Ghirlandaria
Un manoscritto di ricordi della famiglia Ghirlandaio
A cura di Lisa Venturini
Con introduzione, saggio e note al manoscritto di Nicoletta Baldini
Firenze, Leo S. Olschki, 2017
Recensione di Giovanni Mazzaferro
Un libro di ricordi
Ghirlandaria è il titolo attribuito al manoscritto che conserva i
ricordi della famiglia Bigordi, poi Ghirlandaio, poi Ghirlandari dai primi del
Trecento alla fine del Cinquecento. Gli 86 fogli che lo compongono sono attualmente
conservati presso l’Archivio Segreto Vaticano, lì giunti dopo la chiusura
dell’Arciconfraternita del Gonfalone, uno dei più famosi sodalizi di
beneficenza romani e prim’ancora conservati dagli eredi del Ghirlandaio fino
all’estinzione della famiglia (nel 1734). Il manoscritto è stato scoperto nel
2004 e parzialmente trascritto da Lisa Venturini (1960-2005), che però non ha
avuto modo di completare l’opera perché prematuramente scomparsa. Il lavoro
impostato dalla Venturini vede oggi la luce grazie a Nicoletta Baldini, che ne
ha raccolto il testimone e ne pubblica l’edizione a stampa.
Ghirlandaria, sia chiaro, non è un manoscritto né un libro dei
conti di Domenico Ghirlandaio, né degli altri due suoi fratelli pittori, David e
Benedetto, né, infine, di Ridolfo, figlio di Domenico, che rappresenta la
seconda (e ultima) generazione di artisti della famiglia. Si tratta di una
raccolta di memorie che parlano delle varie generazioni della dinastia fornendo
indicazioni su nascita, morte, matrimoni, figli, possedimenti mobiliari e
immobiliari, contratti e rogiti stipulati. La raccolta è merito di Alessandro
Ghirlandaio (figlio di Ridolfo) e risale grosso modo al 1580. Alessandro (che
all’epoca viveva a Pisa) non ha nessun interesse di carattere artistico; è un
memorialista e basa il suo lavoro su carte che egli stesso definisce
particolarmente usurate e che probabilmente buttò dopo aver completato la sua
opera. Per capirci: lo stesso Alessandro riferisce di aver visto fra le carte
di famiglia una lista dei quadri eseguiti dal padre Ridolfo (Domenico Ghirlandaio
era dunque suo nonno), ma ne menziona solo alcuni (peraltro già noti attraverso Vasari).
![]() |
Domenico Ghirlandaio, Vocazione dei primi apostoli, 1482, Città del Vaticano, Cappella Sistina Fonte: Web Gallery of Art tramite Wikimedia Commons |
Va segnalato peraltro che Ghirlandaria non è, in realtà, la
versione originale compilata da Alessandro, ma si tratta di una rielaborazione successiva
del figlio Ridolfo, in cui sono aggiunte alcune informazioni che portano il
manoscritto ad essere aggiornato in sostanza sino alla fine del Cinquecento, ma
al contempo in cui lo stesso Ridolfo opera una selezione e una scelta.Proprio Ridolfo ci informa che ciò che copia si trova in origine alle
carte che vanno dalla 20 alla 73 della Ghirlandaria
‘originale’ (senza dirci cosa compariva nelle prime venti carte tralasciate) e
a segnalare di volta in volta altre sezioni tralasciate con apposita simbologia
(cfr. pp. 13-14).
![]() |
Domenico Ghirlandaio, Conferma della regola francescana, 1483-1485, Firenze, Chiesa di Santa Trinita, Cappella Sassetti Fonte: Wikimedia Commons |
Perché è importante Ghirlandaria
Ghirlandaria, insomma, avrebbe tutti gli ingredienti per rivelarsi
una mezza delusione. Lo spazio dedicato a Domenico e ai suoi fratelli, nonché a
Ridolfo, corrisponde grosso modo a un terzo del manoscritto; il resto è
dedicato ad altri discendenti che abbandonarono l’arte per dedicarsi (con
alterne fortune) all’attività di banco e ad iniziative di ordine finanziario.
Senza ombra di dubbio, sono estremamente più appaganti le informazioni che su
Domenico ci fornisce Vasari già nella prima edizione delle Vite (la Torrentiniana, 1550), mentre nella seconda lo storico
aretino scrive addirittura due medaglioni biografici, uno dedicato al più
celebre dei Bigordi e l’altro intitolato a David, Benedetto e soprattutto
Ridolfo (edizione Giuntina del 1568). Eppure, se si è consapevoli del tipo di
documento di fronte al quale ci si trova, se si è pazienti e soprattutto se si
è in grado di farsi carico dell’enorme mole di lavoro archivistico che si deve
essere sobbarcata Nicoletta Baldini, le informazioni del manoscritto si
rivelano egualmente di grande interesse.
![]() |
Domenico Ghirlandaio, Annunciazione dell'angelo a Zaccaria, 1485-1490 Firenze, Santa Maria Novella, Cappella Tornabuoni Fonte: Wikimedia Commons |
In primo luogo permettono di fissare
dei punti fissi sui dati anagrafici dei protagonisti della famiglia; è grazie
al testo qui recensito, ad esempio, che siamo finalmente in grado di dire che
Domenico Ghirlandaio nacque il 2 giugno 1448 (in precedenza si indicavano anni
che andavano dal 1449 al 1451). Ma al di là del mero dato anagrafico, il fatto
veramente importante è avere la possibilità di vedere l’evolversi della
famiglia nell’ambito del tessuto sociale fiorentino del Quattro e del
Cinquecento. I Bigordi (il bigordo era il nome dell’asta che si usava nelle
giostre, e per estensione, il cavaliere che la impugnava, o giostrantino) sono
una famiglia ‘piccolo borghese’ che proviene dal mondo delle Arti fiorentine;
stando a Vasari, Domenico sarebbe stato soprannominato Ghirlandaio perché il
padre Tommaso sarebbe stato l’inventore delle ghirlande con cui si usavano
adornare le fanciulle in città (si pensi – una per tutte – alla Flora della Primavera botticelliana). La versione vasariana è stata messa in
discussione più volte, innanzi tutto perché sia il padre Tommaso sia lo zio
Antonio risultavano essere membri di arti non compatibili con questa attività,
sia perché dati documentari hanno dimostrato che l’usanza era testimoniata
anche nel Trecento. Se è indiscusso il fatto che né Tommaso né Antonio
inventarono qualcosa, Ghirlandaria
testimonia che effettivamente i due si dedicarono e fecero fortuna proprio
grazie a quest’attività. A dire il vero, stando a quanto scrive il memorialista,
le ghirlande dei due fratelli sembrano essere fatte di materiali ‘poveri’,
mentre è noto che potevano essere realizzate con perle e pietre preziose. Forse
proprio per questo motivo Domenico fu messo a bottega presso l’orafo Bartolomeo
di Stefano e qui rimase per una decina d’anni (sono indicati i contratti e gli
emolumenti): per imparare a realizzare ghirlande più preziose, che
soddisfacessero le richieste della clientela più esigente.
![]() |
Domenico Ghirlandaio, Natività della Vergine, 1485-1490 Firenze, Santa Maria Novella, Cappella Tornabuoni Fonte: Wikimedia Commons |
Il manoscritto, invece, non
aggiunge nulla per quanto riguarda la formazione ‘pittorica’ di Ghirlandaio.
Non siamo dunque in grado di confermare che Domenico potesse avere avuto come
maestro Alessio Baldovinetti, come scrive ad esempio il Vasari. Un vero e
proprio rapporto di discepolato è, anzi, escluso, posto (come detto) che il
Ghirlandaio risulta documentato per dieci anni come aiuto dell’orefice
Bartolomeo. Tutto quello che possiamo dire è che siamo in grado di misurare
l’integrazione di Domenico e della sua famiglia nel mondo artistico cittadino
per via indiretta, ovvero prendendo nota, ad esempio, dei nomi che compaiono
come padrini dei figli nati all’artista e ai suoi fratelli. Qui ad esempio
Alessio Baldovinetti compare (ma siamo ovviamente in un momento in cui Domenico
si è già imposto sulla scena artistica fiorentina), così come compaiono, ad
esempio, Andrea del Verrocchio e Filippino Lippi. E comunque una consuetudine
particolare col Baldovinetti ci deve essere stata perché, parlando dei ritratti
eseguiti nella cappella Tornabuoi a S. Maria Novella, il memorialista cita
anche quello del Baldovinetti “che
Domenico usava nominarlo padre” (p. 67).
Se pensate di intraprendere la
lettura di Ghirlandaria per
approfondire il catalogo delle opere di uno qualsiasi dei Bigordi, è giusto che
vi dica che in tutto il manoscritto esiste un solo quadro ad oggi ignoto che è
indicato come opera eseguita in comunione da Domenico e David; si tratta di una
tavola dipinta per la Compagnia di Santa Maria della Neve ad Agliana, in
provincia di Pistoia, nel 1482. La pala si trovava nella chiesa di San Piero,
dove la compagnia aveva sede, è ad oggi dispersa. Non si tratta, come evidente,
di una commissione particolarmente prestigiosa; certamente non prestigiosa come
altre opere che Domenico aveva avuto modo di eseguire in precedenza. Il che
corrisponde, tuttavia, con quanto testimoniato da Vasari nella biografia di
Domenico, ovvero che Ghirlandaio era solito accettare qualsiasi tipo di
commissione, sostenuto (quasi travolto) da una passione per l’arte che lo
spingeva ad accettare impegni di tutti i generi.
![]() |
Domenico Ghirlandaio, Sposalizio della Vergine, 1485-1490 Firenze, Santa Maria Novella, Cappella Tornabuoni Fonte: Wikimedia Commons |
Ghirlandaria e Vasari
Esiste un qualche rapporto fra il
manoscritto e le Vite vasariane? È
una delle tesi sostenute da Nicoletta Baldini. Secondo la curatrice, infatti,
Alessandro Ghirlandaio si sarebbe limitato a integrare le informazioni già
fornite dal biografo aretino. Ciò vale, naturalmente, per i dati anagrafici e
per la serie di notizie sugli investimenti immobiliari della famiglia
Ghirlandaio, ma sarebbe altrettanto vero laddove Alessandro specifica, ad
esempio, il nome dell’orefice presso la cui bottega Domenico sarebbe stato a
servizio. Confesso tranquillamente che la tesi della Baldini inizialmente non
mi sembrava particolarmente coinvolgente; poi una serie di dati oggettivi, che
non si possono definire semplici coincidenze, mi ha indotto a cambiare
opinione. Così, ad esempio, si incastrano perfettamente fra loro la citazione fatta
da Vasari di un libro di memorie appartenente agli eredi di Domenico (non si
tratta di Ghirlandaria, scritta nel
1580 circa, ma probabilmente di una delle raccolte di documenti a cui attinse
Alessandro per la sua redazione) e l’affermazione dello stesso Alessandro
secondo cui Vasari “cavò il più forte
dell’informazione et ingelligenzia [sic][su Domenico] da Ridolfo figliolo di detto Domenico e padre di me Alessandro” (p.
93) . In uno degli inventari successivi alla morte di Ridolfo, peraltro, è citata
una copia dell’edizione torrentiniana delle Vite
(1550). Ad oggi l’esistenza di quell’esemplare non è accertata. Sarebbe
fondamentale riuscire a rintracciarlo tramite una firma di possesso (che
probabilmente riporterà il cognome Bigordi) per capire meglio che tipo di
attenzione rivolse Alessandro rispetto al testo vasariano. Cert’è (e questo è
un dato inoppugnabile) che nel manoscritto il memorialista ad un certo punto
scrive: “chi vuol sapere l’appunto
dell’opere sue [di Domenico] legga le
Vite de’ pittori di Giorgio Vasari” (p. 89).
![]() |
Domenico Ghirlandaio, Ritratto di vecchio con nipote, 1488, Parigi, Museo del Louvre Fonte: The Yorck Project tramite Wikimedia Commons |
Invisibile agli occhi, presente fra le righe
Domenico Ghirlandaio visse 46 anni
(1448-1494). Un anno in meno è durata la vita mortale di Lisa Venturini. Ne
parlo perché è impossibile restituire un’immagine completa dell’opera senza far
presente che si tratta di un omaggio commosso, partecipato e intenso alla
memoria della scopritrice del manoscritto, che spese gli ultimi giorni della
sua esistenza a trascriverne il testo (con una determinazione che, nella sua
presentazione, Anna Padoa Rizzo non esita a definire eroica). Raramente ho
avuto modo di leggere un libro così ‘partecipato’, e la cosa va sottolineata.
L’opera vive su due livelli: uno è quello scientifico, impeccabile, ma per sua
natura in qualche modo arido, e l’altro è spirituale. Nelle parole della Rizzo
e in quelle della Baldini emerge chiaramente che Lisa è ‘invisibile agli
occhi’, ma assolutamente presente fra le righe. La stessa volontà di dichiarare
Lisa Venturini come curatrice dell’opera, mentre Nicoletta Baldini risulta solo
in seconda battuta autrice dell’introduzione, del saggio e delle note al
manoscritto (nonché - aggiungo io – autrice della trascrizione dopo i primi 27
fogli) rivela quanto Lisa manchi e, contemporaneamente, sia presente. Ci sono
note a piè di pagina in cui Nicoletta usa la prima persona plurale (usa cioè il
‘noi’ e non l’ ‘io’) e in cui sembra davvero che a parlare siano Lisa e
Nicoletta insieme. La vita ha riservato un destino simile anche a mia sorella,
e posso assicurare che è proprio così: si diventa invisibili agli occhi, ma si
è sempre ben presenti ai propri cari.
Nessun commento:
Posta un commento