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mercoledì 31 maggio 2017

Ghirlandaria. Un manoscritto di ricordi della famiglia Ghirlandaio. A cura di Lisa Venturini, con introduzione, saggio e note al manoscritto di Nicoletta Baldini


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Ghirlandaria
Un manoscritto di ricordi della famiglia Ghirlandaio

A cura di Lisa Venturini
Con introduzione, saggio e note al manoscritto di Nicoletta Baldini


Firenze, Leo S. Olschki, 2017

Recensione di Giovanni Mazzaferro



Un libro di ricordi

Ghirlandaria è il titolo attribuito al manoscritto che conserva i ricordi della famiglia Bigordi, poi Ghirlandaio, poi Ghirlandari dai primi del Trecento alla fine del Cinquecento. Gli 86 fogli che lo compongono sono attualmente conservati presso l’Archivio Segreto Vaticano, lì giunti dopo la chiusura dell’Arciconfraternita del Gonfalone, uno dei più famosi sodalizi di beneficenza romani e prim’ancora conservati dagli eredi del Ghirlandaio fino all’estinzione della famiglia (nel 1734). Il manoscritto è stato scoperto nel 2004 e parzialmente trascritto da Lisa Venturini (1960-2005), che però non ha avuto modo di completare l’opera perché prematuramente scomparsa. Il lavoro impostato dalla Venturini vede oggi la luce grazie a Nicoletta Baldini, che ne ha raccolto il testimone e ne pubblica l’edizione a stampa.

Ghirlandaria, sia chiaro, non è un manoscritto né un libro dei conti di Domenico Ghirlandaio, né degli altri due suoi fratelli pittori, David e Benedetto, né, infine, di Ridolfo, figlio di Domenico, che rappresenta la seconda (e ultima) generazione di artisti della famiglia. Si tratta di una raccolta di memorie che parlano delle varie generazioni della dinastia fornendo indicazioni su nascita, morte, matrimoni, figli, possedimenti mobiliari e immobiliari, contratti e rogiti stipulati. La raccolta è merito di Alessandro Ghirlandaio (figlio di Ridolfo) e risale grosso modo al 1580. Alessandro (che all’epoca viveva a Pisa) non ha nessun interesse di carattere artistico; è un memorialista e basa il suo lavoro su carte che egli stesso definisce particolarmente usurate e che probabilmente buttò dopo aver completato la sua opera. Per capirci: lo stesso Alessandro riferisce di aver visto fra le carte di famiglia una lista dei quadri eseguiti dal padre Ridolfo (Domenico Ghirlandaio era dunque suo nonno), ma ne menziona solo alcuni (peraltro già noti attraverso Vasari).

Domenico Ghirlandaio, Vocazione dei primi apostoli, 1482,  Città del Vaticano, Cappella Sistina
Fonte: Web Gallery of Art tramite Wikimedia Commons


Va segnalato peraltro che Ghirlandaria non è, in realtà, la versione originale compilata da Alessandro, ma si tratta di una rielaborazione successiva del figlio Ridolfo, in cui sono aggiunte alcune informazioni che portano il manoscritto ad essere aggiornato in sostanza sino alla fine del Cinquecento, ma al contempo in cui lo stesso Ridolfo opera una selezione e una scelta.Proprio Ridolfo ci informa che ciò che copia si trova in origine alle carte che vanno dalla 20 alla 73 della Ghirlandaria ‘originale’ (senza dirci cosa compariva nelle prime venti carte tralasciate) e a segnalare di volta in volta altre sezioni tralasciate con apposita simbologia (cfr. pp. 13-14).

Domenico Ghirlandaio, Conferma della regola francescana, 1483-1485,
Firenze, Chiesa di Santa Trinita, Cappella Sassetti
Fonte: Wikimedia Commons

Perché è importante Ghirlandaria

Ghirlandaria, insomma, avrebbe tutti gli ingredienti per rivelarsi una mezza delusione. Lo spazio dedicato a Domenico e ai suoi fratelli, nonché a Ridolfo, corrisponde grosso modo a un terzo del manoscritto; il resto è dedicato ad altri discendenti che abbandonarono l’arte per dedicarsi (con alterne fortune) all’attività di banco e ad iniziative di ordine finanziario. Senza ombra di dubbio, sono estremamente più appaganti le informazioni che su Domenico ci fornisce Vasari già nella prima edizione delle Vite (la Torrentiniana, 1550), mentre nella seconda lo storico aretino scrive addirittura due medaglioni biografici, uno dedicato al più celebre dei Bigordi e l’altro intitolato a David, Benedetto e soprattutto Ridolfo (edizione Giuntina del 1568). Eppure, se si è consapevoli del tipo di documento di fronte al quale ci si trova, se si è pazienti e soprattutto se si è in grado di farsi carico dell’enorme mole di lavoro archivistico che si deve essere sobbarcata Nicoletta Baldini, le informazioni del manoscritto si rivelano egualmente di grande interesse. 

Domenico Ghirlandaio, Annunciazione dell'angelo a Zaccaria, 1485-1490
Firenze, Santa Maria Novella, Cappella Tornabuoni
Fonte: Wikimedia Commons

In primo luogo permettono di fissare dei punti fissi sui dati anagrafici dei protagonisti della famiglia; è grazie al testo qui recensito, ad esempio, che siamo finalmente in grado di dire che Domenico Ghirlandaio nacque il 2 giugno 1448 (in precedenza si indicavano anni che andavano dal 1449 al 1451). Ma al di là del mero dato anagrafico, il fatto veramente importante è avere la possibilità di vedere l’evolversi della famiglia nell’ambito del tessuto sociale fiorentino del Quattro e del Cinquecento. I Bigordi (il bigordo era il nome dell’asta che si usava nelle giostre, e per estensione, il cavaliere che la impugnava, o giostrantino) sono una famiglia ‘piccolo borghese’ che proviene dal mondo delle Arti fiorentine; stando a Vasari, Domenico sarebbe stato soprannominato Ghirlandaio perché il padre Tommaso sarebbe stato l’inventore delle ghirlande con cui si usavano adornare le fanciulle in città (si pensi – una per tutte – alla Flora della Primavera botticelliana). La versione vasariana è stata messa in discussione più volte, innanzi tutto perché sia il padre Tommaso sia lo zio Antonio risultavano essere membri di arti non compatibili con questa attività, sia perché dati documentari hanno dimostrato che l’usanza era testimoniata anche nel Trecento. Se è indiscusso il fatto che né Tommaso né Antonio inventarono qualcosa, Ghirlandaria testimonia che effettivamente i due si dedicarono e fecero fortuna proprio grazie a quest’attività. A dire il vero, stando a quanto scrive il memorialista, le ghirlande dei due fratelli sembrano essere fatte di materiali ‘poveri’, mentre è noto che potevano essere realizzate con perle e pietre preziose. Forse proprio per questo motivo Domenico fu messo a bottega presso l’orafo Bartolomeo di Stefano e qui rimase per una decina d’anni (sono indicati i contratti e gli emolumenti): per imparare a realizzare ghirlande più preziose, che soddisfacessero le richieste della clientela più esigente.

Domenico Ghirlandaio, Natività della Vergine, 1485-1490
Firenze, Santa Maria Novella, Cappella Tornabuoni
Fonte: Wikimedia Commons

Il manoscritto, invece, non aggiunge nulla per quanto riguarda la formazione ‘pittorica’ di Ghirlandaio. Non siamo dunque in grado di confermare che Domenico potesse avere avuto come maestro Alessio Baldovinetti, come scrive ad esempio il Vasari. Un vero e proprio rapporto di discepolato è, anzi, escluso, posto (come detto) che il Ghirlandaio risulta documentato per dieci anni come aiuto dell’orefice Bartolomeo. Tutto quello che possiamo dire è che siamo in grado di misurare l’integrazione di Domenico e della sua famiglia nel mondo artistico cittadino per via indiretta, ovvero prendendo nota, ad esempio, dei nomi che compaiono come padrini dei figli nati all’artista e ai suoi fratelli. Qui ad esempio Alessio Baldovinetti compare (ma siamo ovviamente in un momento in cui Domenico si è già imposto sulla scena artistica fiorentina), così come compaiono, ad esempio, Andrea del Verrocchio e Filippino Lippi. E comunque una consuetudine particolare col Baldovinetti ci deve essere stata perché, parlando dei ritratti eseguiti nella cappella Tornabuoi a S. Maria Novella, il memorialista cita anche quello del Baldovinetti “che Domenico usava nominarlo padre” (p. 67).

Se pensate di intraprendere la lettura di Ghirlandaria per approfondire il catalogo delle opere di uno qualsiasi dei Bigordi, è giusto che vi dica che in tutto il manoscritto esiste un solo quadro ad oggi ignoto che è indicato come opera eseguita in comunione da Domenico e David; si tratta di una tavola dipinta per la Compagnia di Santa Maria della Neve ad Agliana, in provincia di Pistoia, nel 1482. La pala si trovava nella chiesa di San Piero, dove la compagnia aveva sede, è ad oggi dispersa. Non si tratta, come evidente, di una commissione particolarmente prestigiosa; certamente non prestigiosa come altre opere che Domenico aveva avuto modo di eseguire in precedenza. Il che corrisponde, tuttavia, con quanto testimoniato da Vasari nella biografia di Domenico, ovvero che Ghirlandaio era solito accettare qualsiasi tipo di commissione, sostenuto (quasi travolto) da una passione per l’arte che lo spingeva ad accettare impegni di tutti i generi.

Domenico Ghirlandaio, Sposalizio della Vergine,  1485-1490
Firenze, Santa Maria Novella, Cappella Tornabuoni
Fonte: Wikimedia Commons

Ghirlandaria e Vasari

Esiste un qualche rapporto fra il manoscritto e le Vite vasariane? È una delle tesi sostenute da Nicoletta Baldini. Secondo la curatrice, infatti, Alessandro Ghirlandaio si sarebbe limitato a integrare le informazioni già fornite dal biografo aretino. Ciò vale, naturalmente, per i dati anagrafici e per la serie di notizie sugli investimenti immobiliari della famiglia Ghirlandaio, ma sarebbe altrettanto vero laddove Alessandro specifica, ad esempio, il nome dell’orefice presso la cui bottega Domenico sarebbe stato a servizio. Confesso tranquillamente che la tesi della Baldini inizialmente non mi sembrava particolarmente coinvolgente; poi una serie di dati oggettivi, che non si possono definire semplici coincidenze, mi ha indotto a cambiare opinione. Così, ad esempio, si incastrano perfettamente fra loro la citazione fatta da Vasari di un libro di memorie appartenente agli eredi di Domenico (non si tratta di Ghirlandaria, scritta nel 1580 circa, ma probabilmente di una delle raccolte di documenti a cui attinse Alessandro per la sua redazione) e l’affermazione dello stesso Alessandro secondo cui Vasari “cavò il più forte dell’informazione et ingelligenzia [sic][su Domenico] da Ridolfo figliolo di detto Domenico e padre di me Alessandro” (p. 93) . In uno degli inventari successivi alla morte di Ridolfo, peraltro, è citata una copia dell’edizione torrentiniana delle Vite (1550). Ad oggi l’esistenza di quell’esemplare non è accertata. Sarebbe fondamentale riuscire a rintracciarlo tramite una firma di possesso (che probabilmente riporterà il cognome Bigordi) per capire meglio che tipo di attenzione rivolse Alessandro rispetto al testo vasariano. Cert’è (e questo è un dato inoppugnabile) che nel manoscritto il memorialista ad un certo punto scrive: “chi vuol sapere l’appunto dell’opere sue [di Domenico] legga le Vite de’ pittori di Giorgio Vasari” (p. 89).

Domenico Ghirlandaio, Ritratto di vecchio con nipote, 1488, Parigi, Museo del Louvre
Fonte: The Yorck Project tramite Wikimedia Commons

Invisibile agli occhi, presente fra le righe

Domenico Ghirlandaio visse 46 anni (1448-1494). Un anno in meno è durata la vita mortale di Lisa Venturini. Ne parlo perché è impossibile restituire un’immagine completa dell’opera senza far presente che si tratta di un omaggio commosso, partecipato e intenso alla memoria della scopritrice del manoscritto, che spese gli ultimi giorni della sua esistenza a trascriverne il testo (con una determinazione che, nella sua presentazione, Anna Padoa Rizzo non esita a definire eroica). Raramente ho avuto modo di leggere un libro così ‘partecipato’, e la cosa va sottolineata. L’opera vive su due livelli: uno è quello scientifico, impeccabile, ma per sua natura in qualche modo arido, e l’altro è spirituale. Nelle parole della Rizzo e in quelle della Baldini emerge chiaramente che Lisa è ‘invisibile agli occhi’, ma assolutamente presente fra le righe. La stessa volontà di dichiarare Lisa Venturini come curatrice dell’opera, mentre Nicoletta Baldini risulta solo in seconda battuta autrice dell’introduzione, del saggio e delle note al manoscritto (nonché - aggiungo io – autrice della trascrizione dopo i primi 27 fogli) rivela quanto Lisa manchi e, contemporaneamente, sia presente. Ci sono note a piè di pagina in cui Nicoletta usa la prima persona plurale (usa cioè il ‘noi’ e non l’ ‘io’) e in cui sembra davvero che a parlare siano Lisa e Nicoletta insieme. La vita ha riservato un destino simile anche a mia sorella, e posso assicurare che è proprio così: si diventa invisibili agli occhi, ma si è sempre ben presenti ai propri cari. 


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