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Scritti di artisti tedeschi del XX secolo - 11
Paul Schultze-Naumburg
Kampf um die Kunst [La battaglia per l'arte]
Biblioteca Nazionalsocialista N. 36
Franz-Eher-Verlag, Munich, 1932
Recensione di Francesco Mazzaferro
[Versione originale: gennaio 2017 - nuova versione: aprile 2019]
Franz-Eher-Verlag, Munich, 1932
Recensione di Francesco Mazzaferro
[Versione originale: gennaio 2017 - nuova versione: aprile 2019]
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Fig. 1) La copertina dell'opera |
La letteratura artistica al servizio del nazionalsocialismo
Con il pamphlet “La
battaglia per l’arte” di Paul Schultze-Naumburg [1] (1869-1949) la
letteratura artistica cade nel buco nero della storia: il nazionalsocialismo.
Il testo ha il compito di persuadere il lettore tedesco delle supposte buone
ragioni dell’ideologia nazista nel sostenere e promuovere un certo tipo di arte
e nel bocciarne un altro. È pubblicato dalla casa editrice del partito nazista
(la stessa che ne stampava ogni giorno il quotidiano ufficiale, il Völkischer Beobachter). Mi sembra utile
recensire questo scritto per due ragioni: in primo luogo perché una rassegna di
letteratura artistica tedesca del XX secolo non sarebbe completa se non si
tenesse conto anche dei testi dei teorici del nazionalsocialismo, per quanto
repellenti siano le loro tesi, ed in secondo luogo perché ciò permetta di
riconoscere meglio eventuali rischi futuri, ovunque essi si manifestino nel
mondo. Per esser chiari: leggere il testo di Paul Schultze-Naumburg ci insegna
che a volte gli argomenti peggiori possono essere sostenuti in maniera particolarmente
efficace. Il pamphlet è scritto in modo chiaro e fruibile e le sue ragioni sono
presentate in modo da sembrare ovvie ed evidenti. Alle ragioni dell’avversario
non viene data alcuna legittimazione; il tono (nella radicalità di un discorso
dichiaratamente razzista) è perentorio e volto ad offrire scorciatoie facili (e
proprio per questo dotate di un loro fascino pericolosissimo) anche nel mondo
dell’arte. Molti dei testi di artisti che cadranno vittime della persecuzione
nazista (si pensi ad esempio all’antologia di fonti di storia dell’arte di Paul Westheim, pubblicata nel 1928) sono sicuramente più ricchi, interessanti e
meditati, ma mostrano chiaramente di sottovalutare la minaccia di quegli anni,
e non hanno la medesima ambizione di convincere i lettori della necessità di
intraprendere una battaglia per l’arte. E le uniche battaglie che sicuramente
si perdono sono quelle che non si combattono mai.
Paul Schultze-Naumburg
L’autore del pamphlet (pubblicato nel 1932, ovvero un anno
prima delle elezioni che portano al potere Hitler, ma da
evidenze interne in realtà scritto nel 1930) ha già dato alle stampe nel 1928
un saggio più ampio dal titolo “Arte e
razza” (Kunst und Rasse) che sarà
ripubblicato nel 1935, 1938 e 1942 ed è oggi considerato come il testo teorico
di riferimento utilizzato dal regime nazista per preparare la mostra dell’arte
degenerata del 1937 [2]. Schultze entra però formalmente a far parte del Partito
Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori solamente nel 1930, a 51 anni; la sua
visione razziale dell’arte è probabilmente un retaggio che condivideva ad
inizio secolo col movimento nazionalista tedesco Völkisch, prima ancora di divenire parte integrante del fanatismo
nazista.
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Fig. 3) Paul Schultze-Naumburg, La tecnica della pittura (1898) |
Dopo un’educazione da pittore, Schultze-Naumburg (il suo
vero cognome è Schultze, ma seguendo una moda molto diffusa alla fine dellì800
Paul assume anche il cognome della città natale) sceglie la professione di
architetto, che esercita con grande successo. Ha alle sue spalle una produzione
molto vasta di saggi, sia nel campo dell’arte in generale sia in quello
dell’architettura. Sono del 1896 e del 1898 i suoi primi scritti sul “Corso di studi del moderno pittore. Un
vademecum per gli studenti” (Der
Studiengang des modernen Malers. Ein Vademecum für Studierende) [3] e sulla
“Tecnica della pittura” (Die Technik der Malerei) [4], seguiti da
“Lo studio ed i compiti della pittura”
(Das Studium und die Ziele der Malerei)
[5] nel 1900. In quegli anni Paul si affilia addirittura alla neonata
Secessione di Berlino; lo
abbiamo infatti già incontrato in questo blog come corrispondente di Max
Liebermann a partire dal 1898. Già in quegli anni si contraddistingue per
un gusto estetico profondamente conservatore, anche se nel 1901 promuove,
insieme a Henry van de Velde (un famoso architetto e designer, amico dei grandi
artisti e critici tedeschi di quegli anni) e a Anna Muthesius (musicista e
designer) una fortunata campagna per superare l’impiego del corsetto
nell’abbigliamento femminile. Al tema dedica un saggio con il titolo "La cultura del corpo femminile come base
dell’abbigliamento delle donne" (Die
Kultur des weiblichen Körpers als Grundlage der Frauenkleidung). Questa
strana coesistenza di elementi di conservazione culturale in arte ed architettura
e di intuizioni rinnovatrici sulla questione femminile spiega perché nel corso
di quest’ultimo decennio si siano sollevate dure polemiche in Germania tra chi
cerca di riabilitarne la memoria, sottolineandone la modernità in campo
sociale, e chi crede che tale tentativo porti con sé un pericoloso revisionismo.
La lettura del pamphlet non lascia dubbi in merito: siamo di fronte a un fanatico della peggior specie.
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Fig. 4) Paul Schultze-Naumburg, La cultura del corpo delle donne come base dell’abbigliamento femminile, 1902 |
Teorico di un'architettura tradizionalista
La natura intimamente conservatrice di Schultze-Naumburg diventa chiara quando, nel corso del primo decennio del 1900, egli diviene il teorico della cosiddetta Heimatschutzarchitektur, ovvero (traducendo in senso letterale) “l’architettura a difesa della terra natale”. Fino a qualche anno prima era prevalso nel mondo tedesco un gusto architettonico storicista, che tendeva a riproporre modelli del passato (neogotico, neorinascimentale, neobarocco, neoclassico) come elementi identitari del nuovo impero tedesco; all’inizio del nuovo secolo, tuttavia, nacquero correnti fra loro divergenti, che puntavano o ad una modernizzazione degli ambienti urbani (il cosiddetto Neues Bauen – nuovo costruire – di Bruno Taut e Ludwig Mies van der Rohe) o al ritorno alla tradizioni di origine rurale, sia in termini di materiali sia in quello degli schemi formali. Schultze-Naumburg è uno dei fautori di quest’ultima direzione (come provato dal Palazzo Cecilienhof di Potsdam, da lui costruito tra 1914 e 1917 su commissione della casa reale, ed incluso nel 1990 nella lista delle opere patrimonio dell'umanità dall’Unesco).
La natura intimamente conservatrice di Schultze-Naumburg diventa chiara quando, nel corso del primo decennio del 1900, egli diviene il teorico della cosiddetta Heimatschutzarchitektur, ovvero (traducendo in senso letterale) “l’architettura a difesa della terra natale”. Fino a qualche anno prima era prevalso nel mondo tedesco un gusto architettonico storicista, che tendeva a riproporre modelli del passato (neogotico, neorinascimentale, neobarocco, neoclassico) come elementi identitari del nuovo impero tedesco; all’inizio del nuovo secolo, tuttavia, nacquero correnti fra loro divergenti, che puntavano o ad una modernizzazione degli ambienti urbani (il cosiddetto Neues Bauen – nuovo costruire – di Bruno Taut e Ludwig Mies van der Rohe) o al ritorno alla tradizioni di origine rurale, sia in termini di materiali sia in quello degli schemi formali. Schultze-Naumburg è uno dei fautori di quest’ultima direzione (come provato dal Palazzo Cecilienhof di Potsdam, da lui costruito tra 1914 e 1917 su commissione della casa reale, ed incluso nel 1990 nella lista delle opere patrimonio dell'umanità dall’Unesco).
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Fig. 5-7) Paul Schultze-Naumburg, Tre vedute del Palazzo Cecilienhof, 1914-1917 |
Per poter consolidare questo indirizzo, Schultze-Naumburg
prende due iniziative. Prima fonda una colonia di architetti ed artisti in
forma di consorzio industriale (Saalecker
Werkstätten). Il gruppo opera tra 1901 e 1925 e rappresenta, in un certo
senso, il rivale culturale della futura Bauhaus,
legando arte, design ed architettura, sia pur in un contesto rurale.
Contemporaneamente comincia a pubblicare una collana di testi che vanno sotto
il nome di Kulturarbeiten, (“Lavori
sulla cultura”) e che divengono la bibbia del tradizionalismo in architettura
ed urbanistica. Come si può vedere dalla lista dei titoli, si tratta di un
lavoro di dimensioni particolarmente ampio:
- Tomo 1: “La costruzione della casa. Pensieri introduttivi ai lavori sulla cultura.” (Hausbau. Einführende Gedanken zu den Kulturarbeiten), 1901;
- Tomo 2: “I giardini” (Gärten), 1902;
- Tomo 3: “Villaggi e colonie” (Dörfer und Kolonien), 1904;
- Tomo 4: "La costruzione della città” (Städtebau), 1906;
- Tomo 5: “La casa per la piccola borghesia” (Das Kleinbürgerhaus), 1907.
- Tomo 6: “Il castello” (Das Schloß), 1910.
I tomi dal settimo al nono sono radunati sotto la comune
dicitura “L’organizzazione del paesaggio da parte dell’uomo“ (Die Gestaltung der Landschaft durch den
Menschen e sono così suddivisi:
- Tomo 7: I. “Strade e vie” (Wege und Strassen); II. “La vegetazione ed il suo contributo al paesaggio” (Die Pflanzenwelt und ihre Bedeutung im Landschaftsbilde), 1916.
- Tomo 8: III “La base geologica del paesaggio” (Der geologische Aufbau der Landschaft und die Nutzbarmachung der Mineralien); IV. “La gestione delle acque” (Wasserwirtschaft), 1916.
- Tomo 9: V. Industria (Industrie); VI. “Insediamenti” (Siedlungen), 1917.
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Fig. 8) Il primo volume dei Kulturarbeiten: “La costruzione della casa. Pensieri introduttivi ai lavori sulla cultura” del 1901 |
Schultze-Naumburg sostiene che si debba tornare
all’architettura del primo Ottocento. Egli crede che nel corso del XIX secolo, ed in
particolare dal 1870 in poi, la Germania sia stata oggetto di una vera e
propria devastazione architettonica che ne ha cancellato l’identità ed ha
contribuito all’esaurimento della sua cultura. Quello di Paul è un messaggio
fortemente eticizzante, spinto dall’idea di ritrovare l’armonia e sposare di nuovo
‘il bello’ ed ‘il buono’, ovviamente in un'ottica fortemente anti-modernista.
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Fig. 9) Un esempio ‘buono’ (sinistra) ed uno ‘cattivo’ (destra) di architettura, tratti da due edifici tra loro adiacenti a Jena. Dal primo volume dei Kulturarbeiten. Fonte: https://archive.org/stream/kulturarbeiten01schu_0#page/20/mode/2up |
La sconfitta militare nella prima guerra mondiale ed il
crollo dell’impero sono uno shock violentissimo. Per Paul (come è chiaro anche
ne La battaglia per l’arte) esistono
due mondi: uno prima ed uno dopo il 1918. Per utilizzare un termine ormai
divenuto di uso comune, egli si ‘radicalizza’ nel corso degli anni Venti.
Continua comunque intensissima la sua attività come architetto di successo.
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Fig. 10) Paul Schultze-Naumburg, Villa Charlottenhof, 1929–1933 |
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Fig. 11) Paul Schultze-Naumburg, Il castello di Dahmshöhe, 1930–1932 |
La concezione collettiva
dell’arte nella dottrina nazionalsocialista
Torniamo ora a La
battaglia per l’arte. Vi è un elemento cruciale che bisogna subito
comprendere. Per Schultze-Naumburg l’arte non è espressione di genio
individuale, ma di una collettività, di un Volk.
Di conseguenza, anche la letteratura artistica diviene un’espressione di
volontà collettiva, assumendo le caratteristiche dello strumento di lotta
politica. Vi è un salto enorme rispetto alla logica precedente dell’idealismo
tedesco, che considera l’arte come espressione di una personalità eccezionale,
spesso incomprensibile ai propri coetanei, a tal punto che scrivere è l’unico
strumento per far capire l’opera d’arte (si pensi, ad esempio, all’introduzione
dell’antologia di lettere d’artisti di Hermann Uhde-Bernays, pubblicata nel 1926).
È importante sottolineare la rottura completa nei confronti della tradizione del pensiero tedesco, una rottura che è del tutto contraddittoria rispetto alla
pretesa dell’autore di salvaguardare il carattere nazionale dell’arte.
L’arte – come si è detto - è lo specchio di un popolo, non
il prodotto dello spirito degli artisti come individui. Dalla produzione
artistica si può trarre un’immagine visiva fedele della comunità che la
sostiene: “Si dice spesso che in ogni
arte genuina si rispecchia il popolo che l’origina e la sostiene. Ovviamente
ciascun artista può catturare, attraverso il suo specchio, solamente una parte
specifica del carattere del suo popolo. E tuttavia è del tutto impensabile che
l’arte possa vivere una vita propria e che gli esseri che appaiono di fronte ai
nostri occhi non siano anche una rappresentazione fedele degli esseri che
rappresentano fisicamente un popolo in carne ed ossa. Noi sappiamo che, dalle
opere d’arte che ci hanno lasciato i popoli ed i tempi precedenti, possiamo trarre
un’immagine spirituale fedele della loro sostanza, forma ed ambiente” [6]. Sembra
un’ovvietà: l’arte egizia ci offre un’immagine esatta di quello che erano
(anche fisicamente) gli egiziani, e l’arte greca degli uomini e delle donne al
tempo dei greci. Eppure, non tutti la pensano così in quegli anni: si pensi ad
esempio al successo dell’arte beuronese negli ambienti monastici tedeschi. Essi
considerano l’arte egiziana, greca classica e bizantina come un’ispirazione
importante nella direzione dell’astrazione dell’arte religiosa. La realtà,
dunque, è che la lettura dell’antico si fa sempre con gli occhi del presente:
per i religiosi di Beuron l’antico giustifica l’aspirazione verso
l’universalità e l’astrazione, per il teorico nazista serve invece per
giustificare l’idea che l’arte debba sempre e solo essere l’espressione fedele
della fisicità di una razza.
L’arte, inoltre, secondo Schultze-Naumburg non è
l’espressione di uno stile personale. Vi sono limiti a quanto un artista può
infatti deviare dall’arte del suo popolo, anche se ovviamente “non ogni immagine può sempre essere una
fotografia fedele della realtà di una determinata condizione. Le personalità
individuali degli artisti sono troppo diverse perché ciò si possa realizzare.
Vi sono coloro che si orientano in modo stretto al modello ed al suo ambiente e
lo riproducono in modo fedele sulla tela e coloro che possono dare solamente
forma ai loro sogni di tale realtà. E tuttavia non importa se si tratti di una
rappresentazione puntuale della realtà – come è sempre stato compito delle
belle arti – oppure se si rispecchino i tempi solamente da un punto di vista
spirituale, come espressione percettibile della sostanza della realtà. In fin
dei conti, non si può assolutamente ignorare che il compito più elevato
dell’artista è quello di mostrare gli obiettivi finali agli uomini del proprio
tempo, di rendere visibile l’immagine cui si vuole tendere, in modo tale che il
popolo intero possa riconoscere la bellezza e possa avviare la gara ad imitarla
e a rendersi ad essa conforme” [7]. Un mondo in cui ogni artista sia libero
di seguire il suo stile e di perseguire le proprie finalità è dunque
inammissibile.
È straordinariamente interessante che nel pamphlet non vi
sia nessun riferimento ad alcun critico dell’arte tedesco, né dell’Ottocento né
del Novecento, né ad alcuna scuola di storia dell’arte. La nascita della
critica dell’arte, e del concetto stesso di stile individuale, è stata una
delle conquiste della cultura tedesca dell’Ottocento, spesso guardata con
sospetto dai rappresentanti delle altre aree linguistiche europee, come se
fosse una manifestazione d’egemonia culturale. L’autore attacca con foga i
critici che sostengono l’arte contemporanea, e sostiene che la critica d’arte è
un’invenzione degli ultimi anni (a suo parere legata alla diffusione dell’arte
contemporanea all’inizio del secolo ed affermatasi in seguito alla nascita di
interessi commerciali transnazionali). Non prende nemmeno in considerazione che
la critica d’arte sia nata per la necessità di comprendere e sistematizzare un
patrimonio artistico vastissimo ed eterogeneo. La attacca perché spesso non è
politicamente omogenea al pensiero nazionale. Nel pensiero nazionalsocialista
non vi è dunque alcuno spazio per una qualsiasi critica d’arte (basti ricordare
che il nazionalsocialismo al potere finirà per metterla ufficialmente al bando).
Ai critici d’arte Schultze-Naumburg rinfaccia molte cose.
Essi si basano sul concetto che “l’arte
non può avere nulla a che fare con il popolo. Tale popolo non comprenderebbe
assolutamente nulla d’arte, e sarebbe davvero un segno preoccupante, un indice
d’inferiorità dell’opera, se suscitasse il piacere di chi non è del mestiere”
[8]. “In fondo, tale popolo non sarebbe
in condizione di ‘comprendere’ nulla, e solamente agli esperti d’arte dei
nostri giorni sarebbe riservato scoprire quali leccornie deliziose” gli
artisti possano offrire “come caviale al
popolo” [9]. Anche dal punto di vista lessicale – insiste l’autore - la
critica d’arte sarebbe sostanzialmente estranea al mondo della cultura tedesca,
dovendo importare neologismi d’origine straniera (gli esempi sono Dynamik, Polarität, kosmisch, Synthese)
per potersi esprimere [10]. L’obiettivo ultimo della critica è quello “di pianificare l’abbandono dei costumi da
parte del popolo” [11]. Si capisce dunque perché, durante il periodo
nazista, persino i critici d’arte di orientamento rigorosamente nazionalista e
conservatore, come ad esempio Max Sauerlandt, non riusciranno mai a convincere
il regime nazionalsocialista delle loro ragioni.
La questione della razza
Se dunque l’arte non è questione né di genio individuale, né
di stile, né infine di critica, che cosa determina il suo orientamento? La
risposta è chiarissima: la razza. Ed a supporto di questa tesi Schultze-Naumburg
porta tre argomenti.
In primo luogo, egli sostiene che tutta la statuaria
nord-europea, dal 700 fino al 1300, sia contraddistinta da una continuità
iconografica segnata dalla figura dell’eroe nordico e da quella della Madonna [12].
All’uniformità razziale corrisponderebbe dunque quella di stile.
In secondo luogo, egli strumentalizza una tesi del Trattato della pittura di Leonardo,
secondo cui il pittore – quando deve impostare i caratteri fondamentali
dell’immagine che vuole ritrarre – tende ad ispirarsi istintivamente al proprio
stesso volto. I casi di Rubens, Rembrandt, Michelangelo e von Stuck confermerebbero a suo parere questa tesi: i loro autoritratti assomiglierebbero alle figure che
essi dipinsero o scolpirono [13].
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Figure 14-17) Quattro paragoni tra i ritratti di Rubens, Rembrandt, Michelangelo, von Stuck e loro opere. Fonte: Paul Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, pagine 30-33. |
Da queste premesse Schultze-Naumburg trae un paragone ad absurdum: le immagini dell’arte
contemporanea ci rivelano le vere caratteristiche degli artisti. L’atto di
creazione è “infatti un procedimento che
si può solamente spiegare con un’analogia con le leggi dell’ereditarietà”
[14]. Le caratteristiche genetiche dell’artista si trasmetterebbero all’opera,
e le caratteristiche dell’opera ci rivelerebbero dunque sia l’identità razziale
dell’artista, sia il suo stato di salute. È facile dedurre la conclusione:
coloro che producono arte contemporanea (al di fuori dei presunti canoni
artistici dell’arte germanica) sarebbero, secondo la dottrina nazista, o membri
di altre razze o membri della medesima razza germanica, ma corrotti dalle
malattie. È una tesi insensata, che tuttavia è narrata dall’autore in
linguaggio chiaro, apparentemente ben argomentato e soprattutto secondo una
sequenza logica che, pur essendo intrinsecamente erronea, viene presentata come
apparentemente del tutto evidente.
“Così come una singola
persona non si può mai sottrarre all’appartenenza alla sua razza, anche se
facesse uno sforzo enorme in tal senso, allo stesso modo la creazione artistica
non può eludere le caratteristiche fisiche e spirituali del suo creatore. Un
individuo che appartiene sostanzialmente al mondo del nord dovrà sempre creare
creature nordiche, mentre un appartenente alla razza mongola attribuirà alle
proprie figure un atteggiamento mongolo; nel caso di un pittore ebreo tutte le figure dipinte ricevono facilmente
un carattere ebraico, anche quando il modello non è ebraico, e tra i giapponesi
li faranno uguali ai giapponesi” [15]. E conclude con commenti sulla nudità
delle donne e l’influsso dell’arte africana nell’iconografia delle opere d’arte
contemporanee, segni che egli interpreta come sintomi di decadenza
razziale tra i tedeschi [16].
Insomma, i concetti tradizionali della storia dell’arte non
si applicano più: la stessa identità nazionale dell’arte tedesca non si basa su
“lingua, stato e consuetudine”, ma
sulla comunità di sangue: “ogni razza
persegue il suo particolare obiettivo nei termini della propria immagine, che rincorrerà
sempre necessariamente e in modo inconscio. Il desiderio di un ideale
universale che valga per l’umanità intera rimarrà sempre un sogno, per di più
un sogno non certamente bello. Solamente una razza può contemplare un obiettivo
d’immagine in modo chiaro ed unitario e – finché rimane sana – cercherà di
personificare tale immagine sia nel suo comportamento etico sia nelle sue opere
visibili” [17]. È un tradimento dell’idea universale di cultura che proprio
il mondo classico tedesco (si pensi all’Inno
alla gioia) aveva elaborato cento cinquant’anni prima.
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Fig. 18) Esempi di cosiddetta arte patologica secondo le tesi razziali dell’arte di Schultze-Naumburg. Fonte: Paul Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, pagina 35. |
In termini estetici, quello di Schultze-Naumburg è un inno
al ritorno all’unità stilistica nell’ambito di ogni singola ‘realtà’ razziale,
come sperimentata – almeno a suo parere – nell’Atene di Pericle e soprattutto
nelle città tedesche sotto gli Hohenstaufen [18], quando il popolo aveva
trovato “il suo ristoro e la fonte di un
profondo benessere interiore nei nostri duomi gotici con i loro eroi di pietra
e santi in legno” [19]. All’interno di ogni gruppo razziale – egli scrive –
l’arte non deve manifestare differenze fondamentali nei propri sviluppi, così
come la società deve rimanere raccolta attorno ad un unico fine. Il fatto che
si debba tornare all’età di Pericle o al Medioevo per identificare i modelli di
riferimento rivela tuttavia quanto questa (percepita) situazione di assenza di
correnti artistiche fra loro in competizione sia assolutamente straordinaria
(ed ovviamente mai verificatasi nemmeno in quei casi). La storia dell’arte
rivela – contrariamente a quello che scrive Schultze-Naumburg – che per fortuna
gli artisti che appartengono ad una stessa area culturale tendono sempre a
ramificarsi in mille rivoli, cercando risposte personali a problemi comuni.
Dalla questione estetica
a quella politica
Ovviamente, sarebbe possibile concepire una genuina nostalgia per un ritorno dell’arte al passato e una preferenza per posizioni più
unitarie fra gli artisti nell'ambito di una normale dialettica estetica,
all’interno di una società liberale dove tutte le posizioni sono presenti. Ed
invece l’autore nega fermamente ogni dialogo, “perché nell’arte tedesca si è scatenata una lotta per la vita e la
morte, esattamente come in politica” [20]. “L’opposizione irriducibile che vediamo attorno a noi non può più essere
ignorata nel tentativo di volersi vicendevolmente comprendere, ma deve tradursi
in una battaglia a campo aperto” [21]. Ed infine: “Non si può essere un nazionalsocialista e venire a patti con i nemici
nel campo dell’arte e dell’organizzazione della nostra vita” [22].
Il successo dell’arte contemporanea in Germania è visto in
funzione dei capovolgimenti politici dopo il 1918 (è una menzogna: i movimenti
espressionisti e d’avanguardia, come il Brücke
a Dresda ed il Blaue Reiter a Monaco,
sono tutti precedenti la prima guerra mondiale). Quando chiede ai sostenitori
dell’arte contemporanea di argomentare le loro ragioni “non riceve da loro mai nessun’altra risposta se non che si tratta
dell’espressione della nuova epoca inauguratasi con il 1918. Non ci rimane
null’altro se non credere alla verità di questa dichiarazione. (…) Ed è
comunque un fatto estremamente caratteristico che una serie di artisti viventi
in Germania dal 1918 non operano più da soli, ma in gruppi che si presentano
sempre con la partecipazione di stranieri” [23]. Anche questa è una balla.
In realtà sappiamo bene che - con l’esclusione della Bauhaus – dopo la guerra si assiste ad un processo di
frammentazione, con lo scioglimento dei gruppi secessionisti ed espressionisti.
Ma Schultze continua (parlando sempre di quella che considera una perniciosa
influenza estera): “E ciò non succede
solamente nelle mostre, ma anche i nostri musei sono acquirenti regolari degli
stranieri che appartengono ai quei circoli” [24]. E qui va ricordato,
ancora una volta, che l’episodio più serio di contestazione degli acquisti dei
musei tedeschi (indirizzati verso gli impressionisti francesi) è del 1911, ad
opera di Carl Vinnen [25]: di nuovo un episodio precedente e non successivo al
conflitto mondiale.
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Fig. 19) Carl Vinnen, Una protesta degli artisti tedeschi, 1911 |
Nella retorica nazista, la Germania è un paese ormai
schiacciato, dove “nessuno osa ancora dire
forte e chiaro quel che gli piace e quello che non gli piace, quello che lo fa
gioire e quello che gli fa orrore nel più profondo dell’animo” [26]. Anzi,
la Germania è ormai un paese senza arte “perché
quello che di arte contemporanea è offerto nelle esposizioni e nelle collezioni
pubbliche può assai raramente avere l’ambizione di entusiasmare un tedesco”
[27]. “Vi è forse ancora oggi un’arte che
con i propri mezzi materiali raffigura figure di persone che ancora possano
mostrarsi nella piazza del mercato; e tuttavia si fa in modo che nelle nostre
mostre e nella quantità enorme di stampe che ci sommergono giorno e notte tale
arte non possa emergere da questo diluvio” [28]. “Sicuramente vi sono molti artisti di grandi capacità, la cui voce del
cuore non permette loro di suonare la stessa musica dell’arte ufficiale. Ma
rimangono sconosciuti, nessuno conosce il loro nome. Anche i più anziani, che
si sono già fatti un nome, perdono sempre più il loro legame con l’opinione
pubblica. Così manca ogni visione d’insieme su quel che rimane oggi dell'arte di
sentimento tedesco e su quali siano i suoi prodotti” [29]. “Secondo un modello già ben conosciuto, i
detentori del potere si sono impadroniti non solamente di tutti gli spazi
espositivi pubblici e privati, ma hanno sottoposto al loro potere l’intera
stampa. A ciò non appartiene solamente la stampa dichiaratamente di sinistra;
anche i giornali borghesi non osano più scrivere o pubblicare nulla contro il
corso ufficiale” [30]. Chiunque
abbia seguito le vicissitudini dei durissimi scontri tra i rappresentanti delle
secessioni, delle scuole accademiche, delle avanguardie e di molti altri gruppi
non può che concludere che quelli furono anni in cui in realtà mancò ogni
capacità di creare un largo consenso attorno a proposte artistiche omogenee: i
nazisti, invece, percepivano i rappresentanti delle diverse scuole d’estetica
in lotta tra loro come un ‘blocco’ compatto a loro avverso, mentre in realtà
tutti erano contro tutti, senza nessuna possibilità di mediazione.
Sta di fatto che, subito dopo la conquista del potere, gli
artisti nazisti cominciarono a spuntare come funghi. È il caso del più famoso
tra loro, il pittore Adolf Ziegler, che mai aveva esposto un qualsiasi quadro prima di
essere ammesso al consiglio dell’Accademia di Belle Arti di Monaco, e che in
poco tempo divenne idolo delle folle sotto Hitler.
Come è stato
possibile convincere i lettori di argomenti talmente indecenti?
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Fig. 20) Le domande retoriche poste da Paul Schultze-Naumburg subito sotto la foto di “Paradiso perduto” di Emil Nolde (1921). Fonte: Paul Schultze-Naumburg, Kampf um die Kunst, pagina 8. |
Come può Paul Schultze-Naumburg proporre tesi talmente
odiose senza suscitare un sentimento di rigetto? L’autore combina la menzogna e
strumenti retorici raffinati per trarre conclusioni precostituite. Sa benissimo
che il mondo tradizionale tedesco non è affatto in via di liquidazione
culturale: la fase più radicale dell’avanguardia (se mai fosse davvero stata in
dissenso con l’arte tedesca, di cui rappresentava invece la continuazione delle
correnti idealiste dell’Ottocento) si è ormai già esaurita e siamo in una piena
fase di “ritorno all’ordine” (in
Germania l’espressionismo è già in crisi, mentre sta fiorendo la Nuova Oggettività e guadagna terreno il purismo francese). Inoltre, deve ben
sapere che parte dell’arte contemporanea è intellettualmente di destra (si
pensi all’Italia di quei decenni). Non può inoltre non essere cosciente che le
forme d’innovazione estetica più radicale (l’astrazione, la musica atonale)
sono anche la risposta alla diffusione di massa di nuove tecnologie che
consentono la riproduzione dell’arte più tradizionale (la radio, il cinema, il
fonografo). E tuttavia gli argomenti più insidiosi sono posti nella forma
d’interrogativi retorici che invitano il lettore a manifestare un naturale
consenso. “Ecco dunque apparire una
domanda non priva di giustificazioni: ci riconosciamo davvero con quella che
oggi viene osannata come grande arte? Questi volti e corpi e la loro
espressione corrispondono forse a quello che costituisce e definisce in modo
percettibile l’essenza del nostro popolo tedesco, in termini di corpo e di
spirito? In alternativa, rappresentano davvero immagini di un desiderio che si
manifestano nel nostro popolo? Abbiamo evidenza di uno struggimento da parte di
ognuno di noi a divenire a loro quanto più possibile simili, come ci succede
per le opere delle epoche migliori della Grecia, quando siamo attorniati da un
mondo di dei ed eroi in marmo?” [31] “Che
cosa hanno da dire queste opere? Possono arricchirti, suscitare quelle emozioni
che tu stesso non puoi attivare da solo, raggiungendo una simile grandezza,
chiarezza e ricchezza, ed alle quali è dunque un artista che deve introdurti?”
[32].
È certamente legittimo porsi domande sul valore delle opere,
là dove si tratta di questioni estetiche. Qui invece il problema è in realtà
posto come parte di un programma politico di condanna (e successiva
distruzione) della produzione di un’intera generazione d’artisti. Le risposte
alle domande retoriche sono ancora meno ammissibili. L’arte contemporanea,
infatti, “è solamente un cenno ancora
grezzo di un’umanità gravemente inferiore, un abbozzo che non è né bello, né
caratteristico, e non ha nessuno dei pregi della pazzia, dell’umore o dello
scherzo. L’unico concetto che ci ispira è che la grandezza dell’umanità viene
qui trascinata verso il basso” [33]. E poiché uno dei principi della lotta
politica più dura è quella di non nominare mai gli argomenti dei nemici,
l’autore non cita mai nel suo manifesto né i nomi degli artisti condannati né i
titoli delle loro opere: non si tratta di opere d’arte, dunque non vi è bisogno
di identificarle [34]. Vi è già una logica di annientamento dell’opera e
dell’autore.
Vi è infine una sezione sull’architettura. È
ovviamente il campo in cui Schultze-Naumburg è più ferrato, ma stranamente è
anche il settore in cui la polemica è meno virulenta. Egli si scaglia contro
l’architettura del Neues Bauen,
contro la quale si era già pronunciato all’inizio del 1900. È tuttavia evidente
che l’autore non ama il tipo di architettura imperiale e totalitaria che
prevarrà nel regime nazional socialista; egli si sente invece il rappresentante di una
Germania intima e rurale, i cui modelli ideali non devono essere sacrificati
all’industrializzazione ed al materialismo. Se la sua dottrina razziale si
impone per la pittura tra i nazisti, non credo che Schultze-Naumburg abbia
influenzato in modo significativo il pensiero del regime nel campo dell’architettura
(certamente non ha avuto, neppure lontanamente, l’importanza di un Albert
Speer).
In conclusione, il pamphlet dimostra come la letteratura
artistica possa divenire strumento del più radicale e illegittimo dei regimi
politici della storia. L’autore lo dice espressamente nell’introduzione: “Ci si imbatte spesso nell’opinione che
l’arte possa produrre molti piaceri, introducendo la bellezza nella vita, ma, quando si tratta invece delle questioni più importanti della vita, l’arte non
avrebbe nulla da dire. Chi la pensa così non ha ancora chiaro il concetto di
arte e l’entità del compito che le spetta nella vita degli uomini. Infatti chi
pensa che l’attività artistica consista nel fatto che uno è ricco abbastanza
per comprarsi un impressionista francese per poterlo mostrare pieno di orgoglio
agli amici, coglie un pezzo assai piccolo e neppure importante dell’insieme. Se
si vuol dare un significato semplice ed essenziale al concetto d’arte, si
potrebbe dire: è sempre l’espressione del desiderio dell’uomo, quando si traduce
in una forma percettibile. Questo mettere-in-forma è un atto creativo, per il
quale sono necessarie le forze dell’artista. (…) L’elemento essenziale
dell’arte, così come noi la concepiamo, è quindi quello di mostrare sempre una
“direzione spirituale”. E l’idea del nazionalsocialismo si basa sul ‘dare
direzione’ al popolo tedesco in modo appropriato e conducendolo alla salvezza.
E poiché quel compito viene sostanzialmente condotto con gli strumenti dello
spirito, il nazionalsocialismo non può tralasciare anche lo strumento dell’arte”
[35].
Purtroppo, qualsiasi sia l’abisso in cui l’umanità si è
dimostrata capace di sprofondare, c’è sempre stato un artista che ne ha
teorizzato le basi. La speranza è che, almeno in questo caso, la storia non si
ripeta.
NOTE
[1] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, Nationalsozialistische Bibliothek (Biblioteca
nazionalsocialista) N. 36. Franz-Eher-Verlag, Monaco di Baviera, 1932, pagine
67. Il testo è disponibile sul sito dell’Università di Francoforte:
[2] Schultze-Naumburg,
Paul – Kunst und Rasse, Monaco di Baviera, J.F. Lehmanns, 1928, 144 pagine. Si
veda:
http://germanhistorydocs.ghi-dc.org/sub_image.cfm?image_id=4217.
Un sommario in inglese è contenuto alla pagina:
[3] Schultze-Naumburg,
Paul - Das Studium und die Ziele der Malerei: ein Vademecum für Studierende, Lipsia,
Eugen Diederichs, 1896, 125 pagine.
[4] Schultze-Naumburg,
Paul - Technik der Malerei. Ein Handbuch für Künstler und Dilettanten. Lipsia, E.
Haberland, 1900, 176 pagine. Si veda:
https://archive.org/details/technikdermalere00schu.
[5] Schultze-Naumburg,
Paul - Das Studium und die Ziele der Malerei. Jena, Eugen Diederichs, 1900, 98
pagine.
[6] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 8.
[7] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 8.
[8] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 6.
[9] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 7.
[10] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 37.
[11] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 39.
[12] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), pp. 13-15.
[13] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, pp. 30-33.
[14] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 33.
[15] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 34.
[16] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), pp. 40-44.
[17] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 6.
[18] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 5.
[19] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 7.
[20] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 5.
[21] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 5.
[22] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 67.
[23] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 11.
[24] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 11.
[25] Vinnen,
Carl - Ein Protest deutscher Künstler, Jena, Eugen Diederichs, 1911, 80 pagine.
[26] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 6.
[27] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 7.
[28] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 12.
[29] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 45.
[30] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 45.
[31] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 8-9.
[32] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 9-10.
[33] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 9.
[34] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), p. 9.
[35] Schultze-Naumburg,
Kampf um die Kunst, (citato), pp. 3-4.
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