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venerdì 20 gennaio 2017

Paul Schultze-Naumburg, [La battaglia per l'arte], Monaco, 1932


English Version

Scritti di artisti tedeschi del XX secolo - 11

Paul Schultze-Naumburg
Kampf um die Kunst [La battaglia per l'arte]


Biblioteca Nazionalsocialista N. 36
Franz-Eher-Verlag, Munich, 1932

Recensione di Francesco Mazzaferro

[Versione originale: gennaio 2017 - nuova versione: aprile 2019]

Fig. 1) La copertina dell'opera

La letteratura artistica al servizio del nazionalsocialismo

Con il pamphlet “La battaglia per l’arte” di Paul Schultze-Naumburg [1] (1869-1949) la letteratura artistica cade nel buco nero della storia: il nazionalsocialismo. Il testo ha il compito di persuadere il lettore tedesco delle supposte buone ragioni dell’ideologia nazista nel sostenere e promuovere un certo tipo di arte e nel bocciarne un altro. È pubblicato dalla casa editrice del partito nazista (la stessa che ne stampava ogni giorno il quotidiano ufficiale, il Völkischer Beobachter). Mi sembra utile recensire questo scritto per due ragioni: in primo luogo perché una rassegna di letteratura artistica tedesca del XX secolo non sarebbe completa se non si tenesse conto anche dei testi dei teorici del nazionalsocialismo, per quanto repellenti siano le loro tesi, ed in secondo luogo perché ciò permetta di riconoscere meglio eventuali rischi futuri, ovunque essi si manifestino nel mondo. Per esser chiari: leggere il testo di Paul Schultze-Naumburg ci insegna che a volte gli argomenti peggiori possono essere sostenuti in maniera particolarmente efficace. Il pamphlet è scritto in modo chiaro e fruibile e le sue ragioni sono presentate in modo da sembrare ovvie ed evidenti. Alle ragioni dell’avversario non viene data alcuna legittimazione; il tono (nella radicalità di un discorso dichiaratamente razzista) è perentorio e volto ad offrire scorciatoie facili (e proprio per questo dotate di un loro fascino pericolosissimo) anche nel mondo dell’arte. Molti dei testi di artisti che cadranno vittime della persecuzione nazista (si pensi ad esempio all’antologia di fonti di storia dell’arte di Paul Westheim, pubblicata nel 1928) sono sicuramente più ricchi, interessanti e meditati, ma mostrano chiaramente di sottovalutare la minaccia di quegli anni, e non hanno la medesima ambizione di convincere i lettori della necessità di intraprendere una battaglia per l’arte. E le uniche battaglie che sicuramente si perdono sono quelle che non si combattono mai.


Paul Schultze-Naumburg

Fig. 2) Paul Schultze-Naumburg, Arte e razza nell’edizione del 1928

L’autore del pamphlet (pubblicato nel 1932, ovvero un anno prima delle elezioni che portano al potere Hitler, ma da evidenze interne in realtà scritto nel 1930) ha già dato alle stampe nel 1928 un saggio più ampio dal titolo “Arte e razza” (Kunst und Rasse) che sarà ripubblicato nel 1935, 1938 e 1942 ed è oggi considerato come il testo teorico di riferimento utilizzato dal regime nazista per preparare la mostra dell’arte degenerata del 1937 [2]. Schultze entra però formalmente a far parte del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori solamente nel 1930, a 51 anni; la sua visione razziale dell’arte è probabilmente un retaggio che condivideva ad inizio secolo col movimento nazionalista tedesco Völkisch, prima ancora di divenire parte integrante del fanatismo nazista.


Fig. 3) Paul Schultze-Naumburg, La tecnica della pittura (1898)

Dopo un’educazione da pittore, Schultze-Naumburg (il suo vero cognome è Schultze, ma seguendo una moda molto diffusa alla fine dellì800 Paul assume anche il cognome della città natale) sceglie la professione di architetto, che esercita con grande successo. Ha alle sue spalle una produzione molto vasta di saggi, sia nel campo dell’arte in generale sia in quello dell’architettura. Sono del 1896 e del 1898 i suoi primi scritti sul “Corso di studi del moderno pittore. Un vademecum per gli studenti” (Der Studiengang des modernen Malers. Ein Vademecum für Studierende) [3] e sulla “Tecnica della pittura” (Die Technik der Malerei) [4], seguiti da “Lo studio ed i compiti della pittura” (Das Studium und die Ziele der Malerei) [5] nel 1900. In quegli anni Paul si affilia addirittura alla neonata Secessione di Berlino; lo abbiamo infatti già incontrato in questo blog come corrispondente di Max Liebermann a partire dal 1898. Già in quegli anni si contraddistingue per un gusto estetico profondamente conservatore, anche se nel 1901 promuove, insieme a Henry van de Velde (un famoso architetto e designer, amico dei grandi artisti e critici tedeschi di quegli anni) e a Anna Muthesius (musicista e designer) una fortunata campagna per superare l’impiego del corsetto nell’abbigliamento femminile. Al tema dedica un saggio con il titolo "La cultura del corpo femminile come base dell’abbigliamento delle donne" (Die Kultur des weiblichen Körpers als Grundlage der Frauenkleidung). Questa strana coesistenza di elementi di conservazione culturale in arte ed architettura e di intuizioni rinnovatrici sulla questione femminile spiega perché nel corso di quest’ultimo decennio si siano sollevate dure polemiche in Germania tra chi cerca di riabilitarne la memoria, sottolineandone la modernità in campo sociale, e chi crede che tale tentativo porti con sé un pericoloso revisionismo. La lettura del pamphlet non lascia dubbi in merito: siamo di fronte a un fanatico della peggior specie.


Fig. 4) Paul Schultze-Naumburg, La cultura del corpo delle donne come base dell’abbigliamento femminile, 1902


Teorico di un'architettura tradizionalista

La natura intimamente conservatrice di Schultze-Naumburg diventa chiara quando, nel corso del primo decennio del 1900, egli diviene il teorico della cosiddetta Heimatschutzarchitektur, ovvero (traducendo in senso letterale) “l’architettura a difesa della terra natale”. Fino a qualche anno prima era prevalso nel mondo tedesco un gusto architettonico storicista, che tendeva a riproporre modelli del passato (neogotico, neorinascimentale, neobarocco, neoclassico) come elementi identitari del nuovo impero tedesco; all’inizio del nuovo secolo, tuttavia, nacquero correnti fra loro divergenti, che puntavano o ad una modernizzazione degli ambienti urbani (il cosiddetto Neues Bauen – nuovo costruire – di Bruno Taut e Ludwig Mies van der Rohe) o al ritorno alla tradizioni di origine rurale, sia in termini di materiali sia in quello degli schemi formali. Schultze-Naumburg è uno dei fautori di quest’ultima direzione (come provato dal Palazzo Cecilienhof di Potsdam, da lui costruito tra 1914 e 1917 su commissione della casa reale, ed incluso nel 1990 nella lista delle opere patrimonio dell'umanità dall’Unesco).




Fig. 5-7) Paul Schultze-Naumburg, Tre vedute del Palazzo Cecilienhof, 1914-1917
  
Per poter consolidare questo indirizzo, Schultze-Naumburg prende due iniziative. Prima fonda una colonia di architetti ed artisti in forma di consorzio industriale (Saalecker Werkstätten). Il gruppo opera tra 1901 e 1925 e rappresenta, in un certo senso, il rivale culturale della futura Bauhaus, legando arte, design ed architettura, sia pur in un contesto rurale. Contemporaneamente comincia a pubblicare una collana di testi che vanno sotto il nome di Kulturarbeiten, (“Lavori sulla cultura”) e che divengono la bibbia del tradizionalismo in architettura ed urbanistica. Come si può vedere dalla lista dei titoli, si tratta di un lavoro di dimensioni particolarmente ampio:

  • Tomo 1: “La costruzione della casa. Pensieri introduttivi ai lavori sulla cultura.” (Hausbau. Einführende Gedanken zu den Kulturarbeiten), 1901;
  • Tomo 2: “I giardini” (Gärten), 1902;
  • Tomo 3: “Villaggi e colonie” (Dörfer und Kolonien), 1904;
  • Tomo 4: "La costruzione della città” (Städtebau), 1906;
  • Tomo 5: “La casa per la piccola borghesia” (Das Kleinbürgerhaus), 1907.
  • Tomo 6: “Il castello” (Das Schloß), 1910.

I tomi dal settimo al nono sono radunati sotto la comune dicitura “L’organizzazione del paesaggio da parte dell’uomo“ (Die Gestaltung der Landschaft durch den Menschen e sono così suddivisi:

  • Tomo 7: I. “Strade e vie” (Wege und Strassen); II. “La vegetazione ed il suo contributo al paesaggio” (Die Pflanzenwelt und ihre Bedeutung im Landschaftsbilde), 1916.
  • Tomo 8: III “La base geologica del paesaggio” (Der geologische Aufbau der Landschaft und die Nutzbarmachung der Mineralien); IV. “La gestione delle acque” (Wasserwirtschaft), 1916.
  • Tomo 9: V. Industria (Industrie); VI. “Insediamenti” (Siedlungen), 1917.



Fig. 8) Il primo volume dei Kulturarbeiten: “La costruzione della casa. Pensieri introduttivi ai lavori sulla cultura” del 1901

Schultze-Naumburg sostiene che si debba tornare all’architettura del primo Ottocento. Egli crede che nel corso del XIX secolo, ed in particolare dal 1870 in poi, la Germania sia stata oggetto di una vera e propria devastazione architettonica che ne ha cancellato l’identità ed ha contribuito all’esaurimento della sua cultura. Quello di Paul è un messaggio fortemente eticizzante, spinto dall’idea di ritrovare l’armonia e sposare di nuovo ‘il bello’ ed ‘il buono’, ovviamente in un'ottica fortemente anti-modernista.


Fig. 9) Un esempio ‘buono’ (sinistra) ed uno ‘cattivo’ (destra) di architettura, tratti da due edifici tra loro adiacenti a Jena. Dal primo volume dei Kulturarbeiten. Fonte: https://archive.org/stream/kulturarbeiten01schu_0#page/20/mode/2up

La sconfitta militare nella prima guerra mondiale ed il crollo dell’impero sono uno shock violentissimo. Per Paul (come è chiaro anche ne La battaglia per l’arte) esistono due mondi: uno prima ed uno dopo il 1918. Per utilizzare un termine ormai divenuto di uso comune, egli si ‘radicalizza’ nel corso degli anni Venti. Continua comunque intensissima la sua attività come architetto di successo.


Fig. 10) Paul Schultze-Naumburg, Villa Charlottenhof, 1929–1933
Fig. 11) Paul Schultze-Naumburg, Il castello di Dahmshöhe, 1930–1932
  
La concezione collettiva dell’arte nella dottrina nazionalsocialista

Torniamo ora a La battaglia per l’arte. Vi è un elemento cruciale che bisogna subito comprendere. Per Schultze-Naumburg l’arte non è espressione di genio individuale, ma di una collettività, di un Volk. Di conseguenza, anche la letteratura artistica diviene un’espressione di volontà collettiva, assumendo le caratteristiche dello strumento di lotta politica. Vi è un salto enorme rispetto alla logica precedente dell’idealismo tedesco, che considera l’arte come espressione di una personalità eccezionale, spesso incomprensibile ai propri coetanei, a tal punto che scrivere è l’unico strumento per far capire l’opera d’arte (si pensi, ad esempio, all’introduzione dell’antologia di lettere d’artisti di Hermann Uhde-Bernays, pubblicata nel 1926). È importante sottolineare la rottura completa nei confronti della tradizione del pensiero tedesco, una rottura che è del tutto contraddittoria rispetto alla pretesa dell’autore di salvaguardare il carattere nazionale dell’arte.

L’arte – come si è detto - è lo specchio di un popolo, non il prodotto dello spirito degli artisti come individui. Dalla produzione artistica si può trarre un’immagine visiva fedele della comunità che la sostiene: “Si dice spesso che in ogni arte genuina si rispecchia il popolo che l’origina e la sostiene. Ovviamente ciascun artista può catturare, attraverso il suo specchio, solamente una parte specifica del carattere del suo popolo. E tuttavia è del tutto impensabile che l’arte possa vivere una vita propria e che gli esseri che appaiono di fronte ai nostri occhi non siano anche una rappresentazione fedele degli esseri che rappresentano fisicamente un popolo in carne ed ossa. Noi sappiamo che, dalle opere d’arte che ci hanno lasciato i popoli ed i tempi precedenti, possiamo trarre un’immagine spirituale fedele della loro sostanza, forma ed ambiente” [6]. Sembra un’ovvietà: l’arte egizia ci offre un’immagine esatta di quello che erano (anche fisicamente) gli egiziani, e l’arte greca degli uomini e delle donne al tempo dei greci. Eppure, non tutti la pensano così in quegli anni: si pensi ad esempio al successo dell’arte beuronese negli ambienti monastici tedeschi. Essi considerano l’arte egiziana, greca classica e bizantina come un’ispirazione importante nella direzione dell’astrazione dell’arte religiosa. La realtà, dunque, è che la lettura dell’antico si fa sempre con gli occhi del presente: per i religiosi di Beuron l’antico giustifica l’aspirazione verso l’universalità e l’astrazione, per il teorico nazista serve invece per giustificare l’idea che l’arte debba sempre e solo essere l’espressione fedele della fisicità di una razza.

L’arte, inoltre, secondo Schultze-Naumburg non è l’espressione di uno stile personale. Vi sono limiti a quanto un artista può infatti deviare dall’arte del suo popolo, anche se ovviamente “non ogni immagine può sempre essere una fotografia fedele della realtà di una determinata condizione. Le personalità individuali degli artisti sono troppo diverse perché ciò si possa realizzare. Vi sono coloro che si orientano in modo stretto al modello ed al suo ambiente e lo riproducono in modo fedele sulla tela e coloro che possono dare solamente forma ai loro sogni di tale realtà. E tuttavia non importa se si tratti di una rappresentazione puntuale della realtà – come è sempre stato compito delle belle arti – oppure se si rispecchino i tempi solamente da un punto di vista spirituale, come espressione percettibile della sostanza della realtà. In fin dei conti, non si può assolutamente ignorare che il compito più elevato dell’artista è quello di mostrare gli obiettivi finali agli uomini del proprio tempo, di rendere visibile l’immagine cui si vuole tendere, in modo tale che il popolo intero possa riconoscere la bellezza e possa avviare la gara ad imitarla e a rendersi ad essa conforme” [7]. Un mondo in cui ogni artista sia libero di seguire il suo stile e di perseguire le proprie finalità è dunque inammissibile.

È straordinariamente interessante che nel pamphlet non vi sia nessun riferimento ad alcun critico dell’arte tedesco, né dell’Ottocento né del Novecento, né ad alcuna scuola di storia dell’arte. La nascita della critica dell’arte, e del concetto stesso di stile individuale, è stata una delle conquiste della cultura tedesca dell’Ottocento, spesso guardata con sospetto dai rappresentanti delle altre aree linguistiche europee, come se fosse una manifestazione d’egemonia culturale. L’autore attacca con foga i critici che sostengono l’arte contemporanea, e sostiene che la critica d’arte è un’invenzione degli ultimi anni (a suo parere legata alla diffusione dell’arte contemporanea all’inizio del secolo ed affermatasi in seguito alla nascita di interessi commerciali transnazionali). Non prende nemmeno in considerazione che la critica d’arte sia nata per la necessità di comprendere e sistematizzare un patrimonio artistico vastissimo ed eterogeneo. La attacca perché spesso non è politicamente omogenea al pensiero nazionale. Nel pensiero nazionalsocialista non vi è dunque alcuno spazio per una qualsiasi critica d’arte (basti ricordare che il nazionalsocialismo al potere finirà per metterla ufficialmente al bando).

Ai critici d’arte Schultze-Naumburg rinfaccia molte cose. Essi si basano sul concetto che “l’arte non può avere nulla a che fare con il popolo. Tale popolo non comprenderebbe assolutamente nulla d’arte, e sarebbe davvero un segno preoccupante, un indice d’inferiorità dell’opera, se suscitasse il piacere di chi non è del mestiere” [8]. “In fondo, tale popolo non sarebbe in condizione di ‘comprendere’ nulla, e solamente agli esperti d’arte dei nostri giorni sarebbe riservato scoprire quali leccornie deliziose” gli artisti possano offrire “come caviale al popolo” [9]. Anche dal punto di vista lessicale – insiste l’autore - la critica d’arte sarebbe sostanzialmente estranea al mondo della cultura tedesca, dovendo importare neologismi d’origine straniera (gli esempi sono Dynamik, Polarität, kosmisch, Synthese) per potersi esprimere [10]. L’obiettivo ultimo della critica è quello “di pianificare l’abbandono dei costumi da parte del popolo” [11]. Si capisce dunque perché, durante il periodo nazista, persino i critici d’arte di orientamento rigorosamente nazionalista e conservatore, come ad esempio Max Sauerlandt, non riusciranno mai a convincere il regime nazionalsocialista delle loro ragioni.


La questione della razza

Se dunque l’arte non è questione né di genio individuale, né di stile, né infine di critica, che cosa determina il suo orientamento? La risposta è chiarissima: la razza. Ed a supporto di questa tesi Schultze-Naumburg porta tre argomenti.

In primo luogo, egli sostiene che tutta la statuaria nord-europea, dal 700 fino al 1300, sia contraddistinta da una continuità iconografica segnata dalla figura dell’eroe nordico e da quella della Madonna [12]. All’uniformità razziale corrisponderebbe dunque quella di stile.


Fig. 12) Un confronto fotografico tra un dipinto cubista (di cui non viene citato né autore né titolo)
e la statuaria gotica (Santa Caterina, nella chiesa di San Sebaldo a Norimberga).
Fonte: Paul Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, pagina 15..
Fig. 13) Un confronto fotografico tra una figura rappresentante l ‘ecclesia’ nel duomo di Bamberga e il ‘Ritratto di giovane donna’ di Amedeo Modigliani (1918). L’autore non fornisce mai indicazioni sugli esempi che egli considera ‘negativi’. L’indicazione dell’opera è mia. Oltre a essere artista d’avanguardia, Modigliani era, come risaputo, anche ebreo.
Fonte: Paul Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, pagina 18.

In secondo luogo, egli strumentalizza una tesi del Trattato della pittura di Leonardo, secondo cui il pittore – quando deve impostare i caratteri fondamentali dell’immagine che vuole ritrarre – tende ad ispirarsi istintivamente al proprio stesso volto. I casi di Rubens, Rembrandt, Michelangelo e von Stuck confermerebbero a suo parere questa tesi: i loro autoritratti assomiglierebbero alle figure che essi dipinsero o scolpirono [13].




Figure 14-17) Quattro paragoni tra i ritratti di Rubens, Rembrandt, Michelangelo, von Stuck e loro opere.
Fonte: Paul Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, pagine 30-33.

Da queste premesse Schultze-Naumburg trae un paragone ad absurdum: le immagini dell’arte contemporanea ci rivelano le vere caratteristiche degli artisti. L’atto di creazione è “infatti un procedimento che si può solamente spiegare con un’analogia con le leggi dell’ereditarietà” [14]. Le caratteristiche genetiche dell’artista si trasmetterebbero all’opera, e le caratteristiche dell’opera ci rivelerebbero dunque sia l’identità razziale dell’artista, sia il suo stato di salute. È facile dedurre la conclusione: coloro che producono arte contemporanea (al di fuori dei presunti canoni artistici dell’arte germanica) sarebbero, secondo la dottrina nazista, o membri di altre razze o membri della medesima razza germanica, ma corrotti dalle malattie. È una tesi insensata, che tuttavia è narrata dall’autore in linguaggio chiaro, apparentemente ben argomentato e soprattutto secondo una sequenza logica che, pur essendo intrinsecamente erronea, viene presentata come apparentemente del tutto evidente.

Così come una singola persona non si può mai sottrarre all’appartenenza alla sua razza, anche se facesse uno sforzo enorme in tal senso, allo stesso modo la creazione artistica non può eludere le caratteristiche fisiche e spirituali del suo creatore. Un individuo che appartiene sostanzialmente al mondo del nord dovrà sempre creare creature nordiche, mentre un appartenente alla razza mongola attribuirà alle proprie figure un atteggiamento mongolo; nel caso di un pittore ebreo  tutte le figure dipinte ricevono facilmente un carattere ebraico, anche quando il modello non è ebraico, e tra i giapponesi li faranno uguali ai giapponesi” [15]. E conclude con commenti sulla nudità delle donne e l’influsso dell’arte africana nell’iconografia delle opere d’arte contemporanee, segni che egli interpreta come sintomi di decadenza razziale tra i tedeschi [16].

Insomma, i concetti tradizionali della storia dell’arte non si applicano più: la stessa identità nazionale dell’arte tedesca non si basa su “lingua, stato e consuetudine”, ma sulla comunità di sangue: “ogni razza persegue il suo particolare obiettivo nei termini della propria immagine, che rincorrerà sempre necessariamente e in modo inconscio. Il desiderio di un ideale universale che valga per l’umanità intera rimarrà sempre un sogno, per di più un sogno non certamente bello. Solamente una razza può contemplare un obiettivo d’immagine in modo chiaro ed unitario e – finché rimane sana – cercherà di personificare tale immagine sia nel suo comportamento etico sia nelle sue opere visibili” [17]. È un tradimento dell’idea universale di cultura che proprio il mondo classico tedesco (si pensi all’Inno alla gioia) aveva elaborato cento cinquant’anni prima.

Fig. 18) Esempi di cosiddetta arte patologica secondo le tesi razziali dell’arte di Schultze-Naumburg.
Fonte: Paul Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, pagina 35.

In termini estetici, quello di Schultze-Naumburg è un inno al ritorno all’unità stilistica nell’ambito di ogni singola ‘realtà’ razziale, come sperimentata – almeno a suo parere – nell’Atene di Pericle e soprattutto nelle città tedesche sotto gli Hohenstaufen [18], quando il popolo aveva trovato “il suo ristoro e la fonte di un profondo benessere interiore nei nostri duomi gotici con i loro eroi di pietra e santi in legno” [19]. All’interno di ogni gruppo razziale – egli scrive – l’arte non deve manifestare differenze fondamentali nei propri sviluppi, così come la società deve rimanere raccolta attorno ad un unico fine. Il fatto che si debba tornare all’età di Pericle o al Medioevo per identificare i modelli di riferimento rivela tuttavia quanto questa (percepita) situazione di assenza di correnti artistiche fra loro in competizione sia assolutamente straordinaria (ed ovviamente mai verificatasi nemmeno in quei casi). La storia dell’arte rivela – contrariamente a quello che scrive Schultze-Naumburg – che per fortuna gli artisti che appartengono ad una stessa area culturale tendono sempre a ramificarsi in mille rivoli, cercando risposte personali a problemi comuni.


Dalla questione estetica a quella politica

Ovviamente, sarebbe possibile concepire una genuina nostalgia per un ritorno dell’arte al passato e una preferenza per posizioni più unitarie fra gli artisti nell'ambito di una normale dialettica estetica, all’interno di una società liberale dove tutte le posizioni sono presenti. Ed invece l’autore nega fermamente ogni dialogo, “perché nell’arte tedesca si è scatenata una lotta per la vita e la morte, esattamente come in politica” [20]. “L’opposizione irriducibile che vediamo attorno a noi non può più essere ignorata nel tentativo di volersi vicendevolmente comprendere, ma deve tradursi in una battaglia a campo aperto” [21]. Ed infine: “Non si può essere un nazionalsocialista e venire a patti con i nemici nel campo dell’arte e dell’organizzazione della nostra vita” [22].

Il successo dell’arte contemporanea in Germania è visto in funzione dei capovolgimenti politici dopo il 1918 (è una menzogna: i movimenti espressionisti e d’avanguardia, come il Brücke a Dresda ed il Blaue Reiter a Monaco, sono tutti precedenti la prima guerra mondiale). Quando chiede ai sostenitori dell’arte contemporanea di argomentare le loro ragioni “non riceve da loro mai nessun’altra risposta se non che si tratta dell’espressione della nuova epoca inauguratasi con il 1918. Non ci rimane null’altro se non credere alla verità di questa dichiarazione. (…) Ed è comunque un fatto estremamente caratteristico che una serie di artisti viventi in Germania dal 1918 non operano più da soli, ma in gruppi che si presentano sempre con la partecipazione di stranieri” [23]. Anche questa è una balla. In realtà sappiamo bene che - con l’esclusione della Bauhaus – dopo la guerra si assiste ad un processo di frammentazione, con lo scioglimento dei gruppi secessionisti ed espressionisti. Ma Schultze continua (parlando sempre di quella che considera una perniciosa influenza estera): “E ciò non succede solamente nelle mostre, ma anche i nostri musei sono acquirenti regolari degli stranieri che appartengono ai quei circoli” [24]. E qui va ricordato, ancora una volta, che l’episodio più serio di contestazione degli acquisti dei musei tedeschi (indirizzati verso gli impressionisti francesi) è del 1911, ad opera di Carl Vinnen [25]: di nuovo un episodio precedente e non successivo al conflitto mondiale. 

Fig. 19) Carl Vinnen, Una protesta degli artisti tedeschi, 1911

Nella retorica nazista, la Germania è un paese ormai schiacciato, dove “nessuno osa ancora dire forte e chiaro quel che gli piace e quello che non gli piace, quello che lo fa gioire e quello che gli fa orrore nel più profondo dell’animo” [26]. Anzi, la Germania è ormai un paese senza arte “perché quello che di arte contemporanea è offerto nelle esposizioni e nelle collezioni pubbliche può assai raramente avere l’ambizione di entusiasmare un tedesco” [27]. “Vi è forse ancora oggi un’arte che con i propri mezzi materiali raffigura figure di persone che ancora possano mostrarsi nella piazza del mercato; e tuttavia si fa in modo che nelle nostre mostre e nella quantità enorme di stampe che ci sommergono giorno e notte tale arte non possa emergere da questo diluvio” [28]. “Sicuramente vi sono molti artisti di grandi capacità, la cui voce del cuore non permette loro di suonare la stessa musica dell’arte ufficiale. Ma rimangono sconosciuti, nessuno conosce il loro nome. Anche i più anziani, che si sono già fatti un nome, perdono sempre più il loro legame con l’opinione pubblica. Così manca ogni visione d’insieme su quel che rimane oggi dell'arte di sentimento tedesco e su quali siano i suoi prodotti” [29]. “Secondo un modello già ben conosciuto, i detentori del potere si sono impadroniti non solamente di tutti gli spazi espositivi pubblici e privati, ma hanno sottoposto al loro potere l’intera stampa. A ciò non appartiene solamente la stampa dichiaratamente di sinistra; anche i giornali borghesi non osano più scrivere o pubblicare nulla contro il corso ufficiale” [30].  Chiunque abbia seguito le vicissitudini dei durissimi scontri tra i rappresentanti delle secessioni, delle scuole accademiche, delle avanguardie e di molti altri gruppi non può che concludere che quelli furono anni in cui in realtà mancò ogni capacità di creare un largo consenso attorno a proposte artistiche omogenee: i nazisti, invece, percepivano i rappresentanti delle diverse scuole d’estetica in lotta tra loro come un ‘blocco’ compatto a loro avverso, mentre in realtà tutti erano contro tutti, senza nessuna possibilità di mediazione.

Sta di fatto che, subito dopo la conquista del potere, gli artisti nazisti cominciarono a spuntare come funghi. È il caso del più famoso tra loro, il pittore Adolf Ziegler, che mai aveva esposto un qualsiasi quadro prima di essere ammesso al consiglio dell’Accademia di Belle Arti di Monaco, e che in poco tempo divenne idolo delle folle sotto Hitler.


Come è stato possibile convincere i lettori di argomenti talmente indecenti?

Fig. 20) Le domande retoriche poste da Paul Schultze-Naumburg
subito sotto la foto di “Paradiso perduto” di Emil Nolde (1921).
Fonte: Paul Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, pagina 8.

Come può Paul Schultze-Naumburg proporre tesi talmente odiose senza suscitare un sentimento di rigetto? L’autore combina la menzogna e strumenti retorici raffinati per trarre conclusioni precostituite. Sa benissimo che il mondo tradizionale tedesco non è affatto in via di liquidazione culturale: la fase più radicale dell’avanguardia (se mai fosse davvero stata in dissenso con l’arte tedesca, di cui rappresentava invece la continuazione delle correnti idealiste dell’Ottocento) si è ormai già esaurita e siamo in una piena fase di “ritorno all’ordine” (in Germania l’espressionismo è già in crisi, mentre sta fiorendo la Nuova Oggettività e guadagna terreno il purismo francese). Inoltre, deve ben sapere che parte dell’arte contemporanea è intellettualmente di destra (si pensi all’Italia di quei decenni). Non può inoltre non essere cosciente che le forme d’innovazione estetica più radicale (l’astrazione, la musica atonale) sono anche la risposta alla diffusione di massa di nuove tecnologie che consentono la riproduzione dell’arte più tradizionale (la radio, il cinema, il fonografo). E tuttavia gli argomenti più insidiosi sono posti nella forma d’interrogativi retorici che invitano il lettore a manifestare un naturale consenso. “Ecco dunque apparire una domanda non priva di giustificazioni: ci riconosciamo davvero con quella che oggi viene osannata come grande arte? Questi volti e corpi e la loro espressione corrispondono forse a quello che costituisce e definisce in modo percettibile l’essenza del nostro popolo tedesco, in termini di corpo e di spirito? In alternativa, rappresentano davvero immagini di un desiderio che si manifestano nel nostro popolo? Abbiamo evidenza di uno struggimento da parte di ognuno di noi a divenire a loro quanto più possibile simili, come ci succede per le opere delle epoche migliori della Grecia, quando siamo attorniati da un mondo di dei ed eroi in marmo?” [31] “Che cosa hanno da dire queste opere? Possono arricchirti, suscitare quelle emozioni che tu stesso non puoi attivare da solo, raggiungendo una simile grandezza, chiarezza e ricchezza, ed alle quali è dunque un artista che deve introdurti?” [32].

È certamente legittimo porsi domande sul valore delle opere, là dove si tratta di questioni estetiche. Qui invece il problema è in realtà posto come parte di un programma politico di condanna (e successiva distruzione) della produzione di un’intera generazione d’artisti. Le risposte alle domande retoriche sono ancora meno ammissibili. L’arte contemporanea, infatti, “è solamente un cenno ancora grezzo di un’umanità gravemente inferiore, un abbozzo che non è né bello, né caratteristico, e non ha nessuno dei pregi della pazzia, dell’umore o dello scherzo. L’unico concetto che ci ispira è che la grandezza dell’umanità viene qui trascinata verso il basso” [33]. E poiché uno dei principi della lotta politica più dura è quella di non nominare mai gli argomenti dei nemici, l’autore non cita mai nel suo manifesto né i nomi degli artisti condannati né i titoli delle loro opere: non si tratta di opere d’arte, dunque non vi è bisogno di identificarle [34]. Vi è già una logica di annientamento dell’opera e dell’autore.

Vi è infine una sezione sull’architettura. È ovviamente il campo in cui Schultze-Naumburg è più ferrato, ma stranamente è anche il settore in cui la polemica è meno virulenta. Egli si scaglia contro l’architettura del Neues Bauen, contro la quale si era già pronunciato all’inizio del 1900. È tuttavia evidente che l’autore non ama il tipo di architettura imperiale e totalitaria che prevarrà nel regime nazional socialista; egli si sente invece il rappresentante di una Germania intima e rurale, i cui modelli ideali non devono essere sacrificati all’industrializzazione ed al materialismo. Se la sua dottrina razziale si impone per la pittura tra i nazisti, non credo che Schultze-Naumburg abbia influenzato in modo significativo il pensiero del regime nel campo dell’architettura (certamente non ha avuto, neppure lontanamente, l’importanza di un Albert Speer).

In conclusione, il pamphlet dimostra come la letteratura artistica possa divenire strumento del più radicale e illegittimo dei regimi politici della storia. L’autore lo dice espressamente nell’introduzione: “Ci si imbatte spesso nell’opinione che l’arte possa produrre molti piaceri, introducendo la bellezza nella vita, ma, quando si tratta invece delle questioni più importanti della vita, l’arte non avrebbe nulla da dire. Chi la pensa così non ha ancora chiaro il concetto di arte e l’entità del compito che le spetta nella vita degli uomini. Infatti chi pensa che l’attività artistica consista nel fatto che uno è ricco abbastanza per comprarsi un impressionista francese per poterlo mostrare pieno di orgoglio agli amici, coglie un pezzo assai piccolo e neppure importante dell’insieme. Se si vuol dare un significato semplice ed essenziale al concetto d’arte, si potrebbe dire: è sempre l’espressione del desiderio dell’uomo, quando si traduce in una forma percettibile. Questo mettere-in-forma è un atto creativo, per il quale sono necessarie le forze dell’artista. (…) L’elemento essenziale dell’arte, così come noi la concepiamo, è quindi quello di mostrare sempre una “direzione spirituale”. E l’idea del nazionalsocialismo si basa sul ‘dare direzione’ al popolo tedesco in modo appropriato e conducendolo alla salvezza. E poiché quel compito viene sostanzialmente condotto con gli strumenti dello spirito, il nazionalsocialismo non può tralasciare anche lo strumento dell’arte” [35].

Purtroppo, qualsiasi sia l’abisso in cui l’umanità si è dimostrata capace di sprofondare, c’è sempre stato un artista che ne ha teorizzato le basi. La speranza è che, almeno in questo caso, la storia non si ripeta.


NOTE

[1] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, Nationalsozialistische Bibliothek (Biblioteca nazionalsocialista) N. 36. Franz-Eher-Verlag, Monaco di Baviera, 1932, pagine 67. Il testo è disponibile sul sito dell’Università di Francoforte: 

[2] Schultze-Naumburg, Paul – Kunst und Rasse, Monaco di Baviera, J.F. Lehmanns, 1928, 144 pagine. Si veda: 
http://germanhistorydocs.ghi-dc.org/sub_image.cfm?image_id=4217. Un sommario in inglese è contenuto alla pagina: 

[3] Schultze-Naumburg, Paul - Das Studium und die Ziele der Malerei: ein Vademecum für Studierende, Lipsia, Eugen Diederichs, 1896, 125 pagine.

[4] Schultze-Naumburg, Paul - Technik der Malerei. Ein Handbuch für Künstler und Dilettanten. Lipsia, E. Haberland, 1900, 176 pagine. Si veda: https://archive.org/details/technikdermalere00schu.

[5] Schultze-Naumburg, Paul - Das Studium und die Ziele der Malerei. Jena, Eugen Diederichs, 1900, 98 pagine.

[6] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 8.

[7] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 8.

[8] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 6.

[9] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 7.

[10] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 37.

[11] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 39.

[12] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), pp. 13-15.

[13] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, pp. 30-33.

[14] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 33.

[15] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 34.

[16] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), pp. 40-44.

[17] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 6.

[18] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 5.

[19] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 7.

[20] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 5.

[21] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 5.

[22] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 67.

[23] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 11.

[24] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 11.

[25] Vinnen, Carl - Ein Protest deutscher Künstler, Jena, Eugen Diederichs, 1911, 80 pagine.

[26] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 6.

[27] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 7.

[28] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 12.

[29] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 45.

[30] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 45.

[31] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 8-9.

[32] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 9-10.

[33] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 9.

[34] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), p. 9.

[35] Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, (citato), pp. 3-4.


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