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lunedì 30 maggio 2016

Francesco Mazzaferro. Gino Severini e l'arte religiosa in un contesto europeo: l'influenza del 'Libro dell'Arte' di Cennino Cennini. Parte Prima


English Version

Francesco Mazzaferro
Gino Severini e l’arte religiosa in un contesto europeo:
l’influenza del Libro dell’Arte di Cennino Cennini

Parte Prima

[Versione originale: maggio 2016 - nuova versione: aprile 2019]. 

Fig. 1) L’edizione italiana di Dal cubismo al classicismo, a cura di Elena Pontiggia, pubblicata da Abscondita nel 2001


IL PROGETTO CENNINI

Questo post fa parte del Progetto Cennini, dedicato allo studio del recepimento del Libro dell'arte a partire dalla prima edizione a stampa, nel 1821. Clicca qui per vedere la lista di tutti i post.

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Gino Severini e la letteratura artistica

Gino Severini (1883 –1966) racconta nelle sue memorie l’incontro appassionato con la letteratura artistica, che segna per sempre la sua cultura e pratica artistica negli anni in cui sta abbandonando il futurismo. Sono pagine tratte dalla seconda parte (Tempo de «L’effort moderne». La vita di un pittore” [1]) del suo progetto autobiografico, composto da un primo volume pubblicato nel 1946 e, appunto, da un secondo ultimato nell’estate del 1965, un anno prima di morire, e pubblicato postumo nel 1968 [2]. Le memorie ci rivelano come l’arte contemporanea possa vivere della comprensione del messaggio che gli artisti di epoche anteriori, compresi quelli di molti secoli precedenti, hanno lasciato ai posteri. Sono anche i decenni (come testimoniato da una serie di post in questo blog sulle antologie di fonti di storia dell’arte) in cui la letteratura artistica si diffonde come nuovo genere di studi. In quegli anni, letteratura artistica, studio dell’antico e sviluppo dell’arte contemporanea vanno di pari passo.

Fig. 2) La prima edizione di “Tutta la vita di un pittore” di Gino Severini,
prima parte dell’autobiografia, pubblicata da Garzanti nel 1946

Severini ricostruisce i mesi che seguono immediatamente l’armistizio nella prima guerra mondiale, e ricorda la sua ricerca di regole che disciplinino colore, linee e forme. Dal 1906 vive a Parigi ed è inserito nel variegato mondo degli artisti di quella città, centro pulsante dell’arte mondiale. È alla ricerca di nuovi percorsi per lo sviluppo dell’arte. “Fu così che cominciai ad indagare nei trattati antichi. Andavo ogni giorno nelle biblioteche e spesso mia moglie mi accompagnava; lei copiava i passi che mi interessavano, mentre io facevo altre ricerche. Cominciai col consultare gli architetti e i teorici dell’architettura, da Vitruvio a Leon Battista Alberti, da Viollet-le-Duc a Choisy. In tutti trovavo la conferma di quanto avevamo spesso discusso fra noi pittori, ma senza mai aver un idea nitida del perché, posto che, in fondo, nessuno di noi aveva nozioni precise; trovavo cioè che, alla base dell’architettura, vi erano delle leggi geometriche e numeriche che servivano da ossatura. (…) In molti trattati di pittura, come in quelli di Bernard du Puy du Grès, o di Félibien, di Henri Testelin, di Algarotti, di John Burnet, ecc. (senza contare i manuali antichissimi, che erano poi soprattutto manuali di mestiere, come il trattato del monaco Teofilo, la Mappae Clavicula, il manoscritto di Lucca, e fino al noto trattato di Cennino Cennini), in tutti questi libri e in molti altri trovavo la conferma delle regole chiare e precise che avevano presieduto alla creazione artistica nei tempi antichi anche nel campo della pittura. Sia nella struttura geometrica e matematica dell’opera che nella esecuzione tecnica. Era dunque tutto un «mestiere» da ricostruire, un mestiere di cui le accademie non avevano nessuna idea, e di cui soltanto alcuni artisti della mia generazione avevano presentimento.

Fig. 3) La prima edizione del Tempo de «L’effort moderne»,pubblicata nel 1968  

Maurice Denis, nel suo libro Théories, allude spesso a questo mestiere, a queste leggi; anzi, a tale proposito, egli parla di un monastero di benedettini situato a Beuron, al sud della Foresta nera, nel quale alcuni monaci dipingevano in base a metodi rigorosi e scientifici, e non solo dipingevano, ma creavano oggetti, facevano mosaici, sempre ispirati dalla grandezza, solennità e dignità dell’arte ieratica egiziana o della Grecia arcaica, di cui avevano scoperto le leggi. L’animatore di questo gruppo di monaci era padre Pierre [n.d.r. o Desiderius] Lenz, le cui teorie sono riassunte in un piccolo libro tradotto in francese da Paul Sérusier e presentato da una prefazione di Maurice Denis (Pierre Lenz, L’Estethique de Beuron, Bibliothèque de l’Occident, Paris, 1905). L’estetica del convento di Beuron è riassunta da Lenz in queste poche righe:Il semplice, il chiaro, il tipico che ha le sue radici nei numeri e nelle misure più semplici, resta dunque la base di tutta l’arte, e misurare, contare e pesare restano le funzioni più importanti. Lo scopo di ogni grande arte è la trasmissione, l’applicazione caratteristica delle forme fondamentali geometriche, aritmetiche, simboliche, scaturite dalla natura, per servire le grandi idee. (…) Questi monaci realizzavano a loro modo un’altra idea che si faceva strada negli ambienti artistici a Parigi, soprattutto fra i cubisti dell’Effort Moderne: quella di un’arte collettiva, anti-individualista, nella quale l’anonimato fosse la regola, come al tempo dei Greci, della Repubblica Romana e dei primi cristiani. Ma poi quest’idea svanì, perché con lo svilupparsi del mercato artistico parigino, gli artisti furono invece incoraggiati, anzi spinti dai mercanti a realizzare la propria personalità nel modo più inconfondibile ed individualistico; e su questa linea si arrivò fino all’eccesso.” [3]

Fig. 4) Scuola artistica di Beuron, Crocifissione (affresco nel Santuario di S. Benedetto a Montecassino)
Affresco distrutto durante la Seconda Guerra mondiale.
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0288

Il brano appena riportato colloca l’incontro tra Gino Severini ed il Libro dell’Arte di Cennino Cennini nel contesto più ampio della ricerca da parte del pittore italiano di una nuova regola unificante dell’arte intesa come scienza, ricerca che avviene sugli scranni delle biblioteche di Parigi, tra le fonti di storia dell’arte. È uno sforzo che porterà alla pubblicazione, nel 1921, di un testo in francese intitolato Du cubisme au classicisme (Estétique du compas et du nombre) [4]. È una ricerca personale nel passato, dal momento che nessuno dei pittori parigini di quegli anni eseguirà una ricognizione così sistematica delle fonti di storia dell’arte per cercare di ottenere quel risultato; ed in nessuno dei contemporanei sarà così chiaro l’omaggio a Maurice Denis, che egli considera il maggiore teorico d’arte contemporaneo [5], e alla scuola di Beuron. Peraltro, come spiegato da Maurizio Calvesi [6], la pubblicazione del testo segna un momento di rottura tra Severini ed il mondo dell’avanguardia francese [7].

E tuttavia il senso di marcia di Severini è anche l’espressione di uno sforzo collettivo. Consultando per esempio l’antologia di fonti di storia dell’arte contemporanea di Paul Westheim [8], pubblicata solo qualche anno dopo in Germania proprio per presentare al pubblico tedesco un’idea classica ed anti-espressionista dell’arte contemporanea, non si trova alcun passo di Severini, ma si possono leggere il testo di Albert Gleizes su “La missione creatrice dell’uomo nel dominio plastico” (una conferenza tenuta a Parigi nel dicembre 1921, che rivela la stessa ambizione della ricerca di una regola universale, sia pure risolta in senso costruttivista [9]), e la lezione “L’estetica della macchina: l’oggetto fabbricato, l’artigiano e l’artista” di Fernand Léger, che nel 1924 sanziona gli errori a suo parere compiuti dal Rinascimento, che ha abbandonato regole universali alla ricerca dell’imitazione della natura [10]. Entrambi i temi (la ricerca di regole per la costruzione nell’arte e gli errori del Rinascimento) sono al centro degli scritti di Severini in quegli anni. Può sorprendere che l’artista italiano, la cui estetica è associata al recupero dell’iconografia del Quattrocento toscano (come giustamente scrive Marisa Vescovo [11], soprattutto Paolo Uccello, Domenico Veneziano, Piero della Francesca, Andrea del Castagno, Luca Signorelli), usi toni così severi con il Rinascimento, ma una semplice lettura dei suoi scritti conferma la circostanza [12]: in realtà Severini si sente, in molti aspetti, un uomo del medioevo, al pari di Renoir (dalla cui introduzione al Libro dell’Arte di Cennini egli trae molti degli argomenti contro l’individualismo dell’arte, vera e propria causa di corruzione dello spirito a parere di entrambi).

Fig. 5) La recente edizione (2008) della Vita di un Pittore, edita da Abscondita


Renoir, Cennino Cennini e la riscoperta del mestiere nelle parole di Severini

Nel 1935, tornato in Italia dopo un trentennio parigino, Severini raccoglie i suoi scritti nel volume “Ragionamenti sulle arti figurative” [13], con cui si vuole presentare al pubblico italiano (il suo saggio Dal cubismo al classicismo sarà tradotto in italiano solamente nel 1972). Già la scelta della copertina dell’opera rivela il ruolo centrale che ha per lui Pierre-Auguste Renoir, l’artista che abbandona l’impressionismo e teorizza il ritorno al mestiere e all’ordine. Ecco che cosa Severini scrive di lui e dell’impatto che su di lui ebbe il Libro dell’Arte di Cennini:

Fig. 6) Copertina dei Ragionamenti sulle arti figurative del 1935

“Se ci fu un pittore che cercò di esprimersi con probità assoluta (sempre contrario ai programmi ed ai sistemi), fu certo Renoir. La sua evoluzione, da una pittura quasi grafica ed incisiva ad una pittura tutta inviluppata nel colore e, malgrado questo, tutta in volume, è un bell’esempio di logica sana e costruttiva. (…) Ascoltate Renoir, quando dice che bisognava rientrare nell’ordine «se non si voleva vedere la pittura sommergersi definitivamente», e rientrare nell’ordine voleva dire tornare a imparare un mestiere che «nessuno conosceva più». (…) Egli si distaccò dunque da questi giovani, pieni di buona volontà, che furono gli impressionisti, rendendosi conto delle debolezze che erano sotto queste ricerche di ‘novità’ e diventando ostile quasi quanto Delacroix ai cosiddetti innovatori. (…) La scoperta casuale, sulle rive della Senna, del libro di Cennino Cennini, decise, forse, dell‘avvenire di Renoir. E cominciò per lui un periodo di ricerche tecniche, durante le quali arrivò a disegnare a penna il minimo dettaglio prima di dipingere, per odio dell’impressionismo, diceva egli, e cadendo in un eccesso di precisione e nell’aridità. Egli si accanì anche a voler imitare l’affresco con la pittura ad olio, ma da se stesso fece giustizia di questo grave errore fondamentale. Come divenne padrone della sua tecnica e dei suoi ‘mezzi’ ciò si vede nella splendida fioritura delle sue opere.” [14]

Dunque, l’opera di Cennino è citata negli scritti di Severini con preciso riferimento a Renoir, alla sua ricerca del recupero delle tecniche antiche (il mestiere) e alla sua etica del ritorno all’ordine. Sono tutte parole d’ordine centrali in quegli anni (non solamente in Francia, ma in tutt’Europa ed in particolare in Italia), ma è chiaro che gli sviluppi francesi sono fondamentali. Cerchiamo dunque di capire qual è il rapporto tra il Libro dell’arte di Cennino Cennini e la storia dell’arte francese a partire dalla metà dell’Ottocento fino agli anni di Severini a Parigi.


Cennino Cennini al centro degli sviluppi dell’arte francese: 1858-1930

In questo blog abbiamo documentato come il Libro dell’arte di Cennino Cennini venga letto a partire da metà Ottocento in una prospettiva che va molto al di là di una collezione tardo-medievale (o primo-rinascimentale) di ricette sulla composizione dei colori e sulle tecniche artistiche. Come apice di tale lettura, a cavallo tra i due secoli (forse nel 1902) il pittore francese Maurice Denis (1870-1943) convince Henri Mottez (1855–1937) a lavorare alla pubblicazione di una nuova edizione del Libro dell’arte in francese. La scelta non è casuale: il padre di Henri, il nazareno lionese Victor Mottez, è stato uno dei primi artisti francesi a riscoprire la tecnica medievale dell’affresco. Nel 1846 ha realizzato quello che egli ritiene il proprio capolavoro (l’affresco nel portale della chiesa di Saint-Germain-l’Auxxerois [15] a Parigi [16]), ma si rende conto di scontrarsi con problemi tecnici cui non sa dar risposta. Per questo motivo, qualche anno dopo (nel 1858), traduce, sia pur in modo imperfetto, il Libro dell’arte di Cennino Cennini e ne applica le tecniche per gli affreschi che esegue nel 1860 nella chiesa di Saint-Sulpice. Lì Mottez si misura direttamente con Delacroix, in una sfida aperta tra classicismo (Mottez) e romanticismo (Delacroix): alla Cappella dei Santi Angeli di Delacroix (1855-1861) Mottez risponde con la Cappella di San Martino (1860-1865).

Fig. 7) Gli affreschi perduti di Victor Mottez nel portale della chiesa di Saint Germain-l’Auxxerois. A sinistra: Il discorso della montagna. Al centro: I Santi e le Sante della Francia ai piedi del Cristo. A destra: Cristo appare agli apostoli.
A mia conoscenza, è l’unica immagine disponibile degli affreschi, già perduti nel 1913 quando le fotografie furono pubblicate da Léon Rosenthal nel Bulletin de la Société de l'Histoire de l'Art Français.
Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/bshaf1913/0030?sid=a2976d0911c9bb6500a72b3818e091b4

Maurice Denis è un grande ammiratore di Mottez, crede che il paragone tra le due cappelle a Saint-Sulpice si risolva nettamente a favore di quest’ultimo, e constata tuttavia che sia gli affreschi del 1846 nella chiesa di Saint-Germain-l’Auxxerois sia quelli del 1860 nella chiesa di Saint-Sulpice sono ormai irrimediabilmente danneggiati. Chiede perciò a Henri, figlio di Victor Mottez, di curare una nuova traduzione del Libro dell’Arte, nella speranza che una migliore traduzione renda i metodi di Cennino più affidabili e dunque possa offrire nuove prospettive ai pittori d’ispirazione classica per i loro affreschi.

Fig. 8) La nuova traduzione del Libro dell’Arte di Cennino Cennini di Victor Mottez, a cura del figlio Henry Mottez,
con introduzione di Pierre-Auguste Renoir, nel 1911

Il fatto che la nuova edizione francese del Libro dell’arte di Cennino Cennini, finalmente pubblicata nel 1911, sia preceduta da un testo di Pierre-Auguste Renoir (1841-1919), che fino ad allora quasi nulla aveva lasciato di scritto sull’arte, suscita grandissima impressione, in Francia ed altrove. Il contenuto dell’introduzione di Renoir è in forma di lettera (come spesso accadeva in quegli anni), ma in realtà il testo ha il ruolo di un vero e proprio manifesto che viene ispirato da Maurice Denis stesso e su cui Renoir lavora a lungo [17]. Renoir aveva letto il testo di Cennini nel 1883, appena tornato dal viaggio in Italia nel 1881-1882 in cui aveva ammirato gli affreschi di Raffaello in Vaticano e le pitture murarie romane a Pompei. Sono gli anni in cui l’arte di Renoir vira chiaramente in un senso classicheggiante, e la lettura di Cennino è parte di quel ripensamento.

Trent’anni dopo, per Renoir, Cennino non è solamente una fonte d’ispirazione stilistica, ma l’eroe di un’epoca antica, felice ed anti-moderna, in cui l’arte è per sua grazia ancora e soprattutto mestiere ed il suo fine è profondamente religioso. Nella Montmartre che conosce da qualche anno le prime forme di avanguardia radicale (il cubismo, il fauvismo) e dove gli artisti si dedicano a bacco, tabacco e venere, quello di Renoir è un monito molto chiaro in favore della moralità e della religiosità nella pittura, ancor prima che un ritorno al mestiere. Il Libro di Cennini è visto come il testo pratico indispensabile per riacquisire il pieno controllo dell’antica tecnica dell’affresco, ovvero della vera arte.

Il tema del ritorno all’affresco ed alla pittura monumentale era stato già teorizzato in Francia dal simbolista Gabriel-Albert Aurier nel 1891, con un proclama in cui chiedeva che ad artisti come Gauguin e Puvis de Chavannes fosse data l’opportunità di dipingere arte murale: ”I muri, i muri. Date loro i muri” [18]. Tuttavia il programma di restaurazione di Renoir disegnato nell’introduzione al Libro dell’arte è caratterizzato da un profondo pessimismo: la purezza dell’arte medievale è infatti perduta per sempre e la modernità è vista come un’età di decadenza da cui non vi è ritorno.

Fig. 9) Cartolina sull'arte di Beuron alla Mostra di Vienna sulla Secessione (1905)
(copyright André M. Winter, pubblicata dietro sua cortese autorizzazione)

Un progetto di arte e pittura ‘neo-tradizionalista’ (néo-traditionnisme) è enunciato da Maurice Denis già nel 1890 [19]. Sin da allora Denis tesse, insieme a Paul Sérusier, una rete di contatti in tutt’Europa. Grandi amici di Jan Verkade (l’allora celebre pittore-monaco che tradurrà Cennino Cennini in tedesco nel 1916), Denis e Sérusier divengono gli interlocutori nel mondo francese della pittura della scuola di Beuron. Sérusier traduce, come già detto, il Canone divino di Desiderius Lenz in francese nel 1904-1905 e Denis scrive l’introduzione alla medesima.

Fig. 10) La buona guida, arazzo disegnato da Aladar Körösfői-Kriesch e creato da Leo Belmonte, 1907
Fig. 11) Sándor Nagy, Chiesa del Regno Mariano, affresco nell’abside, 1910
(distrutto subito dopo la Seconda Guerra Mondiale dal regime comunista di Mátyás Rákosi).
Fonte: http://postcards.hungaricana.hu/hu/193417/?query=SZO%3D(%22Templomok%22)

Nel 1892 Denis conosce anche Aladár Körösfői Kriesch e Sandor Nagy all’accademia Julian di Parigi, dove studia lui stesso [20]. I due saranno i fondatori di un nuovo movimento estetico in Ungheria, simbolista e secessionista, creato qualche anno dopo nella cittadina di Gödöllő, la cui comunità di artisti diverrà modello per una serie di movimenti artistici simbolisti in Ungheria, tutti ispirati a Cennini fino alla fine degli anni Trenta. Di Körösfői Kriesch si racconta che non dimenticasse mai di avere con sé una copia del Libro di Cennini; è a quest’ultimo che dedica uno dei suoi affreschi più famosi, Il Pellegrinaggio alla Sorgente dell’Arte, eseguito nell’Accademia Musicale di Budapest nel 1907.

Grazie all’attività infaticabile di Maurice Denis, nel primo decennio del secolo il Libro dell’Arte è dunque divenuto un punto di riferimento transnazionale. La sua pubblicazione in francese (1911) e tedesco (1916) diffonde ovunque in Europa orientamenti estetici precisi: la riscoperta della tecnica dell’affresco, il recupero di un’iconografia religiosa, il riferimento alla pittura medievale, la rivalutazione della monumentalità dell’arte. È un’esigenza di una nuova arte spirituale assai sentita negli anni del conflitto mondiale. Dopo la guerra, con i suoi Ateliers d'art sacré lanciati nel 1919 e con il suo scritto del 1922 intitolato Nouvelles théories sur l'art moderne [et] sur l'art sacré, 1914-1921 [21] Maurice Denis è ancora una volta uno degli ispiratori di orientamenti estetici a cui si richiamano artisti da tutto il continente, soprattutto nel mondo francofono, ma anche in Europa centro-orientale. L’orientamento religioso, abbinato all’uso dell’affresco o di altre tecniche murali, è uno dei tanti aspetti (molto diversi tra loro) del variegato movimento del ‘ritorno all’ordine’, che si affermerà in quegli anni.

Un’avvertenza: non solo Severini

Questo post identifica il ruolo centrale di Gino Severini nella messa in pratica delle tecniche del Libro dell’Arte nel quadro della rinascita dell’arte religiosa in Europa e nella loro diffusione in Italia. Ovviamente, ciò non significa affatto che l’insegnamento di Cennino Cennini sia stato presente in Italia solo attraverso quella mediazione parigina e francofona – qui documentata – che segue la linea Mottez, Denis, Renoir e Severini. Cennini è ben presente agli allievi delle scuole d’arte italiane fin dalla discussione sulle sue tecniche a fresco nel trattato di tecnica di pittura di Gaetano Previati (1852-1920) [22], pubblicato nel 1905, e poi con la pubblicazione del Libro dell’Arte da parte di Renzo Simi (figlio del pittore simbolista Filadelfo Simi) nel 1913 [23]. A soli due anni dall’enorme sommovimento creato dall’introduzione di Renoir a Parigi, il pubblico italiano ha a sua disposizione una nuova edizione moderna del Libro dell’Arte.

Negli ultimi anni si sono moltiplicati studi e mostre per dimostrare e spiegare le ragioni per le quali, tra le due guerre, gran parte della pittura moderna in Italia (ma anche in Europa) è solidamente ancorata all’idea del ritorno all’arte medievale e del primo Rinascimento (o comunque al mondo dell’antichità classica, di cui il medioevo italiano a partire da Giotto è considerato erede) [24]. In questo blog si è già parlato dell’influsso di Cennino e Teofilo su Giorgio De Chirico ed il suo Piccolo trattato di tecnica pittorica del 1928 (comunque ispirato, nel suo tema del ‘ritorno al mestiere’, anche dall’introduzione di Renoir nell’edizione Cennino del 1911). Carlo Carrà, inoltre, scrive la Parlata su Giotto già nel 1916, tuttavia con l’intento di definire un’arte ‘nazionale’ e differenziare il classicismo italiano da quello straniero, e dunque con un obiettivo diverso da quello di Severini, più immerso in un contesto spirituale comune a gran parte dell’Europa. In linea con lo sviluppo dell’arte contemporanea, questi sono gli anni in cui la critica d’arte rilegge Trecento e Quattrocento: si pensi al saggio di Lionello Venturi del 1926 su Il Gusto dei primitivi [25] ed il saggio di Roberto Longhi del 1927 su Piero de' Franceschi (Piero della Francesca) pubblicato da “Valori plastici” nel 1927 [26] e subito tradotto in francese [27] (lo stesso anno) ed in inglese (1930) [28].


Gino Severini, erede del mondo francese

Chi, nella storia dell’arte italiana di quegli anni, è al centro di tutte queste tendenze europee sopra descritte è Gino Severini (1883-1966), sia come artista sia come teorico dell’arte. Si è già detto che Severini vive per tre decenni a Parigi (1906-1935) e lì sperimenta un percorso che lo porta dal futurismo, che vuol distruggere l’arte del passato, ad un’impostazione dell’arte del tutto classica. Nel 1921 il già citato saggio Du Cubisme au classicisme (Estétique du compas et du nombre) rivela che egli è già controparte intellettuale importante di Maurice Denis (che ama come teorico, ma non come pittore), e lettore entusiasta del trattato di Desiderius Lenz, nonché della trattatistica pittorica del Rinascimento e dei manifesti di tecnica pittorica dei neo-impressionisti (Signac, Seurat). E tuttavia bisogna notare che il saggio del 1921 – tutto centrato sull’idea dell’arte come scienza e sul ruolo del numero nella creazione artistica – non cita il Libro dell’Arte di Cennini (probabilmente considerato in quel momento come un autore ‘artigianale’ e perciò privo di interesse teorico) né assegna alcun ruolo preciso all’arte religiosa.

Il primo avvicinamento a Cennino è segnato dall’interesse del pittore italiano per l’affresco. Tra il 1921 ed il 1922, immediatamente dopo la pubblicazione del saggio, Severini riceve una commissione in Italia, tramite Léonce Rosenberg, il suo agente a Parigi e proprietario della Galerie de L'Effort Moderne. Si tratta dell’affresco del salottino del castello di Montegufoni, proprietà di una ricca famiglia inglese che lo usa per le vacanze. È qui che Severini sperimenta molte delle sue teorie sull’arte come scienza e sul ruolo del numero nella costruzione dell’opera d’arte, adottando la regola della sezione aurea da lui teorizzata l’anno prima in Du cubisme au classicisme. Ma egli adotta anche le tecniche suggerite dal Libro dell’Arte, in particolare per i volti e per le mani: lo ricorda nella seconda parte delle memorie, compilate nel 1965: “Per le carnagioni dei volti e delle mani mi tenni alle regole di Cennino Cennini, e cioè le preparai in terra verde e le terminai con tre toni di terra rossa. Gli altri colori qualche volta li preparavo al pentolino, ma spesso li improvvisavo sulla tavolozza, mettendo in alcuni la calce e in altri no, secondo quel che mi dettava il muro, il quale rispondeva magnificamente ai miei desideri. I personaggi e le altre composizioni cominciavano da terra (da circa 15 centimetri sopra il pavimento) e andavano fino al soffitto: era dunque una pittura al livello dell’occhio dello spettatore, e doveva essere tecnicamente curata fino alla perfezione. Così infatti la condussi, e l’effetto riuscì anche al di là delle mie previsioni.” [29]

Passano solamente alcuni mesi e gli interessi del pittore cambiano, in seguito alla conversione religiosa (i cui primi sintomi si avvertono nel 1919 ma che diviene esplicita nel 1923) e soprattutto grazie all’incontro ed al dialogo con il filosofo francese Jacques Maritain, che ha da poco pubblicato Art et scholastique (1920) [30], uno dei testi fondamentali del pensiero estetico moderno [31]. Severini abbandona i precedenti convincimenti neoplatonici che lo hanno condotto a dare valore assoluto alla sezione aurea ed al ruolo del numero nell’arte e si avvicina al neotomismo. Per comprendere l’arte Maritain promuove, infatti, un ritorno alla cristianità medievale, come punto mediano tra un impossibile ritorno all’antico ed il rifiuto di una modernità disumanizzante. Maritain propugna un’arte “semplice, perché l’arte sacra deve essere leggibile, è una teologia figurata e deve essere capita dal popolo.” [32] Al tempo stesso, l’arte sacra non deve avere alcuna limitazione espressiva o di stile: l’artista deve essere credente, ma il suo compito è quello di produrre il bello. Nasce un’amicizia profondissima, testimoniata da un ricco epistolario recentemente pubblicato in parallelo in italiano [33] e francese [34]. Maritain gli dedica nel 1930 una breve monografia edita da Gallimard [35].


Fig. 12) Art et scolastique di Jacques Maritain (1930)

Fig. 13) La monografia di Maritain su Severini (1930)

È grazie a Maritain che Severini ottiene la prima commissione religiosa a Semsales (in Svizzera, nel cantone di Friburgo): “Lo spirito con cui Severini si reca a Semsales, nel 1924, è quello di un uomo che vuol fare di questa occasione l’opportunità per un’esperienza collettiva e sociale, interdisciplinare, magari di tipo medievale, che naturalmente doveva mettere in risalto il suo credo sincero nel ritorno al «mestiere», mestiere che media sia dal trattato di Cennino Cennini, sia dalle pagine in cui Vasari descrive il lavoro degli artisti rinascimentali, ma fa pure tesoro di suggerimenti che gli vengono da artigiani e da semplici imbianchini, o mosaicisti, (come avvenne a Montegufoni) che si tramandano segreti di padre in figlio” [36]


[Purtroppo, per ragioni legate a diritti d'autore, questa nuova versione dell'articolo non include più immagini delle opere di Gino Severini.]

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NOTE

[1] Severini, Gino - La vita di un pittore, Con uno scritto di Maurizio Fagiolo dell’Arco, Abscondita, 2008, 334 pagine. Il volume raccoglie le due parti dell’autobiografia completate da Severini. La prima è Tutta la Vita di un Pittore (Garzanti, 1946), la seconda è Tempo de «L’effort moderne» (Vallecchi, 1968). La prima pubblicazione comune delle due parti è del 1983, ad opera di Feltrinelli.

[2] Come in molti altri casi di pittori travolti dagli avvenimenti della storia (si pensi a Paul Klee, che interrompe le sue memorie nel 1918, dopo aver partecipato ai movimenti spartachisti ed al tentativo fallito d’insediare un regime sovietico a Monaco di Baviera, o a Emil Nolde, che le insabbia e le riscrive dopo aver professato tesi anti-semite e naziste negli anni Trenta) anche le memorie di Severini sono incomplete, e sono probabilmente dettate dalla necessità di offrire al pubblico una rilettura della vita in presenza di repentini mutamenti del corso della politica. Nel 1942, in piena guerra ed ancora sotto il fascismo, viene ripubblicata la seconda edizione dei Ragionamenti sulle arti figurative. Il fascismo cade nel 1943 .Tra il 1943 ed il 1946 l’artista scrive a Roma la prima parte della propria biografia, che si conclude con il 1917. La pubblicazione nel 1946 gli permette dunque di offrire al pubblico del primo dopoguerra una nuova lettura della propria biografia, seppur incompleta. Vent’anni dopo Severini lavora ad un secondo passaggio, quello tra il 1918 ed il 1924. L’ultimo episodio ricordato è l’incontro con Alexandre Cingria, che segna l’avvio dell’esperienza religiosa cui è dedicato questo post. Manca una lettura autobiografica degli anni svizzeri e soprattutto del tema spinoso dell’adesione del pittore italiano all’estetica fascista a partire dalla V Triennale del 1933.

[3] Severini, Gino – La vita di un pittore (citato), pp. 211-212.

[4] Severini, Gino - Dal cubismo al classicismo, a cura di Elena Pontiggia, Milano, Abscondita, 2001, 130 pagine. L’edizione originale in francese (disponibile su internet: https://archive.org/stream/ducubismeauclass00seve#page/n7/mode/2up) è: Severini, Gino - Du cubisme au classicisme : esthétique du compas et du nombre, Paris, J. Povolozky & Cie, 1921, 123 pagine. L’ultima edizione francese è del 1931. La prima traduzione italiana è a cura di Piero Pacini: Severini, Gino - Dal cubismo al classicismo e altri saggi sulla divina proporzione e sul numero d'oro. A cura di Piero Pacini, Firenze, Marchi e Bertolli, 1972, 258 pagine. Nel 1993 esce un'edizione in spagnolo, a cura di Francisco Javier San Martín e Alfonso Carmona González. Nel 2001 compare una traduzione in inglese (pubblicata insieme ad un secondo saggio di Albert Gleizes): Gino Severini - From Cubism to Classicism/ Albert Gleizes - Painting and its Laws, Translation, introduction and notes by Peter Brooke, Francis Boutle Publishers, Londra, 2001, 218 pagine.

[5] Severini, Gino - Dal cubismo al classicismo, (citato), p. 18.

[6] Calvesi, Maurizio – La regola di Severini, in Gino Severini dal 1916 al 1936, a cura di Marisa Vescovo, catalogo della mostra ad Alessandria, 24 aprile-14 giugno 1987, Il Quadrante Edizioni, 1987, pp. 14-19.

[7] Si veda anche: Iamurri, Laura - Note Sulla Polemica Tra Gino Severini e L’Esprit Nouveau, in: "L’Italia di Le Corbusier 1907-1965" di Marida Talamona, Jean-Louis Cohen, Stanislaus Moos, Barbara Cinelli, Laura Iamurri, Giorgio Ciucci, Romy Golan, Letizia Tedeschi, Bruno Reichlin, Paolo Nicoloso Et Al.., Electa, Milano, pp. 232-239, 2012. Disponibile su Internet:
https://www.academia.edu/5498990/Note_sulla_polemica_tra_Gino_Severini_e_L_Esprit_Nouveau_

[8] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse: Briefe, Tagebücher, Betrachtungen heutiger Künstler, Berlin, Propyläen, 1923, pp. 359, con 32 tavole e 16 disegni nel testo.

[9] Sia il testo di Severini sia quello di Gleizes, che si frequentavano regolarmente, sono pubblicati da Jacques Povolozsky (editore e gallerista russo-polacco che opera a Parigi in quegli anni).

[10] Léger, Fernand - L'esthétique de la machine: l'objet fabriqué, l'artisan et l'artiste, in: "Sélection", anno terzo, n.4, febbraio 1924, pagine 374-382.

[11] Vescovo, Marisa – Gino Severini: favola, teatro, e fede per una committenza, in: Gino Severini dal 1916 al 1936, a cura di Marisa Vescovo, catalogo della mostra ad Alessandria, 24 aprile-14 giugno 1987, Il Quadrante Edizioni, 1987, pp. 20-34.

[12] Si veda per esempio una pagina del saggio del 1921 “Dal cubismo al classicismo”: “Con questi «mezzi» eterni, basati sulle eterne leggi del numero, ogni epoca ha potuto creare il suo stile, e quando nel Rinascimento l’«individuo» comincia a volersi isolare ed elevare rispetto alla massa, l’artista ha potuto affermare la sua personalità e giungere all’originalità. Il che, detto per inciso, è stato l’inizio della decadenza. Per questo avere la pretesa di inventare mezzi nuovi e necessariamente empirici, con la scusa di cercare la novità e l’originalità, è una pura follia, e voler fare a meno di ogni metodo basato sulla scienza è altrettanto assurdo e inconcludente.” (Gino Severini, Dal cubismo al classicismo, (citato), p. 17)Il concetto è ripetuto nell’introduzione ai Ragionamenti sulle arti figurative del 1935, in cui egli contesta sostanzialmente la pittura d’avanguardia di senso espressionista: “Queste sono le ragioni per le quali la maggior parte della produzione media è basata sul temperamento, che è inerente all’individuo, ed è quindi sul piano fisico, come l’‘entusiasmo’ (che si prende spesso per ‘volontà’) e di cui non si è ‘responsabili’. Si accusano questi artisti di non corrispondere all’atmosfera sociale del loro tempo, ma io penso che invece corrispondono generalmente anche troppo a questo individualismo, a questo materialismo di cui siamo saturati, e che sono le estreme conseguenze portate dal Rinascimento”. Si veda Severini, Gino, Ragionamenti sulle arti figurative, Seconda edizione aumentata, Editore Ulrico Hoepli, Milano, 1942, 299 pagine, Citazione alle pagine XII-XIII.

[13] Severini, Gino - Ragionamenti sulle arti figurative, Milano, Editore Ulrico Hoepli, 1936, pagine 270.

[14] Severini, Gino, Ragionamenti, (…) citato, 1942, p. 221.

[15] Il 17 febbraio 1865 Mottez si lamenta, in una lettera programmatica sulla pittura a fresco, che nessuna delle mesticherie di Parigi sia stata in condizione di procurargli i colori adatti per un affresco che potesse resistere all’umidità di una parete esterna. Si veda: Mottez, Victor - Lettre sur la peinture à fresque, in: Mémoires de la Société des sciences, de l'agriculture et des arts de Lille, III Serie, 2° Volume, pp. 721-729, Lille, Impr. de L. Danel, 1866.

[16] Rosenthal, Léon - Les fresques de Mottez a Saint-Germain-L'Auxerrois, in: Bulletin de la Société de l'Histoire de l'Art Français, 1913, Paris, Édouard Champion, pp. 20-21. Si veda: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/bshaf1913/0027?sid=a2976d0911c9bb6500a72b3818e091b4

[17] Herbert Robert L, Nature's workshop: Renoir's writings on the decorative art, New Haven, Yale University Press, 2000, 278 pages.

[18] Aurier, Gabriel-Albert - Le Symbolisme en Peinture: Paul Gauguin, in: Mercure de France, n. 15, marzo 1891, pagine 155-165.

[19] Denis, Maurice - Définition du Néo-traditionnisme (1890) in: Denis, Maurice - Théories, 1890-1910; du symbolisme et de Gauguin vers un nouvel ordre classique, Paris, L. Rouart et J. Watelin, 1920.

[20] Keserű Katalin, Tumbász András - A váci Karolina-kápolna és Körösfői-Kriesch Aladár, Arcus, 2013, 72 pagine.

[21] Denis, Maurice - Nouvelles théories sur l'art moderne, sur l'art sacré, 1914-1921, Paris : L. Rouart et J. Watelin, 1922. Si veda:
https://archive.org/stream/nouvellesthori00deniuoft#page/288/mode/2up

[22] Previati, La tecnica della pittura, Torino, Fratelli Bocca Editore, 1905. 305 pagine. Si veda:
https://archive.org/stream/latecnicadellap00prevgoog#page/n0/mode/2up. Il trattato fu soggetto a nuove pubblicazioni regolari fino al 1930 e, più recentemente, nel 1990. Si veda: Previati, Gaetano - La tecnica della pittura, Milano, SugarCo, 1990, 386 pagine.

[23] Cennini, Cennino - Il libro dell'arte. Edizione riveduta e corretta sui codici. A cura di Renzo Simi, Lanciano, R. Carabba, 1913, 144 pagine.

[24] Si vedano, in ordine cronologico: Memorie dell’Antico nell’arte del Novecento, a cura di Ornella Casazza e Riccardo Gennaioli, catalogo della mostra a Palazzo Pitti, Firenze, 14 marzo-12 luglio 2009, Firenze, Giunti, 288 pagine; Anni ’30. Arti in Italia oltre il fascismo, a cura di Antonello Negri, catalogo della mostra a Palazzo Strozzi, Firenze, 22 settembre 2012 – 27 gennaio 2013, Firenze, Giunti, 253 pagine; La seduzione dell’Antico. Da Picasso a Duchamp, da De Chirico a Pistoletto, a cura di Claudio Spadoni, Catalogo della mostra alla Loggetta Lombardesca, Ravenna, 21 febbraio-26 giugno 2016, Firenze, Mandragora, 2016, 235 pagine.

[25] Venturi, Lionello, Il gusto dei primitivi, Bologna, Nicola Zanichelli editore, 1926, 328 pagine.

[26] Longhi, Roberto - Piero della Francesca, Roma, Valori Plastici, 1927, 193 pagine.

[27] Longhi, Roberto - Piero della Francesca, traduzione di Jean Chuzeville, Parigi, G. Crès e C., 1927, 207 pagine.

[28] Longhi, Roberto - Piero della Francesca, traduzione di Leonard Penlock, Londra e New York, F. Warne e Co, 1930, 176 pagine.

[29] Severini, Gino – La vita di un pittore (citato), p. 260.

[30] Maritain, Jacques, Art et scolastique, Paris, Librairie de l'art catholique, 1920, 188 pagine. Traduzione italiana: Maritain, Jacques, Arte e scolastica, Traduzione di Piero Viotto, Brescia, Morcelliana, 1980, 194 pagine.

[31] Si vedano due recenti articoli: Jones, Zoë Marie -'Spiritual crisis and the 'call to order': the early aesthetic writings of Gino Severini and Jacques Maritain', in: Word and Image, 2010, pages 59 — 67 e Grace, Justine - The Spirit of Collaboration: Gino Severini, Jacques Maritain, Anton Luigi Gajoni and the Roman Mosaicists, in: Text theory critique 22, 2011, pagine 89-112. 

[32] Benzi, Fabio – Gino Severini. Le opera monumentali, in: Gino Severini. Affreschi, mosaici, decorazioni monumentali, 1921-1941, Catalogo della mostra alla Galleria Arco Farnese, Roma, 12 maggio – 30 maggio 1992, Leonardo-De Luca Editori, 1992, p. 119. Citazione a pagina 12.

[33] Il carteggio Gino Severini – Jacques Maritain (1923 - 1966), A cura di Giulia Radin, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, vol. 14, 2011, 298 pagine.

[34] Correspondence Gino Severini – Jacques Maritain (1923 - 1966), Édition établie, présentée et annotée par Giulia Radin, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, vol. 14, 2011, 304 pagine.

[35] Maritain Jacques, - Gino Severini, Paris, Gallimard, 1930, 63 pagine.

[36] Vescovo, Marisa – Gino Severini: favola… (citato), p. 30.


2 commenti:

  1. Ringrazio sentitamente di questo testo che riassume molto bene il periodo nel quale Severini recupera le tecniche ed i canoni dell'arte antica. Riassunto che ho utilizzato come ispirazione anche per alcune conferenze e lezioni a scuola.
    Giovanni Bassoli

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