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venerdì 16 febbraio 2018

Hans Grundig. [Lettere d'artista]. Parte Prima


English Version

Scritti di artisti tedeschi del XX secolo - 16

Hans Grundig
[Lettere d’artista: 1926-1957]
Künstlerbriefe aus den Jahren 1926 bis 1957


Con una prefazione e a cura di Bernhard Wächter

Rudolstadt, VEB Greifenverlag, 1966

Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Prima

Fig. 1) La copertina del volume

Quello di Hans Grundig (1901-1958) è il profilo di un pittore che fu anche convinto militante comunista e che svolse un ruolo di primo piano nella sua Dresda (e più in generale in Germania) nella prima metà del Novecento. Le sue Künstlerbriefe [1] (lettere d’artista) sono quasi esclusivamente indirizzate all’amata moglie Lea Langer (1906–1977), anch’ella artista. La raccolta venne pubblicata postuma, con una prefazione e a cura di Bernhard Wächter (1924–2009), critico d’arte e professore di storia dell’arte all’Università di Jena.  Sotto molti aspetti, Künstlerbriefe  è la storia di un sodalizio sentimentale e politico (anche Lea è comunista), che comincia all’Accademia di Dresda (nel 1926), dove i due si conoscono da studenti (lui pittore e disegnatore, lei grafica) e resiste a ogni ostacolo: prima quello dei parenti di lei, totalmente contrari alla relazione, poi quelli (ben più gravi) del regime nazista.

Hans e Lea si sposano nel 1928. Dal 1926 sono attivisti del Partito comunista tedesco (KPD), animando, negli anni della Repubblica di Weimar, le iniziative dell’ASSO (l’associazione degli artisti rivoluzionari di belle arti). Entrambi subiscono, a partire dal 1933 la repressione nazista, fanno parte del novero dell’Arte degenerata e viene vietato loro di esercitare la professione (anche privatamente). Entrambi violano tale divieto, sono scoperti dalla Gestapo e per questo sono condannati (lui è internato nel campo di concentramento di Sachsenhausen, poi condannato a combattere sul fronte orientale in un battaglione punitivo della Wehrmacht, da cui diserta finendo la guerra come soldato dell’Armata rossa; lei, in quanto ebrea, è tutto sommato davvero fortunata: viene espulsa dalla Germania prima che venga attuata la politica di sterminio ed emigra in Palestina, dove rimane per qualche anno). Si ritrovano nel 1949 nella loro Dresda (all’epoca facente parte della DDR), completamente devastata dal bombardamento del febbraio 1945, e s’impegnano con grande passione nella ricostruzione della città, confidando nel nuovo stato socialista. Hans diviene rettore dell’Accademia di Belle Arti di Dresda (in questa veste lo abbiamo già incontrato, nella nostra recensione dell’epistolario di Otto Dix (Parte Quarta) e Lea è la prima donna ad assumervi un incarico.

Le tre parti in cui è diviso il carteggio di Grundig si intitolano rispettivamente “Una gioventù tempestosa – lettere dal 1926 al 1936”, Prigioniero – Lettere dal 1938 al 1944” e “Liberato – Lettere dal 1946 al 1957”. Ciò detto, all’interno di ognuna di queste sezioni si possono individuare lassi cronologici assai più ristretti in cui ricade la corrispondenza con la moglie, che come detto, è di gran lunga preponderante. Si tratta di archi temporali in cui i due sono lontani e in cui appunto si scrivono per tenersi in contatto.

Il primo è il periodo che va dall’agosto 1926 al marzo 1927: i due si amano, ma la famiglia di lei (di stretta osservanza ebraica ortodossa) si oppone senza speranza alla loro relazione (Hans non è ebreo ed è ateo). Per questo motivo Lea viene spedita per un semestre di studi a Heidelberg (e viene pura mandata in cura da uno psichiatra, sperando che cambi idea). Il secondo periodo va dal 7 giugno 1938 all’8 maggio 1939: i due sono stati scoperti a violare la proibizione di creare opere d’arte e si scrivono dai relativi luoghi di detenzione. Infine il terzo periodo inizia a fine marzo 1946, quando Hans ritorna a Dresda, ma la moglie è ancora esule in Palestina, e si conclude nell’ottobre 1949, quando anche lei riesce a rientrare nella città natale. 

Nel volume, alle lettere sono allegati alcuni testi manoscritti degli anni 1946-1947 (note per discorsi tenuti per la ripresa dell'attività dell’Accademia di Belle Arti di Dresda nella zona di controllo sovietica) e immagini dalla serie di acqueforti Tiere und Menschen (Animali e uomini), realizzate tra 1933 e 1938 (opere davvero belle, in cui Hans testimonia la propria opposizione al nazismo disegnando un’umanità che è in parte rappresentata in forma animale, e dove le forze del bene e del male si scontrano).

Più famose delle lettere sono le memorie dell’artista [2] (dal titolo Zwischen Karneval und Aschermittwoch. Erinnerungen eines Malers – ovvero “Tra Carnevale e mercoledì delle ceneri. Ricordi di un pittore”), che escono nel 1957 a Berlino Est ad opera della casa editrice Karl Dietz e sono ripubblicate quattrodici volte (l’ultima nel 1986). La casa editrice è la stessa a cui si deve la pubblicazione ufficiale nella Germania comunista dell’opera omnia di Karl Marx e di Rosa Luxembourg. Le memorie sono tradotte anche in russo [3] e polacco [4] negli anni sessanta (mentre le lettere sono comparse invece nella loro sola versione tedesca). Insomma, le memorie di Grundig sono state considerate nella DDR come uno dei testi fondanti della storia estetica dell’Est comunista, e sono divenute parte dell’iconografia comune alla propaganda del blocco di Varsavia.

Fig. 2) L'edizione più recente delle Memorie, pubblicata nel 1986

La valenza ideologica degli scritti di Grundig spiega probabilmente perché sia le memorie sia le lettere siano state totalmente ignorate nella Repubblica Federale Tedesca (ovvero nella Germania Ovest) e siano poi cadute nell’oblio più totale con la riunificazione e la fine della Germania dell'Est (l’ultima edizione delle memorie – come detto – è del 1986, tre anni prima della caduta del Muro). Tuttavia mi sembra di poter dire che le missive meritano di essere valutate anche sotto altri aspetti, a partire dalla loro qualità letteraria per arrivare alla testimonianza della vita di una coppia d’artisti in un periodo tempestoso della storia tedesca.

Dubbi, incertezze, domande

Il grosso problema delle Lettere è capire quanto esse siano attendibili o restituiscano un’immagine parziale dell’artista. Abbiamo già incontrato molte occasioni in cui, tramite edizioni postbelliche delle memorie, l’immagine di artisti tedeschi viene modificata con l’intenzione di non fare del tutto i conti col passato. Si pensi ai casi diversi di Emil Nolde, Paul Klee, Otto Dix e George Grosz.

Con riferimento a Grundig, va subito detto che la prefazione di Bernhard Wächter inquadra il carteggio nell’ambito di una lettura dell’arte tedesca fortemente partigiana. L’estetica di Grundig è infatti interpretata dallo studioso come paradigma del rifiuto dell’arte precedente, sia quella accademica ancora influenzata dagli schemi guglielmini, sia quella impressionista, espressionista e d’avanguardia che caratterizza la parte più aperta della Germania nei primi decenni del Novecento. Questo tipo di atteggiamento coincide (probabilmente in maniera non casuale) col rigetto della maggior parte fra gli indirizzi artistici precedenti e contemporanei tipico dell’estetica dalla Repubblica Democratica Tedesca. Per rimanere a Dresda, si tratta di un rigetto che riguarda il gruppo espressionista del Ponte (creato nella capitale della Sassonia nel 1905), e anche artisti che chiaramente si spendono tra le due guerre per la causa comunista (come Max Pechstein).

Wächter loda esplicitamente, ad esempio, la capacità di Grundig di ignorare il tentativo dei suoi maestri all’Accademia di Belle Arti di Dresda (come Otto Gussmann (1869 -1926) ed Otto Hettner (1875-1931)) di porre in dialogo fra loro il mondo classico-secessionista e quello espressionista [5]. Eppure Gussmann e Hettner, nel 1919, alla caduta dell’impero guglielmino, si mostrarono pronti a partecipare al Consiglio degli artisti ispirato al modello sovietico.

Wächter si compiace anche che il giovane Grundig sia sfuggito all’influenza di Oskar Kokoschka (1886-1980), mentre segnala con piacere la sua simpatia per Otto Dix (1891-1969), Conrad Felixmüller (1897-1977) e il movimento della Nuova Oggettività nel suo complesso. Di quest’ultimo indirizzo il prefatore richiama l’interesse per la critica sociale, ma lo giudica comunque “freddo e borghese” [6]. Oltre a cercare le influenze tra i contemporanei, il critico d’arte si riferisce a una vena antica dell’arte tedesca, che parte dalla riscoperta del gotico, di Grünewald e Bosch, senza dimenticare il peso del quattrocento italiano [7]. Aggiunge infine che l’amore per l’arte del passato lega Grundig a molti artisti tedeschi degli anni venti.

In altre parole, la presentazione di Wächter fa di Grundig una delle icone di una pittura che sa assorbire dal punto di vista della tecnica tutte le conquiste dell’arte contemporanea, ma (per usare un’espressione che vale per l’arte parigina di quegli anni) segna anche un ‘ritorno all’ordine’ ideologicamente ineccepibile da un punto di vista dell’estetica ufficiale. Wächter scrive: “Recedono le deformazioni del volto umano, l’uso espressivo del colore si calma, lo spazio ottiene anche decise funzioni realistiche in aggiunta al suo carattere simbolico, le persone non vengono solamente disegnate, ma iniziano ad agire” [8]. 

Detto ciò, è legittimo chiedersi se la scelta e l’interpretazione delle lettere di Grundig da parte di Bernhard Wächter siano state dettate da ragioni politiche o da interessi filologici. Qual è stato inoltre il peso della vedova, che al momento dell’uscita della raccolta era ancora viva e che era evidentemente in possesso della corrispondenza?  Esistono testi che non sono stati inclusi (o sono stati modificati) e avrebbero forse consentito letture alternative o comunque interpretazioni più sfumate? Fin quando non compariranno studi in proposito, e gli archivi pubblici e privati non saranno setacciati (sempre che le distruzioni della guerra, le vicende politiche e l’incuria lo permettano ancora) sarà impossibile dirlo. Pur seguendo la traccia del volume curato da Wächter, ci ispireremo quindi al necessario principio di cautela.


Una gioventù tempestosa: lettere dal 1926 al 1936

Il carteggio si apre nell’agosto 1926 con lettere dai toni disperati. Il venticinquenne Hans (appena uscito dall’Accademia di Belle Arti di Dresda) vuol sposare la ventenne Lea, ancora studentessa, ma la famiglia ebreo-ortodossa di lei non ne vuole proprio sapere e cerca di organizzare un matrimonio alternativo con un pittore ebreo, facendolo venire apposta dagli Stati Uniti [9]. Lea viene allontanata da Dresda dalla famiglia e i due giovani devono ricorrere alla posta per mantenersi in contatto (si scrivono quasi ogni giorno). A Hans tutto il mondo pare ostile; in una delle sue lettere parla all’amata dei suoi incubi, e alcune frasi – che ne descrivono uno – sembrano ricordare l’atmosfera del suo “Temporale - La notte fredda” di due anni dopo (cfr. fig. 31): “Attorno a noi la luce era torbida, di color zolfo, e senza che vi fosse una minima ombra. Dalle case maleodoranti ci guardavano esseri umani e animali dalle forme stranissime. Come se fossero pattume, sulla strada giacevano delle strane forme geometriche” [10].

Il ragazzo sta male, non dorme più, si fa visitare dal dottore, che diagnostica una forte somatizzazione del suo dolore psicologico. Hans crede di vedere Lea ovunque. Vorrebbe raggiungerla a Heidelberg, ma non ha i soldi per pagarsi il viaggio. Rimane ore sotto la finestra della casa di lei a Dresda, sperando sia già tornata. Non riesce a dipingere e solo la lettura delle missive di Lea è fonte di consolazione. “Mia cara Lea, ho appena ricevuto la tua lettera. Non hai idea di quanto mi abbia fatto felice. Siedo qui solo nello studio e continuo a leggere quello che mi scrivi, e gioisco. Oggi ho lavorato di nuovo al mio grande quadro. Non mi viene bene, eppure non riesco a liberarmene. Fino al pomeriggio alle quattro da me c’erano due ragazze di 15-16 anni d’età. Sono riuscito a farne qualche disegno di buona qualità. Ma tu non puoi credere come siano impertinenti. Certo, sono ormai abituato a tutto, ma non ne posso più delle volgarità che queste due mi raccontano. Si potrebbe pensare che abbiano ormai sperimentato tutto, e tuttavia credo sia sicuro che nessuno le abbia ancora toccate. E poi sono sporche e puzzano, ma hanno corpi forti come quelli di un felino. Forse le ritrarrò” [11].

Parla del mondo delle modelle come di un ambiente incapace di provare empatia e compassione. Racconta di un giovane garzone di una macelleria che ha rubato alcune salsicce per amore di una di queste ragazze e che, vistosi scoperto, si è suicidato per la vergogna. È stupefatto della reazione della ragazza: “La giovane è venuta molto presto da noi – mi ero appena alzato – e ha raccontato la cosa. Sorrideva in modo stupido, sembrava anzi esserne contenta e ci ha detto: «Sapete, era un incolto e non mi aiutava mai a indossare il cappotto. E poi era un semplice macellaio, quelli hanno sempre mani screpolate. Me ne posso trovare molti altri e ben differenti, i miei genitori hanno una casa». [12]. Hans racconta con senso di “schifo” [13] di casi di prostituzione tra le modelle, comprese  giovani ragazze che si vendono per denaro ad altre donne [14], e li attribuisce al fatto che “tutti sono vittime di questa società” [15]. Uno dei numerosi incubi che descrive all’amata, in una lettera del 25 gennaio 1927, è che un gruppo di danzatrici nude, vestite di un solo cappello, lo accerchino in una sala da ballo. Una di loro si avvicina e lo tenta: “Tu cerchi Lea, ma non è qui. Non c’è neppure bisogno di cercarla! Vieni, balla con me! Noi siamo altrettanto giovani e anche così belle!” [16] L’incubo continua: “Mi vennero le lacrime agli occhi. Io non volevo. E poi divennero aggressive e mi trascinarono in mezzo alla sala. Si buttarono tutte su di me e mi strapparono i vestiti di dosso, fino a quando rimasi nudo nella sala” [17].

Hans chiama molto spesso Lea “Mein Schwarzes”, la mia moretta (perché nera di capelli e scura di carnagione). In diverse occasioni, peraltro, fa riferimento al fatto che è ebrea come elemento della sua bellezza. “In ogni piccola ebrea credo di vedere te, mia amatissima, e poi sono sempre molto deluso dallo scoprire un altro volto sconosciuto e freddo, e mi arrabbio con me stesso” [18]. Le scrive: “Lea, mia bella figlia della Giudea…” [19] e “Lea, figlia del paese di Giuda” [20]. Ha ben chiaro che, per la famiglia di lei, lui rimarrà sempre un goi, ovvero un gentile.

In tema di sessualità il giovane Hans è in realtà molto all’antica: pur richiamando la propria ideologia rivoluzionaria, in realtà dimostra una buona dose di moralismo: “Lea, ancora una cosa: la questione sessuale rotea ancora nelle nostre teste. Spesso io stesso ho dovuto combattere interiormente con questo tema. Personalmente la considero una delle questioni più importanti, e su di essa bisogna prendere una posizione precisa. Un proletario cosciente del suo ruolo di classe deve essere assolutamente educato a sbarazzarsi di tutte le consuetudini ereditate dalla borghesia. Non mi devi capire in modo sbagliato. Io non credo che si debba reprimere una cosa così naturale in modo ascetico, sarebbe esagerato, anzi fondamentalmente sbagliato. (…) Ma l’essenza dell’intera questione è questa: soprattutto noi abbiamo l’obbligo di conservarci puri su questo aspetto. Ogni compagno deve impararlo. Dobbiamo apprezzare l’essere umano che è in noi e non gettare tutto nella spazzatura, come fa un borghese” [21]. E per quello che riguarda la vita dopo il matrimonio, esprime la speranza di attenersi a regole di eleganza e rispetto: “Non metterti a ridere – scrive ancora a Lea – ma quando saremo sposati non voglio che noi si faccia come in tutti i matrimoni, dove ci si lascia andare. Col tempo marito e moglie si vestono disordinatamente. È tutto sporco. Si perde il rispetto l’uno dell’altro, l’amore va perduto” [22]. Lea gli propone di andare a vivere insieme prima di sposarsi, ma Hans risponde che non vuole fare le cose in modo affrettato e senza pianificare [23]. Tutto sommato, il padre della sua ragazza non aveva molto di cui preoccuparsi. 

Le lettere contengono, però, anche interessanti affermazioni di ordine politico, anche se il giovane pittore confessa di non capire tutto quello che sente alle riunioni nelle sezioni del KPD, il Partito Comunista Tedesco: “Mi manca ancora il sapere. Lo sa solo il diavolo! Non leggo volentieri libri come ‘Stato e rivoluzione’ di Lenin o i testi di Marx. Mi sembrano scritti in modo troppo astratto e sono difficili da capire. Spero che tu non mi prenda per stupido, mi arrabbierei davvero. (…) E nonostante tutto cerco di sforzarmi e con il tempo capirò. Pochi giorni fa ho letto le lettere di Rosa Luxemburg. Mi sono davvero piaciute e sono stato colpito da quanto lei abbia saputo guardare lontano e giudicare gli avvenimenti in Russia, e soprattutto come tutto quello che lei scrive sia corretto” [24]. 

Le missive affrontano anche il tema delle divisioni tra comunisti e socialdemocratici, e le ragioni a favore o contro la loro collaborazione in parlamento (uno dei fattori di debolezza della Repubblica di Weimar fu l’incapacità della sinistra di unirsi contro i nazisti, e in particolare l’odio cieco dei comunisti nei confronti dei socialdemocratici del Presidente Ebert, considerato il vero nemico da abbattere, più di Hitler). I due giovani si interrogano sul tema, e Hans si confronta con l’amico Max John che ha posizioni molto radicali al proposito.

Ecco una lettera del gennaio 1927: “Mia cara, capisco quel che tu mi hai appena scritto, a proposito della spaccatura interiore in cui vivi a causa del KPD. Anche io, in fondo, non ho le idee chiare. Oggi Franz e Max John sono venuti da me. Non hanno fatto altro che rimproverarmi di avere idee controrivoluzionarie. (…) Il mio punto di vista è che tutto ciò che sta sulla terra ha uno sviluppo naturale e conseguente. A nessuno può venire in mente di costruire la casa dal tetto, è semplicemente impossibile (…) Se il proletariato intero fosse già cosciente del suo ruolo di classe, forse le idee di Franz potrebbero essere realizzate. Ma da come stanno le cose, poiché il proletariato non ha ancora capito il centralismo del KPD, e invece la gran parte delle masse è ancora legata in modo borghese all’SPD, il nostro compito è di muoverci in quella direzione che Franz rifugge in modo così deciso. (…) Non siamo angeli. Ancora oggi lavoriamo in parlamento, e non riesco a capire perché non dovremmo usare ogni mezzo” [25]. Max John (1886-1950) era un tipografo, che fra l’altro realizzò le xilografie di Otto Dix e di molti artisti di Dresda (esistono suoi ritratti eseguiti dallo stesso Dix, da Edmund Kesting e soprattutto da Conrad Felixmüller). Per celebrare l'amico morto in un incidente stradale, nel 1952 Otto Griebel realizzò un suo ritratto postumo, esposto alla mostra di Griebel a Dresda nel 2017. Non è da confondere con Max John (1891-1933), anch'egli comunista, che morì sotto tortura nel campo di concentramento nazista di Oranienburg nel 1933, dove era stato rinchiuso per motivi politici.

Grundig racconta a Lea che non riesce a vendere i suoi quadri. In realtà, il 1926 è un anno in cui, in generale, la stabilizzazione dell’economia porta a grandi soddisfazioni economiche per molti artisti di diverso orientamento, dagli espressionisti di vecchio stile agli astratti per finire con gli artisti che recuperano un figurativo più classico; probabilmente la scelta del pittore di ignorare per principio le logiche di mercato gli impedisce di uscire da situazioni di indigenza. Ne parla con Ferdinand Dorsch (1875-1938), professore all’Accademia di Dresda, orientato verso una pittura ancora di chiaro stile impressionista, e gli chiede una borsa di studio, ma, invece di un aiuto, trova solo scherno. “Ho parlato oggi con Dorsch. Mi ha detto che il ministero non vuole autorizzare fondi per chi ancora studia, e poi in fin dei conti nel mio caso non può essere così male: ho venduto all’Internazionale! Ha detto che devo considerarlo un grande successo morale. Mi ha fatto arrabbiare e gli ho detto che con i successi morali non si mangia” [26]. Ma qualche giorno dopo si pente di quello che ha scritto a Lea: “Il pittore d’arte (Kunstmaler) di ieri con il suo individualismo frantumato è ormai superato. Noi dobbiamo realizzare cose del tutto diverse, e soprattutto ci dobbiamo liberare di ogni cosa che abbia a che fare con il mercato dell’arte, i critici e la borghesia” [27]. L’espressione “Kunstmaler” è (forse) scelta per raffigurare coloro che si dedicano all’arte per l’arte, senza un parallelo impegno politico, considerati inutili e dannosi.

Hans è consapevole della situazione: “Lea, sarà difficile quando sarai tornata e saremo sposati. Nessuno ci aiuterà. Non una sola persona: e se la salute di mio padre peggiora [nota dell’editore: morirà poco dopo, e Hans prenderà per qualche tempo il suo posto nella sua bottega d’imbianchino], dovrò provvedere alla famiglia intera. (…) Mia cara, ti piacerà? Se vivremo solo per noi, non saremo viziati. Ma ho paura che sarà sempre peggio. Nei prossimi tempi verranno a mancare gli acquisti pubblici. Non possiamo aspettare nulla da nessuno, dipenderemo da noi stessi. (…) Ma, mio amore superiore a ogni cosa, se anche dovremo attraversare molte preoccupazioni, ci amiamo e vivremo e lavoreremo” [28].

Talvolta le lettere riflettono giorni di grande sicurezza nelle loro capacità: “Insieme saremo indipendenti da tutto e da tutti. Se vogliamo esporre, lo faremo. Possiamo fare a meno degli acquisti pubblici e del sussidio di disoccupazione. Nessuno potrà dirci nulla, potremo prendere a calci in culo tutti i professori, gli intellettuali e i critici” [29]. Ma non mancano i giorni di disperazione: “La sistemazione economica è più importante di quanto noi si pensi. Probabilmente non m’importerebbe di dover abitare in un buco di stanza, non avere nulla da mangiare, e avere debiti dappertutto. Lo sopporterei come uomo, perché il mio corpo si è ormai abituato a tutti gli strapazzi possibili. Ma per te, Lea, sarebbe una catastrofe. Tu sei molto più delicata di me, e soprattutto non conosci una vita come questa. Essa non ha nulla a che fare con il romanticismo, lo può essere solamente quando se ne parla attorno a un tavolo imbandito. La tanto osannata Boheme è la miseria più terribile che io mi possa immaginare. Forse ancora peggiore di essere un proletario. Mi farebbe a pezzi vedere che la tua salute si deteriora progressivamente” [30].

Alcune delle lettere raccontano dei rapporti, non sempre facili, con i pittori coetanei di Dresda, anche di medesimo orientamento politico, come Otto Griebel (1895–1972). In una si parla di uno scontro verbale tra Griebel e Grundig, ospitati a casa del pittore Wilhelm Lachnit (1899-1962), un altro dei giovani artisti comunisti di Dresda. “Otto si rivela sempre più come una nullità, che ha bisogno di pubblico sempre nuovo per sembrare originale” [31]. Le ragioni di dissenso sembrano essere di ordine personale: Griebel deride Grundig per alcune fotografie che si è fatto fare e sono di “stile borghese”, ma dopo pochi giorni compare con foto sue e della moglie dello stesso tipo. Grundig si vendica rivelando all’amata Lea che Griebel ha fatto una pessima figura quando ha visitato Otto Dix (il maestro venerato da tutti) qualche giorno prima a Berlino. “Griebel non mi sopporta più, perché lo contraddico spesso e per lui non sono né pubblico né cassa di risonanza” [32].

Ciò che Hans sogna è di potersi dedicare alla pittura della povertà (Elendsmalerei), ovvero a una rappresentazione artistica che denunci le situazioni di miseria: in questo, lo sostiene anche Lea, che scrive che bisogna “rappresentare le piccole cose della vita, davanti alle quali tutti passano senza badare” [33]. Hans risponde: “È proprio quello che voglio anch’io: ritrarre l’uomo della fabbrica, una ragazzina, la strada, un appartamento in affitto, i bambini, gli alberi, i giardini e gli orinatoi. È quello che io trovo giusto e appropriato. Ogni arte che non corrisponda a una concezione proletaria del mondo è oggi senza valore e superflua. Che oggi l’arte osservi la miseria è ovvio, non siamo certamente ciechi” [34].

La concezione dell’arte di Hans non si limita a una nuova definizione iconografica, ma si estende ad un progetto politico operativo: “A noi non deve importare come la cosiddetta arte si evolverà in futuro. In questo preciso momento abbiamo il dovere di diffondere l’idea comunista grazie alla nostra pittura, ovvero di aiutare a distruggere la vecchia società borghese. Oggi sono più che mai convinto di una cosa: l’arte in sé, compresa l’arte proletaria o quella che combatte per quell’obiettivo non ha – se noi rimaniamo nell’ambito della vecchia ideologia della borghesia, ovvero se continuiamo a considerarci ancora e sempre solo come artisti, sia pur con una mentalità proletaria – valore alcuno. Noi dobbiamo essere attivi nella nostra vita. Questo dovere toccherà anche a noi ed è ancora più importante del dipingere quadri, se non ci vogliamo considerare semplicemente come dei romantici che si sono allontanati dalla vita reale” [35].

La serie delle lettere a Lea dopo il marzo 1927, in sostanza, si esaurisce (i due vivono insieme), salvo alcune eccezioni, che corrispondono a brevi periodi di lontananza. Vale la pena di citare brevemente anche queste missive, perché corrispondono agli anni della presa del potere da parte del nazismo

Ottobre 1932: la moglie si trova ad Augusta. L’artista riceve sussidi dal Künstlerhilfsbund (La Lega per la protezione degli artisti), un organismo pubblico creato nel 1915 e ancor oggi operante. Comunica a Lea per lettera di essere riuscito a pagare luce ed affitto. Riconosce che una nota di pessimismo trascende tutti i suoi quadri fin dai primi tempi. Scrive di una mostra di nuove opere di Otto Dix alla Galleria Neue Kunst Fides di Dresda, ma ne parla in termini molto negativi. “Non puoi immaginare quanto siano brutti quei lavori. Un’arte rivolta a compiacere la società con un impatto perverso, senza alcuna formulazione di intenzioni e definizione di oggetto, vuota e priva di senso” [36]. Tuttavia rileva che la critica a Dresda è entusiasta. Sono gli anni in cui Dix si allontana dall’iconografia politica degli anni venti. 
  • Marzo 1934: Hans scrive a Lea da una destinazione sconosciuta parlando di Rubens e Leonardo. È l’anno in cui le autorità naziste lo sanzionano vietandogli di esercitare la professione (Berufsverbot);
  • Autunno 1935: Hans invia una lettera a Lea da Zurigo. È sulla strada del ritorno nel corso di un viaggio in Italia (ne parla come di una terra promessa), ma nel tragitto tra Trieste e Bolzano si è ammalato. La missiva contiene molte descrizioni del paesaggio dolomitico.
  • Maggio 1936: scrive da Dresda ad Abi e Marianne, due sconosciute interlocutrici che scambiano corrispondenza anche con la moglie Lea. Racconta loro di essere stato escluso dalla camera di commercio per l’arte e di vedere la propria esistenza a rischio. “Da ogni parte attacchi da parte di nemici, pace solamente nel lavoro e nel nostro studio” [37]. Ciò nonostante è molto contento del suo lavoro. Ipotizza un trasferimento in Palestina con la moglie [38].-         

Fine della Parte Prima


NOTE

[1] Grundig, Hans - Künstlerbriefe aus den Jahren 1926 bis 1957. Con una prefazione e a cura di Berngard Wächter Rudolstadt, VEB Greifenverlag, 1966, 167 pagine più sessanta tavole fuori testo.

[2] Grundig, Hans - Zwischen Karneval und Aschermittwoch: Erinnerungen eines Malers, Berlin, Dietz, 1957, 428 pagine.

[3] Грундиг, Ганс - Между карнавалом и великим постом: Воспоминания художника, Casa editrice Искусство, Mosca, 1964, 345 pagine.

[4] Grundig, Hans - Między karnawałem a popielcem : wspomnienia malarza, a cura di Janina ed Erwin Wolf, Varsavia, Państwowy Instytut Wydawniczy, 1967, 365 pagine.

[5] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 12.

[6] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 13.

[7] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 13.

[8] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 14.

[9] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 27.

[10] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 28.

[11] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 30.

[12] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 43.

[13] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 37.

[14] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 37.

[15] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 37.

[16] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 51.

[17] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 51.

[18] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 33.

[19] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 37.

[20] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 59.

[21] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 45.

[22] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 38-39.

[23] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 53.

[24] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 38.

[25] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 44.

[26] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 40.

[27] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 41.

[28] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 40.

[29] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 41.

[30] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), pp. 56-57.

[31] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 46.

[32] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 47.

[33] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 54.

[34] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 54.

[35] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 54.

[36] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 61.

[37] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 64.

[38] Grundig, Hans – Künstlerbriefe … (citato), p. 64.







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