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Francesco Mazzaferro
Gino Severini e l’arte religiosa in un contesto europeo:
l’influenza del Libro dell’Arte di Cennino Cennini
Parte Prima
[Versione originale: maggio 2016 - nuova versione: aprile 2019].
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Fig. 1) L’edizione italiana di Dal cubismo al classicismo, a cura di Elena Pontiggia, pubblicata da Abscondita nel 2001 |
IL PROGETTO CENNINI
Questo post fa parte del Progetto Cennini, dedicato allo studio del recepimento del Libro dell'arte a partire dalla prima edizione a stampa, nel 1821. Clicca qui per vedere la lista di tutti i post.
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Gino Severini e la letteratura artistica
Gino Severini (1883 –1966)
racconta nelle sue memorie l’incontro appassionato con la letteratura
artistica, che segna per sempre la sua cultura e pratica artistica negli anni
in cui sta abbandonando il futurismo. Sono pagine tratte dalla seconda parte (Tempo de «L’effort moderne». La vita di un
pittore” [1]) del suo progetto autobiografico, composto da un primo volume
pubblicato nel 1946 e, appunto, da un
secondo ultimato nell’estate del 1965, un anno prima di morire, e pubblicato
postumo nel 1968 [2]. Le memorie ci rivelano come l’arte contemporanea possa
vivere della comprensione del messaggio che gli artisti di epoche anteriori,
compresi quelli di molti secoli precedenti, hanno lasciato ai posteri. Sono
anche i decenni (come testimoniato da una serie di post in questo blog sulle antologie di fonti di storia dell’arte) in cui la letteratura artistica si
diffonde come nuovo genere di studi. In quegli anni, letteratura artistica,
studio dell’antico e sviluppo dell’arte contemporanea vanno di pari passo.
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Fig. 2) La prima edizione di “Tutta la vita di un pittore” di Gino Severini, prima parte dell’autobiografia, pubblicata da Garzanti nel 1946 |
Severini ricostruisce i mesi che
seguono immediatamente l’armistizio nella prima guerra mondiale, e ricorda la
sua ricerca di regole che disciplinino colore, linee e forme. Dal 1906 vive a
Parigi ed è inserito nel variegato mondo degli artisti di quella città,
centro pulsante dell’arte mondiale. È alla ricerca di nuovi percorsi per lo
sviluppo dell’arte. “Fu così che
cominciai ad indagare nei trattati antichi. Andavo ogni giorno nelle
biblioteche e spesso mia moglie mi accompagnava; lei copiava i passi che mi
interessavano, mentre io facevo altre ricerche. Cominciai col consultare gli
architetti e i teorici dell’architettura, da Vitruvio a Leon Battista Alberti,
da Viollet-le-Duc a Choisy. In tutti trovavo la conferma di quanto avevamo
spesso discusso fra noi pittori, ma senza mai aver un idea nitida del perché,
posto che, in fondo, nessuno di noi aveva nozioni precise; trovavo cioè che,
alla base dell’architettura, vi erano delle leggi geometriche e numeriche che
servivano da ossatura. (…) In molti
trattati di pittura, come in quelli di Bernard du Puy du Grès, o di Félibien,
di Henri Testelin, di Algarotti, di John Burnet, ecc. (senza contare i manuali antichissimi, che erano poi soprattutto
manuali di mestiere, come il trattato del monaco Teofilo, la Mappae Clavicula, il manoscritto di Lucca, e
fino al noto trattato di Cennino Cennini), in tutti questi libri e in molti
altri trovavo la conferma delle regole chiare e precise che avevano presieduto
alla creazione artistica nei tempi antichi anche nel campo della pittura. Sia
nella struttura geometrica e matematica dell’opera che nella esecuzione
tecnica. Era dunque tutto un «mestiere» da ricostruire, un
mestiere di cui le accademie non avevano nessuna idea, e di cui soltanto alcuni
artisti della mia generazione avevano presentimento.
Maurice Denis, nel suo libro Théories, allude spesso a questo mestiere,
a queste leggi; anzi, a tale proposito, egli parla di un monastero di
benedettini situato a Beuron, al sud della Foresta nera, nel quale alcuni
monaci dipingevano in base a metodi rigorosi e scientifici, e non solo
dipingevano, ma creavano oggetti, facevano mosaici, sempre ispirati dalla
grandezza, solennità e dignità dell’arte ieratica egiziana o della Grecia
arcaica, di cui avevano scoperto le leggi. L’animatore di questo gruppo di
monaci era padre Pierre [n.d.r. o Desiderius] Lenz, le cui teorie sono riassunte in un
piccolo libro tradotto in francese da Paul Sérusier e presentato da una prefazione
di Maurice Denis (Pierre Lenz, L’Estethique de Beuron, Bibliothèque
de l’Occident, Paris, 1905). L’estetica del convento di Beuron è
riassunta da Lenz in queste poche righe: “Il semplice, il chiaro, il tipico che ha le sue radici nei numeri e
nelle misure più semplici, resta dunque la base di tutta l’arte, e misurare,
contare e pesare restano le funzioni più importanti. Lo scopo di ogni grande
arte è la trasmissione, l’applicazione caratteristica delle forme fondamentali
geometriche, aritmetiche, simboliche, scaturite dalla natura, per servire le
grandi idee. (…) Questi monaci
realizzavano a loro modo un’altra idea che si faceva strada negli ambienti
artistici a Parigi, soprattutto fra i cubisti dell’Effort Moderne: quella di un’arte collettiva, anti-individualista,
nella quale l’anonimato fosse la regola, come al tempo dei Greci, della
Repubblica Romana e dei primi cristiani. Ma poi quest’idea svanì, perché con lo
svilupparsi del mercato artistico parigino, gli artisti furono invece
incoraggiati, anzi spinti dai mercanti a realizzare la propria personalità nel
modo più inconfondibile ed individualistico; e su questa linea si arrivò fino
all’eccesso.” [3]
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Fig. 4) Scuola artistica di Beuron, Crocifissione (affresco nel Santuario di S. Benedetto a Montecassino) Affresco distrutto durante la Seconda Guerra mondiale. Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/kfa1907_1908/0288 |
Il brano appena riportato colloca
l’incontro tra Gino Severini ed il Libro
dell’Arte di Cennino Cennini nel contesto più ampio della ricerca da parte
del pittore italiano di una nuova regola unificante dell’arte intesa come
scienza, ricerca che avviene sugli scranni delle biblioteche di Parigi, tra le
fonti di storia dell’arte. È uno sforzo che porterà alla pubblicazione, nel
1921, di un testo in francese intitolato Du
cubisme au classicisme (Estétique du compas et du nombre) [4]. È una
ricerca personale nel passato, dal momento che nessuno dei pittori parigini di
quegli anni eseguirà una ricognizione così sistematica delle fonti di storia
dell’arte per cercare di ottenere quel risultato; ed in nessuno dei
contemporanei sarà così chiaro l’omaggio a Maurice Denis, che egli considera il
maggiore teorico d’arte contemporaneo [5], e alla scuola di Beuron. Peraltro,
come spiegato da Maurizio Calvesi [6], la pubblicazione del testo segna un
momento di rottura tra Severini ed il mondo dell’avanguardia francese [7].
E tuttavia il senso di marcia di
Severini è anche l’espressione di uno sforzo collettivo. Consultando per
esempio l’antologia di fonti di storia dell’arte contemporanea di Paul Westheim
[8], pubblicata solo qualche anno dopo in Germania proprio per presentare al
pubblico tedesco un’idea classica ed anti-espressionista dell’arte
contemporanea, non si trova alcun passo di Severini, ma si possono leggere il
testo di Albert Gleizes su “La missione
creatrice dell’uomo nel dominio plastico” (una conferenza tenuta a Parigi
nel dicembre 1921, che rivela la stessa ambizione della ricerca di una regola
universale, sia pure risolta in senso costruttivista [9]), e la lezione “L’estetica della macchina: l’oggetto
fabbricato, l’artigiano e l’artista” di Fernand Léger, che nel 1924
sanziona gli errori a suo parere compiuti dal Rinascimento, che ha abbandonato
regole universali alla ricerca dell’imitazione della natura [10]. Entrambi i
temi (la ricerca di regole per la costruzione nell’arte e gli errori del
Rinascimento) sono al centro degli scritti di Severini in quegli anni. Può
sorprendere che l’artista italiano, la cui estetica è associata al recupero
dell’iconografia del Quattrocento toscano (come giustamente scrive Marisa
Vescovo [11], soprattutto Paolo Uccello, Domenico Veneziano, Piero della Francesca, Andrea del Castagno, Luca Signorelli), usi toni così severi con il
Rinascimento, ma una semplice lettura dei suoi scritti conferma la circostanza
[12]: in realtà Severini si sente, in molti aspetti, un uomo del medioevo, al
pari di Renoir (dalla cui introduzione al Libro
dell’Arte di Cennini egli trae molti degli argomenti contro
l’individualismo dell’arte, vera e propria causa di corruzione dello spirito a
parere di entrambi).
Renoir, Cennino Cennini e la riscoperta del mestiere nelle parole di
Severini
Nel 1935, tornato in Italia dopo
un trentennio parigino, Severini raccoglie i suoi scritti nel volume “Ragionamenti sulle arti figurative” [13],
con cui si vuole presentare al pubblico italiano (il suo saggio Dal cubismo al classicismo sarà tradotto
in italiano solamente nel 1972). Già la scelta della copertina dell’opera
rivela il ruolo centrale che ha per lui Pierre-Auguste Renoir, l’artista che
abbandona l’impressionismo e teorizza il ritorno al mestiere e all’ordine. Ecco
che cosa Severini scrive di lui e dell’impatto che su di lui ebbe il Libro dell’Arte di Cennini:
“Se ci fu un pittore che cercò di esprimersi con probità assoluta
(sempre contrario ai programmi ed ai sistemi), fu certo Renoir. La sua
evoluzione, da una pittura quasi grafica ed incisiva ad una pittura tutta
inviluppata nel colore e, malgrado questo, tutta in volume, è un bell’esempio
di logica sana e costruttiva. (…) Ascoltate Renoir, quando dice che bisognava
rientrare nell’ordine «se non si voleva vedere la pittura
sommergersi definitivamente», e rientrare nell’ordine voleva
dire tornare a imparare un mestiere che «nessuno conosceva più».
(…) Egli si distaccò dunque da questi giovani, pieni di buona volontà,
che furono gli impressionisti, rendendosi conto delle debolezze che erano sotto
queste ricerche di ‘novità’ e diventando ostile quasi quanto Delacroix ai
cosiddetti innovatori. (…) La scoperta casuale, sulle rive della Senna, del
libro di Cennino Cennini, decise, forse, dell‘avvenire di Renoir. E cominciò
per lui un periodo di ricerche tecniche, durante le quali arrivò a disegnare a
penna il minimo dettaglio prima di dipingere, per odio dell’impressionismo,
diceva egli, e cadendo in un eccesso di precisione e nell’aridità. Egli si
accanì anche a voler imitare l’affresco con la pittura ad olio, ma da se stesso
fece giustizia di questo grave errore fondamentale. Come divenne padrone della
sua tecnica e dei suoi ‘mezzi’ ciò si vede nella splendida fioritura delle sue
opere.” [14]
Dunque, l’opera di Cennino è
citata negli scritti di Severini con preciso riferimento a Renoir, alla sua
ricerca del recupero delle tecniche antiche (il mestiere) e alla sua etica del
ritorno all’ordine. Sono tutte parole d’ordine centrali in quegli anni (non
solamente in Francia, ma in tutt’Europa ed in particolare in Italia), ma è
chiaro che gli sviluppi francesi sono fondamentali. Cerchiamo dunque di capire
qual è il rapporto tra il Libro dell’arte
di Cennino Cennini e la storia dell’arte francese a partire dalla metà
dell’Ottocento fino agli anni di Severini a Parigi.
Cennino Cennini al centro degli sviluppi dell’arte francese: 1858-1930
In questo blog abbiamo
documentato come il Libro dell’arte
di Cennino Cennini venga letto a partire da metà Ottocento in una prospettiva
che va molto al di là di una collezione tardo-medievale (o
primo-rinascimentale) di ricette sulla composizione dei colori e sulle tecniche
artistiche. Come apice di tale lettura, a cavallo tra i due secoli (forse nel
1902) il pittore francese Maurice Denis (1870-1943) convince Henri Mottez (1855–1937)
a lavorare alla pubblicazione di una nuova edizione del Libro dell’arte in francese. La scelta non è casuale: il padre di
Henri, il nazareno lionese Victor Mottez, è stato uno dei primi artisti
francesi a riscoprire la tecnica medievale dell’affresco. Nel 1846 ha
realizzato quello che egli ritiene il proprio capolavoro (l’affresco nel
portale della chiesa di Saint-Germain-l’Auxxerois
[15] a Parigi [16]), ma si rende conto di scontrarsi con problemi tecnici cui
non sa dar risposta. Per questo motivo, qualche anno dopo (nel 1858), traduce,
sia pur in modo imperfetto, il Libro
dell’arte di Cennino Cennini e ne applica le tecniche per gli affreschi che
esegue nel 1860 nella chiesa di Saint-Sulpice. Lì Mottez si misura direttamente
con Delacroix, in una sfida aperta tra classicismo (Mottez) e romanticismo
(Delacroix): alla Cappella dei Santi
Angeli di Delacroix (1855-1861) Mottez risponde con la Cappella di San Martino (1860-1865).
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Fig. 7) Gli affreschi perduti di Victor Mottez nel portale della chiesa di Saint Germain-l’Auxxerois. A sinistra: Il discorso della montagna. Al centro: I Santi e le Sante della Francia ai piedi del Cristo. A destra: Cristo appare agli apostoli. A mia conoscenza, è l’unica immagine disponibile degli affreschi, già perduti nel 1913 quando le fotografie furono pubblicate da Léon Rosenthal nel Bulletin de la Société de l'Histoire de l'Art Français. Fonte: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/bshaf1913/0030?sid=a2976d0911c9bb6500a72b3818e091b4 |
Maurice Denis è un grande
ammiratore di Mottez, crede che il paragone tra le due cappelle a Saint-Sulpice
si risolva nettamente a favore di quest’ultimo, e constata tuttavia che sia gli
affreschi del 1846 nella chiesa di Saint-Germain-l’Auxxerois
sia quelli del 1860 nella chiesa di Saint-Sulpice sono ormai irrimediabilmente
danneggiati. Chiede perciò a Henri, figlio di Victor Mottez, di curare una
nuova traduzione del Libro dell’Arte,
nella speranza che una migliore traduzione renda i metodi di Cennino più
affidabili e dunque possa offrire nuove prospettive ai pittori d’ispirazione
classica per i loro affreschi.
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Fig. 8) La nuova traduzione del Libro dell’Arte di Cennino Cennini di Victor Mottez, a cura del figlio Henry Mottez, con introduzione di Pierre-Auguste Renoir, nel 1911 |
Il fatto che la nuova edizione
francese del Libro dell’arte di
Cennino Cennini, finalmente pubblicata nel 1911, sia preceduta da un testo di
Pierre-Auguste Renoir (1841-1919), che fino ad allora quasi nulla aveva
lasciato di scritto sull’arte, suscita grandissima impressione, in Francia ed
altrove. Il contenuto dell’introduzione di Renoir è in forma di lettera (come
spesso accadeva in quegli anni), ma in realtà il testo ha il ruolo di un vero e
proprio manifesto che viene ispirato da Maurice Denis stesso e su cui Renoir
lavora a lungo [17]. Renoir aveva letto il testo di Cennini nel 1883, appena
tornato dal viaggio in Italia nel 1881-1882 in cui aveva ammirato gli affreschi
di Raffaello in Vaticano e le pitture murarie romane a Pompei. Sono gli anni in
cui l’arte di Renoir vira chiaramente in un senso classicheggiante, e la
lettura di Cennino è parte di quel ripensamento.
Trent’anni dopo, per Renoir, Cennino non è solamente una fonte d’ispirazione stilistica, ma l’eroe di
un’epoca antica, felice ed anti-moderna, in cui l’arte è per sua grazia ancora
e soprattutto mestiere ed il suo fine è profondamente religioso. Nella
Montmartre che conosce da qualche anno le prime forme di avanguardia radicale
(il cubismo, il fauvismo) e dove gli artisti si dedicano a bacco, tabacco e
venere, quello di Renoir è un monito molto chiaro in favore della moralità e
della religiosità nella pittura, ancor prima che un ritorno al mestiere. Il Libro di Cennini è visto come il testo
pratico indispensabile per riacquisire il pieno controllo dell’antica tecnica
dell’affresco, ovvero della vera arte.
Il tema del ritorno all’affresco
ed alla pittura monumentale era stato già teorizzato in Francia dal simbolista Gabriel-Albert
Aurier nel 1891, con un proclama in cui chiedeva che ad artisti come Gauguin e
Puvis de Chavannes fosse data l’opportunità di dipingere arte murale: ”I muri, i muri. Date loro i muri” [18].
Tuttavia il programma di restaurazione di Renoir disegnato nell’introduzione al
Libro dell’arte è caratterizzato da
un profondo pessimismo: la purezza dell’arte medievale è infatti perduta per
sempre e la modernità è vista come un’età di decadenza da cui non vi è ritorno.
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Fig. 9) Cartolina sull'arte di Beuron alla Mostra di Vienna sulla Secessione (1905) (copyright André M. Winter, pubblicata dietro sua cortese autorizzazione) |
Un progetto di arte e pittura
‘neo-tradizionalista’ (néo-traditionnisme)
è enunciato da Maurice Denis già nel 1890 [19]. Sin da allora Denis tesse,
insieme a Paul Sérusier, una rete di contatti in tutt’Europa. Grandi amici di
Jan Verkade (l’allora
celebre pittore-monaco che tradurrà Cennino Cennini in tedesco nel 1916),
Denis e Sérusier divengono gli interlocutori nel mondo francese della pittura
della scuola di Beuron. Sérusier traduce, come già detto, il Canone divino di Desiderius Lenz in
francese nel 1904-1905 e Denis scrive l’introduzione alla medesima.
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Fig. 10) La buona guida, arazzo disegnato da Aladar Körösfői-Kriesch e creato da Leo Belmonte, 1907 |
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Fig. 11) Sándor Nagy, Chiesa del Regno Mariano, affresco nell’abside, 1910 (distrutto subito dopo la Seconda Guerra Mondiale dal regime comunista di Mátyás Rákosi). Fonte: http://postcards.hungaricana.hu/hu/193417/?query=SZO%3D(%22Templomok%22) |
Nel 1892 Denis conosce anche Aladár
Körösfői Kriesch e Sandor Nagy all’accademia Julian di Parigi, dove studia lui
stesso [20]. I due saranno i fondatori di un nuovo movimento estetico in
Ungheria, simbolista e secessionista, creato qualche anno dopo nella cittadina
di Gödöllő, la cui comunità di artisti diverrà modello per una serie di
movimenti artistici simbolisti in Ungheria, tutti ispirati a Cennini fino alla
fine degli anni Trenta. Di Körösfői Kriesch si racconta che non dimenticasse
mai di avere con sé una copia del Libro
di Cennini; è a quest’ultimo che dedica uno dei suoi affreschi più famosi, Il Pellegrinaggio alla Sorgente dell’Arte,
eseguito nell’Accademia Musicale di Budapest nel 1907.
Grazie all’attività infaticabile
di Maurice Denis, nel primo decennio del secolo il Libro dell’Arte è dunque divenuto un punto di riferimento
transnazionale. La sua pubblicazione in francese (1911) e tedesco (1916)
diffonde ovunque in Europa orientamenti estetici precisi: la riscoperta della
tecnica dell’affresco, il recupero di un’iconografia religiosa, il riferimento
alla pittura medievale, la rivalutazione della monumentalità dell’arte. È
un’esigenza di una nuova arte spirituale assai sentita negli anni del conflitto
mondiale. Dopo la guerra, con i suoi Ateliers
d'art sacré lanciati nel 1919 e con il suo scritto del 1922 intitolato Nouvelles théories sur l'art moderne [et]
sur l'art sacré, 1914-1921 [21] Maurice Denis è ancora una volta uno degli
ispiratori di orientamenti estetici a cui si richiamano artisti da tutto il
continente, soprattutto nel mondo francofono, ma anche in Europa
centro-orientale. L’orientamento religioso, abbinato all’uso dell’affresco o di
altre tecniche murali, è uno dei tanti aspetti (molto diversi tra loro) del
variegato movimento del ‘ritorno all’ordine’, che si affermerà in quegli anni.
Questo post identifica il ruolo
centrale di Gino Severini nella messa in pratica delle tecniche del Libro dell’Arte nel quadro della
rinascita dell’arte religiosa in Europa e nella loro diffusione in Italia.
Ovviamente, ciò non significa affatto che l’insegnamento di Cennino Cennini sia
stato presente in Italia solo attraverso quella mediazione parigina e
francofona – qui documentata – che segue la linea Mottez, Denis, Renoir e
Severini. Cennini è ben presente agli allievi delle scuole d’arte italiane fin
dalla discussione sulle sue tecniche a fresco nel trattato di tecnica di
pittura di Gaetano Previati (1852-1920) [22], pubblicato nel 1905, e poi con la
pubblicazione del Libro dell’Arte da
parte di Renzo Simi (figlio del pittore simbolista Filadelfo Simi) nel 1913
[23]. A soli due anni dall’enorme sommovimento creato dall’introduzione di
Renoir a Parigi, il pubblico italiano ha a sua disposizione una nuova edizione
moderna del Libro dell’Arte.
Negli ultimi anni si sono
moltiplicati studi e mostre per dimostrare e spiegare le ragioni per le quali,
tra le due guerre, gran parte della pittura moderna in Italia (ma anche in
Europa) è solidamente ancorata all’idea del ritorno all’arte medievale e del primo Rinascimento (o
comunque al mondo dell’antichità classica, di cui il medioevo italiano a
partire da Giotto è considerato erede) [24]. In questo blog si è già parlato
dell’influsso di Cennino e Teofilo su Giorgio De Chirico ed il suo Piccolo trattato di tecnica pittorica
del 1928 (comunque ispirato, nel suo tema del ‘ritorno al mestiere’, anche
dall’introduzione di Renoir nell’edizione Cennino del 1911). Carlo Carrà,
inoltre, scrive la Parlata su Giotto
già nel 1916, tuttavia con l’intento di definire un’arte ‘nazionale’ e
differenziare il classicismo italiano da quello straniero, e dunque con un
obiettivo diverso da quello di Severini, più immerso in un contesto spirituale
comune a gran parte dell’Europa. In linea con lo sviluppo dell’arte
contemporanea, questi sono gli anni in cui la critica d’arte rilegge Trecento e
Quattrocento: si pensi al saggio di Lionello Venturi del 1926 su Il Gusto dei primitivi [25] ed il saggio
di Roberto Longhi del 1927 su Piero de' Franceschi (Piero della Francesca)
pubblicato da “Valori plastici” nel 1927 [26] e subito tradotto in francese
[27] (lo stesso anno) ed in inglese (1930) [28].
Gino Severini, erede del mondo francese
Chi, nella storia dell’arte
italiana di quegli anni, è al centro di tutte queste tendenze europee sopra
descritte è Gino Severini (1883-1966), sia come artista sia come teorico
dell’arte. Si è già detto che Severini vive per tre decenni a Parigi
(1906-1935) e lì sperimenta un percorso che lo porta dal futurismo, che vuol
distruggere l’arte del passato, ad un’impostazione dell’arte del tutto
classica. Nel 1921 il già citato saggio Du
Cubisme au classicisme (Estétique du compas et du nombre) rivela che egli è
già controparte intellettuale importante di Maurice Denis (che ama come
teorico, ma non come pittore), e lettore entusiasta del trattato di Desiderius
Lenz, nonché della trattatistica pittorica del Rinascimento e dei manifesti di
tecnica pittorica dei neo-impressionisti (Signac, Seurat). E tuttavia bisogna
notare che il saggio del 1921 – tutto centrato sull’idea dell’arte come scienza
e sul ruolo del numero nella creazione artistica – non cita il Libro dell’Arte di Cennini
(probabilmente considerato in quel momento come un autore ‘artigianale’ e
perciò privo di interesse teorico) né assegna alcun ruolo preciso all’arte
religiosa.
È grazie a Maritain che Severini
ottiene la prima commissione religiosa a Semsales (in Svizzera, nel cantone di
Friburgo): “Lo spirito con cui Severini
si reca a Semsales, nel 1924, è quello di un uomo che vuol fare di questa
occasione l’opportunità per un’esperienza collettiva e sociale,
interdisciplinare, magari di tipo medievale, che naturalmente doveva mettere in
risalto il suo credo sincero nel ritorno al «mestiere»,
mestiere che media sia dal trattato di
Cennino Cennini, sia dalle pagine in cui Vasari descrive il lavoro degli
artisti rinascimentali, ma fa pure tesoro di suggerimenti che gli vengono da
artigiani e da semplici imbianchini, o mosaicisti, (come avvenne a Montegufoni)
che si tramandano segreti di padre in figlio” [36]
[Purtroppo, per ragioni legate a diritti d'autore, questa nuova versione dell'articolo non include più immagini delle opere di Gino Severini.]
Fine della Parte Prima
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NOTE
[1] Severini, Gino - La vita
di un pittore, Con uno scritto di Maurizio Fagiolo dell’Arco, Abscondita, 2008,
334 pagine. Il volume raccoglie le due parti dell’autobiografia completate da
Severini. La prima è Tutta la Vita di un
Pittore (Garzanti, 1946), la seconda è Tempo
de «L’effort moderne» (Vallecchi, 1968). La prima pubblicazione comune
delle due parti è del 1983, ad opera di Feltrinelli.
[2] Come in molti altri casi
di pittori travolti dagli avvenimenti della storia (si pensi a Paul Klee, che
interrompe le sue memorie nel 1918, dopo aver partecipato ai movimenti spartachisti
ed al tentativo fallito d’insediare un regime sovietico a Monaco di Baviera, o
a Emil Nolde, che le insabbia e le riscrive dopo aver professato tesi anti-semite
e naziste negli anni Trenta) anche le memorie di Severini sono incomplete, e
sono probabilmente dettate dalla necessità di offrire al pubblico una rilettura
della vita in presenza di repentini mutamenti del corso della politica. Nel
1942, in piena guerra ed ancora sotto il fascismo, viene ripubblicata la
seconda edizione dei Ragionamenti sulle
arti figurative. Il fascismo cade nel 1943 .Tra il 1943 ed il 1946
l’artista scrive a Roma la prima parte della propria biografia, che si conclude
con il 1917. La pubblicazione nel 1946 gli permette dunque di offrire al
pubblico del primo dopoguerra una nuova lettura della propria biografia, seppur
incompleta. Vent’anni dopo Severini lavora ad un secondo passaggio, quello tra
il 1918 ed il 1924. L’ultimo episodio ricordato è l’incontro con Alexandre
Cingria, che segna l’avvio dell’esperienza religiosa cui è dedicato questo
post. Manca una lettura autobiografica degli anni svizzeri e soprattutto del
tema spinoso dell’adesione del pittore italiano all’estetica fascista a partire
dalla V Triennale del 1933.
[3] Severini, Gino – La vita
di un pittore (citato), pp. 211-212.
[4] Severini, Gino - Dal
cubismo al classicismo, a cura di Elena Pontiggia, Milano, Abscondita, 2001,
130 pagine. L’edizione originale in francese (disponibile su internet: https://archive.org/stream/ducubismeauclass00seve#page/n7/mode/2up) è: Severini, Gino - Du cubisme au classicisme :
esthétique du compas et du nombre, Paris, J. Povolozky & Cie, 1921, 123
pagine. L’ultima edizione francese è del 1931. La prima traduzione italiana è a
cura di Piero Pacini: Severini, Gino - Dal cubismo al classicismo e altri saggi
sulla divina proporzione e sul numero d'oro. A cura di Piero Pacini, Firenze,
Marchi e Bertolli, 1972, 258 pagine. Nel 1993 esce un'edizione in
spagnolo, a cura di Francisco Javier San Martín e Alfonso Carmona González.
Nel 2001 compare una traduzione in inglese (pubblicata insieme ad un secondo
saggio di Albert Gleizes): Gino Severini - From Cubism to Classicism/ Albert
Gleizes - Painting and its Laws, Translation, introduction and notes by Peter
Brooke, Francis Boutle Publishers, Londra, 2001, 218 pagine.
[5] Severini, Gino - Dal
cubismo al classicismo, (citato), p. 18.
[6] Calvesi, Maurizio – La
regola di Severini, in Gino Severini dal 1916 al 1936, a cura di Marisa
Vescovo, catalogo della mostra ad Alessandria, 24 aprile-14 giugno 1987, Il
Quadrante Edizioni, 1987, pp. 14-19.
[7] Si veda anche: Iamurri,
Laura - Note Sulla Polemica Tra Gino Severini e L’Esprit Nouveau, in: "L’Italia
di Le Corbusier 1907-1965" di Marida Talamona, Jean-Louis Cohen,
Stanislaus Moos, Barbara Cinelli, Laura Iamurri, Giorgio Ciucci, Romy Golan,
Letizia Tedeschi, Bruno Reichlin, Paolo Nicoloso Et Al.., Electa, Milano, pp.
232-239, 2012. Disponibile su Internet:
https://www.academia.edu/5498990/Note_sulla_polemica_tra_Gino_Severini_e_L_Esprit_Nouveau_
https://www.academia.edu/5498990/Note_sulla_polemica_tra_Gino_Severini_e_L_Esprit_Nouveau_
[8] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse: Briefe, Tagebücher, Betrachtungen heutiger Künstler, Berlin, Propyläen, 1923, pp. 359, con 32 tavole e 16 disegni nel testo.
[9] Sia il testo di Severini
sia quello di Gleizes, che si frequentavano regolarmente, sono pubblicati da Jacques
Povolozsky (editore e gallerista russo-polacco che opera a Parigi in quegli
anni).
[10] Léger, Fernand - L'esthétique de la machine: l'objet
fabriqué, l'artisan et l'artiste, in: "Sélection", anno terzo, n.4, febbraio
1924, pagine 374-382.
[11] Vescovo, Marisa – Gino
Severini: favola, teatro, e fede per una committenza, in: Gino Severini dal
1916 al 1936, a cura di Marisa Vescovo, catalogo della mostra ad Alessandria,
24 aprile-14 giugno 1987, Il Quadrante Edizioni, 1987, pp. 20-34.
[12] Si veda per esempio una
pagina del saggio del 1921 “Dal cubismo
al classicismo”: “Con questi «mezzi»
eterni, basati sulle eterne leggi del numero, ogni epoca ha potuto creare
il suo stile, e quando nel Rinascimento l’«individuo»
comincia a volersi isolare ed elevare rispetto alla massa, l’artista ha
potuto affermare la sua personalità e giungere all’originalità. Il che, detto
per inciso, è stato l’inizio della decadenza. Per questo avere la pretesa di
inventare mezzi nuovi e necessariamente empirici, con la scusa di cercare la
novità e l’originalità, è una pura follia, e voler fare a meno di ogni metodo basato sulla scienza è altrettanto assurdo
e inconcludente.” (Gino Severini, Dal cubismo al classicismo, (citato), p.
17). Il concetto è ripetuto
nell’introduzione ai Ragionamenti sulle
arti figurative del 1935, in cui egli contesta sostanzialmente la pittura
d’avanguardia di senso espressionista: “Queste
sono le ragioni per le quali la maggior parte della produzione media è basata
sul temperamento, che è inerente all’individuo, ed è quindi sul piano fisico,
come l’‘entusiasmo’ (che si prende spesso per ‘volontà’) e di cui non si è
‘responsabili’. Si accusano questi artisti di non corrispondere all’atmosfera
sociale del loro tempo, ma io penso che invece corrispondono generalmente anche
troppo a questo individualismo, a questo materialismo di cui siamo saturati, e
che sono le estreme conseguenze portate dal Rinascimento”. Si veda
Severini, Gino, Ragionamenti sulle arti figurative, Seconda edizione aumentata,
Editore Ulrico Hoepli, Milano, 1942, 299 pagine, Citazione alle pagine
XII-XIII.
[13] Severini, Gino -
Ragionamenti sulle arti figurative, Milano, Editore Ulrico Hoepli, 1936, pagine
270.
[14] Severini, Gino,
Ragionamenti, (…) citato, 1942, p. 221.
[15] Il 17 febbraio 1865
Mottez si lamenta, in una lettera programmatica sulla pittura a fresco, che
nessuna delle mesticherie di Parigi sia stata in condizione di procurargli i
colori adatti per un affresco che potesse resistere all’umidità di una parete
esterna. Si veda: Mottez, Victor - Lettre sur la peinture à fresque, in: Mémoires
de la Société des sciences, de l'agriculture et des arts de Lille, III Serie,
2° Volume, pp. 721-729, Lille, Impr. de L. Danel, 1866.
[16] Rosenthal, Léon - Les
fresques de Mottez a Saint-Germain-L'Auxerrois, in: Bulletin de la Société de
l'Histoire de l'Art Français, 1913, Paris, Édouard Champion, pp. 20-21. Si
veda: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/bshaf1913/0027?sid=a2976d0911c9bb6500a72b3818e091b4
[17] Herbert Robert L, Nature's workshop:
Renoir's writings on the decorative art, New Haven, Yale University Press,
2000, 278 pages.
[18] Aurier, Gabriel-Albert
- Le Symbolisme en Peinture: Paul Gauguin, in: Mercure de France, n. 15, marzo
1891, pagine 155-165.
[19] Denis, Maurice - Définition du
Néo-traditionnisme (1890) in: Denis, Maurice - Théories, 1890-1910; du
symbolisme et de Gauguin vers un nouvel ordre classique, Paris, L. Rouart et J.
Watelin, 1920.
[20] Keserű Katalin, Tumbász András - A váci
Karolina-kápolna és Körösfői-Kriesch Aladár, Arcus, 2013, 72 pagine.
[21] Denis, Maurice - Nouvelles théories sur
l'art moderne, sur l'art sacré, 1914-1921, Paris : L. Rouart et J. Watelin,
1922. Si veda:
https://archive.org/stream/nouvellesthori00deniuoft#page/288/mode/2up
https://archive.org/stream/nouvellesthori00deniuoft#page/288/mode/2up
[22] Previati, La tecnica
della pittura, Torino, Fratelli Bocca Editore, 1905. 305 pagine. Si veda:
https://archive.org/stream/latecnicadellap00prevgoog#page/n0/mode/2up. Il trattato fu soggetto a nuove pubblicazioni regolari fino al 1930 e, più recentemente, nel 1990. Si veda: Previati, Gaetano - La tecnica della pittura, Milano, SugarCo, 1990, 386 pagine.
https://archive.org/stream/latecnicadellap00prevgoog#page/n0/mode/2up. Il trattato fu soggetto a nuove pubblicazioni regolari fino al 1930 e, più recentemente, nel 1990. Si veda: Previati, Gaetano - La tecnica della pittura, Milano, SugarCo, 1990, 386 pagine.
[23] Cennini, Cennino - Il
libro dell'arte. Edizione riveduta e corretta sui codici. A cura di Renzo Simi,
Lanciano, R. Carabba, 1913, 144 pagine.
[24] Si vedano, in ordine
cronologico: Memorie dell’Antico
nell’arte del Novecento, a cura di Ornella Casazza e Riccardo Gennaioli,
catalogo della mostra a Palazzo Pitti, Firenze, 14 marzo-12 luglio 2009,
Firenze, Giunti, 288 pagine; Anni ’30.
Arti in Italia oltre il fascismo, a cura di Antonello Negri, catalogo della
mostra a Palazzo Strozzi, Firenze, 22 settembre 2012 – 27 gennaio 2013,
Firenze, Giunti, 253 pagine; La seduzione
dell’Antico. Da Picasso a Duchamp, da De Chirico a Pistoletto, a cura di
Claudio Spadoni, Catalogo della mostra alla Loggetta Lombardesca, Ravenna, 21
febbraio-26 giugno 2016, Firenze, Mandragora, 2016, 235 pagine.
[25] Venturi, Lionello, Il
gusto dei primitivi, Bologna, Nicola Zanichelli editore, 1926, 328 pagine.
[26] Longhi, Roberto - Piero
della Francesca, Roma, Valori Plastici, 1927, 193 pagine.
[27] Longhi, Roberto - Piero
della Francesca, traduzione di Jean Chuzeville, Parigi, G. Crès e C.,
1927, 207 pagine.
[28] Longhi, Roberto - Piero
della Francesca, traduzione di Leonard Penlock, Londra e New York, F. Warne
e Co, 1930, 176 pagine.
[29] Severini, Gino – La
vita di un pittore (citato), p. 260.
[30] Maritain, Jacques, Art et scolastique,
Paris, Librairie de l'art catholique, 1920, 188 pagine. Traduzione
italiana: Maritain, Jacques, Arte e scolastica, Traduzione di Piero Viotto,
Brescia, Morcelliana, 1980, 194 pagine.
[31] Si vedano due recenti articoli: Jones, Zoë Marie -'Spiritual crisis and the 'call to order': the early aesthetic writings of Gino Severini and Jacques Maritain', in: Word and Image, 2010, pages 59 — 67 e Grace, Justine - The Spirit of Collaboration: Gino Severini, Jacques Maritain, Anton Luigi Gajoni and the Roman Mosaicists, in: Text theory critique 22, 2011, pagine 89-112.
(http://artsonline.monash.edu.au/wp-content/arts-files/colloquy/colloquy_issue_twenty-two/grace.pdf)
[32] Benzi, Fabio – Gino
Severini. Le opera monumentali, in: Gino Severini. Affreschi, mosaici,
decorazioni monumentali, 1921-1941, Catalogo della mostra alla Galleria Arco
Farnese, Roma, 12 maggio – 30 maggio 1992, Leonardo-De Luca Editori, 1992, p.
119. Citazione a pagina 12.
[33] Il carteggio Gino
Severini – Jacques Maritain (1923 - 1966), A cura di Giulia Radin, Museo di
arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, vol. 14, 2011, 298 pagine.
[34] Correspondence Gino
Severini – Jacques Maritain (1923 - 1966), Édition établie, présentée et annotée par Giulia Radin, Museo di
arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, vol. 14, 2011, 304 pagine.
[35] Maritain Jacques, - Gino Severini, Paris,
Gallimard, 1930, 63 pagine.
[36] Vescovo, Marisa – Gino
Severini: favola… (citato), p. 30.
Ringrazio sentitamente di questo testo che riassume molto bene il periodo nel quale Severini recupera le tecniche ed i canoni dell'arte antica. Riassunto che ho utilizzato come ispirazione anche per alcune conferenze e lezioni a scuola.
RispondiEliminaGiovanni Bassoli
Grazie a lei!
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