno scorcio,
sia pur limitato, del consolidamento del primo neoclassicismo a Roma e delle
difficoltà che esso incontra. Se si considera il ruolo giocato direttamente da
Bottari per valorizzare il patrimonio archeologico romano da un lato e
l’interesse spasmodico per la scoperta dell’archeologia a Pompei ed Ercolano in
quegli anni dall’altro, la valutazione dei moderni sull’antichità è tuttavia un
tema tutt’altro che centrale nella Raccolta.
Quel che mi sembra inoltre necessario
sottolineare è che anche questi scambi epistolari avvengono con controparti
lontane da Roma (soprattutto con Mariette a Parigi). Non vi è una sola lettera
di ambito romano sul mondo antico (ad esempio, non vi è nessun scambio tra
Bottari e Piranesi, che pur erano in ottimi rapporti, o tra Bottari e il
Cardinale Albani e il suo circolo). Il fatto di vivere nella stessa città non
può certo escludere che Bottari abbia ricevuto o inviato loro lettere. È invece
probabile che, nel suo piano di raccolta di lettere di artisti, egli abbia
inteso fare una differenza netta tra il classicismo stilistico del
Cinquecento-Settecento (al centro del suo interesse nella Raccolta) e quello originario del mondo antico, escludendo ogni
cosa che si riferisca alla Roma antica.
A questo proposito, un’altra assenza
importante (lo si è già anticipato, almeno in parte) è proprio quella di
lettere di Anton Raphael Mengs (1728–1779) e Johann Joachim Winckelmann. Stiamo
parlando dei maggiori esponenti del primo neoclassicismo, il cui impatto
sull’estetica del tempo è formidabile. Winckelmann è citato a partire dal 1764
(lettera 238, Tomo VI) in una lettera di Mariette a Bottari, ma non vi sono
suoi testi. Non per caso Stefano Ticozzi avverte la necessità, nella sua
edizione rinnovata della Raccolta del
1822 (Volume VI), di inserire lettere di entrambi, avvertendo come la loro
assenza fosse davvero singolare.
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Fig. 27) Pompeo Batoni, Autoritratto, 1773-1787. Fonte: Wikimedia Commons |
Manca anche (ed è un’assenza ancor più
importante) ogni scambio epistolare di Bottari con gli artisti che lavorano a
Roma. Si pensi, ad esempio, a un altro toscano come Pompeo Batoni (1708-1787),
che Bottari deve aver frequentato, anche se forse era troppo vicino ai Gesuiti,
avendo operato in diverse loro chiese, per essere nella sua cerchia più intima.
Certo, Batoni (che era una vera e propria celebrità nella Roma di metà
Settecento) è citato nella Raccolta,
ad esempio in due diverse lettere del ritrattista bergamasco Bartolo Nazari
(1757) e di Pierre-Jean Mariette (1764), entrambe pubblicate nel Tomo IV. L’unico
caso in cui la Raccolta documenta una
vicenda d’arte romana riguarda lo scambio di lettere di Bottari con un pittore
minore (Giovanni Battista Ponfreni, 1715-1795) che si occupa di scrivere
lettere biografiche (pubblicate nel Tomo V) sulla vita del suo maestro Marco
Benefial (1684-1764), che nella città eterna si era fatto per decenni la fama
di enfant terrible ed era appena
scomparso. Con quest’eccezione, l’assenza di missive di ambito romano (è
davvero possibile che Bottari e gli artisti romani non si siano mai scritti,
anche se vivevano nella stessa città?) non sembra certo fortuita.
Poco si legge infine sulle
vicissitudini della vita di Curia (con l’eccezione forse di una lettera di
Crespi che intende ‘comprare’ la propria nomina a ‘Cappellano segreto’ con una
tavola del Perugino da regalare al Segretario di Stato nel maggio 1751).
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Fig. 28) Marco Benefial, Autoritratto, 1731. Fonte: Wikimedia Commons |
Il ruolo dei corrispondenti
La maggioranza del carteggio di Bottari
(comprese alcune lettere molto estese) si concentra su scambi d’informazioni
tra esperti legate al desiderio di collezionare incisioni e disegni, e dunque
documentano soprattutto il gusto dell’epoca. È il caso soprattutto della
corrispondenza con Mariette, un vero e proprio segugio, perennemente alla ricerca d’immagini
da far incidere (per inserirle in collezioni di stampe da vendere al pubblico,
secondo il modello inaugurato da Crozat, per tenerle nella propria collezione
o, infine, per diffondere le opere d’arte italiane nei circoli d’arte
francesi). Con l’anziano Antonio Maria Zanotti, invece, lo scambio delle
informazioni è centrato principalmente su pregi e difetti degli autori di
letteratura artistica: Vasari, Malvasia, Orlandi e molti altri. La lettura
degli scritti d’arte è stata, insomma, parte importante del tempo speso sia da
Bottari sia dai suoi corrispondenti su questioni artistiche.
Il ruolo dei corrispondenti nella Raccolta, in realtà, è molto superiore a
quello di ‘semplici’ mittenti o destinatari delle lettere scambiate con
Bottari. Il numero di testi comunque a loro riconducibili (nel senso che sono
loro ad aver scovato le lettere sia nella corrispondenza personale sia in
archivi e biblioteche locali e ad averle passate a Giovanni Gaetano) è
altissimo. In tal modo essi hanno contribuito a creare un tessuto epistolare
molto denso, al di là dei rapporti bilaterali.
Bottari conosce indirettamente Mariette
grazie alle relazioni di quest’ultimo con il mondo toscano dell’arte già
vent’anni prima, relazioni documentate nel carteggio tra Mariette e Francesco Niccolò Maria Gabburri a partire dal 1731. In un primo tempo Giovanni Gaetano ha probabilmente accesso
al carteggio di Gabburri (pubblica più di 50 lettere a lui riferibili nel Tomo
II, incluse molte missive non solamente di Mariette, ma del veneziano Antonio Maria Zanetti il vecchio, dell’inglese John Molesworth, del francese Pierre
Crozat e di molti altri). La corrispondenza diretta con Mariette e Crespi
sembra avviarsi intorno al 1750, quando la Raccolta
è in preparazione, ed è probabilmente giustificata, all’inizio, dalla ricerca
d’informazioni sulla vita e le opere degli artisti.
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Fig. 29) Rosalba Carriera, Autoritratto col ritratto della sorella, 1715. Fonte: Wikimedia Commons. |
Se le origini della Raccolta sono toscane e risalgono alla
prima parte degli anni Trenta del Settecento, il rapporto di Bottari con
Mariette dagli anni Cinquanta in poi è fondamentale. Il francese ha infatti da
decenni contatti non solamente (ed è ovvio) con gli ambienti parigini (Crozat,
ma anche il conte di Caylus), ma anche con quelli fiorentini, romani, veneziani
e bolognesi, ed è molto generoso nel rendere le sue lettere disponibili a
Giovanni Gaetano. Per citare alcuni pezzi pregiati nella Raccolta, appartengono ad esempio al carteggio di Mariette le
bellissime lettere che a lui invia la pittrice veneziana Rosalba Carriera sin
dal 1722 (Tomo IV) e le riflessioni da lui indirizzate al Conte di Caylus nel
1730 su Leonardo da Vinci (Tomo II). Quest’ultimo è comunque in realtà un testo
già pubblicato a Parigi nella Gazette
littéraire de l’Europe, di cui Bottari fornisce dunque una traduzione italiana.
Non credo che l’amplissima corrispondenza con Mariette fosse tutta scritta in
un italiano impeccabile: è dunque probabile che Giovanni Gaetano l’abbia
tradotta, in tal modo assolvendo quindi anche a una funzione di ‘mediazione
culturale’ tra differenti aree linguistiche.
Importante anche il triangolo Bottari-Crespi-Zanotti,
ovvero i rapporti con i bolognesi Luigi Crespi, di vent’anni più giovane di
Giovanni Gaetano, e Giampietro Zanotti (1674-1765) che di Bottari è invece più
anziano di vent’anni e fa ingresso nella Raccolta
già in tarda età, continuando a corrispondere per lettera fin quasi fino alla
morte, sopraggiunta a novantun anni (le ultime lettere compaiono nel Tomo VI e
risalgono al 1764). Il triangolo documenta dunque la capacità di dialogo tra
esponenti di tre generazioni diverse. Abbiamo appena detto come nel 1751 Crespi
venga a sapere del progetto della pubblicazione della Raccolta; ne informa allora l’anziano Zanotti (che era già corrispondente
del Gabburri negli anni Trenta; tutti scrivevano con tutti) ben conoscendo la
sua passione per la letteratura artistica. Se all’inizio l’anziano autore della
Storia dell'Accademia Clementina sembra
un po’ riservato, il suo carteggio diviene presto il più aperto in termini di
espressioni di opinioni e sentimenti in tema di gusto artistico. Per quel che
riguarda la letteratura artistica in particolare, Bottari e Zanotti sono tra i
maggiori sostenitori del progetto di Crespi di completare, con un nuovo tomo,
la Felsina Pittrice di Malvasia: da
notare che i due discorrono frequentemente su Crespi in anni in cui non vi è
più evidenza di un rapporto di corrispondenza tra Bottari e quest’ultimo.
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Fig. 30) Simone Elia, Facciata dell’Accademia Carrara, Bergamo, 1810. Fonte: Wikimedia Commons |
Il ruolo del conte Giacomo Carrara (fondatore
dell’omonima Accademia a Bergamo) è estremamente importante a partire dal Tomo
III (1759), quando – dopo un viaggio a Roma nel 1758 – egli fa pervenire a
Giovanni Gaetano una ventina di lettere che riguardano il periodo 1660-1730 e
sono tutte centrate sulla decorazione della Basilica di S. Maria Maggiore a
Bergamo (in particolare sui rapporti tra gli affrescatori e i “Presidenti
della Misericordia Maggiore”); segue nel Tomo IV (1764) un centinaio di lettere
sull’interazione tra Bergamo, Venezia (cui Bergamo territorialmente appartiene)
e tutti i centri d’arte dell’Italia settentrionale. Dalla collezione di lettere
di Carrara, così generosamente messa a disposizione del Bottari, ricaviamo una
storia della pittura bergamasca lunga un secolo, a partire dal 1660 circa.
L’accuratezza
filologica e la correttezza deontologica di Bottari
È ovvio che Bottari rifletta il modo di
operare degli studiosi della sua epoca, molto meno legato a criteri di
accuratezza filologica e correttezza deontologica.
Sul primo tema molto ha detto Giovanna
Perini [37]: l’accademico della Crusca e curatore di una versione del
dizionario della lingua esercita – come editore delle lettere – una funzione di
censura e correzione grammaticale, sintattica e persino della punteggiatura sui
testi che pubblica, non solamente su quelli di autori del passato (che scrivono
in un italiano invecchiato), ma persino sui contemporanei, come Luigi Crespi.
Tuttavia, Giovanni Gaetano va oltre. La studiosa ha fatto dei sondaggi,
comparando le lettere pubblicate nella Raccolta
con gli originali conservati nel manoscritto A IV 16 della biblioteca di
Cassiano del Pozzo in Biblioteca Vaticana e con altri originali raccolti da Carlo
Piancastelli (1867-1938) a Forlì. Ne risultano non solamente correzioni di
lingua, ma anche cancellazioni di alcuni incisi importanti, al punto da
cambiare il senso della frase. La Perini si mostra dunque d’accordo con il
giudizio ottocentesco di Pierre De Nolhac (1859-1936), secondo cui Bottari
sarebbe stato un grande “addomesticatore” di testi.
Questo giudizio è indirettamente
confermato da Mariette in un secondo caso, quando egli legge il lungo testo
biografico sulla vita di Marco Benefial scritto dal Ponfreni, con cui si apre
il Tomo V: “Ho letto con singolare
piacere quella da cui comincia la Raccolta. Ella m’ha fatto meglio conoscere
Marco Benefial. Io desidererei che noi avessimo molte vite di pittori scritte
così. Questa è ripiena d’insegnamenti massicci, e, per quanto posso
comprendere, anche qualcuno di cui conosco l’eccellente penna, ci ha messo un
poco la mano” [38]. Evidentemente, quel qualcuno non può che essere Bottari
stesso.
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Fig. 31) Giuseppe Ghezzi, Volta della Cappella Scarlatti, 1684. Roma, San Giovanni dei Fiorentini. Fonte: Wikimedia Commons |
Un terzo caso è stato identificato da Francesco
Grisolia in uno studio sul carteggio di padre Sebastiano Resta (1635-1714).
Molte lettere di Resta sono pubblicate nel secondo e nel terzo tomo della Raccolta nel 1757 e nel 1759. Il 22
febbraio 1696 Resta scrive al pittore Giuseppe Ghezzi (1634 –1721) su questioni
leonardesche. Lo studioso ha scoperto che la lettera pubblicata da Bottari (N.
217 del Tomo III) è in realtà il risultato della fusione di due lettere
diverse. Si tratta di un testo che, nell’Ottocento, sarà additato dagli studiosi come prova della scarsa affidabilità di Resta, a causa degli errori che contiene sulla vita di Leonardo. Quegli errori,
tuttavia, sono dovuti alla fusione dei due testi da parte di Giovanni Gaetano.
Ecco quel che scrive Grisolia: “Alla luce
di quanto esposto, il suddetto compendio che ne realizzò Bottari appare del
tutto fuori contesto se estrapolato dall’intero carteggio e ancor più dalle
molte considerazioni di Resta” [39].
Sul secondo tema (quello della
deontologia) vorrei qui far riferimento a due casi che mi sembrano esemplari.
In molte situazioni Bottari avverte i
lettori che le lettere da lui pubblicate compaiono già in cinquecentine o in
volumi secenteschi disponibili solamente nelle biblioteche. Tuttavia, molte
volte, si ‘dimentica’ di dirlo al lettore, creando l’illusione che si tratti di
una novità assoluta. Ad esempio, il Bottari pubblica una lettera del Palladio a
Vincenzo Arnaldi, datata 23 febbraio 1565. Posta all’inizio del tomo IV, la
lettera attira l’interesse degli acquirenti (che la ricevono in anticipo grazie
al meccanismo della sottoscrizione). Come vedremo, il testo è però stato
pubblicato l’anno precedente dall’architetto Tommaso Temanza nella sua Vita di Andrea Palladio vicentino egregio
architetto. La lettera è in quegli anni in possesso degli eredi Arnaldi, e in particolare dello studioso d’architettura Enea Arnaldi (1716-1794), che è in
contatto con entrambi. Non è impossibile che l’Arnaldi abbia fornito ad
entrambi copia della missiva, senza informare l’uno dell’altro; è tuttavia
difficile che Bottari non sapesse della pubblicazione intervenuta l’anno prima
da parte di uno dei suoi corrispondenti più importanti.
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Fig. 32) Tommaso Temanza e Giannantonio Selva, Chiesa della Maddalena, Venezia, 1763-1790 |
Il secondo esempio riguarda le lettere
inviate da Mariette a Gabburri, e pubblicate nel Tomo II del 1757. Come si è
detto, il Bottari scopre quelle lettere in archivi fiorentini, ma probabilmente
informa anche Mariette della vicenda. Sta di fatto che solamente nel 1764 egli
pubblicherà una lettera di Mariette (da lui ricevuta il 30 maggio 1756 e dunque
prima della pubblicazione del Tomo II) in cui quest’ultimo chiede
l’eliminazione (non avvenuta) di alcuni suoi testi per i quali egli teme di
perdere prestigio in Italia. Bottari si era dunque preoccupato di avvertirlo,
ma aveva ignorato la sua preghiera di non pubblicare quelle missive.
NOTE
[1] Sul ruolo di Bottari come primo
esponente di una lunga tradizione di pubblicazione delle lettere degli artisti,
da collocarsi nel quadro della “Repubblica delle lettere”, si veda, tra
l’altro: Barocchi, Paola - Fortuna della epistolografia artistica, in Studi
Vasariani, Torino, 1984, pp. 83-111;
Perini, Giovanna – Le lettere degli artisti da strumento di
comunicazione, a documento, a cimelio, in Documentary Culture: Florence and
Rome from Grand-Duke Ferdinand I to Pope Alexander VII, atti del convegno (Firenze
1990), Bologna, 1992, pp. 165-183; Rolfi Ožvald, Serenella, Lettere ad un
amico. Da Bottari al giornalismo artistico degli anni Ottanta del Settecento,
in Le carte false. Epistolarità fittizia nel Settecento italiano, a cura di F.
Forner, V. Gallo, S. Schwarze, C. Viola, Roma, 2017, pp. 469-490
(https://www.academia.edu/32003116/LETTERE_AD_UN_AMICO_DA_BOTTARI_AL_GIORNALISMO_ARTISTICO_DEGLI_ANNI_OTTANTA_DEL_SETTECENTO);
Rolfi Ožvald, Serenella - L’artista allo scrittoio in Ricerche di storia
dell'arte, No 2/2018, pp.5-16. Vorrei anche segnalare: Parlato Enrico, Dalle
lettere sugli artisti alle lettere degli artisti, in L’epistolografia di antico
regime, contributo al convegno internazionale di studi (Viterbo 2018), in corso
di pubblicazione.
[2] La versione del 1754 è
completamente disponibile all’indirizzo
[3] Si veda: Perini, Giovanna – Le
lettere degli artisti da strumento di comunicazione, a documento, a cimelio
(citato).
[4] Si veda la voce Giovanni Gaetano Bottari a cura
di Giuseppe Pignatelli nel Dizionario Biografico degli Italiani (1971): http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-gaetano-bottari_%28Dizionario-Biografico%29/
[5] Giuseppe Pignatelli (scomparso nel
2013) è stato il caporedattore storico del Dizionario
biografico degli Italiani, attivo alla Treccani dagli anni Sessanta del
secolo scorso all’inizio del nuovo millennio. Si è occupato per anni della biografia di
molti religiosi italiani tra Seicento e Ottocento, pubblicando nel Dizionario le voci su Adriano Bernareggi, Andrea
Bianchini, Francesco Boaretti, Spiridione Berioli, Giuseppe Bertieri, Luigi
Biraghi, Alessandro Borgia, Carlo Borgo, Giuseppe Boero, Francesco Bonacchi, Bonaventura
da Coccaglio, Giuseppe Bofondi, Antonio Maria Borromeo, Giovanni Carlo Boschi,
Cesare Brancodoro, Giuseppe Mario Brocchi, Francesco Burgio, Innocenzo
Buontempi, Alessandro Burgos, Alessandro Busca, Cesare Calini, Antonio
Campanella, Giovanni Battista Caprara Montecuccoli, Raimondo Cecchetti, Giuseppe
Cernitori, Giacinto Cerutti, Antonio Cingari, Branciforte Colonna, Ermanno
Domenico Cristianopulo, Luigi Cuccagni, Giovanni Paolo Dolfin, Antonio Dugnani,
Giovanni Marchetti. È anche autore delle voci su altri
esponenti del mondo conservatore come Joseph de Maistre. Di lui si veda anche: Pignatelli,
Giuseppe - Le origini settecentesche del cattolicesimo reazionario: la polemica
antigiansenista del "Giornale ecclesiastico" di Roma, in Studi
Storici: rivista trimestrale, 1970, Roma, Istituto Gramsci, pp. 755-782;
Pignatelli, Giuseppe - Aspetti della propaganda cattolica a Roma da Pio VI a
Leone XII, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1974.
[6] Si pensi ad esempio ai recenti studi su
Winckelmann in Italia, recensiti su questo blog. Un altro saggio rilevante è Benedict
XIV and the Enlightenment: Art, Science, and Spirituality, a cura di Rebecca
Messbarger, Christopher Johns, Philip Gavitt, pubblicato nel 2017.
[7] Palozzi, Romana - Mons. Giovanni
Bottari e il circolo dei giansenisti romani. In: ‘Annali della R. Scuola
Normale Superiore di Pisa. Lettere, Storia e Filosofia”, Serie II, Vol. 10, No.
1/2 (1941), pp. 70-90.
[8] Palozzi, Romana - Mons. Giovanni
Bottari e il circolo dei giansenisti romani (citato), p. 81
[9] Palozzi, Romana - Mons. Giovanni
Bottari e il circolo dei giansenisti romani (citato), p. 86
[12] Il primo tomo del 1757 è
disponibile all’indirizzo
[13] Sui Pagliarini si veda: Marcelli, Stefano - I Pagliarini: una famiglia di librai, editori e stampatori nella
Roma del Settecento. Vicende ed Annali tipografici, Roma, Università La Sapienza.
Il testo è disponibile all’indirizzo:
[14] Si veda la voce Pagliarini nel
Dizionario biografico degli italiani, a cura di Saverio Franchi (2014). La voce
è disponibile all’indirizzo:
[15] Il secondo tomo nella versione
con introduzione (si vedano le pagine viii-ix) è completamente disponibile
all’indirizzo
[16] Il secondo tomo nella versione
senza introduzione è completamente disponibile all’indirizzo
[17] Il terzo tomo è completamente
disponibile all’indirizzo
[18] Il quarto tomo è completamente
disponibile all’indirizzo
[19] Il quinto tomo è completamente
disponibile all’indirizzo
[20] Il sesto tomo è completamente
disponibile all’indirizzo
https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t4wh44047;view=1up;seq=5
[20 bis] Prosperi Valenti Rodino' Simonetta, Le lettere di Luigi Crespi e Giovanni Gaetano Bottari nella Biblioteca Corsiniana, in Paragone arte, n.407, XXXV 1984, pp.22-55. Citazione a pagina 42.
[20 bis] Prosperi Valenti Rodino' Simonetta, Le lettere di Luigi Crespi e Giovanni Gaetano Bottari nella Biblioteca Corsiniana, in Paragone arte, n.407, XXXV 1984, pp.22-55. Citazione a pagina 42.
[21] Il settimo tomo è disponibile
all’indirizzo
[22] Bianconi si è infatti scontrato con Crespi già a Dresda e da anni lo critica. Ad esempio è lui a stroncare i meriti della continuazione
da parte di Crespi, della Felsina Pittrice, in ben otto lettere in cui lo denuncia all’Accademia Clementina di Bologna per una serie di
scorrettezze e inesattezze (“Otto
lettere inedite riguardanti il così detto terzo tomo della Felsina Pittrice
composto dal Canonico Luigi Crespi”).
[23] Si veda:
https://books.google.de/books?id=Rw0XAAAAYAAJ&pg=PA313&lpg=PA313&dq=commissione+al+sig.+Canonico,+o+almeno+la+permissione+di+mettere+in+questa+messe+la+sua+falce&source=bl&ots=6LrOVSYMFR&sig=ACfU3U2MiHOhTWADJs6J45DB8UsNNzpCCg&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwip7vrAo4jgAhUJPFAKHZlKAqUQ6AEwAnoECAgQAQ#v=onepage&q=commissione%20al%20sig.%20Canonico%2C%20o%20almeno%20la%20permissione%20di%20mettere%20in%20questa%20messe%20la%20sua%20falce&f=false
[23 bis] Giovanna Perini Folesani, Luigi Crespi storiografo, mercante e artista attraverso l'epistolario, Firenze, Leo S. Olschki, 2019.
[23 ter] Prosperi Valenti Rodino' Simonetta, Le lettere di Luigi Crespi e Giovanni Gaetano Bottari nella Biblioteca Corsiniana, citato, pp. 41-42.
[23 bis] Giovanna Perini Folesani, Luigi Crespi storiografo, mercante e artista attraverso l'epistolario, Firenze, Leo S. Olschki, 2019.
[23 ter] Prosperi Valenti Rodino' Simonetta, Le lettere di Luigi Crespi e Giovanni Gaetano Bottari nella Biblioteca Corsiniana, citato, pp. 41-42.
[24] Si veda: https://archive.org/details/raccoltadilette05bottgoog/page/n307
[24 bis] Prosperi Valenti Rodino' Simonetta, Le lettere di Luigi Crespi e Giovanni Gaetano Bottari nella Biblioteca Corsiniana, citato, p. 43.
[24 bis] Prosperi Valenti Rodino' Simonetta, Le lettere di Luigi Crespi e Giovanni Gaetano Bottari nella Biblioteca Corsiniana, citato, p. 43.
[25] Si veda:
[26] Rolfi Ožvald, Serenella, Lettere
ad un amico (citato), p. 481
[27] Bianconi, Giovanni Ludovico - Elogio
di monsignor Giovanni Gaetano Bottari, in «Antologia romana», I (1775), 8, pp.
57-61
[28] Bianconi, Giovanni Ludovico - Elogio
di monsignor Giovanni Gaetano Bottari, p.58
[29] Bianconi, Giovanni Ludovico - Elogio
di monsignor Giovanni Gaetano Bottari, p.59
[31] Tutti gli otto volumi dell’edizione Ticozzi
sono disponibili all’indirizzo
[32] Schlosser, La letteratura artistica, Firenze,
La Nuova Italia, 1964, 706 pagine. Citazione a pagina 507.
[34] Kantor-Kazovsky, Lola - Pierre
Jean Mariette and Piranesi: The Controversy Reconsidered
Memoirs of the American Academy in
Rome. Supplementary Volumes, Vol. 4, The Serpent and the Stylus: Essays on G.
B. Piranesi (2006), pagine 149-168. Si veda:
[37] Perini, Giovanna – Le lettere
degli artisti da strumento di comunicazione, a documento, a cimelio (citato),
pp. 173
[39] Grisolia, Francesco - Su
Leonardo e i cartoni della Sant’Anna tra Resta, Ghezzi, Bellori e Bottari, 2018. Si veda
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