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mercoledì 31 gennaio 2018

[Il conte Heinrich von Brühl (1700-1763): un mecenate sassone in Europa]. A cura di Ute C. Koch e Cristina Ruggero. Parte Seconda



Heinrich Graf von Brühl (1700-1763). Ein sächsischer Mäzen in Europa.
[Il conte Heinrich von Brühl (1700-1763): un mecenate sassone in Europa].
A cura di Ute C. Koch e Cristina Ruggero

Convegno organizzato dalle Collezioni d’arte di Stato (Staatliche Kunstsammlungen) a Dresda e dalla Bibliotheca Hertziana – Max-Planck-Institut per la Storia dell’arte, Roma
Dresda, Sandstein Verlag, 2017, 547 pagine

Recensione di Francesco Mazzaferro. Parte Seconda

Fig. 33) La cosiddetta “Terrazza Brühl”, sulla riva sinistra dell’Elba, con le costruzioni storiche edificate sulle antiche mura
tra metà Settecento e tardo Ottocento

Continuiamo a passare in rassegna gli interventi recentemente pubblicati in Il conte Heinrich von Brühl (1700-1763): un mecenate sassone in Europa. La seconda parte di questo post è dedicata ai rapporti con l’Italia, o, per meglio dire, con interlocutori che all’epoca vivevano in Italia, fra i quali spiccano i tedeschi Mengs e Winckelmann.



Relazioni fra Sassonia e Italia

Steffi Roettgen
Mengs e il conte Brühl - 
Testimonianze di un rapporto difficile

La Professoressa Steffi Roettgen (1944-) del Kunsthistorische Institut di Firenze esamina i difficili rapporti tra il conte von Brühl e Anton Raphael Mengs (1728–1779) [19], il più famoso dei pittori tedeschi di quegli anni, in un saggio scritto in italiano. Lo fa partendo da un ritratto incompiuto (è eseguita solo la testa) del politico sassone, recentemente ricomparso sul mercato antiquario. Mengs inizia a dipingerlo durante gli anni vissuti a Dresda (tra 1749 e 1751), lo porta con sé all’inizio del suo terzo soggiorno romano (nel suo studio lo vede il pittore francese Nicolas Guibal 1725- 1784), ma non lo porta mai a compimento. Il catalogo delle opere di Mengs redatto da Giovanni Lodovico Bianconi (1717-1781) descrive la tela come “Il ritratto del Conte di Brühl Primo Ministro del re, di cui non v’è che la testa finita” [20]. Il quadro non è elencato nell’inventario del lascito di Mengs all’atto di morte nel 1779, e dunque doveva essere già stato venduto. Originariamente – scrive la Roettgen – si trattava di un progetto di ritratto a figura intera, come quelli eseguiti del pittore di corte Louis de Silvestre (1675-1760) (cfr. fig. 2 e 3 Parte Prima); fu probabilmente tagliato in un secondo momento per renderlo meglio vendibile sul mercato. “Nel vis-a-vis frontale emergono i prominenti tratti caratteriali di von Brühl come un uomo di grande vivacità, prontezza e acutezza che il giovane ritrattista seppe esprimere, grazie al suo occhio esperto e alla sua conoscenza personale del personaggio, nonostante la differenza di rango, che qui appare talmente benevolo da suggerire un legame quasi amichevole tra il pittore ed il suo «modello»” [21].


Fig. 34) Anton Raphael Mengs, Ritratto di Heinrich von Brühl, 1750-1751

L’autrice spiega che Brühl e Mengs si conoscevano bene. Il conte fu infatti presente al primo incontro tra il pittore e Augusto III, firmò poi la sua nomina a pittore di corte e fece infine avere al padre Ismaele (1688-1764), anch’egli pittore, una lettera di presentazione indirizzata al Conte di Lagnasco: padre e figlio partivano insieme alla volta di Roma e avevano bisogno di un appoggio logistico nell’urbe. Durante i tre anni del secondo soggiorno romano (1746-1749), von Brühl ricevette informative regolari in merito ai Mengs da parte del Segretario della Compagnia di Gesù, Giovanni Antonio Timoni (1690-1761). Le comunicazioni non riguardavano solo gli aspetti artistici, ma davano conto anche delle principali novità personali (si annuncia, ad esempio, che i Mengs hanno deciso di convertirsi dal protestantismo al cattolicesimo).


Fig. 35) Anton Raphael Mengs, Sacra famiglia con Santa Elisabetta, San Giovannino e due angeli, 1749

Tornato a Dresda, Mengs vi rimase solamente per tre anni, tra 1749 e 1751, durante i quali Brühl ebbe modo di spendere parole di grande elogio nei suoi confronti (in una lettera al suo consigliere artistico Carl Heinrich von Heineken si legge: “Mengs ha fatto un quadro in tre settimane che è un capolavoro alla Raffaello. Quanto ai piccoli errori non dimentichi che anche Raffaello li ha fatti”). L’artista dipingeva quadri di soggetto religioso fortemente intrisi di criteri iconografici controriformisti. Pur nominato “primo pittore” di corte a Dresda, Mengs decide ugualmente di rientrare a Roma (dove si è nel frattempo sposato), vivendo a spese della casa di Sassonia. Alle casse pubbliche il soggiorno italiano di Mengs costa moltissimo: a Roma il pittore riceve uno stipendio annuale molto superiore rispetto a quello di altri artisti europei, e, oltre a ciò, il padre Ismaele e le due sorelle si vedono accordate delle pensioni a Dresda. Evidentemente, Brühl si aspetta in cambio l’esecuzione immediata di opere che possano ulteriormente fare la fortuna del patrimonio artistico sassone, come ad esempio la pala d’altare commissionata per la cattedrale cattolica di Dresda, appena ultimata da Gaetano Chiaveri nel 1751. Qui va ricordato che, mentre la popolazione della Sassonia è in gran parte protestante, Augusto II il Forte si è convertito al cattolicesimo solo nel 1697; per la casa di Sassonia costruire e adornare una nuovissima cattedrale secondo i dettami della religione romana è un modo per provare alla Chiesa che la conversione al cattolicesimo è autentica, fondamentale per preservare l’unione con la Polonia.


Fig 36) Bernardo Bellotto, Veduta di Dresda dalla riva sinistra dell’Elba, 1748. In primo piano, la cattedrale cattolica (Hofkirche) di Gaetano Chiaveri, ancora in costruzione

Arrivato a Roma, il pittore decide però di sottrarsi al rigido controllo sassone e di cercare altre commissioni dall’Inghilterra che gli permettano di incrementare i suoi guadagni e di mantenere un suo atelier; va detto che, a partire dal 1755, i pagamenti da Dresda non giungono più in maniera regolare (segno che le casse di Sassonia sono davvero in brutte condizioni). Brühl in persona, in qualità di primo ministro, gli scrive (un indizio, secondo la Professoressa Roettgen, dei “privilegi goduti dal pittore” [22]) sia pur solo per dargli istruzioni. Mengs reagisce con molto nervosismo. Le dodici lettere, tutte in francese, che compongono quella corrispondenza epistolare sono trascritte in appendice al presente volume [23]. Von Brühl invia al pittore una prima lettera in cui lo autorizza a recarsi a Napoli come richiesto dalla regina delle due Sicilie Maria Amalia. La regina (una famosa benefattrice in tema d’arte e cultura) è infatti una principessa di Sassonia, figlia di Augusto III, ha molto a cuore la costruzione della nuova Reggia di Caserta, e desidera che Mengs dipinga una delle pale per la Cappella Palatina al suo interno. Il pittore è sorpreso perché non ha mai richiesto tale autorizzazione: si dice sì pronto a partire per Napoli, ma a condizione di essere prima pagato da Dresda, salvo che i reali di Napoli non gli garantiscano per iscritto di finanziarlo localmente. Contemporaneamente prende tempo per quanto riguarda l’esecuzione della pala d’altare per la cattedrale di Dresda. Von Brühl risponde che il viaggio a Napoli è un ordine del re, e che l’artista sarà pagato dai Borbone come e quando essi vorranno. Mengs replica a sua volta di voler prima terminare la pala per la cattedrale di Dresda e solo dopo di esser pronto a recarsi a Napoli, sempre a patto che prima giunga il necessario pagamento dalla Sassonia. In sostanza, quindi, ricatta il Primo Ministro.


Fig. 37) Anton Raphael Mengs, Ascensione di Cristo, pala d’Altare per la Cattedrale di Dresda 

Il conte non risponde. È Mengs, a questo punto, a inviare un’ulteriore lettera, dal tono nettissimo. Non si fida più delle promesse: i pagamenti da Dresda non sono più puntuali da tempo, e anche padre e sorelle non ricevono da mesi quanto loro dovuto. La minaccia è netta: o riceverà immediatamente una cambiale oppure sospenderà ogni attività per la casa regnante, inclusa la pala d’altare. La risposta del Primo Ministro non si fa attendere: arriva la cambiale, ma von Brühl si lamenta dei molti pagamenti che il pittore ha già ricevuto senza mai inviare opere come contropartita, con l’eccezione della Santa Maria Maddalena in penitenza (un quadro di sapore correggesco che Mengs utilizzerà molte volte nella sua carriera). La cosa è tanto più grave in quanto il Primo Ministro dichiara di essere ben al corrente dei ritratti eseguiti da Mengs per committenti inglesi. “Credete che ci sia un’altra corte al mondo che paga a tutta una famiglia delle pensioni annuali così considerevoli senza alcun altro profitto che il piacere d’inviare i soldi fuori dal paese? Fate un po’ di riflessione su questo punto e riconoscete la generosità del Re. Siate più precisi nei vostri impegni e, quando richiedete soldi, misurate i termini” [24]. Certamente, scrive l’autrice, il Primo Ministro non può che sentirsi contrariato nel sapere che il suo ritratto è ancora incompiuto, mentre i giovani nobili inglesi del Gran Tour vengono prontamente serviti.

Mengs non demorde: la somma ricevuta non corrisponde a quanto, a suo dire, gli è dovuto; resta in attesa degli arretrati e ribadisce che solo allora partirà per Napoli. 

Fig. 38) Anton Raphael Mengs, Ritratto di un giovane gentiluomo inglese, 1754 ca

Nella stessa lettera si assiste a una novità. Mengs (evidentemente sperando di ricavarne qualcosa) spiega al Primo Ministro di essere in contatto con ambienti romani e fiorentini interessati a vendere quattro opere: la pala d’altare Madonna con Bambino e i santi Giovanni Evangelista e Petronio del Domenichino (1581-1641), che si trova nella Chiesa dei Santi Giovanni Evangelista e Petronio dei Bolognesi a Roma, una Natività dello stesso Domenichino a Civitavecchia, il Ritrovamento di Romolo e Remo di Carlo Maratta (1625-1713) e Giuseppe ebreo che fugge dalla moglie di Putifarre di Carlo Cignani (1628-1719). I primi due quadri sono in mano alle autorità ecclesiastiche, e vi è un interessamento diretto del pontefice per la trattativa; gli ultimi appartengono al Marchese Vincenzo Riccardi di Firenze. Mengs offre a von Brühl i suoi servizi per acquistare uno o più dei quadri per la Galleria di Dresda.


Fig. 39) La versione più piccola di Giuseppe e la moglie di Putifarre di Carlo Cignani, riprodotta nel Recueil d'Estampes d'après les plus célèbres Tableaux de la Galerie Royale de Dresde a cura di Carl Heinrich von Heineken (1753) e nell’originale del 1670-1680, tuttora alla Pinacoteca di Dresda

Va subito detto che nessuna delle trattative andrà in porto, sia a causa della scarsa esperienza negoziale di Mengs, sia per la complessità effettiva dei negoziati: da un lato vi sono proprietari alla disperata ricerca di liquidità e dall’altro lato mediatori in competizione tra loro. Gli stessi quadri (o versioni simili) sono offerti più volte agli stessi potenziali compratori. Ad esempio, la tela di Cignani è una versione più grande di un soggetto già presente nella Galleria di Dresda e testimoniato nel Recueil d'Estampes d'après les plus célèbres Tableaux de la Galerie Royale de Dresde a cura di Carl Heinrich von Heineken del 1753. La versione più grande è offerta a von Brühl sia da Mengs sia da Luigi Crespi (come vedremo), ma è anche sottoposta all’attenzione di Federico II di Prussia (grande rivale di von Brühl) dal mercante Johann Ernst Gotzkowsky (1710-1775).


Fig. 40) Domenichino, Madonna col Bambino e Santi Giovanni Evangelista e Petronio, 1625-1629

Il primo ministro manifesta interesse solo per la pala di Domenichino, ma a date determinate condizioni di prezzo e termini di pagamento; non prende in considerazione il secondo quadro dello stesso pittore a Civitavecchia; quanto alle tele in mano a Ricciardi, dice di essere stato informato dal mercante Gotzkowsky (1710-1775) che Federico II le ha già acquistate entrambe. Nella sua risposta, Mengs invita il conte a non tergiversare sulla pala di Domenichino, aggiunge che Gotzkowsky ha sì moltissima liquidità a disposizione a Roma grazie alla generosità della casa di Prussia (e qui , per il primo ministro sassone, l’allusione deve essere fastidiosa), ma non ha ancora ottenuto il via libera da Berlino: le sue controparti a Firenze sono comunque pronte a deviare la spedizione da Berlino a Dresda, alle giuste condizioni. Nelle lettere successive la trattativa si concentra sulla pala, ma non va a buon fine e il Primo Ministro, in una lettera successiva “riprende il discorso sul quadro di Domenichino rimproverando il pittore di non aver saputo agire con la dovuta abilità e prudenza per giungere a un prezzo inferiore a quello richiesto” [25]. 

Fig. 41) Carlo Maratta, Faustolo affida Romolo e Remo alla moglie Acca Larenzia, 1695 – 1713

Quanto al destino dei quadri fiorentini, quello di Maratta verrà effettivamente acquistato dalla casa di Prussia (che se ne libererà più tardi; è attualmente in una collezione privata, probabilmente negli Stati Uniti). Per quel che riguarda la tela di Cignani (quella che riproduce, in versione più larga, un dipinto dello stesso artista già compreso nella Galleria), Luigi Crespi in una lettera del 1756 all’Algarotti [26] spiega che il motivo della mancata vendita è che la tela si trova in pessime condizioni. Oggi fa parte della Devonshire Collection a Chatsworth House.


Fig. 42) Caserta, Veduta della Cappella Palatina all’interno della Reggia Reale, inaugurata nel 1784

Anche la questione della missione nel Regno delle Due Sicilie per lavorare alla Cappella Palatina della Reggia di Caserta, allora in costruzione, non si sblocca: Mengs informa il primo ministro di aver ricevuto un invito ufficiale dall’ambasciatore napoletano a Roma, ma insiste sulla necessità di ricevere dalla Germania il finanziamento prima del viaggio. Aggiunge che se per Roma il suo fabbisogno mensile è di cento zecchini, a Napoli prevede di spenderne duecento. Von Brühl sbotta, affermando che si tratta di richieste del tutto esagerate. Il carteggio si interrompe a questo punto e segna anche la fine di ogni rapporto tra Mengs e la casa di Sassonia. Mengs andrà a Caserta e a Napoli nel 1759, dopo aver concluso una lunga trattativa con i Borbone, e dipingerà per la Cappella Palatina una Presentazione della Vergine al Tempio, distrutta durante il bombardamento del 1943. Ironia della sorte, andare a Napoli sarà la sua fortuna: una volta che Carlo III e Maria Amalia passeranno dalla corona di Napoli a quella di Spagna, Mengs li seguirà a Madrid, dove condurrà una vita fastosissima come pittore di corte.



Lorenzo Lattanzi
Da Dresda a Roma: Winckelmann e il conte Brühl
[From Dresden to Rome: Winckelmann and the count von Brühl]

Lorenzo Lattanzi, studioso all’Università degli Studi di Milano, si dedica al tema dei rapporti tra Winckelmann (1717-1768) e il conte Brühl [27]. Il giovane Winckelmann si trasferisce in Sassonia nel 1748, nel castello di Nöthnitz, per lavorare alla biblioteca del conte Enrich von Bünau, per molti versi rivale (e vittima) di von Brühl. Emarginato dalla vita politica già a partire dagli Trenta, von Bünau possiede una biblioteca che il conte e primo ministro decide di mettere nell’ombra costituendone una assai più grande (si veda, nella prima parte di questa recensione, il contributo di Maria Lieber e Josephine Klingebeil-Schieke).


Fig. 43) Louis de Silvestre, Ritratto del conte Heinrich von Bünau, 1742

Winckelmann, semplicemente, fa parte di un’altra cerchia erudita rispetto a quella del primo ministro, e la situazione rimane immutata anche quando, nel 1754, si licenzia dalla biblioteca di von Bünau per recarsi a Dresda. Ad esempio, il migliore amico di Winckelmann, ovvero Hieronymus Dietrich Berendis (1719-1782), è il precettore del figlio di von Bünau. Ciò non vuol dire che von Brühl ostacoli la carriera di Winckelmann. Anzi, è lui - spiega Lattanzi - ad aiutarlo nella pubblicazione dei Gedancken über die Nachahmung der griechischen Werke in der Malerei und Bildhauerkunst (Pensieri sull'imitazione delle opere greche in pittura e scultura), la prima pubblicazione dell’ancora sconosciuto erudito nel 1755. Tuttavia, non vi è alcun segno di empatia tra i due.


Fig. 44) Johann Christoph Knöffel, Belvedere, 1748-1751, Dresda (prima della sua distruzione da parte delle truppe prussiane nel 1759)

Anche dal punto di vista del gusto, il mondo di Winckelmann non è quello di von Brühl. Il primo ministro promuove nel 1751 il rococò, facendo costruire sulla riva sinistra dell’Elba il Belvedere all’architetto francesizzante Johann Christoph Knöffel (1686-1752). Inoltre von Brühl si assicura per la sua collezione d’arte personale molti quadri di artisti fiamminghi e francesi, anche contemporanei, rivelando una predilezione per gli sviluppi più recenti della tradizione barocca del nord Europa. Con i Gedancken Winckelmann inaugura invece un pensiero radicalmente classicista, ostile a ogni forma stilistica neo-barocca. Ad esempio, detesta Lorenzo Mattielli (1687-1748) che è lo scultore preferito del conte von Brühl. Considera inoltre Heineken, l’erudito e studioso d’arte protetto da von Brühl e più volte incontrato in entrambe le parti di questo post, come un vero e proprio incompetente e lo definisce “un preteso giudice dell’arte” [28]. Lattanzi spiega che, se nella dedica dei Gedancken Augusto III è celebrato per aver promosso l’arte in Sassonia, all'interno dell’opera sono citate, oltre alla Madonna Sistina di Raffaello, pochissime opere che si trovano effettivamente a Dresda. 

Fig. 45) Raffaello, Madonna Sistina, 1513-1514 circa

Maureen Cassidy-Geiger
Diplomatic Correspondence between Count Brühl and Wackerbarth-Salmour during Crown Prince Friedrich Christian’s Grand Tour-cum-Cure in Italy, 1738-1740
[La corrispondenza diplomatica tra il conte Brühl e Wackerbarth-Salmour durante il Grand Tour del Principe ereditario Friedrich Christian in Italia, 1738-1740]


Frederick Christian (1722-1763), figlio di Augusto III, fu lo sfortunato erede al trono di Sassonia (morì nel 1763, lo stesso anno del padre e del primo ministro, dopo soli settanta giorni di regno). Semi-paralizzato a una gamba e dunque impossibilitato a camminare da solo, a sedici anni intraprese un lungo viaggio in Italia (tra 1738 e 1740), documentato da circa seimila pagine nell’archivio di Stato di Dresda. Durante il viaggio fece cure termali, si sottopose a massaggi, ebbe consulti con medici rinomati sul suo stato di salute e visitò località di culto nella speranza di una miracolosa guarigione. La principale ragione del viaggio, però, consisteva nel fatto che doveva accompagnare a Napoli la sorella Maria Amalia, promessa sposa di Carlo III, futura regina delle due Sicilie e, successivamente, di Spagna. 

Fig. 46) Anonimo, Ritratto di Alessandro Albani, senza data

Dopo il matrimonio, Frederick Christian soggiornò a lungo a Napoli, a Roma (per un anno, ospite del cardinale Alessandro Albani), in Toscana, Lombardia e a Venezia (per sei mesi). La studiosa americana Maureen Cassidy-Geiger si dedica in particolare allo studio del carteggio intercorso tra von Brühl e Giuseppe Antonio Gabaleone von Wackerbarth-Salmour [29], piemontese al servizio della diplomazia sassone, che aveva l’incarico di organizzare il viaggio del principe e, soprattutto, di riferire gli avvenimenti ogni settimana al primo ministro ed al Re. A margine di mille occupazioni, Giuseppe Antonio si occupa anche di questioni d’arte, inviando resoconti regolari su oggetti d’arte che potrebbero essere d’interesse per le collezioni reali e assistendo il re Augusto III che voleva acquisire beni appartenenti alle collezioni d’arte medicee (1738) [30]. Come vedremo il suo viaggio ebbe anche conseguenze sul gusto artistico in Sassonia.


Fig. 47) Anton Raphael Mengs, Ritratto di Friedrich Christian come principe elettore di Sassonia e Principe di Polonia, 1751

Veronika M. Seifert
«Spionaggio industriale?» - La Fabbrica dei Mosaici in Vaticano e in Sassonia

La storica tedesco Veronika Maria Seifert, in un articolo in italiano, si interessa [31] all’intenzione di Hans Moritz von Brühl (1693-1755), fratello del primo ministro Heinrich, di fondare una fabbrica di mosaici, e addirittura “di scoprire ad ogni costo le ricette segrete per la produzione delle paste musive color porpora, che erano custodite dalla Fabbrica di San Pietro” [32]. Hans Moritz è parte della delegazione che accompagna il giovanissimo erede al trono Frederick Christian in Italia (vedi sopra). Tra i suoi compiti vi è “l’avvicinamento al mondo artistico romano per portare idee nuove e artisti di fama alla corte sassone. Dal carteggio intercorso tra Dresda e il gruppo dei nostri viaggiatori, si apprende che questi furono esplicitamente incaricati di cercare artisti che fossero all’altezza di decorare la nuova cattedrale cattolica” [33]. Sono queste le ragioni per le quali, il 17 marzo 1739, Frederick Christian e i suoi accompagnatori visitano la Fabbrica di San Pietro. In quegli anni, sotto l’impulso di Alessio Mattioli, la Fabbrica era in una fase di espansione produttiva e innovazione tecnica (con la creazione di nuove paste vitree le cui formule chimiche erano custodite segretamente) ed era ormai in competizione con i rivali veneziani.

Hans Moritz invia un memorandum al fratello, proponendo le iniziative da intraprendere per creare uno stabilimento produttivo in Sassonia e suggerendo di assumere operai italiani specializzati, al fine di diffondere l’arte del mosaico nelle chiese del paese. Il vero intento del memorandum è quello di scoprire le formule segrete. La prima iniziativa (basata sul tentativo di corrompere Mattioli) fallisce. Un secondo tentativo si basa sull’acquisto di pietre da far esaminare ai migliori chimici della Sassonia. Nel 1744 si deve tuttavia concludere che tutti i tentativi sono stati vani e si cambia strategia, cercando di valorizzare il rapporto istituzionale tra autorità sassoni e mondo romano. 

Fig. 48) Johann Georg Friedrich Bodenehr, Ritratto di Friedrich Siegmund Striebel, senza data. Numero di identificazione: 14155545 @Foto: Kunstbibliothek, Staatliche Museen zu Berlin. Fotografia di Dietmar Katz

Viene inviato a Roma il pittore Friedrich Siegmund Striebel (1700-1753) che, probabilmente con l’autorizzazione del cardinale Albani, riesce a incontrare Mattioli e prepara una traduzione tedesca del suo manuale anche con la collaborazione del figlio Friedrich Gottreich (1721-1757). Si è già detto che il cardinale Albani ha rapporti privilegiati con la Sassonia (è lui ad ospitare nel 1738, per un anno intero, il principe reggente Frederick Christian nel suo palazzo).


Fig. 49) Wilhelm Walther, La sfilata dei principi nella Augustusstraße di Dresda, 1864-1876. Nonostante le apparenze, il fregio non è un mosaico, ma una combinazione di porcellane di diverso colore

Striebel riesce insomma a ‘scoprire’ le procedure segrete per creare le paste vitree, ma l’incombente crisi finanziaria poi, impedirà di avviare la produzione industriale musiva in Sassonia. Anche dal punto di vista estetico, non vi è il necessario interesse a diffondere l’uso del mosaico a Dresda. L’architetto della nuova cattedrale, Gaetano Chiaveri, collabora con Striebel nel 1746 alla traduzione del testo, ma l’anno dopo dichiara di preferire soluzioni in marmo per gli interni. La traduzione del trattato di Mattioli si rivelò quindi utilissima per ragioni diverse e inaspettate, quando il manoscritto italiano, inspiegabilmente, sparì. Fu infatti acquistando il testo tedesco dalla vedova (italiana) del figlio di Striebel che la Fabbrica di San Pietro riuscì a garantire la continuità delle conoscenze tecnologiche e a proseguire la sua attività.



Gli italiani alla corte di Sassonia

Ismaele Chignola
Heinrich von Brühl, Francesco Algarotti e Giambattista Tiepolo: tracce di un’empatia massonica?

Ismaele Chignola, attivo all’Università di Verona, studia il rapporto tra Heinrich von Brühl, Francesco Algarotti e Giambattista Tiepolo [34], e si chiede se le loro frequentazione possa essere stata influenzata da una possibile, comune appartenenza alla massoneria.


Fig. 50) Jean-Étienne Liotard, Ritratto di Francesco Algarotti, 1745

Prove certe dell’appartenenza alla massoneria esistono, a dire il vero, solo per l’Algarotti (1712-1764), vero e proprio cosmopolita, capace di creare una rete di rapporti proprio con massoni di grandissimo spessore culturale a Parigi (Voltaire), Londra (Lord Burlington), Berlino (Federico II). Algarotti arriva a Dresda nel 1742, deluso dalla povertà della vita culturale di Berlino, e presenta immediatamente alla casa di Sassonia un “Progetto per ridurre a compimento il regio museo di Dresda”. Per quanto attiene Heinrich von Brühl, l’indizio più forte a favore della sua appartenenza alla Massoneria è costituito dal fatto che tutti e quattro i suoi figli furono a loro volta esponenti importanti di logge massoniche. Quanto infine a Tiepolo, l’autore analizza i due quadri che Algarotti gli commissiona per farne regalo al conte von Brühl: Mecenate presenta le Arti ad Augusto e L’impero di Flora, entrambi del 1743-1744. In tutti e due individua evidenti simboli massonici, come si può evincere dalle immagini che qui seguono: i tre muratori nel Mecenate e la compresenza della sfinge e dei personaggi con i fiori in Flora. 

Fig. 51) Giambattista Tiepolo, Mecenate presenta le Arti ad Augusto, 1733-1734
Fig. 52) Giambattista Tiepolo, Mecenate presenta le Arti ad Augusto: particolare con tre muratori che erigono una balaustra, 1733-1734
Fig. 53) Giambattista Tiepolo, L'impero di Flora, 1743-1744
Fig. 54) Giambattista Tiepolo, L'impero di Flora: particolare con personaggi con fiori e la Sfinge, 1743-1744


Thomas Liebsch
Heinrich Von Brühl e Luigi Crespi

Lo storico dell’arte tedesco Thomas Liebsch discute in un articolo in italiano il ruolo fondamentale del bolognese Luigi Crespi (1708-1779) come intermediario del conte von Brühl [35]. I due intrattennero una corrispondenza che va dal 1749 al 1752. Sono gli anni tra l’acquisto della Galleria Estense di Modena (1745-1746) e il trasferimento a Dresda della Madonna Sistina (1754). Crespi si reca a Dresda tra il giugno 1751 e il dicembre 1752; precedentemente ha ispezionato per Brühl la Galleria Barberini a Roma e la Galleria Arnaldi a Firenze. Di Crespi viene apprezzata la conoscenza tecnica (che gli deriva dal fatto di essere pittore e figlio di pittore), superiore a quella di molti altri intermediari di cui Brühl fa uso.

  
Fig. 55) Ercole de’ Roberti, Cattura di Cristo, 1482

Luigi Crespi procura quadri sia per la collezione privata del conte sia per quella dei reali. La corrispondenza documenta che, grazie alla sua intermediazione, sono acquistati due dipinti del padre, Giuseppe Maria Crespi (San Giuseppe e l’Ecce homo), di due tavole di Ercole de’ Roberti, di un’Annunciazione del Mantegna, della Madonna della Rosa del Parmigianino, di Nino e Semiramide di Guido Reni (perduto durante la Seconda Guerra Mondiale; le trattative con la famiglia Tanari di Bologna durano due anni), e di una copia dell’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello eseguita da Dionisio Fiammingo (Dionisio Calvaert). Le lettere confermano anche la fallita trattativa per una versione del Giuseppe ebreo colla moglie di Putifarre di Carlo Cignani, più grande di quella già detenuta dalla Galleria di Dresda (si veda sopra).


Fig. 56) Parmigianino, Madonna della Rosa, 1530 circa

Giovanna Perini Folesani
Giovanni Lodovico Bianconi e la corte di Dresda 

La storica dell’arte Giovanna Perini Folesani scrive sul bolognese Giovanni Lodovico Bianconi (1717-1781) e la corte di Dresda [36]. Bianconi è “Consigliere Aulico e medico del re”, e vive a Dresda tra 1750 e 1764. Sul punto di lasciare la città per ritirarsi a Roma come ambasciatore di Sassonia, invia lettere preoccupatissime al suo protettore, il principe bolognese Filippo Hercolani (1736-1810), sull’impatto della Guerra dei Sette Anni e sul futuro del regno. In quell’occasione non esita a condannare von Brühl, che “non aveva altro in vista che un lusso pazzo e inimitabile”. L’autrice aggiunge però che “invece proprio quell’atmosfera un po’ alla francese, frivola, godereccia, spensierata, sfarzosa e spendacciona aveva attratto Bianconi a Dresda, inducendolo a manovrare abilmente per ottenere un incarico in quella corte neocattolica, nell’anno giubilare 1750” [37].


Fig. 57) Carlo Bianconi, Ritratto di Giovanni Lodovico Bianconi, 1802

La sua presenza a Dresda non è solamente dedicata alla medicina e dovuta allo sfarzo. Di Dresda a Bianconi piace anche l’atmosfera culturale internazionale. In città si trovano ben tre grandi biblioteche: quella del re e le collezioni private di von Brühl e von Bünau. È per contribuire a questo mondo che Bianconi, per due anni (1748-49), pubblica a Dresda un bollettino per propagare le attività scientifiche e culturali svolte in Italia (Journal des savans d'Italie). Conduce inoltre un’intensa attività di commercializzazione di libri rari, “attività che sembra aver continuato con costanza e competenza anche durante il successivo soggiorno a Dresda e che probabilmente gli ha assicurato l’unica altra carica di qualche nota ottenuta in tanti anni di servizio in quella corte, quella del bibliotecario del re, in sostituzione di Carl Heinrich von Heineken nel 1756” [38].

La professoressa Perini Folesani nota come Bianconi (proveniente dalla classicissima Bologna e nipote del grecista Giovanni Battista) possa aver contribuito a un cambiamento di gusto a corte in senso più classicista, come mostrato anche dalla nuova austerità degli esterni (non però dagli interni) dell’architettura sassone di quegli anni. In tal modo, Bianconi si muove nella direzione auspicata dal principe reggente Frederick Christian, rafforza l’influenza a Dresda della famiglia Albani e prepara l’ambiente che farà da contorno all’elaborazione delle nuove teorie estetiche di Winckelmann. Questo cambiamento di gusto è segnato nel 1748 dal rientro in Francia del pittore di corte Louis de Silvestre dopo trent’anni di servizio. È inoltre confermato dall’arrivo, nel 1754, della Madonna Sistina di Raffaello, dopo una lunga trattativa commerciale favorita proprio da Giovanni Battista Bianconi (lo zio), presente a Dresda nel 1750.



Fig. 58) Il primo tomo del Journal des savans d'Italie

Rispetto a questo orientamento classicista, l’autrice spiega che von Brühl è invece il rappresentante di un indirizzo che conferma l’influsso barocco e predilige l’arte contemporanea a quella classica (come si può notare dalla composizione della sua collezione privata d’arte, che comprende soprattutto fiamminghi e olandesi). Von Brühl preferisce le vedute campestri e seicentesche di Ruysdael ai due quadri di Tiepolo che Algarotti gli dona per ingraziarselo. Tra gli italiani, il conte predilige Giuseppe Maria Crespi (con il cui figlio Luigi ha intensi rapporti commerciali) a Bellotto. Secondo l’autrice, a Dresda si consumò un’autentica battaglia tra bolognesi: il classicista Bianconi (appoggiato dal principe elettore e presente in città dal 1750) impedì a Crespi, espressione di una sensibilità più nordica (appoggiato dal primo ministro) di insediarsi stabilmente nella corte, durante il suo soggiorno del 1752.


Fig. 59) Stefano Torelli, Ritratto di Giovanni Lodovico Bianconi, 1754

Giulia Cantarutti
Giovanni Lodovico Bianconi "promotore per conto della spesa" delle Efemeridi letterarie di Roma e della Antologia Romana

A Bianconi è dedicato anche l’intervento della germanista bolognese Giulia Cantarutti [39], che si pone l’obiettivo di seguirne l’attività a Roma, dopo il suo ritorno da Dresda. Bianconi (che usa la formula “noi sassoni” nella sua corrispondenza privata con Filippo Hercolani) è nominato rappresentante permanente della Sassonia a Roma, un titolo più onorifico che operativo. Ne approfitta per pubblicare due riviste: le “Efemeridi letterarie di Roma” (1772-1798) e l’ “Antologia romana” (1774-1790). In esse Bianconi consolida il suo supporto alle correnti classiche che hanno avuto origine a Dresda e si sono poi insediate a Roma (Mengs, Winckelmann), pubblicando, ad esempio, il suo “Elogio storico del Cavaliere Anton Raffaele Mengs” (Antologia Romana 1779-1780) e ospitando le lettere del Winckelmann al principe reggente Friedrich Christian sugli scavi a Pompei ed Ercolano (sempre su Antologia Romana).


Fig. 60) Copertina di un numero delle Efemeridi letterarie di Roma
Fig. 61) Copertina di un numero dell'Antologia Romana
  
Mecenatismo internazionale

L’ultima sezione degli atti del convegno è dedicata al mecenatismo internazionale nel Settecento, e documenta esempi di grandi collezionisti d’arte in Europa. Sono discussi i casi del francese Duca di Tallard (1683-1775), dell’inglese Carl Heinrich conte di Hoym (1694-1736), del francese Abel-François Poisson de Vandières, marchese di Marigny (1727- 1781), dell’austriaco Wenzel Anton von Kaunitz (1711-1794) e del polacco Joseph Alexander Jabłonowski (1711-1777).

Mi limito a citare autori e titoli dei contributi.
  • Patrick Michel: Une grande collection française contemporaine de Brühl: le cabinet du duc de Tallard (Una grande collezione francese contemporanea a Brühl: il gabinetto del Duca de Tallard).
  • François Marandet: New Thoughts about the Count of Hoym's Collection of Paintings (Nuove considerazioni sulla collezione di dipinti del conte di Hoym).
  • Christophe Morin: Marigny, un collectionneur de souvenirs (Marigny, un collezionista di ricordi).
  • Gernot Mayer: Das «Modell Brühl»? Der Sammler Wenzel Anton von Kaunitz und die kaiserliche Gemäldegalerie (Il «modello Brühl»? Il collezionista Wenzel Anton von Kaunitz e la pinacoteca imperiale).
  • Andrzej Betlej: Polish Art Collections in Brühl’s Time. The Case of the Collection of Joseph Alexander Jabłonowski (Collezioni d’arte polacche ai tempi di Brühl. Il caso della collezione di Joseph Alexander Jabłonowski).



NOTE

[19] Roettgen, Steffi - Mengs e il conte Brühl – Testimonianze di un rapporto difficile, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) Ein sächsischer Mäzen in Europa. Akten der internationalen Tagung zum 250. Todesjahr, a cura di Ute C. Koch e Cristina Ruggero. Convegno organizzato dalle Collezioni d’arte di Stato (Staatliche Kunstsammlungen) a Dresda e dalla Bibliotheca Hertziana – Max-Planck-Institut per la Storia dell’arte, Roma, Dresda, Sandstein Verlag, 2017, 547 pagine. Citazione a pagina 270-281

[20] Roettgen, Steffi - Mengs e il conte Brühl (citato), pp. 270

[21] Roettgen, Steffi - Mengs e il conte Brühl (citato), pp. 272

[22] Roettgen, Steffi - Mengs e il conte Brühl (citato), pp. 273

[23] Roettgen, Steffi - Mengs e il conte Brühl (citato), pp. 475-480

[24] Roettgen, Steffi - Mengs e il conte Brühl (citato), pp. 275

[25] Roettgen, Steffi - Mengs e il conte Brühl (citato), pp. 277

[26] Roettgen, Steffi - Mengs e il conte Brühl (citato), pp. 352

[27] Lattanzi, Lorenzo – Da Dresda a Roma: Winckelmann e il conte Brühl, pp. 282-299. in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.

[28] Lattanzi, Lorenzo – Da Dresda a Roma, (citato), p. 290

[29] Cassidy-Geiger, Maureen - Diplomatic correspondence between Counts Brühl and Wackerbarth-Salmour during Crown Prince Friedrich Christian’s Grand Tour-cum-Cure in Italy, 1738-40, pp. 300-317 in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017. Il testo è disponibile a: 

[30] Cassidy-Geiger, Maureen - Diplomatic correspondence, (citato), p. 305

[31] Seifert, Veronika Maria - «Spionaggio industriale?» - La Fabbrica dei Mosaici in Vaticano e in Sassonia, pp. 317-331 in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017. Il testo è disponibile anche a questo indirizzo: 
Per una trattazione piú dettagliata, si veda: 

[32] Seifert, Veronika Maria - «Spionaggio industriale?», (citato), p. 317

[33] Seifert, Veronika Maria - «Spionaggio industriale?», (citato), p. 319

[34] Chignola, Ismaele – Heinrich von Brühl, Francesco Algarotti e Giambattista Tiepolo: tracce di un’empatia massonica, pp.334-349, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.

[35] Liebsche, Thomas – Heinrich Graf von Brühl e il commercio di quadri a Bologna. L’epistolario di Luigi Crespi, pp. 350-367, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017. Il testo è disponibile a 

[36] Perini Folesani, Giovanna – Giovanni Lodovico Bianconi e la corte di Dresda, pp. 368-382 in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017. Da ricordare che Perini Folesani ha curato la pubblicazione (quando ancora si chiamava solo Perini) di Giovanni Ludovico Bianconi, Scritti tedeschi, Bologna: Minerva, 1998. È inoltre dato per imminente (per i tipi di Leo S. Olschki) il suo Luigi Crespi storiografo mercante e artista.

[37] Perini Folesani, Giovanna – Giovanni Lodovico Bianconi (citato), p. 369

[38] Perini Folesani, Giovanna – Giovanni Lodovico Bianconi (citato), p. 369

[39] Cantarutti, Giulia - Giovanni Lodovico Bianconi "promotore per conto della spesa" delle Efemeridi letterarie di Roma e della Antologia Romana, pp. 383-395, in: Heinrich Graf von Brühl (1700-1763) (citato), 2017.





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