Recensione di Giovanni Mazzaferro
ENGLISH VERSION
Sylvie Neven
The Strasbourg Manuscript
A Medieval Tradition of Artists’ Recipe Collections (1400-1570)
[Il manoscritto di Strasburgo. La Tradizione medievale di una raccolta di ricette artistiche (1400-1570)]
Londra, Archetype Publications, 2016
Sylvie Neven
The Strasbourg Manuscript
A Medieval Tradition of Artists’ Recipe Collections (1400-1570)
[Il manoscritto di Strasburgo. La Tradizione medievale di una raccolta di ricette artistiche (1400-1570)]
Londra, Archetype Publications, 2016
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Fratelli Limbourg, Très riches du Duc du Berry (1412-1416), Miniatura dell'Uomo anatomico con la fascia dei segni zodiacali Fonte: Wikimedia Commons |
Definire questo libro come la
nuova edizione critica inglese (la seconda integrale) del Manoscritto di Strasburgo è del tutto limitativo. Il volume di
Sylvie Neven è un’opera che parte dallo studio dell’esemplare (o, meglio, della
sua copia) per ricostruire un insieme di altri manoscritti (una “Tradizione”,
appunto; d’ora in poi il termine sarà usato in quest’accezione con la “t”
maiuscola) che ha in comune con esso parte dei loro contenuti; a loro volta le
opere facenti parte della Tradizione sono contestualizzate all’interno di un
genere che in tedesco assume il nome di Fachliteratur
(ovvero di “Letteratura specialistica”). La Fachliteratur,
che riguarda medicina, alchimia, tecniche artistiche etc, è, fondamentalmente,
una letteratura basata sulle ricette, con sintassi e caratteristiche proprie.
L’autrice studia le possibili origini di questo tipo di letteratura, le
tangenze fra ricette di natura fra loro diverse, i centri di diffusione, i
possibili autori e gli estensori materiali dei manoscritti, non senza
dimenticarsi di cercare in laboratorio e sui pochi manufatti dell’epoca giunti
fino ai nostri giorni i riscontri delle tecniche proposte nei testi. Il libro
di Sylvie Neven, più di un’edizione critica, è quindi un viaggio affascinante
nel mondo dei ricettari medievali.
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Fratelli Limbourg, Très Riches du Duc du Berry, 1412-1416, Natività Fonte: Wikimedia Commons |
Il Manoscritto di Strasburgo
Il Manoscritto di Strasburgo non esiste più. L’esemplare che lo
presentava era conservato con segnatura A VI 19 presso la biblioteca della
città alsaziana, probabilmente proveniente dalle carte della locale Commenda di
San Giovanni, fondata nel XIV secolo (cfr. p. 14). È andato distrutto durante
il disastroso incendio che colpì la città nel 1870 (in via del tutto
incidentale, è sempre bene ricordare che non si trattò di un evento sfortunato,
ma di uno dei risultati della guerra franco-prussiana, primo episodio di una
serie di conflitti per il controllo dell’Alsazia e della Lorena conclusasi solo
con la Seconda guerra mondiale dopo svariati milioni di morti tedeschi e
francesi). Per fortuna, in anni precedenti, il manoscritto era stato studiato
da Charles
Lock Eastlake, grandissimo conoscitore e direttore della National Gallery,
nonché autore (nel 1847) dei Materials
for a History of Oil Painting. Eastlake ne pubblicò degli estratti nella
sua raccolta dedicata alla storia della pittura ad olio. Per poterlo meglio
esaminare se ne fece fare una copia, che è conservata presso la National
Gallery, a Londra, con segnatura 75.023 STR. Di questa copia non sappiamo
nulla; non sappiamo chi la fece, se era integrale, se rispondeva a determinati
criteri richiesti da Eastlake. A dire il vero, Sylvie Neven stabilisce oggi,
con ragionevole probabilità, che si tratta di un testo corrotto, in cui alcuni
argomenti sono stati tralasciati o comunque spostati rispetto alla loro
originaria collocazione. La prima edizione integrale del Manoscritto di Strasburgo si deve a Ernst Berger, che ricavò
un’ulteriore copia da quella di Eastlake e la pubblicò all’interno dei tre
volumi che presentavano (nel 1897) le sue Quellen
und Technik der Fresko-, Öl- , und Tempera-Malerei. La prima edizione
integrale inglese, a cura delle sorelle Viola e Rosamund Borradaile, risale
invece al 1966. Non risultano altre traduzioni. Il testo, in particolare, è
inedito in italiano.
L’importanza storica dell’opera è
stata colta sin dai tempi di Eastlake, che mise in evidenza come, fra le varie
ricette, ve ne fossero alcune che riguardavano anche la produzione e l’utilizzo
di un olio siccativo per la pittura su tavola. La struttura generale del
manoscritto è stata fissata da Berger con una suddivisione in tre parti fra
loro indipendenti; la prima è costituita da una breve serie di ricette che lo
scriba dice essere state trasmesse da Enrico di Lubecca; la seconda con
prescrizioni dettate da Andrea di Colmar e la terza in cui lo scrivente (che
non sappiamo chi fosse) parla in prima persona e sembra dunque riferirsi alla
propria esperienza personale. L’esemplare perduto, secondo studi paleografici
commissionati da Eastlake, risaliva al XV secolo ed era scritto in un dialetto
antico medio-germanico.
Ben presto – e non solo per la
questione dell’olio siccativo – il Manoscritto
di Strasburgo è divenuto il prototipo delle tecniche artistiche proposte
nel Nord Europa attorno al 1400, così come il Libro dell’arte di Cennino Cennini
ha assunto ruolo simile per ciò che riguarda l’Italia. Pur perso, il testo è
quindi divenuto parte del novero ristrettissimo di manoscritti di riferimento
per la storia delle tecniche artistiche, come i testi di Eraclio, il De diversis artibus di Teofilo e il Mappae clavicula.
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Fratelli Limbourg, Très Riches du Duc du Berry, 1412.1416, Gesù portato al giudizio Fonte: Wikimedia Commons |
De-costruire per ri-costruire
Per spiegare in cosa consista la
novità dell’edizione Neven ci vediamo costretti ad aprire una parentesi di
metodo. L’autrice non si accontenta dei dati acquisiti in merito al manoscritto.
Innanzi tutto mette in discussione il ruolo “paradigmatico” del testo come
rappresentativo di tutte le tecniche poste in essere nel Nord Europa. La realtà
è un’altra, e parla di centinaia di testi, ognuno con proprie specificità,
dipendenti a loro volta da pratiche differenti applicate in aree geografiche
diverse. Le specificità vanno singolarmente indagate e non sottaciute. Sylvie
Neven appartiene a una generazione di storici delle tecniche artistiche che ha
imparato ad analizzare il particolare avendo sempre in mente il quadro generale.
Ad uno di questi studiosi (Mark Clarke) si deve la redazione, nel 2001, di un
formidabile repertorio (The Art of All
Colours. Mediaeval Recipe Books for Painters and Illuminators, edito
anch’esso da Archetype) in cui sono spogliati e classificati oltre 400
manoscritti medievali redatti fino al 1500.
Quando il campo di ricerca assume
queste dimensioni è inevitabile far riferimento alle risorse informatiche.
Neven fa parte di diversi progetti per la registrazione dei materiali
manoscritti. Cito, fra gli altri, il Colour Context
Website, col patrocinio del Max Planck Institute for the History of
Science, in cui sono stati trascritti oltre 600 ricettari che giungono fino
agli anni in cui opera Theodore
de Mayerne (fino all’inizio del 1600, insomma).
Come è facile immaginare, il
punto critico, quando si utilizzano questi strumenti, non è tanto il loro
reperimento, quanto l’inserimento dei dati secondo criteri uniformi. Ci si
trova immancabilmente di fronte a testi scritti in lingue diverse, con
materiali e pigmenti indicati con terminologie fra loro differenti, con livelli
di approfondimento a volte molto elevati e a volte del tutto superficiali.
Tutti questi testi, tuttavia – che fanno parte di quella Fachliteratur di cui si parlava all’inizio – hanno un elemento in
comune: quello di essere organizzati tramite ricette, a volte lunghe una riga,
a volte un’intera pagina. Il compito fondamentale di chi lavora nel settore è
identificare e separare fra loro ogni singola ricetta. La normalizzazione di un
testo comporta alcune regole base, la prima delle quali è la separazione di
prescrizioni l’una legata all’altra. Capita spesso, cioè, che venga esposta una
procedura di realizzazione di una determinata materia e subito dopo ne sia
indicata una variante. In tal caso le ricette diventano due. Lo studioso
procede, insomma, in un lavoro di de-costruzione del testo fino a giungere al
livello più elementare possibile, e tale livello è appunto la ricetta nel senso
etimologico del termine (dal latino recipere
– prendere): “la ricetta appare
essere l’elemento più breve in cui il testo poteva in ultima analisi essere
decomposto… Questa definizione andrebbe raffinata aggiungendo che la ricetta è
l’elemento indipendente più piccolo
in cui può essere diviso il testo. Infatti, la ricetta potrebbe essere vista come
un testo di per sé indipendente e potrebbe perciò essere separata dalla
raccolta originale che la contiene e inserita nelle pagine di un altro
manoscritto. Per questo motivo, si potrebbe dire che la struttura di una
ricetta potrebbe essere considerata come un’unità elementare comune a diverse
discipline comprese nei manoscritti facenti parte della Fachliteratur” (p. 55)
Una volta posta in essere la
de-composizione, si tratta naturalmente di vedere se altri testi manoscritti
forniscono sequenze di ricette “parallele” rispetto all’esemplare in questione
(in questo caso al Manoscritto di
Strasburgo) e di stabilire quindi se esista una Tradizione, costituita da più
testi, che ne presenti i contenuti. “Molte ricette mostrano somiglianze nel lessico che usano per
descrivere un procedimento simile.
Tuttavia, per essere identificate come parte della Tradizione di Strasburgo una
ricetta deve essere simile anche in termini sintattici. Similarità sintattiche
implicano paralleli testuali
sufficientemente chiari per attestare una medesima origine. Quindi, ricette parallele derivano probabilmente dalla
medesima fonte testuale e vanno tenute distinte dalle ricette che sono [n.d.r solo] simili nel loro contenuto tecnico” (p.
26).
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Fratelli Limbourg, Calendario del Très Riches du Duc de Berry (1412-1416) - Gennaio: banchetto per il nuovo anno Fonte: Wikimedia Commons |
La Tradizione di Strasburgo
Intendiamoci, era già successo
che in precedenza alcuni studiosi avessero sottolineato la somiglianza fra
esemplare Eastlake ed altri testi manoscritti, ma la cosa non aveva portato
allo studio sistematico della Tradizione. “L’individuazione e la definizione di
una tradizione testuale e “tecnica” in una raccolta di ricette, così come
intrapresa in questo studio, non si poteva basare sulla buona sorte, ma sull’applicazione
di ricerche e analisi sistematiche” (p. 27). “Sono state prese in
considerazione solo raccolte di ricette che avevano almeno dieci istruzioni in
comune. Dal corpus iniziale di più di 600 esemplari ne è stato individuato uno
più piccolo e definito di manoscritti appartenenti alla Tradizione di
Strasburgo. Sono state scoperte nuove evidenze testuali e la “Tradizione di
Strasburgo” corrisponde oggi a un gruppo di 15 manoscritti” (p. 29).
Dobbiamo quindi abituarci a
ragionare su un duplice livello: da un lato la singola copia del Manoscritto di Strasburgo fatta operare
da Eastlake e, dall’altro, 15 manoscritti che costituiscono la Tradizione;
partendo da qui si tratta di capire se l’esame della Tradizione può far luce
sul singolo esemplare.
Il libro prende in esame gli
elementi che hanno in comune i manoscritti della Tradizione. In generale si può
notare che i testi in questione sono tutti originari del sud della Germania, e
scritti prevalentemente in tre dialetti dell’area: dialetto dell’alta
franconia, bavarese ed alemannico (quest’ultimo è il caso del Manoscritto di
Strasburgo in senso stretto). Le eccezioni sono pochissime. Ricordiamo fra esse
il Vossianus Chymicus Octavo 6, oggi conservato a Leida, perché dovremo citarlo
più avanti (p. 59). Per la maggior parte preparati in centri religiosi
(tipicamente in monasteri) i manoscritti appaiono tutti come testi compositi,
sotto una duplice veste. In primo luogo sono rilegati insieme ad altri testi
della Fachliteratur che
prevalentemente hanno ad oggetto disposizioni di natura medica; in secondo
luogo le singole sezioni dedicate alle ricette artistiche appaiono comunque
essere un mix di ricette copiate da altri testi, di prescrizioni fornite per
l’occasione da artisti locali e da contributi raccolti (a volte anche
sperimentati) da chi li ha scritti.
I manoscritti, insomma, hanno in
comune fra loro intere sequenze di ricette “parallele”. In determinate
situazioni alcune sequenze possono apparire più complete di altre. In
particolare i 15 manoscritti della Tradizione di Strasburgo hanno in comune fra
loro cinque sequenze di ricette; quelle in comune fra il Manoscritto di Strasburgo in senso stretto e gli altri testi sono
due. La Sequenza A ha a che fare con la preparazione di colori e materiali per
la miniatura; la Sequenza B fornisce indicazioni sulla tempera dei pigmenti e
la stesura di strati pittorici soprattutto su tavola.
La sequenza A è testimoniata
negli esemplari che si considerano essere (su basi paleografiche) i più
antichi. Tuttavia, è giusto notare che se il più antico in assoluto risulta
essere il Manoscritto di Strasburgo
(la cui datazione Sylvie Neven fa risalire a prima del 1412 sulla base di
indicazioni trovate in archivio sulla vita di Andrea di Colmar - cfr. p. 56 -),
la sequenza più completa è presentata da altri manoscritti, in particolare dal
Vossianus Chymicus Octavo 6 e dall’Amberger Malerbuch (del Vossianus Chimicus
Octavo 6 viene anche fornita una trascrizione in Appendice I). Manoscritti più
recenti che presentano sequenze più complete: come è possibile? Le ipotesi
possono essere molteplici. Una cosa appare certa: il Manoscritto di Strasburgo non è il prototipo della Tradizione; non
lo è perché vi compaiono lacune testuali (veri e propri spazi bianchi lasciati
evidentemente perché il testo copiato non era interpretabile) che possono
essere colmate tramite il ricorso al Vossianus. Esisteva dunque un prototipo
ancora precedente. Ciò assodato possono essere successe molte cose: sia il
Manoscritto di Strasburgo sia il Vossianus potrebbero essere stati copiati,
relativamente alla Sequenza A, da un medesimo prototipo, e il redattore del
Manoscritto di Strasburgo potrebbe aver deciso di tralasciarne una parte. Ma
l’operazione potrebbe essere stata molto più recente e la rinuncia a parte
della sequenza potrebbe essersi verificata in occasione della copia ordinata da
Eastlake; da notare, peraltro, che, anche nella parte non scartata, la
successione delle ricette presenti nella copia Eastlake è diversa da quella
tradizionale di tutti gli altri manoscritti, chiaro segno che la copia non era
fedele, ma ha coinciso con un’arbitraria riorganizzazione del materiale a
disposizione. Si noti infine che la consistenza della copia Eastlake appare
essere diversa da due descrizioni del manoscritto andato bruciato reperite da
Neven; rispetto ad esse il testo appare più breve e disposto in maniera diversa
rispetto all’originale.
Comunque siano andate le cose, è
chiaro che il Manoscritto di Strasburgo
risulta essere un testo che deriva in parte dalla copia di (almeno) due testi
precedenti: un trattato di miniatura che è testimoniato appunto dalla Sequenza
A e che è stato poi copiato in molti altri testimoni della Tradizione e un
secondo trattato di pittura (la Sequenza B) che invece appare aver avuto una circolazione
molto inferiore ed essere in comune con soli altri due manoscritti: quello
denominato Colmarer Kunstbuch e il Bamberger Malerbuch. Anche in questo
caso, il testimone più ampio della sequenza non è il Manoscritto di Strasburgo, ma il Colmarer Kunstbuch. Oltre alle due sequenze in questione compaiono
poi ricette che figurano sporadicamente in altri manoscritti e segnalazioni
assolutamente specifiche che, proprio per questo, vengono chiamate con termine
latino unica.
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Fratelli Limbourg, Calendario del Très Riches du Duc du Berry (1412-1416) - Maggio Fonte: Wikimedia Commons |
La nuova edizione critica del Manoscritto
di Strasburgo
Tutto quanto detto prima, per
giustificare come, sulla base dei testi della Tradizione, Neven sia in grado di
dire che la ripartizione in tre parti e
novanta ricette del Manoscritto di
Strasburgo operata da Berger vada rivista. Innanzi tutto le ricette (per il
processo di riduzione ad unità elementari precedentemente descritto) diventano 114.
Poi, nell’ambito del manoscritto, l’autrice distingue sette differenti sezioni.
Sia chiara comunque una cosa: per nessun motivo viene operato uno
spostamento nell’ordine di presentazione delle ricette. Neven si limita
(giustamente) a segnalare quello che – secondo lei – era l’ordinamento
originario del prototipo e che poi, per mille motivi, è stato storicamente
modificato.
Vediamo insieme le sette sezioni
(cfr. pp. 39-44):
- Sezione I: corrisponde a quella che secondo Berger era la prima (e breve) parte del manoscritto. Presenta un breve trattato attribuibile a Enrico di Lubecca con indicazioni sulle tecniche per dipingere in miniatura;
- Sezione II: è la Sequenza A di cui abbiamo parlato prima. Nel Manoscritto di Strasburgo la sequenza A è interrotta da due ricette che non compaiono in nessun altro testo.
- Sezione III: è costituita dalle sole ricette 16 e 17, che presentano preparazioni per dorature. Fra le due ricette è riportata la frase: “Ciò mi è stato insegnato da Andrea di Colmar”. Berger faceva finire la prima parte del manoscritto con la ricetta 16 e faceva iniziare la seconda con la 17. Attribuiva ad Andrea di Colmar la paternità di una ventina di prescrizioni, per poi passare alla parte terza. Per Neven le cose stanno diversamente. Nella copia Eastalke le ricette sono proposte una dietro l’altra senza alcuna spaziatura. L’ipotesi è che l’indicazione del nome di Andrea di Colmar fosse in realtà nel manoscritto bruciato una postilla a margine posta fra le ricette 16 e 17 e che fosse riferita soltanto a queste due, tanto più, che successivamente, si ricomincia con prescrizioni appartenenti alla Sequenza A. La spiegazione di Neven mi pare assolutamente verosimile.
- Sezione IV: la meno coerente di tutte per argomento, perché presenta ricette variegate che cominciano con l’indicazione dello scriba secondo cui si accingerebbe a fornire istruzioni su tecniche di pittura praticate in Lombardia (secondo Eastlake non si trattava della Lombardia, ma di Londra). Solo poche di queste prescrizioni, che riguardano leganti, colori translucidi, preparazione delle pergamene, di dorature e di vari tipi di vernice, compaiono anche in altri manoscritti della Tradizione e senza essere legate in sequenza. L’autrice suppone che si tratti di contributi dello scriba. All’interno della sezione IV (che è quindi in realtà divisa in due sottosezioni IVa e IV b) compaiono le ricette della Sequenza B. Mi permetto di segnalare comunque un aspetto che, a mio avviso resta irrisolto: perché proprio tecniche lombarde (o londinesi, stando ad Eastlake)? C’è da supporre che l’anonimo scriba potesse esservisi recato (od essere originario di quei luoghi).
- Sezione V: presenta le ricette della Sequenza B, comuni al Colmarer Kunstbuch e al Bamberger Malerbuch.
- Sezione VI: vi sono riportate informazioni relative alla preparazione di supporti non usati in pittura e miniatura (ad esempio la doratura dei metalli).
- Sezione VII: l’ultima sezione comprende ricette che sembrano provenire da altre fonti. Sono stati suggeriti ad esempio i nomi di Teofilo e di Sant’Audemaro. La caratteristica precipua di questa parte, in realtà, è la sua eterogeneità che le porta a comprendere anche istruzioni per la preparazione dei saponi e un paio di prescrizioni di natura magica.
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Fratelli Limbourg, Calendario del Très Riches du Duc du Berry (1412-1416) - Luglio Fonte: Wikimedia Commons |
Opera letteraria o ricettario di bottega?
Il capitolo finale dell’opera è
dedicato all’esame di quella che, in ultima analisi, è la domanda principale
ogni volta che si ha a che fare con un ricettario medievale. Siamo di fronte a
un testo che è stato copiato per tramandare una tradizione letteraria e che
quindi non veniva usato nelle botteghe degli artigiani dell’epoca? o invece a
una raccolta di natura meramente tecnica, derivante direttamente dal sapere
dell’artigiano e volta all’istruzione degli scolari? Sull’argomento si discute
da più di un secolo. Neven propone le tesi pro e contro entrambe le ipotesi e,
in ultima analisi, sin da pag. 4, richiamandosi ad insegnamenti di Mark Clarke,
fornisce la risposta: i due tipi, nella sostanza, coesistevano e si tratta di
riuscire a distinguere oggi quali fossero i testi destinati alla creazione di
una letteratura e quali all’insegnamento. L’analisi deve essere a tutto campo e
partire proprio dall’aspetto dei manoscritti, quando giunti fino a noi: alcuni
manoscritti, ad esempio, come il Bamberger
Malerbuch appaiono scritti in maniera ordinata e ricercata, impreziositi da
titoli e rubriche scritte in rosso. È difficile presumere che tali testi
fossero destinati ad essere utilizzati vicino a una fornace, e più semplice
pensare che fossero destinati a un contesto erudito. D’altra parte il Trierer Malerbuch (stiamo parlando di un
altro manoscritto appartenente alla Tradizione di Strasburgo) ha un aspetto
molto più trasandato e disordinato, con l’interpolazione di ricette scritte
successivamente fra gli spazi rimasti bianchi (cfr. pp. 63-68).
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Fratelli Limbourg, Calendario del Très Riches du Duc du Berry (1412-1416) - Agosto Fonte: Wikimedia Commons |
Lo stesso discorso si potrebbe
fare in merito agli scribi. Non sempre (anzi, quasi mai) si è in grado di
capire chi abbia effettuato la copia; molte incongruenze nei testi si
potrebbero capire per l’impreparazione tecnica di chi sta estendendo la copia
(in fondo è quello che potrebbe essere successo col Libro dell’Arte di Cennino Cennino, la cui copia più antica a noi
giunta fu effettuata nel carcere delle Stinche a Firenze nel 1437). E, pure,
non si spiegherebbero le ricette – che pure ci sono – in cui sono presentati
contributi dello scrivente. Né si può sottacere che in alcune situazioni il
nome dell’estensore ci è noto: è il caso, ad esempio, del Liber illuministarum (ennesimo testimone della Tradizione di
Strasburgo), esteso da Konrad Sartori, noto non solo per essere stato il
bibliotecario del monastero di Tegernsee (in Baviera), ma anche copista e
miniatore (cfr. p. 63).
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Fratelli Limbourg, Calendario del Très Riches du Duc du Barry (1412-1418) - Ottobre Fonte: Wikimedia Commons |
Le specificità del Manoscritto di
Strasburgo
In questo gioco delicato sempre
in bilico fra letteratura e tecnica assume ovviamente una particolare
importanza l’analisi delle specificità di un testo. Tali specificità appaiono
essere legate al territorio in cui il testo stesso è stato prodotto. Nel caso
del Manoscritto di Strasburgo,
quindi, in un’area che comprende grosso modo l’Alsazia e la Baviera (ancora una
volta l’autrice nega la possibilità che il manoscritto possa essere assunto a
prototipo delle tecniche di tutto il Nord Europa). Una peculiarità è senza
dubbia costituita dall’olio siccativo per la pittura su tavola già messo in
evidenza da Eastlake nel 1847. Neven ne individua un’altra nell’uso di coloranti
antociani (o di antocianine che dir si voglia), ovvero di pigmenti idrosolubili
di origine vegetale provenienti da papaveri, fiordalisi e piante di mirtillo.
Particolarmente sensibili all’acidità dell’acqua, si riteneva che, proprio per
questo, le antocianine fossero utilizzate esclusivamente per colorazioni di
abiti e tessuti, mentre il Manoscritto di
Strasburgo ne certifica l’uso anche in pittura e in miniatura. Le ultime
pagine dell’opera – come pure l’Appendice II – sono dedicate a esperimenti di
laboratorio che mirano a studiare la produzione di pigmenti dalle antocianine secondo
le ricette fornite nel manoscritto e a trovarne tracce nei manufatti di primo
‘400 dell’area di Strasburgo giunti fino a noi.
A ulteriore dimostrazione, se mai
ve ne fosse dubbio, di quanto ampio sia lo spettro delle conoscenze di cui deve
essere dotato lo storico delle tecniche artistiche, spaziando dalla paleografia
alla chimica, dalla storia alla conoscenza dei dialetti antichi e alla
filologia; sin quasi a indurci a dire che un bravo storico delle tecniche
artistiche non è uno specialista, ma piuttosto un nuovo (forse l’ultimo)
umanista.
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