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martedì 26 febbraio 2019

Francesco Mazzaferro. La 'Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura' di Giovanni Gaetano Bottari. Parte Prima


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Francesco Mazzaferro
La Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura di Giovanni Gaetano Bottari


Parte Prima

Fig. 1) Anonimo, Ritratto di Giovanni Gaetano Bottari, 1775. Roma, Chiesa di Santa Maria in Trastevere a Roma.
Fonte: https://www.flickr.com/photos/hen-magonza/7308366226

La Raccolta come proto-antologia di letteratura artistica

Non credo vi possa essere dubbio alcuno [1] che all’origine dell’ancor’oggi ininterrotta serie di antologie di scritti di artisti – molte delle quali abbiamo recensito in questo blog – vi sia la Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura: scritte da' più celebri professori che in dette arti fiorirono dal secolo XV al XVII [2], pubblicata nel 1754 da Giovanni Gaetano Bottari (1689-1775). Da un lato la Raccolta inaugura un nuovo genere, quello della collezione di lettere d’artista, che rimane il filone più popolare tra le antologie di letteratura artistica fino all’inizio del Novecento; dall’altro, quasi tutte le antologie ottocentesche di fonti di storia dell’arte usano come una delle loro fonti principali proprio la Raccolta.

Fig. 2) Tomba di Giovanni Battista Bottari nella Chiesa di Santa Maria in Trastevere a Roma, 1775. L’epitaffio è stato composto da Pier Francesco Foggini, suo amico e sodale in ambito sia religioso sia artistico.
Fonte: http://www.borgato.be/MISCELLANEA/ROMA_TRASTEVERE-SGI-SRU/html/1775.html#Testa

È senza dubbio Bottari a scoprire per primo il valore della lettera d’artista non solamente come testimonianza diretta – ovvero senza alcuna mediazione di terzi – della vita e del pensiero dell’artista, ma anche come documentazione che fa chiarezza sulla professione dell’artista. Fin dal Cinquecento compaiono a mezzo stampa molti repertori di lettere di uomini illustri, ma a dispetto dell’affermazione in quegli anni del principio della nobiltà dell’arte, non vengono mai pubblicate raccolte che siano (anche solo in parte) specificamente dedicate alle lettere di pittori, scultori ed architetti, nonostante tentativi siano documentati già nella seconda metà del Seicento ad opera del Malvasia [3]. Una delle grandi difficoltà per compilare una selezione di lettere d’artisti (a differenza di letterati o uomini di governo) è che la maggioranza di pittori, scultori ed architetti  scrive in maniera non regolare e spesso per ragioni totalmente estranee a considerazioni estetiche: solo uno studioso come Bottari, che ha accesso privilegiato a biblioteche e archivi e gode di una fittissima rete di corrispondenti può rintracciare un numero sufficiente di missive per pensare alla pubblicazione prima di un volume e, poi, alla prosecuzione della Raccolta. Ovviamente, il modo in cui il religioso fiorentino (Bottari era monsignore) presenta le lettere è il riflesso della cultura erudita del Settecento: siamo di fronte a una raccolta di dimensioni straordinariamente estese, strutturata secondo criteri che oggi possono sembrare esclusivamente compilativi, e la cui preoccupazione sembra essere semplicemente quella di pubblicare tutto ciò che viene rintracciato nelle biblioteche. D’altra parte, le prime antologie moderne di testi (letterari e non), pubblicate in Francia e altrove in Europa proprio in quegli anni, hanno spesso la stessa forma di repertori amplissimi e disordinati, in più volumi, con finalità documentaria e senza l’ambizione – che sarà invece prevalente nelle antologie ottocentesche – di codificare il sapere in un corpus compatto di testi contenuto in un singolo volume. Le antologie del Settecento sono forse il momento di passaggio tra l’erudizione di inizio secolo e le prime manifestazioni di un enciclopedismo che sorge a metà Settecento. Del resto, i legami profondi di Bottari con il mondo religioso giansenista francese e olandese gli permettono di assistere alla nascita, al di fuori dell’Italia, di una nuova cultura – proprio quella dell’enciclopedismo illuminista – di cui egli non è parte e che anzi contesta (scrive nel 1750 una Critica dell’Esprit de Lois di Montesquieu), ma che ispira, ad esempio, uno dei suoi corrispondenti più importanti: Pierre-Jean Mariette (1694-1774). 

Fig. 3) Charles-Nicolas Cochin (drawing) and Augustin de Saint-Aubin (engraving), Portrait of Pierre-Jean Mariette, 1765. Source: Wikimedia Commons

L’opera di Bottari è una vera e propria impresa, che occupa l’autore dal 1754 al 1768. Dobbiamo infatti a Bottari la pubblicazione di 1027 lettere in sei volumi per un totale di 2180 pagine. Nel 1773 viene poi pubblicato – come vedremo – un settimo volume, che di fatto è un’edizione-pirata, a cura di Luigi Crespi. Considerando anche quest’ultimo tomo le lettere crescono a 1045 e la Raccolta si estende a 2386 pagine.

Non vi è alcun dubbio che Bottari sia figlio della cultura erudita del suo tempo (specialmente di quella che si sviluppa in Toscana). Proprio in nome di questa curiosità (che lo porta a dedicarsi non solamente all’arte, ma anche alla letteratura, alla linguistica, alla medicina, alle scienze e soprattutto alla teologia) egli mette insieme – sia in forma diretta sia attraverso corrispondenti soprattutto in Toscana e in Italia del nord – un’ampia raccolta di materiali epistolari scritti da o indirizzati ad artisti, o comunque d’interesse artistico (materiali in parte rimasti inediti e poi pubblicati da Ticozzi nel 1822-1825). Comincia pubblicando un solo volume nel 1754; nel 1757 ristampa il tomo in questione (con minime varianti) aggiungendone un secondo; infine prosegue nella sua impresa dando alle stampe nuovi tomi (fino al sesto) all’incirca ogni due-tre anni. In tal modo, Bottari persegue due obiettivi che vanno al di là dell’erudizione. Da un lato, cerca di completare e raccontare in modo diverso – dando voce direttamente agli artisti – quelle ‘vite degli artisti’ che in realtà padroneggia assai bene: Bottari conosce perfettamente, infatti, le Vite del Vasari (di cui sarà commentatore tra 1759 e 1760) ma anche la Felsina pittrice di Malvasia e molti altri testi della letteratura artistica precedente o coeva. D’altro lato si propone di documentare le discussioni estetiche dei suoi tempi, usando le lettere come strumento (in un’epoca che proprio alla lettera o alla ‘pseudo-lettera’ assegna quel compito, come testimoniato dal concetto di République des Lettres). La Raccolta, con il passare degli anni, diviene così anche uno strumento di dibattito sull’arte recente e contemporanea.

Bottari organizza la pubblicazione delle lettere in modo sapiente, e dimostrando anche una discreta capacità commerciale. Nel 1754 (primo tomo) e nel 1759 (terzo tomo) pubblica due raccolte di missive che rispecchiano perfettamente il contenuto di due volumi da lui pubblicati quasi contemporaneamente: si tratta, rispettivamente, dei Dialoghi sopra le tre arti del disegno (1754) e dell’edizione critica delle Vite di Vasari (1759). Siamo di fronte, in questi casi, a gruppi di lettere relative all’arte rinascimentale e barocca. Nel 1757 (secondo tomo) e nel 1764 (quarto tomo) prima inizia a inserire nella Raccolta testi relativi alle discussioni estetiche contemporanee e poi si concentra su di esse. Il quinto (1766) e il sesto tomo (1768) sono invece destinati alla pubblicazione di testi epistolari già disponibili da tempo, ma precedentemente non selezionati e di nuovi ingressi nella sua raccolta di missive.

Certamente, Bottari scrive e si occupa d’arte, ma non è uno storico dell’arte. A dire il vero, conosce personalmente il primo grande storico dell’arte, ovvero Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), che arriva a Roma nel 1755 (un anno dopo la pubblicazione del primo volume della Raccolta). I due, in realtà, mostrano di avere idee molto diverse, sul classicismo come categoria estetica, ma più in generale sul modo di concepire l’arte. Al contrario di Winckelmann, Bottari non crede nella grandezza primigenia dell’arte greca rispetto a quella romana - non a caso, è amico e protettore di uno dei rivali intellettuali di Winckelmann, ovvero di Giovanni Battista Piranesi (1720-1778), sostenitore del primato dell’arte romana su quella greca -  né sviluppa in senso compiuto un percorso storico di sviluppo stilistico. Winckelmann, da parte sua, considera i Dialoghi del 1754 insignificanti. È indicativo, da questo punto di vista, che la Raccolta di Bottari non presenti lettere scambiate con Winckelmann né missive fra quest’ultimo e uno qualsiasi dei suoi numerosissimi corrispondenti. Semplicemente, il progetto dell’erudito fiorentino è diverso da quello dello studioso tedesco e non si inserisce nell’ambito della nascita della storia dell’arte (anche se il Lanzi lo cita ben 45 volte nella sua Storia pittorica): Bottari è, invece, il capostipite di un nuovo genere nell’ambito della letteratura artistica, dando vita a una proto-antologia di fonti. Il fatto che Bottari non sia stato né il primo storico d’arte né il primo critico d’arte moderno, ma ‘semplicemente’ il primo antologizzatore (ovviamente, sui generis) della letteratura artistica ha certamente contribuito a sminuirne il valore agli occhi dei moderni.

In questi anni ho letto moltissime antologie. Sia pur nella necessaria diversità della forma (da quella repertoriale ed erudita-universale del Bottari a quella tematica-specializzata dedicata soprattutto all’arte contemporanea dei giorni nostri) mi sembra di poter dire che la redazione  di un’antologia comporti sempre tre caratteristiche. In primo luogo, lo sforzo documentario della raccolta di testi (anche quando riesce nell’obiettivo della codificazione del sapere) sembra far premio sulla capacità di sintesi; ne consegue che quasi mai l’antologia indirizza il dibattito artistico verso nuove direzioni. In secondo luogo, la forma antologica si pone spesso in collisione rispetto agli obiettivi della critica d’arte: l’antologia dà voce agli artisti proprio per impedire che sia soffocata da quella dei critici. Infine, nei criteri di scelta delle opere antologizzate, l’antologia è sempre espressione della cultura dominante del proprio tempo: erudizione, illuminismo, idealismo, positivismo, e così via. È questa (percepita) impersonalità dell’antologizzatore che ha ridotto il giudizio critico e la visibilità di Bottari, come di quasi tutti i suoi successori, fino a oggi.  E tuttavia un contributo cruciale non può essere negato né a Giovanni Gaetano né a chi ne ha seguito le tracce: senza di loro la trasmissione delle fonti sarebbe stata molto più difficile. 

Fig. 4) Agostino Masucci, Ritratto di Clemente XII, 1731.
Fonte: Wikimedia Commons

La figura di Giovanni Gaetano Bottari

È davvero sorprendente che – almeno per quanto mi risulta – non esista una monografia dedicata a Bottari e alla sua vastissima produzione saggistica. La fonte principale a cui ho fatto ricorso, ovvero la voce a lui dedicata dallo storico Giuseppe Pignatelli nel Dizionario Biografico degli Italiani, è del 1973 e dunque è, in qualche modo, invecchiata. Al termine del suo scritto, l’autore della voce conclude: “Erede di due filoni di cultura storica tradizionale tipicamente italiani, quello grammaticale della Firenze della Crusca e quello antiquario della Roma controriformistica, il B. rimase sostanzialmente estraneo al rinnovamento della cultura europea ed allo stesso metodo storico muratoriano; ma seppe dare ugualmente un utile contributo nel fornire la tradizione da lui prediletta di efficienti strumenti di lavoro; nel combattere ostinatamente per la salvaguardia delle opere d'arte medievali; nel costituire una biblioteca armoniosa in ogni sua parte quale la Corsiniana di Roma, di cui ordinò e descrisse sommariamente anche il fondo dei manoscritti. Al prestigio che lo circondò da vivo non deve essere stato estraneo, infine, anche il suo gusto un po' antiquato di conoscitore d'arte ed il fascino delle edizioni da lui curate, alcune delle quali, illustrate da incisori eccellenti, costituiscono notevoli esempi di eleganza nel panorama dell'editoria italiana del Settecento” [4].


Fig. 5) Girolamo Ticciati, Busto di Clemente XII, 1731.
Fonte: Wikimedia Commons

Quella descritta da Pignatelli è l’immagine di un uomo molto colto e tuttavia immerso in studi polverosi, all’interno di una Roma sonnolenta e bigotta che ha ormai perso il passo della storia. Francamente, nonostante l’autorità del biografo e la sua conoscenza sugli uomini della chiesa italiana di quegli anni [5], credo che sia necessario un aggiornamento. Mi sembra, infatti, che, anche alla luce degli studi più recenti [6],  la Roma di Bottari (quella dei papi Clemente XII e Benedetto XIV) si stia sempre più rivelando un ambiente culturalmente molto vivace ed estremamente tollerante, più di molte altre regioni d’Europa dell’epoca (non a caso è quella Roma ad attirare artisti e intellettuali dal mondo protestante, come Mengs e Winckelmann). Di quella Roma “illuminata” (anche se certamente non illuminista) – che non solamente offre una disponibilità impareggiabile di monumenti antichi e collezioni d’arte private, ma inaugura nel 1733 il primo museo pubblico al mondo e la prima accademia del nudo nel 1754 – Bottari è uno dei protagonisti.

Bottari, insomma, è esponente di un mondo ‘illuminato’, ma non ‘illuminista’. Ciò vale anche nel campo estetico.  Giovanni Gaetano è un uomo illuminato perché, man mano che la Raccolta avanza, sente il bisogno di dar maggior spazio al dibattito sull’arte dei suoi giorni e non sembra voler censurare anche le voci di dissenso. Se il primo volume del 1754 è totalmente concentrato sugli artisti tra metà Cinquecento e metà Seicento, gli ultimi volumi ricordano, per contenuto, una pubblicazione periodica dedicata ai temi di discussione del nuovo secolo. Eppure Bottari non è illuminista, perché non vede ragioni fondamentali per modificare il mondo in cui vive.

Questo non vuol dire che, come fa il Pignatelli, il significato della riflessione sull’arte di Bottari debba essere svalutato perché scontato e non in linea ideologicamente con l’illuminismo. Anzi, cercheremo di individuare in Giovanni Gaetano alcuni accenti quasi proto-romantici (quando, ad esempio, parla di figure come Domenichino, che sono prototipi degli artisti ‘maledetti’ tanto amati dai romantici, in quanto dipendenti dal capriccio dei potenti e incapaci di essere compresi dal pubblico). Certo, quello di Bottari è un proto-romanticismo del tutto inconsapevole, che ha origine nel moralismo giansenista e nell’idea della dipendenza dell’uomo dalla grazia divina. Del resto, se avessimo chiesto a Johann Heinrich Füssli se si considerava un preromantico (come oggi tutti lo definiscono) , egli non avrebbe capito la domanda.

Fig. 6) Johann Heinrich Füssli, La disperazione dell'artista davanti alle rovine, 1778-80.
Fonte: Wikimedia Commons

Bottari era un fiorentino di cultura vastissima. Nel corso della sua lunga vita ebbe modo di occuparsi di questioni teologiche, di temi scientifici, di critica letteraria e, infine, di questioni d’arte. Qui non parleremo delle numerose edizioni di trattati di medicina e scienze che curò o di cui fu autore (si occupò, ad esempio, di terremoti) e sorvoleremo sulla sua vastissima produzione di ambito religioso-teologico. Quel che è certo è che Giovanni Gaetano fu non solamente uno studioso, ma anche uomo di azione. Già ventisettenne dirigeva la stamperia granducale a Firenze (si occupò di libri per tutta la vita) e, entrato nel clero, non esitò a manifestare ben presto i propri orientamenti religiosi, molto avversi all’ordine dei gesuiti (considerati eccessivamente 'mondani' e dunque compromessi col peccato) e favorevoli, invece, agli agostiniani, molto più rigidi. Fin da giovane, insomma, Bottari è un rigorista.


Fig. 7) Agostino Masucci, Ritratto di Clemente XII e del cardinal Neri Maria Corsini, 1730 circa. Fonte: http://www.cahiersdesarts.it/wp-content/uploads/2018/11/05.jpg

In questo contesto, Bottari si dedica anima e corpo a dimostrare la compatibilità tra la dottrina della chiesa cattolica e il giansenismo, movimento religioso e filosofico che ha origine nel pensiero del teologo olandese Cornelius Otto Jansen (1585-1638), sviluppatosi in Europa del Nord (principalmente all’abbazia di Port Royal in Francia, ma, ad esempio, anche a Utrecht) e molto presente fra gli eruditi italiani dell’epoca. In realtà i testi di Jansen erano stati condannati dall’Inquisizione cent’anni prima, ovvero nel 1641, ma Bottari è convinto che si tratti di un malinteso e che essi siano facilmente riconducibili all’interno della dottrina della chiesa.

Fig. 8) La quarta edizione del Vocabolario della Crusca (1729), curata da Giovanni Gaetano Bottari.
Fonte: https://libreriaprandi.it/vocabolario-degli-accademici-della-crusca/


A Firenze Giovanni Gaetano è al servizio della famiglia Corsini e, sin da giovane, collabora a progetti tipografici di grande prestigio che hanno proprio nei Corsini i loro promotori e sostenitori finanziari, come l’edizione del De Etruria regali del Dempster (1719-1726) e – insieme ad Antonio Francesco Gori -,  il Museum Florentinum (1731-1734). Negli anni fiorentini Bottari si occupa molto anche di letteratura (con studi sul Boccaccio e su molti altri autori) ed entra a far parte dell’Accademia della Crusca, curando addirittura la quarta edizione del Vocabolario (1729-1738). In quegli anni è sostenuto da Rosso Antonio Martini (1720–1809), che, oltre a indirizzarlo alla Crusca e a caldeggiare che si interessi al progetto di proseguimento di una Raccolta Di Prose Fiorentine (1716-1745), fu (come vedremo) una delle figure che più lo aiutarono nel reperimento delle lettere d’artisti per la Raccolta. Ma l’attenzione di Giovanni Gaetano non si restringe alla lingua italiana: è autore, ad esempio, molto attento alla letteratura latina d’epoca moderna. 

Fig. 9) Il frontespizio delle Sculture e pitture sagre estratte dai cimiterj di Roma pubblicate gia [sic] dagli autori della Roma sotterranea ed ora nuovamente date in luce colle spiegazioni di Giovanni Gaetano Bottari (1737).
Fonte: https://www.gonnelli.it/it/asta-0022/bottari-giovanni-gaetano-sculture-e-pitture-sa.asp


Quando Lorenzo Corsini (1652-1740) diviene papa nel 1730 col nome di Clemente XII, Bottari si trasferisce a Roma alle dipendenze del cardinale Neri Corsini (1685–1770), altro esponente della famiglia, vicino alle idee gianseniste. Giovanni Gaetano attira la benevolenza del Papa stesso, che gli assegna prima un incarico universitario alla Sapienza in materia teologica, poi gli impartisce l’incarico di creare la sua biblioteca privata e infine lo nomina secondo custode della Biblioteca Vaticana. Sempre per Papa Corsini Bottari  comincia a curare e pubblicare volumi riccamente illustrati contenenti incisioni su Roma (in particolare sulla Roma sotterranea). 


Fig. 10) Pierre Subleyras, Ritratto di Papa Benedetto XIV Lambertini, 1741.
Fonte: Wikimedia Commons

Quando Clemente XII muore e viene sostituito nel 1740 da Papa Benedetto XIV Lambertini (1675-1758), Bottari trova nel nuovo pontefice un amico e un uomo di grande cultura. Sono condizioni per lui ideali, anche grazie alla politica di maggiore tolleranza del nuovo Papa nei confronti del giansenismo, al punto che gli viene riconosciuto un titolo onorifico, sia pur di non altissimo livello (la dizione ufficiale, con cui Bottari viene chiamato in una lettera del Crespi già nel 1751, è ‘cameriere segreto di Sua Santità’). Le tesi gianseniste sono di fatto tollerate e non vengono più perseguite, anche se sono contrastate con la massima virulenza dai gesuiti: dal 1742 viene pubblicato dal libraio ed editore Pagliarini (lo stesso della Raccolta) il Giornale de' letterati, che difende le tesi del gruppo; nel 1749 Bottari diviene animatore dell’ “Archetto”, un circolo di giansenisti che si riunisce a Palazzo Corsini. Da segnalare che, su richiesta di Bottari, il Pagliarini si reca all’estero per lunghi viaggi alla ricerca della corrispondente letteratura giansenista francese e olandese. Sono gli anni in cui a Giovanni Gaetano vengono affidati altri incarichi per opere che illustrino le ricchezze di Roma (ad esempio, la guida in latino e in italiano Del Museo Capitolino, Roma 1741-1755). Si collocano in questo periodo anche il primo tomo della Raccolta (1754) e i Dialoghi sopra le tre arti del disegno (sempre 1754). In parallelo, Bottari continua a pubblicare studi sulla lingua e sulla letteratura, come pure su temi scientifici (i giansenisti sono grandi ammiratori di Cartesio). 


Fig. 11) Anton Raphael Mengs, Ritratto di Clemente XIII, 1758.
Fonte: Wikimedia Commons

Con la nomina a Papa, nel 1758, di Clemente XIII (1693-1769) si apre, dopo alcuni anni interlocutori, una fase di grande conflittualità e radicalizzazione. All’inizio Giovanni Gaetano ottiene altri successi insperati: tra 1758 e 1761 riesce addirittura a far pubblicare (sia pur a Napoli) il catechismo giansenista e molti testi programmatici dei teorici francesi. Vorrei osservare che proprio in quegli anni esce la sua edizione commentata delle Vite del Vasari. A settant’anni, Bottari è, insomma, all’apice del successo. E tuttavia la situazione complessiva volge presto al peggio: il Sant'Uffizio condanna la dottrina giansenista nel 1761, il cardinale Luigi Torrigiani (1697-1777), nuovo Segretario di Stato, cerca in quell’occasione di allontanare Bottari da Roma, e Clemente XIII pubblica nel 1765 una bolla d’encomio indirizzata agli odiati gesuiti. L’anno dopo, nel 1766, Giovanni Gaetano viene colto da un ictus che lo debilita. La Raccolta è forse una delle poche attività che continua a seguire. Muore nove anni dopo, nel 1775, passando gli ultimi anni in pessime condizioni di salute, e dopo un secondo attacco, che lo colpisce nel 1773 (è anche l’anno dell’edizione pirata di Crespi) che lo lascia per due anni in condizioni di non autosufficienza.


Bottari, il giansenismo, i libri e le fonti storiche

Si è detto delle origini del giansenismo. Alla base della dottrina di Jansen sta una diversa interpretazione della colpa e della grazia dal peccato; il giansenismo sostiene poi il rigorismo teologico e una moralizzazione dei costumi che porti ad atteggiamenti più spirituali e meno legati al lusso della curia. Vi è però un aspetto che vorrei qui citare, cui Romana Palozzi ha dedicato attenzione nel suo articolo Mons. Giovanni Bottari e il circolo dei giansenisti romani [7]: i libri sono “l’arma giansenista per eccellenza” e Bottari – che ha curato la ricchissima biblioteca dei Corsini e percorre tutta la carriera in tema di libri a Roma fino a divenire primo custode della Vaticana sotto Benedetto XV – crea una rete di scambi di volumi tra biblioteche italiane e straniere che serve soprattutto all’obiettivo della battaglia per il rinnovamento religioso. La studiosa giunge addirittura alla conclusione che quando, alla morte di Giovanni Gaetano, questa struttura di corrispondenti si disintegra, l’intero giansenismo romano non può che scomparire.


Fig. 12) Antonio David, Ritratto del Cardinal Neri Corsini, 1730.
Fonte: Wikimedia Commons.


La Paolozzi aggiunge: “Abbiamo già visto l’interesse del Bottari e dei suoi amici per le diverse pubblicazioni che venivano a mano a mano alla luce; essi procurano di conoscerle, se è possibile, tutte: e quando non arrivano ad acquistarle direttamente per scarsezza di mezzi o per limitazione di copie, cercano di supplire con gli scambi. Questa diffusione del libro, considerato ottimo mezzo di educazione ed efficace arma di lotta, è caratteristica dell’attività dei giansenisti. Il Bottari, sollecitato pure dall’interesse dell’uomo colto per ogni genere di libri, si può dire che abbia i suoi agenti, i suoi informatori, i suoi intermediari in tutti i maggiori centri librari dell’Italia e dell’estero” [8]. 

Spesso delle opere gianseniste pubblicate all’estero vengono acquistate numerose copie, in modo che possano essere distribuite in tutta l’Italia. Giovanni Gaetano è davvero un intellettuale operativo: crea, sotto la sua protezione, legami tra librai romani e controparti in Francia, Olanda, Sassonia (grazie all’amico Giovanni Bianconi). È così che nascono – tra gli anni Quaranta e Cinquanta del Settecento – quei rapporti tra librai, intermediari ed esperti che sosterranno la raccolta delle lettere per i decenni successivi.


Fig. 13) Pietro Bracci, Busto di Benedetto XIV, 1750 circa
Fonte: Wikimedia Commons


Uno degli aspetti più rilevanti dello studio di Romana Palozzi, se applicato alla Raccolta, è il contributo dei giansenisti romani allo “studio della storia nelle fonti” che ha il compito di “ristabilire la verità della tradizione sulla testimonianza del documento, (…) ristabilire l’autorità del passato sulle arroganze e le intolleranze del presente, sgombrare il terreno dagli abusi e dagli arbitrî. Per la riabilitazione dei diritti dello Stato di fronte alla Chiesa, lo studio della storia diventa una forza rivoluzionaria” [9]. Le fonti storiche sono utilizzate per giustificare il ritorno a una Chiesa umile e pura, libera da ricchezze e corruzione, tutta intrisa di spiritualità. Lo studio delle fonti ecclesiastiche è, per Bottari, centrale fin dagli anni Trenta. Non può essere infine completamente ignorato che nel 1754 – anno di pubblicazione del primo volume della Raccolta di lettere – uno dei sodali più vicini a Bottari, ovvero Pier Francesco Foggini (1713-1783), anch’egli religioso giansenista, appassionato d’arte e archeologia nonché bibliotecario vaticano, inizia la pubblicazione di una raccolta di scritti di Sant’Agostino e di altri padri della chiesa sulla questione basilare per i giansenisti della colpa e del libero arbitrio (“S.Augustini De gratia Dei et libero arbitrio hominis et praedestinatione sanctorum opera selecta”), che si concluderà nel 1771 con l’uscita del settimo volume


Storia della Raccolta: da un volume (1754) a una raccolta decennale (1757-1768) e piratata (1773)

Fig. 14) Il frontespizio della raccolta di lettere curate da Giovanni Gaetano Bottari nell’edizione Barbiellini (1754 – fonte https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t40s19s1q;view=1up;seq=5) e il medesimo primo tomo ripubblicato nell’edizione Pagliarini (1757 - fonte: https://archive.org/details/raccoltadiletter01bott/page/n5)


La storia della Raccolta è quella di un progetto che nasce da un evento specifico nel 1754 (Bottari ha ormai 65 anni) e diviene un’impresa che accompagna gli ultimi decenni di vita di Giovanni Gaetano. Il monsignore ha accesso a un nucleo di materiali manoscritti grazie ai suoi contatti con un gruppo di eruditi toscani che lavorano a un progetto di raccolta di lettere già nei tardi anni Venti del secolo. A distanza di trent’anni Giovanni Gaetano si pone l’obiettivo di portare a termine quell’iniziativa, anche grazie alla disponibilità di altre lettere che ha trovato prima come addetto alla Biblioteca Corsini a Roma e poi come custode della Biblioteca Vaticana. L’edizione in volume unico, che presenta 203 lettere, è pubblicata a Roma presso le officine degli eredi Barbiellini, mercanti di libri e stampatori, ed esce assieme (come già spiegato) ai Dialoghi sopra le tre arti del disegno, pubblicati dal monsignore a Lucca.


Fig. 15) Giovanni Paolo Panini, Benedetto XIV Lambertini e il cardinale Silvio Valenti Gonzaga, 1750-1760 circa.
Fonte: http://www.museodiroma.it/it/opera/benedetto-xiv-lambertini-e-il-cardinale-silvio-valenti-gonzaga


L’opera è dedicata a Silvio Valenti Gonzaga (1690–1756), Segretario di Stato di Benedetto XIV. La dichiarazione di conformità della Raccolta con le regole del Sant’Uffizio per la pubblicazione è firmata dal Bottari stesso il 29 giugno 1751 (è in realtà l’unico luogo del volume in cui compare il suo nome, secondo una pratica che Bottari ha già utilizzato in altre sue opere). L’intervallo fra autorizzazione alla stampa ed effettiva pubblicazione dura, quindi, tre anni e lascia intravedere problemi con il lavoro degli stampatori  (che in quegli anni comprende anche la raccolta preventiva di sottoscrizioni da parte del pubblico interessato, a cui vengono inviate in anteprima le prime pagine del testo, in modo tale che gli interessati possano decidere se ordinare il volume, anticipando il pagamento). In una lettera di Luigi Crespi a Bottari del 4 aprile 1753, del resto, pubblicata anni dopo nel Tomo IV della Raccolta, si fa riferimento proprio ai ritardi dei Barbiellini [10].

L’introduzione recita testualmente: “L’utile, che si può trarre da queste Lettere, non è solamente di venire in cognizione di varie cose appartenenti alle vite di molti celebri Professori, che pure da se solo sarebbe molto notabile, e da desiderarsi; ma anche se ne possono ricavare molti precetti appartenenti alle tre belle Arti, e molta storia delle loro famose opere, e il modo d’ordinarle, e disporle, e il significato di esse, e la maniera di rappresentare molte figure ideali, e diverse invenzioni, e concetti morali, e poetici; il che può  essere di ajuto, e di lume agli artefici nel condurre a perfezione le loro opere” [11]. L’ambizione, quindi, non è tanto quella è di cogliere nelle lettere testimonianze private sulla biografia degli artisti, ma di avviare sulla loro base una ricerca su aspetti teorici – anche normativi – dell’arte nel corso del tempo, ricerca che possa essere utile anche agli artisti contemporanei. Va detto che, francamente, quest’obiettivo non è stato raggiunto: sono poche le lettere a poter essere d’insegnamento ad altri artisti su questioni estetiche.

E tuttavia, il successo deve essere grande. Per la prima volta il pubblico ha a disposizione una raccolta dove non si leggono le vite degli artisti raccontate da un loro collega (ad esempio il Vasari) o da autori di biografie, ma li sente parlare in prima persona. Segue dopo tre anni una nuova edizione della Raccolta, questa volta concepita in due tomi, che escono entrambi nel 1757 [12]. I due tomi del 1757 sono pubblicati non più dagli Eredi Barbiellini, ma da Niccolò e Marco Pagliarini [13]. Il cambio dell’editore non è solamente legato ai ritardi della prima edizione, ma probabilmente anche al ruolo che Bottari svolge come leader del giansenismo romano: gli eredi Barbiellini (che pur sono specializzati in pubblicazioni d’arte) sono infatti vicini ai gesuiti (i nemici storici del giansenismo), mentre la libreria/casa editrice Pagliarini offre uno strumento di diffusione internazionale delle più recenti pubblicazioni gianseniste in Europa [14].

La scelta di lettere nel primo tomo corrisponde esattamente a quella della Raccolta del 1754, anche se vi sono differenze tipografiche per le quali si passa da 328 a 339 pagine. Viene inoltre modificato il titolo, e alla dizione ‘professori’ viene sostituito il termine ‘personaggi’.

Il secondo tomo (che comprende meno lettere del primo –127 missive – ma si estende comunque per 321 pagine) esiste in due versioni, che si distinguono solamente perché una ha una breve introduzione di due pagine [15], mentre l’altra ne è priva (le pagine sono occupate da una vignetta calcografica con alcuni disegni ornamentali) [16]. Nell’introduzione Giovanni Gaetano spiega di aver avviato la produzione di un secondo tomo perché ha continuato a raccogliere lettere e molte altre ne ha ricevute in dono dai suoi corrispondenti. Il numero delle lettere ancora nelle sue mani è così ampio che annuncia la pubblicazione – appena possibile – di un terzo tomo. Chiarisce poi che ha deciso di includere non solamente trascrizioni da manoscritti inediti, ma anche lettere già contenute in testi a stampa talmente rari da rendere difficile la consultazione. Ad aiutare il lettore, il volume si conclude con un indice analitico molto dettagliato che include autori, temi e argomenti di entrambi i tomi.

L’annunciato terzo tomo [17] viene pubblicato nel 1759 (sempre da Niccolò e Marco Pagliarini). Il titolo viene semplificato: scompare il riferimento al fatto che le lettere siano state scritte dagli artisti e ci si limita a una Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura. Sparisce anche il riferimento temporale che limitava gli scritti al periodo tra 1400 (un secolo per la verità assai poco documentato) e 1600. In tal modo viene ulteriormente allargata la platea di mittenti che vengono inclusi nella Raccolta e si apre ai testi dei contemporanei. L’introduzione elenca in dettaglio la nuova e diversa provenienza delle ulteriori 227 lettere (che occupano ben 412 pagine): Giovanni Gaetano ha ricevuto infatti da amici e corrispondenti nuovi testi, e li ringrazia per la gara di generosità che fanno tra loro per contribuire alla prosecuzione dello sforzo editoriale. A differenza del volume precedente, gli indici posti alla fine del terzo tomo si riferiscono unicamente ai testi pubblicati in quell’occasione e non sono più integrati con quelli dei tomi precedenti. 


Fig. 16) A sinistra: Il frontespizio del quarto volume della Raccolta di lettere di Giovanni Gaetano Bottari. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t76t2114d;view=1up;seq=5 A destra: Il frontespizio del sesto volume della Raccolta di lettere. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t4wh44047;view=1up;seq=5;size=150


Quando pubblica il Tomo IV (1764) [18] Bottari ha ormai 75 anni. Per la prima volta l’imprimatur non risulta più concesso attraverso una procedura di autocertificazione (come in tutti i casi precedenti) ma con l’intervento dell’abate Prospero Petroni (1716-1785). Alcuni repertori bibliografici su internet per questa ragione, citano proprio Petroni come curatore del tomo (e di quelli seguenti). Ovviamente non è così.  Non si può tuttavia escludere – se non fu un semplice avvicendamento dovuto a questioni burocratiche – che a Petroni sia stata invece assegnata una funzione di controllo: nel 1761 Papa Clemente XIII ha avviato la sua offensiva teologica contro i giansenisti, e forse non si vuol lasciare a Bottari – che è il loro capo a Roma – la possibilità di ‘autocertificare’ il rispetto delle norme di fede. Qualunque sia il ruolo di Petroni, il Tomo IV ospita 240 lettere in 424 pagine, a cui si aggiunge un trattato rinascimentale del 1571 di Francesco Bocchi (1548-1613) su Donatello. Tuttavia, più del 90% delle lettere risale al Settecento e più di cento sono missive ricevute dal Bottari stesso. Nell’introduzione Giovanni Gaetano ringrazia in particolare il conte Giacomo Carrara a Bergamo (fondatore dell’Accademia Carrara) e il francese Pierre-Jean Mariette.

La presenza di Petroni come certificatore dell’opera continua con l’edizione del quinto (1766) [19] e del sesto tomo (1768) [20]. Quest’ultimo è pubblicato nella Stamperia di Pallade, che è comunque la casa editrice di Niccolò e Marco Pagliarini. Va ricordato che tra le due date il Bottari (nel 1766, ovvero a 77 anni) è colpito da un ictus, che gli impedisce di seguire direttamente la curatela del sesto volume. Il suo entusiasmo per la letteratura artistica rimane comunque intatto. La breve introduzione del quinto tomo (che presenta 175 lettere in 317 pagine) ignora il contenuto del tomo stesso, ma annuncia con eccitazione quasi giovanile la recente scoperta – grazie a uno scambio di informazioni tra Mariette e Zanotti, ovvero i suoi corrispondenti parigini e bolognesi – di "opuscoli" rarissimi (non si usa qui il consueto termine 'lettere') di Federico Zuccari; alla circostanza è attribuita tale importanza che Bottari si sbilancia (rivelando una certa ingenuità) e afferma che gli "opuscoli" occuperanno una posizione di rilievo nel tomo successivo (il sesto). Quel che l’introduzione non racconta è come sia prezioso il contributo che proprio il tomo quinto offre al lettore: un centinaio di lettere sono selezionate da Bottari, in forma antologica, setacciando raccolte a stampa di missive del Cinquecento e del primo Seicento, il più delle volte pubblicate a Venezia.  

Il sesto tomo (367 pagine, sia pur solamente per 55 lettere) contiene invece una lunga introduzione, scritta di nuovo in prima persona, per spiegare che (contrariamente a quanto sperato) né a Bologna né a Parigi vi sono lettere dello Zuccari; la responsabilità del malinteso è attribuita al Mariette. La tenacia dell’anziano Giovanni Gaetano gli ha tuttavia permesso di identificare tre testi a stampa di Zuccari in biblioteche fiorentine e veneziane: il primo (L’idea dei pittori, scultori e architetti, una trattazione in due libri) è interamente presentato nel sesto tomo della Raccolta; il secondo (Il passaggio per Italia) viene programmato per essere pubblicato nel settimo tomo (in preparazione) e il terzo (trattandosi di uno scritto sulle feste organizzate a Parma in onore dell’Infanta Margarita di Savoja) è invece scartato in quanto non consono con la Raccolta. Come ci informa Simonetta Prosperi Valenti Rodinò in un articolo su Le lettere di Luigi Crespi a Giovanni Gaetano Bottari nella Biblioteca Corsiniana, l’anziano Giovanni Gaetano incarica il conte Giacomo Carrara di ultimare la preparazione del settimo volume; quest’ultimo non si rivolge al consueto editore Pagliarini a Roma, ma contatta un editore bergamasco [20 bis].

Fig. 17) Il frontespizio del Tomo VII (fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t9r22gt03;view=1up;seq=5;size=150) e l’Imprimatur di Prospero Petroni (fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t9r22gt03;view=1up;seq=214;size=150 )


Nel 1773 viene sì pubblicato un settimo tomo [21], ma non è quello affidato da Bottari al conte Carrara. In realtà, si tratta di un volume curato dal pittore (e canonico) Luigi Crespi (1708-1779), che di Bottari è stato già per alcuni anni uno dei principali corrispondenti. Autorizzato, come di consueto, da Prospero Petroni, non contiene nulla di quanto promesso nel sesto volume.

Giovanni Lodovico Bianconi (1717–1781), che per la verità è nemico giurato di Crespi [22], descrive quest’ultimo volume come un’edizione pirata in un articolo da lui pubblicato sulle Effemeridi Letterarie di Roma nel 1773, un nuovo giornale letterario fondato quell’anno proprio dal Bianconi. “Il valoroso Mons. Bottari, fin dal 1754 si diede a pubblicare varie lettere pittoriche scritte da celebri professori, o dilettanti antichi, e moderni, ed ha condotta una sì bella raccolta sino al tomo sesto felicemente. I molti materiali da lui preparati per la continuazione, da noi più volte veduti, ci assicuravano di leggere quanto prima il seguito di quest’opera tanto utile, e dilettevole. Ma quale maraviglia non fu la nostra vedendo all’improvviso gli stessi giorni comparire colle stampe del Pagliarini un settimo tomo delle lettere pittoriche compilato dal sig. Canonico Crespi Bolognese, noto pel suo terzo tomo della Felsina Pittrice, e per  la Certosa descritta nelle sue pitture? Parecchi amatori delle belle arti bramarono sentire, se Monsig. Bottari avava [sic] data questa commissione al sig. Canonico, o almeno la permissione di mettere in questa messe la sua falce. Io non ne so nulla, disse il dotto Prelato, anzi mandò pel libro con somma curiosità, non avendolo mai veduto. Lo lesse, e richiesto, se si avesse a male di questa burla, egli, che è sempre un po’ frizzante nelle sue risposte, rispose che no, ma che si avrebbe molto a male, se egli ne fosse stato l’autore” [23].     
Fig. 18) La stroncatura del settimo tomo della Raccolta di lettere, pubblicata da Bianconi nelle Efemeridi Letterarie di Roma del 2 ottobre 1773.
Fonte: https://books.google.de/books?id=wG5UAAAAcAAJ&printsec=frontcover&hl=it&
source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false


In verità il testo polemico di Bianconi crea l’impressione sbagliata che Crespi e Bottari non si fossero frequentati. Nulla di più falso. Una recente pubblicazione su Crespi di Giovanna Perini Folesani [23bis] rivela che il carteggio fra i due comprende almeno 212 lettere, di cui 157 di Crespi a Bottari e 55 in direzione opposta. Il carteggio 'reale' si estende almeno dal 1751 al 1770. Delle 212 lettere, solamente 38 sono pubblicate nella Raccolta (36 di Crespi e 2 di Bottari). Con riferimento alle sole missive pubblicate, la prima lettera di Crespi a Bottari, inserita nel Tomo II del 1757, risale già al 1751 (nello stesso tomo sono pubblicate tre sue lunghe prolusioni, in forma di lettera inviata a Giovanni Gaetano, su Bellori e Vasari, a proposito della preminenza tra Raffaello e Michelangelo); nel Tomo III le lettere di Crespi salgono a quattro; includono due lunghe discussioni sulle tecniche di restauro indirizzate nel 1756 a Francesco Algarotti e una bella biografia del padre pittore Giuseppe Maria, inviata a Bottari, del 1757; nel Tomo IV il numero di lettere di Crespi a Bottari esplode (sono ben 32) e documenta i loro rapporti negli anni 1751-1760  (con continui invii reciproci di stampe e medaglie). In una lettera del 16 ottobre 1751 si apprende che il canonico bolognese è uno dei primi a essere informato dei preparativi in atto per la stesura della futura Raccolta del 1754 e a complimentarsene con Giovanni Gaetano. Lo stesso giorno Crespi comunica il progetto all’anziano pittore ed erudito bolognese Giampietro Zanotti (1674-1765), creando in tal modo – per Bottari – un altro dei legami di corrispondenza più utili per raccogliere informazioni sulla scuola bolognese. Crespi avvisa Giovanni Gaetano del suo imminente viaggio a Dresda (1752-1753), gli invia una lettera da Vienna sulla biblioteca imperiale che ha appena visitato (dicembre 1752), il 4 aprile 1753 gli comunica il proprio progetto di scrivere il proseguimento della Felsina Pittrice di Malvasia, il 3 settembre 1757 lo ringrazia per aver ricevuto il secondo tomo della Raccolta, nel novembre dello stesso anno aiuta Bottari a contattare gli eredi Manolessi per cercare i vecchi rami della loro edizione delle Vite del Vasari e nell’ottobre 1759 lo informa dello stato di avanzamento del terzo tomo della Felsina. Il rapporto epistolare diretto s’interrompe nel 1760: la Raccolta non ospita più lettere tra i due nei Tomi V e VI (né vi compaiono scambi epistolari tra Crespi e altre persone), se non un breve testo a Bottari del 1766 (Tomo V). Sappiamo dal già citato articolo di Simonetta Prosperi Valenti Rodinò che, in realtà, la corrispondenza continua, ma che Bottari non la include più nella Raccolta. Ad esempio, Crespi gli invia nel 1764 una lunga lettera-trattato sull’Essay on the theory of painting di Jonathan Richardson (1665-1745). Lo stesso anno Crespi invia a Bottari un’altra lettera (anch’essa inedita) per commentare le disposizioni testamentarie in morte dell’Algarotti, e un’altra ancora nel 1765 in occasione della scomparsa dello Zanotti. [23 ter] Quest’ultima lettera contiene toni polemici perché Bottari non risponde più in modo regolare. Tornando alla Raccolta, nel 1765 Bottari fa un’affermazione molto criptica su Crespi a Mariette, a proposito dello stato di avanzamento dei lavori del terzo volume della Felsina Pittrice: “Credo anch’io, che non avremo così presto, come tutti desiderano, le Vite de’ pittori Bolognesi, perché il sig. canonico Crespi è molto occupato” [24]. Sta di fatto che lettere tra Bottari e Crespi ricompaiono solamente nel Tomo VII (curato da Crespi) e sono datate 1770. Anche considerando il carteggio inedito, non sembra esservi più stato alcun rapporto epistolare tra 1766 e 1770. 


Fig. 19) Luigi Crespi, Autoritratto, 1775.
Fonte: Wikimedia Commons
  
Quali conclusioni trarre? Mi limito qui a formulare interrogativi a cui possono certamente essere date risposte diverse. I due si sono scritti anche tra 1760 e 1770, e le lettere sono semplicemente andate perse? Si può invece ipotizzare che l’amicizia si sia spezzata, che Bottari abbia volontariamente escluso Crespi dai volumi successivi della Raccolta e che quest’ultimo si sia vendicato nel 1773 con un’edizione pirata, ovvero con una vera e propria impostura? Davvero, nel 1773 l’ottantaquattrenne Bottari nulla sa dell’intenzione del sessantacinquenne pittore bolognese di realizzare in proprio il settimo tomo della Raccolta, come scrive Bianconi? E come mai non viene informato né dall’editore Pagliarini, con cui ha un rapporto molto intenso da molti anni, né da Prospero Petroni, che autorizza i tre precedenti tomi? Oppure il livello d’impostura è tale che il tomo è stato stampato da altri e mai autorizzato ufficialmente? Il carteggio inedito di Bottari contenuto nella Biblioteca Corsini ci offre qualche indizio. In primo luogo, Bottari in realtà è informato di quel che sta succedendo fin dall’aprile 1772, un anno prima della pubblicazione, da Crespi stesso. Il Monsignore scrive allora subito al conte Carrara, a cui aveva affidato la cura del settimo volume, per chiedergli di sospendere immediatamente la pubblicazione così come prevista: ne approfitta per sfogarsi e rivelare la sua sorpresa che non solamente Crespi, ma anche l’editore Pagliarini lo abbiano tenuto all’oscuro fino a quel momento [24 bis]. .

Come si giustifica l’editore? In una dichiarazione dello stampatore al pubblico, inserita all’inizio del Tomo VII afferma che i lettori chiedono a gran voce l’uscita di un nuovo tomo e che dunque l’editore si è mosso “a farne istanza a così degno Letterato; ma con mio sommo rammarico non ho potuto conseguire ciocchè domandava, essendo Egli occupato in altri studi più seri, e certamente più proficui; onde ho dovuto rivolgermi ad un insigne Pittore, e Scrittore forestiere, voglio dire al Gentilissimo Signor Canonico Luigi Crespi Bolognese, il quale dopo d'aver continuata la Felsina Pittrice del Malvasia, e pubblicata co' miei torchi, s’è compiaciuto ancora di mandarmi alcune Lettere, parte da esso scritte, e poche d'altri Autori. Non volendo dunque defraudare il comune desiderio, né aspettare, che il Volume giungesse alla mole degli altri, con tutta la sollecitudine le ho date alle stampe, e sicuro d’incontrare il vostro gradimento ve lo presento” [25]. Dunque l’iniziativa dell’opera sarebbe dello stampatore (Pagliarini), e l’incarico a Crespi sarebbe riconducibile al rifiuto di Bottari di continuare l’opera.

Certamente, in rapporto agli altri volumi editi da Pagliarini, alcuni aspetti particolari fanno del Tomo VII un’opera meno curata e forse prodotta in gran fretta. In primo luogo, a differenza di tutti quelli precedenti, il volume non è dedicato a nessuna personalità (e dunque non vi è il consueto testo introduttivo a firma dei Pagliarini rivolto a un individuo preciso, e destinato a tesserne le lodi nella speranza di ottenere un qualche supporto finanziario). In secondo luogo, il fregio nel frontespizio è esattamente uguale a quello di una pubblicazione di Bottari del 1748, ovvero le Lezioni tre sopra il tremoto, ma è anche usato dai Pagliarini per altri titoli (ad esempio, la Descrizione d’un feto umano di Giovanni Sorbi del 1749).

Fig. 20) Il frontespizio del Tomo VII della Raccolta (a sinistra – 1773. Fonte: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t9r22gt03;view=1up;seq=5 ), confrontato con i frontespizi del testo di Bottari sul terremoto (al centro - 1748. Fonte: https://pictures.abebooks.com/TRUEWORLDOFBOOKS/22789376797.jpg) e con quello di Giovanni Sorbi sul feto umano (a destra – 1749. Fonte: https://books.google.de/books?id=YitVAAAAcAAJ&printsec=frontcover&hl=it). Si tratta in tutti i casi di pubblicazioni della casa editrice Pagliarini.


Siamo dunque in presenza di una combutta tra Crespi e Pagliarini. Il primo forse si sente tradito da Bottari, che non pubblica più da anni le sue lettere nella Raccolta. Il secondo ha forse avuto sentore che un settimo volume è in preparazione e che sarà affidato non a lui, ma ad un concorrente fuori Roma. Del resto, il concetto di correttezza professionale in quegli anni era soggetto a interpretazione e Bottari stesso, come vedremo, era stato a volte molto disinvolto nel pubblicare le ‘sue’ lettere.

Sappiamo anche – come scrive Serenella Rolfi Ožvald [26] – che, quando cinquant'anni dopo, nel 1825. il Ticozzi pubblicò una nuova versione della Raccolta, trovò le lettere che erano in mano al Bottari, pronte per la stampa della sua edizione del Tomo VII, e che videro la luce solo allora. Dunque, né Crespi né Pagliarini avevano accesso all’archivio di Bottari. Certo, il numero dei documenti che Crespi può raccogliere nell’ultimo tomo della Raccolta è molto limitato: solamente sedici lettere e due lunghi testi non epistolari per 206 pagine, di cui più di una buona metà sono dello stesso pittore bolognese. Si tratta dunque, in gran parte, di una pubblicazione di suoi scritti.


Emuli e traduttori (1817-1857)

L’elogio mortuario di Bottari, pubblicato nel 1775 dal già citato Giovanni Ludovico Bianconi sull’Antologia Romana [27], cita – sia pur brevemente – la Raccolta, ponendola in relazione sia con i Dialoghi sopra le tre arti del disegno sia con l’edizione delle Vite del Vasari [28], ma anche facendo riferimento alla continua attività di Giovanni Gaetano come corrispondente epistolare non solamente con artisti ed esperti d’arte, ma anche con studiosi di ogni genere [29].

Serenella Rolfi Ožvald ha recentemente dimostrato come la raccolta di Bottari sia considerata a partire dal primo Ottocento una fonte autorevole per lo studio della storia dell’arte. “Già nel 1821 il Catalogo di libri d’arte di Leopoldo Cicognara aveva registrato l’utilità della Raccolta e delle lettere d’artista in quanto strumenti utilizzati senza indugio nei cantieri della storia dell’arte. Nella Storia pittorica della Italia di Lanzi [nota di redazione: del 1795-96] la Raccolta ricorre almeno 45 volte come fonte circostanziale, o di giudizio di valore” [30].    

Fig. 21) A sinistra: La traduzione in francese della Raccolta del Bottari, pubblicata da Louis-Joseph Jay nel 1817. Fonte: https://archive.org/details/recueildelettre00unkngoog/page/n4. A destra: Il primo degli otto volumi dell’edizione delle lettere di Bottari, curata e continuata da Stefano Ticozzi nel 1821. Fonte: https://archive.org/details/diletteresulla07bott/page/n5

Nel 1817 viene pubblicata una traduzione francese. Ne è autore Louis-Joseph Jay (1755-1836), professore di disegno a Grenoble. La versione di Jay è ridotta a un solo volume. Nell’introduzione Jay chiarisce di aver voluto ridurre i sette volumi a dimensioni più gestibili dai lettori (in tutto, la versione francese presenta 338 lettere in 667 pagine), eliminando tutte le epistole di autori minori ma anche integrando la raccolta con nuove lettere (soprattutto d’ambiente francese).

Nel 1822 Stefano Ticozzi (1762-1836), uno studioso che si dedica all’arte in tarda età dopo aver svolto un ruolo importante nell’amministrazione napoleonica in Italia e aver sofferto l’epurazione, riprende in mano i volumi di Bottari e pubblica la Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura scritte da' più celebri personaggi dei secoli XV, XVI, e XVII che, come scritto nel frontespizio, è presentata come pubblicata da M. Gio.Bottari e continuata fino ai nostri giorni da Stefano Ticozzi [31]. La serie viene estesa da sette ad otto volumi, l’ultimo dei quali compare nel 1825. Mi pare importante sottolineare che Ticozzi ripubblica il settimo volume (ovvero l’edizione-pirata di Crespi) come facente parte a tutti gli effetti del progetto bottariano. Un’edizione anastatica dell’edizione Bottari-Ticozzi del 1822-1825 viene pubblicata dall’editore tedesco G. Olms nel 1975 e da quello italiano A. Forni nel 1979.

Fig. 22) A sinistra: Johann Wilhelm Gaye, Il Carteggio inedito d’artisti dei secoli XIV, XV e XVI pubblicato a Firenze nel 1839. A destra: la prima edizione delle Lettere d’artista di Ernst Guhl, pubblicate a Berlino nel 1853

La storia della fortuna della Raccolta di Bottari non può ignorare le Lettere d’artisti di Ernst Karl Guhl (1819-1862), uno studioso berlinese che pubblica nel 1853 e nel 1857 due volumi di testi in gran parte tradotti dalla collezione di Bottari-Ticozzi, ma anche da quelle successive di Gaye (che ricerca lettere dei primitivi e della prima fase del Rinascimento, riempiendo una lacuna lasciata aperta da Bottari) e Gualandi (che vuol invece integrare la collezione di pittori bolognesi).


Giovanni Gaetano Bottari e la sua corrispondenza personale in materia d’arte

Che cosa possiamo imparare sulla vita e gli interessi di Giovanni Gaetano Bottari leggendo i sette volumi della Raccolta (incluso quella curato da Crespi)? Non a caso, secondo Julius von Schlosser, si tratta di uno degli aspetti più interessanti della Raccolta. Ecco quello che egli scrive nella sua Letteratura artistica del 1924, per la verità rivelando qualche imprecisione sui numeri: “Per la massima parte dei volumi domina l’attivissima corrispondenza del Bottari stesso con artisti e conoscitori del suo tempo [32].

Nei sei tomi tra 1754 e 1768 troviamo 158 testi ricevuti da Giovanni Gaetano e 13 da lui spediti; ad essi si aggiungono sei missive nel Tomo VII del 1773. Si tratta dunque di un numero limitato, ma non marginale, rispetto alle 1027 lettere complessive (superiore al dieci per cento). L’autore ha dunque utilizzato questo strumento (soprattutto nel 1764, quando inserisce nel Tomo IV 119 lettere a lui inviate o da lui spedite) anche per documentare i propri rapporti epistolari con una serie di corrispondenti: in ordine quantitativo decrescente, si tratta di Pierre-Jean Mariette (in totale, il più continuo, con 50 lettere da lui ricevute e quattro a lui spedite nei primi sei tomi), Luigi Crespi (36 lettere ricevute e 2 spedite), Giampietro Zanotti (rispettivamente 20 e 4 testi), Giovanni Poleni (17 lettere ricevute),  Tommaso Temanza e Giacomo Carrara (in entrambi i casi, 7 lettere ricevute), Carlo Giuseppe Ratti (5 lettere ricevute) e Giovan Battista Ponfredi (3 lettere inviate). A essi vanno aggiunti altri undici corrispondenti con cui lo scambio epistolare si limita a una sola occasione.

Leggendo il carteggio artistico di Bottari, la prima impressione è che egli abbia voluto tener ben distinti i suoi campi d’azione. O le lettere sono state emendate oppure Bottari non scriveva mai di altro ai propri corrispondenti in materia artistica. Nelle missive scritte a Bottari e nelle sue non vi sono mai riferimenti (se non del tutto marginali) alla conduzione della Chiesa, al suo rapporto con i tre papi che ha servito (Clemente XII, Benedetto XIV e Clemente XIII) o all’amministrazione delle biblioteche in Vaticano. Il lettore ha a che fare con il carteggio di un appassionato d’arte e di letteratura artistica, che scrive soprattutto di incisioni, pittura e lettere d’artisti. L’accenno più rilevante agli ‘odiati’ gesuiti è in una lettera del Mariette del dicembre 1758, in cui si critica un restauro del Pantheon da loro promosso [33]. In nessun caso ho trovato riferimenti al giansenismo né a questioni religiose.

A differenza di quanto sarebbe probabilmente accaduto nel secolo precedente, nonostante Bottari sia uomo di chiesa, la sua preoccupazione maggiore non è quella di censurare la nudità delle immagini o di ragionare sull’appropriatezza teologica delle composizioni iconografiche. En passant, vorrei anzi citare le lettere pubblicate nel Tomo IV in cui riceve richieste da Pierre-Jean Mariette (1756) e Luigi Crespi (1757) a proposito di stampe ‘lascive’ (di fatto, erotico-pornografiche) di Marcantonio Raimondi (con Mariette) e di Agostino Carracci e Giulio Romano (con Crespi). Nonostante il suo giansenismo, l’abate non ha paura di confrontarsi con il libertinismo francese e di farlo sapere pubblicando le relative lettere.


Fig. 23) Marcantonio Raimondi, Scena erotica, dopo il 1524.
Fonte: Wikimedia Commons.

Ovviamente, le lettere collezionate e pubblicate riflettono sempre l’atmosfera del tempo (e alcune, tra Cinque e Seicento, sono imbevute di spirito controriformato), ma non sembra proprio che Bottari abbia cercato di compilare (sia per il presente sia per il passato) una storia antologica dell’arte orientata a temi teologici ed ecclesiastici.

In genere, si ha l’impressione di un uomo libero e tollerante in materia d’arte. Nelle lettere non ho letto vere e proprie stroncature di opere d’arte né censure, e sembra quasi che egli si muova in un mondo che considera generalmente bello (vi sono invece opinioni più forti, anche se mai estreme, nei suoi Dialoghi sopra le tre arti del disegno del 1754). Ciò non significa che Giovanni Gaetano non sia capace di porre in dubbio le tradizioni consolidate di pensiero. Interessante, ad esempio, come in uno scambio con Zanotti del 1758 (Tomo III) egli cerchi di ricucire il dialogo tra sostenitori di Vasari e Malvasia, semmai facendo il rilievo che il Malvasia non ha sufficientemente dato merito ai primitivi bolognesi (da Vitale da Bologna a Francesco Francia). Si è già detto come egli sia d’estrazione toscana (molto evidente nella scelta degli scritti di epoca rinascimentale, ad esempio nella prima parte della versione della Raccolta pubblicata nel 1754), ma è chiaro il suo interesse non solamente per il mondo bolognese carraccesco, tipico nell’età del classicismo Romano e durante il papato di Benedetto XIV Lambertini, ma per gli sviluppi dell’arte a Parigi e nel mondo veneto (Venezia e Bergamo).

Quest’impressione di libertà è confermata dal fatto che Bottari si preoccupa (come vedremo con più attenzione in seguito) di pubblicare nella sua Raccolta le biografie di Giuseppe Maria Crespi (1665-1747) e Marco Benefial (1684-1764), nella forma di due pseudo-lettere che contengono la descrizione della loro vita e opere, inserite rispettivamente nel Tomo II e nel Tomo V. Ebbene, quel che è comune ai due artisti è l’asprezza dei loro rapporti rispettivamente con l’Accademia Clementina e l’Accademia di San Luca. Insomma, Giovanni Gaetano vuole includere anche testimonianze su quelli che oggi verrebbero chiamati outsiders

Fig. 24) A sinistra: la lettera di Mariette agli autori della Gazette littéraire de l'Europe il 4 novembre 1764 (Fonte: https://books.google.fr/books?id=lchMAAAAYAAJ&printsec=frontcover&hl=fr#v=twopage&q&f=false). A destra: la medesima lettera pubblicata da Bottari nel Tomo V della Raccolta (1766). Fonte: https://archive.org/details/raccoltadilette05bottgoog/page/n315.


Un’altra prova di libertà intellettuale riguarda la pubblicazione di una lettera di Pierre-Jean Mariette agli “Autori della Gazette littéraire de l'Europe” nel Tomo V della Raccolta. Si tratta di un testo già pubblicato in Francia nel 1764 e tradotto per l’occasione in italiano. Il nucleo della missiva ha come oggetto una polemica pubblica tra due amici di lunga data di Bottari: Mariette da un lato e Giovanni Battista Piranesi (1720- 1778) dall’altro. Ebbene, Bottari non ha paura di tradurre il testo in modo che sia accessibile al pubblico di lingua italiana. Sappiamo comunque da Lola Kantor-Kazovsky che Bottari ha ripulito altri brani del carteggio con Mariette, addolcendo una serie di affermazioni molto dure dello studio francese su Piranesi, in tal modo attenuando i termini frontali dello scontro tra i suoi amici [34].


Fig. 25) Pietro Labruzzi, Ritratto postumo di Giovanni Battista Piranesi, 1779.
Fonte: Wikimedia Commons.

L’unico caso di autocensura documentato nella Raccolta (Tomo IV) riguarda i Carracci. Pierre-Jean Mariette chiede a Giovanni Gaetano, il 24 dicembre 1758, perché non pubblichi tutti gli scritti dei Carracci che ha trovato nella Biblioteca Vaticana. In nota a piè di pagina di quella lettera quest’ultimo scrive: “Quelle note del Carracci, senza sapere quale sia de’ tre più famosi, si trovano manoscritte nella libreria Vaticana, ma sono brevissime, e non contengono altro che strane mordacità” [35]. Nella Raccolta ne vengono inserite assai poche.


Che cosa manca nella Raccolta?

Mi sembra infine utile menzionare quel che non si legge nella Raccolta.

In primo luogo, ho trovato assai poco sull’antichità classica: è un tema su cui Bottari ha in realtà lavorato a lungo nella sua vita (scrivendo testi importanti – come abbiamo già detto – sia sulla Roma sotterranea sia sui Musei Capitolini) ed è a mio giudizio assai probabile che egli abbia avuto rapporti frequenti sia con gli alti prelati che si occupavano di conservazione delle opere d’arte sia con i grandi collezionisti romani. Per la precisione, l’unico riferimento nella Raccolta all’antichità classica è contenuto in un nucleo di lettere nel Tomo V, pubblicato nel 1766 (e dunque dodici anni dopo l’avvio dell’impresa). Il tema è in particolare trattato in una lettera di Bottari a Mariette del 16 ottobre 1765, dove egli parla delle tavole dell’incisore Giuseppe Vasi (1710-1782) per il Museo Capitolino [36], ma anche della pubblicazione del quarto tomo de Le Antichità di Ercolano Esposte a Napoli e delle incisioni di tema archeologico del pittore neoclassico inglese Gavin Hamilton (1723-1798). Vi sono anche alcune altre lettere scambiate tra Hamilton e il pittore Ignazio Enrico Hugford (1703-1778), uno dei sostenitori storici della Raccolta. È di quell’anno anche la pubblicazione nella Raccolta del testo di Mariette in polemica con Piranesi, appena citato.


Fig. 26) Il frontespizio de Le Antichità di Ercolano Esposte, 1757. Fonte: Wikimedia Commons


Insomma, il Tomo V offre uno scorcio, sia pur limitato, del consolidamento del primo neoclassicismo a Roma e delle difficoltà che esso incontra. Se si considera il ruolo giocato direttamente da Bottari per valorizzare il patrimonio archeologico romano da un lato e l’interesse spasmodico per la scoperta dell’archeologia a Pompei ed Ercolano in quegli anni dall’altro, la valutazione dei moderni sull’antichità è tuttavia un tema tutt’altro che centrale nella Raccolta.

Quel che mi sembra inoltre necessario sottolineare è che anche questi scambi epistolari avvengono con controparti lontane da Roma (soprattutto con Mariette a Parigi). Non vi è una sola lettera di ambito romano sul mondo antico (ad esempio, non vi è nessun scambio tra Bottari e Piranesi, che pur erano in ottimi rapporti, o tra Bottari e il Cardinale Albani e il suo circolo). Il fatto di vivere nella stessa città non può certo escludere che Bottari abbia ricevuto o inviato loro lettere. È invece probabile che, nel suo piano di raccolta di lettere di artisti, egli abbia inteso fare una differenza netta tra il classicismo stilistico del Cinquecento-Settecento (al centro del suo interesse nella Raccolta) e quello originario del mondo antico, escludendo ogni cosa che si riferisca alla Roma antica.

A questo proposito, un’altra assenza importante (lo si è già anticipato, almeno in parte) è proprio quella di lettere di Anton Raphael Mengs (1728–1779) e Johann Joachim Winckelmann. Stiamo parlando dei maggiori esponenti del primo neoclassicismo, il cui impatto sull’estetica del tempo è formidabile. Winckelmann è citato a partire dal 1764 (lettera 238, Tomo VI) in una lettera di Mariette a Bottari, ma non vi sono suoi testi. Non per caso Stefano Ticozzi avverte la necessità, nella sua edizione rinnovata della Raccolta del 1822 (Volume VI), di inserire lettere di entrambi, avvertendo come la loro assenza fosse davvero singolare.


Fig. 27) Pompeo Batoni, Autoritratto, 1773-1787.
Fonte: Wikimedia Commons

Manca anche (ed è un’assenza ancor più importante) ogni scambio epistolare di Bottari con gli artisti che lavorano a Roma. Si pensi, ad esempio, a un altro toscano come Pompeo Batoni (1708-1787), che Bottari deve aver frequentato, anche se forse era troppo vicino ai Gesuiti, avendo operato in diverse loro chiese, per essere nella sua cerchia più intima. Certo, Batoni (che era una vera e propria celebrità nella Roma di metà Settecento) è citato nella Raccolta, ad esempio in due diverse lettere del ritrattista bergamasco Bartolo Nazari (1757) e di Pierre-Jean Mariette (1764), entrambe pubblicate nel Tomo IV. L’unico caso in cui la Raccolta documenta una vicenda d’arte romana riguarda lo scambio di lettere di Bottari con un pittore minore (Giovanni Battista Ponfreni, 1715-1795) che si occupa di scrivere lettere biografiche (pubblicate nel Tomo V) sulla vita del suo maestro Marco Benefial (1684-1764), che nella città eterna si era fatto per decenni la fama di enfant terrible ed era appena scomparso. Con quest’eccezione, l’assenza di missive di ambito romano (è davvero possibile che Bottari e gli artisti romani non si siano mai scritti, anche se vivevano nella stessa città?) non sembra certo fortuita.  

Poco si legge infine sulle vicissitudini della vita di Curia (con l’eccezione forse di una lettera di Crespi che intende ‘comprare’ la propria nomina a ‘Cappellano segreto’ con una tavola del Perugino da regalare al Segretario di Stato nel maggio 1751).

Fig. 28) Marco Benefial, Autoritratto, 1731.
Fonte: Wikimedia Commons

Il ruolo dei corrispondenti

La maggioranza del carteggio di Bottari (comprese alcune lettere molto estese) si concentra su scambi d’informazioni tra esperti legate al desiderio di collezionare incisioni e disegni, e dunque documentano soprattutto il gusto dell’epoca. È il caso soprattutto della corrispondenza con Mariette, un vero e proprio segugio, perennemente alla ricerca d’immagini da far incidere (per inserirle in collezioni di stampe da vendere al pubblico, secondo il modello inaugurato da Crozat, per tenerle nella propria collezione o, infine, per diffondere le opere d’arte italiane nei circoli d’arte francesi). Con l’anziano Antonio Maria Zanotti, invece, lo scambio delle informazioni è centrato principalmente su pregi e difetti degli autori di letteratura artistica: Vasari, Malvasia, Orlandi e molti altri. La lettura degli scritti d’arte è stata, insomma, parte importante del tempo speso sia da Bottari sia dai suoi corrispondenti su questioni artistiche.

Il ruolo dei corrispondenti nella Raccolta, in realtà, è molto superiore a quello di ‘semplici’ mittenti o destinatari delle lettere scambiate con Bottari. Il numero di testi comunque a loro riconducibili (nel senso che sono loro ad aver scovato le lettere sia nella corrispondenza personale sia in archivi e biblioteche locali e ad averle passate a Giovanni Gaetano) è altissimo. In tal modo essi hanno contribuito a creare un tessuto epistolare molto denso, al di là dei rapporti bilaterali.

Bottari conosce indirettamente Mariette grazie alle relazioni di quest’ultimo con il mondo toscano dell’arte già vent’anni prima, relazioni documentate nel carteggio tra Mariette e Francesco Niccolò Maria Gabburri a partire dal 1731. In un primo tempo Giovanni Gaetano ha probabilmente accesso al carteggio di Gabburri (pubblica più di 50 lettere a lui riferibili nel Tomo II, incluse molte missive non solamente di Mariette, ma del veneziano Antonio Maria Zanetti il vecchio, dell’inglese John Molesworth, del francese Pierre Crozat e di molti altri). La corrispondenza diretta con Mariette e Crespi sembra avviarsi intorno al 1750, quando la Raccolta è in preparazione, ed è probabilmente giustificata, all’inizio, dalla ricerca d’informazioni sulla vita e le opere degli artisti.


Fig. 29) Rosalba Carriera, Autoritratto col ritratto della sorella, 1715.
Fonte: Wikimedia Commons.

Se le origini della Raccolta sono toscane e risalgono alla prima parte degli anni Trenta del Settecento, il rapporto di Bottari con Mariette dagli anni Cinquanta in poi è fondamentale. Il francese ha infatti da decenni contatti non solamente (ed è ovvio) con gli ambienti parigini (Crozat, ma anche il conte di Caylus), ma anche con quelli fiorentini, romani, veneziani e bolognesi, ed è molto generoso nel rendere le sue lettere disponibili a Giovanni Gaetano. Per citare alcuni pezzi pregiati nella Raccolta, appartengono ad esempio al carteggio di Mariette le bellissime lettere che a lui invia la pittrice veneziana Rosalba Carriera sin dal 1722 (Tomo IV) e le riflessioni da lui indirizzate al Conte di Caylus nel 1730 su Leonardo da Vinci (Tomo II). Quest’ultimo è comunque in realtà un testo già pubblicato a Parigi nella Gazette littéraire de l’Europe, di cui Bottari fornisce dunque una traduzione italiana. Non credo che l’amplissima corrispondenza con Mariette fosse tutta scritta in un italiano impeccabile: è dunque probabile che Giovanni Gaetano l’abbia tradotta, in tal modo assolvendo quindi anche a una funzione di ‘mediazione culturale’ tra differenti aree linguistiche.

Importante anche il triangolo Bottari-Crespi-Zanotti, ovvero i rapporti con i bolognesi Luigi Crespi, di vent’anni più giovane di Giovanni Gaetano, e Giampietro Zanotti (1674-1765) che di Bottari è invece più anziano di vent’anni e fa ingresso nella Raccolta già in tarda età, continuando a corrispondere per lettera fin quasi fino alla morte, sopraggiunta a novantun anni (le ultime lettere compaiono nel Tomo VI e risalgono al 1764). Il triangolo documenta dunque la capacità di dialogo tra esponenti di tre generazioni diverse. Abbiamo appena detto come nel 1751 Crespi venga a sapere del progetto della pubblicazione della Raccolta; ne informa allora l’anziano Zanotti (che era già corrispondente del Gabburri negli anni Trenta; tutti scrivevano con tutti) ben conoscendo la sua passione per la letteratura artistica. Se all’inizio l’anziano autore della Storia dell'Accademia Clementina sembra un po’ riservato, il suo carteggio diviene presto il più aperto in termini di espressioni di opinioni e sentimenti in tema di gusto artistico. Per quel che riguarda la letteratura artistica in particolare, Bottari e Zanotti sono tra i maggiori sostenitori del progetto di Crespi di completare, con un nuovo tomo, la Felsina Pittrice di Malvasia: da notare che i due discorrono frequentemente su Crespi in anni in cui non vi è più evidenza di un rapporto di corrispondenza tra Bottari e quest’ultimo. 


Fig. 30) Simone Elia, Facciata dell’Accademia Carrara, Bergamo, 1810.
Fonte: Wikimedia Commons

Il ruolo del conte Giacomo Carrara (fondatore dell’omonima Accademia a Bergamo) è estremamente importante a partire dal Tomo III (1759), quando – dopo un viaggio a Roma nel 1758 – egli fa pervenire a Giovanni Gaetano una ventina di lettere che riguardano il periodo 1660-1730 e sono tutte centrate sulla decorazione della Basilica di S. Maria Maggiore a Bergamo (in particolare sui rapporti tra gli affrescatori e i “Presidenti della Misericordia Maggiore”); segue nel Tomo IV (1764) un centinaio di lettere sull’interazione tra Bergamo, Venezia (cui Bergamo territorialmente appartiene) e tutti i centri d’arte dell’Italia settentrionale. Dalla collezione di lettere di Carrara, così generosamente messa a disposizione del Bottari, ricaviamo una storia della pittura bergamasca lunga un secolo, a partire dal 1660 circa.


L’accuratezza filologica e la correttezza deontologica di Bottari

È ovvio che Bottari rifletta il modo di operare degli studiosi della sua epoca, molto meno legato a criteri di accuratezza filologica e correttezza deontologica.

Sul primo tema molto ha detto Giovanna Perini [37]: l’accademico della Crusca e curatore di una versione del dizionario della lingua esercita – come editore delle lettere – una funzione di censura e correzione grammaticale, sintattica e persino della punteggiatura sui testi che pubblica, non solamente su quelli di autori del passato (che scrivono in un italiano invecchiato), ma persino sui contemporanei, come Luigi Crespi. Tuttavia, Giovanni Gaetano va oltre. La studiosa ha fatto dei sondaggi, comparando le lettere pubblicate nella Raccolta con gli originali conservati nel manoscritto A IV 16 della biblioteca di Cassiano del Pozzo in Biblioteca Vaticana e con altri originali raccolti da Carlo Piancastelli (1867-1938) a Forlì. Ne risultano non solamente correzioni di lingua, ma anche cancellazioni di alcuni incisi importanti, al punto da cambiare il senso della frase. La Perini si mostra dunque d’accordo con il giudizio ottocentesco di Pierre De Nolhac (1859-1936), secondo cui Bottari sarebbe stato un grande “addomesticatore” di testi.

Questo giudizio è indirettamente confermato da Mariette in un secondo caso, quando egli legge il lungo testo biografico sulla vita di Marco Benefial scritto dal Ponfreni, con cui si apre il Tomo V: “Ho letto con singolare piacere quella da cui comincia la Raccolta. Ella m’ha fatto meglio conoscere Marco Benefial. Io desidererei che noi avessimo molte vite di pittori scritte così. Questa è ripiena d’insegnamenti massicci, e, per quanto posso comprendere, anche qualcuno di cui conosco l’eccellente penna, ci ha messo un poco la mano” [38]. Evidentemente, quel qualcuno non può che essere Bottari stesso.

Fig. 31) Giuseppe Ghezzi, Volta della Cappella Scarlatti, 1684. Roma, San Giovanni dei Fiorentini. Fonte: Wikimedia Commons

Un terzo caso è stato identificato da Francesco Grisolia in uno studio sul carteggio di padre Sebastiano Resta (1635-1714). Molte lettere di Resta sono pubblicate nel secondo e nel terzo tomo della Raccolta nel 1757 e nel 1759. Il 22 febbraio 1696 Resta scrive al pittore Giuseppe Ghezzi (1634 –1721) su questioni leonardesche. Lo studioso ha scoperto che la lettera pubblicata da Bottari (N. 217 del Tomo III) è in realtà il risultato della fusione di due lettere diverse. Si tratta di un testo che, nell’Ottocento, sarà additato dagli studiosi come prova della scarsa affidabilità di Resta, a causa degli errori che contiene sulla vita di Leonardo. Quegli errori, tuttavia, sono dovuti alla fusione dei due testi da parte di Giovanni Gaetano. Ecco quel che scrive Grisolia: “Alla luce di quanto esposto, il suddetto compendio che ne realizzò Bottari appare del tutto fuori contesto se estrapolato dall’intero carteggio e ancor più dalle molte considerazioni di Resta” [39].

Sul secondo tema (quello della deontologia) vorrei qui far riferimento a due casi che mi sembrano esemplari.

In molte situazioni Bottari avverte i lettori che le lettere da lui pubblicate compaiono già in cinquecentine o in volumi secenteschi disponibili solamente nelle biblioteche. Tuttavia, molte volte, si ‘dimentica’ di dirlo al lettore, creando l’illusione che si tratti di una novità assoluta. Ad esempio, il Bottari pubblica una lettera del Palladio a Vincenzo Arnaldi, datata 23 febbraio 1565. Posta all’inizio del tomo IV, la lettera attira l’interesse degli acquirenti (che la ricevono in anticipo grazie al meccanismo della sottoscrizione). Come vedremo, il testo è però stato pubblicato l’anno precedente dall’architetto Tommaso Temanza nella sua Vita di Andrea Palladio vicentino egregio architetto. La lettera è in quegli anni in possesso degli eredi Arnaldi, e in particolare dello studioso d’architettura Enea Arnaldi (1716-1794), che è in contatto con entrambi. Non è impossibile che l’Arnaldi abbia fornito ad entrambi copia della missiva, senza informare l’uno dell’altro; è tuttavia difficile che Bottari non sapesse della pubblicazione intervenuta l’anno prima da parte di uno dei suoi corrispondenti più importanti.

Fig. 32) Tommaso Temanza e Giannantonio Selva, Chiesa della Maddalena, Venezia, 1763-1790

Il secondo esempio riguarda le lettere inviate da Mariette a Gabburri, e pubblicate nel Tomo II del 1757. Come si è detto, il Bottari scopre quelle lettere in archivi fiorentini, ma probabilmente informa anche Mariette della vicenda. Sta di fatto che solamente nel 1764 egli pubblicherà una lettera di Mariette (da lui ricevuta il 30 maggio 1756 e dunque prima della pubblicazione del Tomo II) in cui quest’ultimo chiede l’eliminazione (non avvenuta) di alcuni suoi testi per i quali egli teme di perdere prestigio in Italia. Bottari si era dunque preoccupato di avvertirlo, ma aveva ignorato la sua preghiera di non pubblicare quelle missive.


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NOTE

[1] Sul ruolo di Bottari come primo esponente di una lunga tradizione di pubblicazione delle lettere degli artisti, da collocarsi nel quadro della “Repubblica delle lettere”, si veda, tra l’altro: Barocchi, Paola - Fortuna della epistolografia artistica, in Studi Vasariani, Torino, 1984, pp. 83-111;  Perini, Giovanna – Le lettere degli artisti da strumento di comunicazione, a documento, a cimelio, in Documentary Culture: Florence and Rome from Grand-Duke Ferdinand I to Pope Alexander VII, atti del convegno (Firenze 1990), Bologna, 1992, pp. 165-183; Rolfi Ožvald, Serenella, Lettere ad un amico. Da Bottari al giornalismo artistico degli anni Ottanta del Settecento, in Le carte false. Epistolarità fittizia nel Settecento italiano, a cura di F. Forner, V. Gallo, S. Schwarze, C. Viola, Roma, 2017, pp. 469-490 
(https://www.academia.edu/32003116/LETTERE_AD_UN_AMICO_DA_BOTTARI_AL_GIORNALISMO_ARTISTICO_DEGLI_ANNI_OTTANTA_DEL_SETTECENTO); Rolfi Ožvald, Serenella - L’artista allo scrittoio in Ricerche di storia dell'arte, No 2/2018, pp.5-16. Vorrei anche segnalare: Parlato Enrico, Dalle lettere sugli artisti alle lettere degli artisti, in L’epistolografia di antico regime, contributo al convegno internazionale di studi (Viterbo 2018), in corso di pubblicazione.

[2] La versione del 1754 è completamente disponibile all’indirizzo 

[3] Si veda: Perini, Giovanna – Le lettere degli artisti da strumento di comunicazione, a documento, a cimelio (citato).

[4] Si veda la voce Giovanni Gaetano Bottari a cura di Giuseppe Pignatelli nel Dizionario Biografico degli Italiani (1971): http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-gaetano-bottari_%28Dizionario-Biografico%29/

[5] Giuseppe Pignatelli (scomparso nel 2013) è stato il caporedattore storico del Dizionario biografico degli Italiani, attivo alla Treccani dagli anni Sessanta del secolo scorso all’inizio del nuovo millennio. Si è occupato per anni della biografia di molti religiosi italiani tra Seicento e Ottocento, pubblicando nel Dizionario le voci su Adriano Bernareggi, Andrea Bianchini, Francesco Boaretti, Spiridione Berioli, Giuseppe Bertieri, Luigi Biraghi, Alessandro Borgia, Carlo Borgo, Giuseppe Boero, Francesco Bonacchi, Bonaventura da Coccaglio, Giuseppe Bofondi, Antonio Maria Borromeo, Giovanni Carlo Boschi, Cesare Brancodoro, Giuseppe Mario Brocchi, Francesco Burgio, Innocenzo Buontempi, Alessandro Burgos, Alessandro Busca, Cesare Calini, Antonio Campanella, Giovanni Battista Caprara Montecuccoli, Raimondo Cecchetti, Giuseppe Cernitori, Giacinto Cerutti, Antonio Cingari, Branciforte Colonna, Ermanno Domenico Cristianopulo, Luigi Cuccagni, Giovanni Paolo Dolfin, Antonio Dugnani, Giovanni Marchetti. È anche autore delle voci su altri esponenti del mondo conservatore come Joseph de Maistre. Di lui si veda anche: Pignatelli, Giuseppe - Le origini settecentesche del cattolicesimo reazionario: la polemica antigiansenista del "Giornale ecclesiastico" di Roma, in Studi Storici: rivista trimestrale, 1970, Roma, Istituto Gramsci, pp. 755-782; Pignatelli, Giuseppe - Aspetti della propaganda cattolica a Roma da Pio VI a Leone XII, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1974.

[6] Si pensi ad esempio ai recenti studi su Winckelmann in Italia, recensiti su questo blog. Un altro saggio rilevante è Benedict XIV and the Enlightenment: Art, Science, and Spirituality, a cura di Rebecca Messbarger, Christopher Johns, Philip Gavitt, pubblicato nel 2017.

[7] Palozzi, Romana - Mons. Giovanni Bottari e il circolo dei giansenisti romani. In: ‘Annali della R. Scuola Normale Superiore di Pisa. Lettere, Storia e Filosofia”, Serie II, Vol. 10, No. 1/2 (1941), pp. 70-90. 

[8] Palozzi, Romana - Mons. Giovanni Bottari e il circolo dei giansenisti romani (citato), p. 81

[9] Palozzi, Romana - Mons. Giovanni Bottari e il circolo dei giansenisti romani (citato), p. 86



[12] Il primo tomo del 1757 è disponibile all’indirizzo 

[13] Sui Pagliarini si veda: Marcelli, Stefano - I Pagliarini: una famiglia di librai, editori e stampatori nella Roma del Settecento. Vicende ed Annali tipografici, Roma, Università La Sapienza. Il testo è disponibile all’indirizzo: 

[14] Si veda la voce Pagliarini nel Dizionario biografico degli italiani, a cura di Saverio Franchi (2014). La voce è disponibile all’indirizzo: 

[15] Il secondo tomo nella versione con introduzione (si vedano le pagine viii-ix) è completamente disponibile all’indirizzo 

[16] Il secondo tomo nella versione senza introduzione è completamente disponibile all’indirizzo

[17] Il terzo tomo è completamente disponibile all’indirizzo 

[18] Il quarto tomo è completamente disponibile all’indirizzo

[19] Il quinto tomo è completamente disponibile all’indirizzo 

[20] Il sesto tomo è completamente disponibile all’indirizzo 
https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=gri.ark:/13960/t4wh44047;view=1up;seq=5

[20 bis] Prosperi Valenti Rodino' Simonetta, Le lettere di Luigi Crespi e Giovanni Gaetano Bottari nella Biblioteca Corsiniana, in Paragone arte, n.407, XXXV 1984, pp.22-55. Citazione a pagina 42.

[21] Il settimo tomo è disponibile all’indirizzo 

[22] Bianconi si è infatti scontrato con Crespi già a Dresda e da anni lo critica. Ad esempio è lui a stroncare i meriti della continuazione da parte di Crespi, della Felsina Pittrice, in ben otto lettere in cui lo denuncia all’Accademia Clementina di Bologna per una serie di scorrettezze e inesattezze (“Otto lettere inedite riguardanti il così detto terzo tomo della Felsina Pittrice composto dal Canonico Luigi Crespi”).

[23] Si veda: 
[24] Si veda: https://archive.org/details/raccoltadilette05bottgoog/page/n307

[24 bis] Prosperi Valenti Rodino' Simonetta, Le lettere di Luigi Crespi e Giovanni Gaetano Bottari nella Biblioteca Corsiniana, citato, p. 43.

[25] Si veda: 

[26] Rolfi Ožvald, Serenella, Lettere ad un amico (citato), p. 481

[27] Bianconi, Giovanni Ludovico - Elogio di monsignor Giovanni Gaetano Bottari, in «Antologia romana», I (1775), 8, pp. 57-61

[28] Bianconi, Giovanni Ludovico - Elogio di monsignor Giovanni Gaetano Bottari, p.58

[29] Bianconi, Giovanni Ludovico - Elogio di monsignor Giovanni Gaetano Bottari, p.59


[31] Tutti gli otto volumi dell’edizione Ticozzi sono disponibili all’indirizzo 

[32] Schlosser, La letteratura artistica, Firenze, La Nuova Italia, 1964, 706 pagine. Citazione a pagina 507.


[34] Kantor-Kazovsky, Lola - Pierre Jean Mariette and Piranesi: The Controversy Reconsidered
Memoirs of the American Academy in Rome. Supplementary Volumes, Vol. 4, The Serpent and the Stylus: Essays on G. B. Piranesi (2006), pagine 149-168. Si veda: 



[37] Perini, Giovanna – Le lettere degli artisti da strumento di comunicazione, a documento, a cimelio (citato), pp. 173


[39] Grisolia, Francesco - Su Leonardo e i cartoni della Sant’Anna tra Resta, Ghezzi, Bellori e Bottari2018. Si veda 



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