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Hermann Uhde-Bernays
Lettere di artisti sull'arte [Künstlerbriefe über Kunst]
Confessioni di pittori, architetti e scultori degli ultimi cinque secoli
Con settanta autoritratti e firme d’artisti
Wolfgang Jess, Dresda, 1926, 968 pagine
Recensione di Francesco Mazzaferro
Parte Seconda
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Fig. 27) Carl Spitzweg, Compagnia di attori all’aperto (terza versione), 1878 |
L’introduzione all’antologia delle Lettere d’artista
Il
testo introduttivo di Uhde-Bernays è denso e ricco di spunti, ma non è
sicuramente semplice. Per cercare di comprenderlo a pieno mi sembra necessario
fare ricorso ad alcune categorie generali. Mi sembra utile ricordare che la letteratura artistica
spesso testimonia due esigenze diverse, che divengono chiarissime soprattutto
quando essa si esprime in forme antologiche come in una raccolta di lettere. In
primo luogo vi è la volontà di documentare il modo nel quale gli artisti hanno espresso le loro strategie di
comunicazione. In questo caso l’attenzione di Uhde-Bernays è tutta centrata
sulla lettera, come genere attraverso il quale gli uomini di cultura comunicano il loro pensiero creando un tessuto di rapporti tra grandi individualità, ed
anzi come caratteristica dell’uomo moderno (il curatore attribuisce
l’invenzione dell’epistolario come forma dialettica di comunicazione a
Francesco Petrarca e agli umanisti italiani da un lato e, dall’altro, nel caso degli epistolari artistici, al genere delle confessions
esthétiques del mondo francese
[47]). In secondo luogo vi è l’intenzione di scegliere i testi degli artisti
come forma di ricostruzione della
storia dell’arte, e da ultimo di legittimazione
storica del suo corso da parte dello studioso moderno, attraverso un’operazione
critica condotta a ritroso che affida all’analisi della parola degli artisti il
compito di ricercare nel lontano passato elementi comuni originari e
primigeni, che si sono poi sviluppati in forma dialettica ed hanno determinato
un inevitabile esito finale. La letteratura artistica è, in questo senso, un
tipico prodotto dello storicismo. È interessante notare che ogni regime e fase
storico-sociale moderna hanno prodotto le loro antologie di fonti di storia
dell’arte, a riprova che il presente ha sempre salde basi nel passato. Nel caso
delle Lettere d’artisti sull’arte,
l’intenzione ultima di Uhde-Bernays è quella di dimostrare il primato storico
dell’artista e della critica d’arte della seconda metà dell’Ottocento dopo un lungo processo secolare di maturazione sul ruolo dell’artista durato ben cinque
secoli. È solamente al termine di quel percorso che, da un lato, l’artista
assume piena consapevolezza della centralità della propria vita spirituale e,
dall’altro, si supera ogni schematismo accademico.
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Fig. 28) La seconda edizione delle Lettere di artisti sull’arte di Hermann Uhde-Bernays, pubblicata da Wolfgang Jess a Dresda nel 1956 |
Questo superamento avviene anche grazie all’incontro tra arte e letteratura, ovvero
esattamente tra le due discipline cui egli ha dedicato una vita: “Un entusiasmo traboccante, che aveva
scoperto l’esempio più alto in Goethe e nella sua opera connessa all’esistenza
dell’uomo, superò ogni dogmatica estetica e scoprì che il maestro dell’arte è
la guida migliore e più sicura in tutte le cose d’arte, e che il suo linguaggio
personale non è fatto di frasi sensazionali, ma trasmette le pulsioni interiori
più forti. Da allora tutti coloro che hanno anelato ad entrare nel vero
santuario dell’arte hanno ascoltato con attenzione le dichiarazioni scritte
degli artisti. Diversi pittori hanno fatto ricorso con successo alla penna e
scritto libri sull'arte. Il modo di esprimere la storia dell’arte negli ultimi
trent’anni è in molti aspetti dipendente dall’influsso del ravvicinamento
intimo tra scrittori ed artisti.” [48]
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Fig. 29) Philipp Otto Runge, Il riposo durante la fuga in Egitto, 1806 |
Vi
è ovviamente una convergenza tra lo studio della strategia di
comunicazione e ricerca di una legittimazione storica.
Quando
analizza le strategie di comunicazione degli artisti, Uhde-Bernays si concentra
deliberatamente sulle lettere di contenuto estetico e critico, escludendo
dunque ogni aspetto di natura biografica. Nella postfazione spiega che la sua
intenzione originaria era quella di aggiornare fino ai tempi moderni unaraccolta di lettere d’artisti pubblicata da Ernst Karl Guhl fra 1853 [49] e
1856 [50]. Tuttavia, quella raccolta era stata concepita secondo criteri
diversi, soprattutto per offrire al pubblico tedesco testimonianza di scritti
che allora non erano ancora tradotti (ed esistevano invece da qualche decennio
in lingua italiana), e per documentare fasi di sviluppo della storia dell’arte.
L’obiettivo di Guhl non era infatti quello di mostrare le tappe della crescita
spirituale del singolo artista come interprete delle proprie ragioni estetiche. Uhde-Bernays decide dunque di eliminare la quasi totalità (cinque sesti) delle
lettere della raccolta di Ernst Guhl e di sostituirle con altre. A tal fine si
mette alla ricerca di nuove fonti. La postfazione è dunque anche un utile
strumento per capire quali fossero le fonti di storia dell’arte disponibili nel
primo quarto del secolo scorso.
L’autore
fornisce letture ben differenti delle strategie di comunicazione degli artisti e
della loro capacità di utilizzare la lettera come strumento dialettico per la
comprensione dell’arte, a seconda delle epoche.
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Fig. 30) Peter Cornelius, Vergini virtuose e vergini stolte, 1813 |
Le
lettere del Rinascimento rivelano la presenza di grandi personalità
(Michelangelo, Dürer), ma non ancora la piena consapevolezza della personalità
dell’artista come creatore capace di spiegare al proprio interlocutore - in
forma generale, e non solamente episodica - le ragioni della propria attività
artistica. “Non un solo pittore del Rinascimento
si è mai occupato di un tale accattivante passatempo. Per questa notevole
differenza i grandi artisti fiorentini del Quattro e Cinquecento non sono pari
ai poeti e filosofi contemporanei; non sono altro che semplici artigiani e
null’altro vogliono essere” [51]. Dunque, egli afferma che l’esame della
maggior parte della corrispondenza giunta a noi (semplici ricevute o conferme di
commissioni) non consente di trarre nessuna conclusione. È interessante che
egli faccia quest’affermazione esclusivamente dall’esame delle lettere, come
strumento dialettico di networking
sociale, senza dunque far riferimento alcuno alla grande stagione dei trattati
rinascimentali, a conferma del fatto che Uhde-Bernays non nutre grande
entusiasmo per la discussione sistematica nel campo estetico.
Con
Poussin si apre una fase in cui gli artisti usano la lettera come forma di
dissertazione accademica, e dunque aderiscono a modelli che non ne rivelano la
personalità e neppure i meccanismi creativi. L’autore dedica un intero capitolo
alle lettere di quella fase, ma lo fa soprattutto per evidenziarne i limiti: “una nuova epoca si sarebbe inaugurata, che
si estenderà per oltre un secolo e renderà l’artista invidioso delle corone di
alloro del poeta e del filosofo e vorrà anzi cancellare la linea di confine tra
entrambi i campi ben distinti, la poesia e la pittura. Da un lato s’impose la
dottrina dell’‘ut pictura poesis’,
e dall’altro si manifestò l’esigenza
accademica che l’artista fosse anche in condizione di poter spiegare in un
trattato compilato ai fini dell’insegnamento quel che aveva creato come
pittore, scultore o architetto. Venne alla ribalta la questione
dell’apprendibilità dell’arte, indipendentemente dal talento. È un segno
evidente che si era ormai imposta una mediocrità ad uso e consumo delle neonate
Accademie.” [52]
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Fig. 31) Johann Sperl, Primavera a Kutterling, 1880 |
Una
prima forma di emancipazione si ha con gli scambi epistolari tra Diderot e lo
scultore francese Étienne Falconet, che si confronta da pari a pari con il
filosofo e critico d’arte francese. Attraverso Francia ed Inghilterra quel
germe giunge anche in Germania, dove alla fine del diciottesimo secolo lo Sturm und Drang consente all’artista
romantico di liberarsi dagli schematismi accademici, anche se le lettere
documentano capacità dialettiche ancora molto diverse (Uhde-Bernays cita i casi
di Maler Müller e Peter Cornelius, Asmus Carstensen e Philipp Otto Runge come
prova della loro diversa impostazione). La transizione vera e propria è segnata
dal passaggio da Schlegel ad Heine. “E
dunque nel corso di un solo secolo si è materializzata una valutazione opposta
del giudizio critico della scienza ed un ribaltamento dell’opinione generale.
Ancora Friedrich Schlegel, al quale non si può fare certo rimprovero di avere
idee reazionarie, aveva chiesto una ‘normativa’ estetica. Così fondamentalmente
egli aveva frainteso la frase di Winckelmann sull’imitazione, da intendere
invece come emulazione, dell’antico. È stato Heinrich Heine, nell’introduzione
alla sua ampia discussione del Salon del 1831, ad aver espresso un’opinione
contraria allo Schlegel: “Il maggior errore consiste nel fatto che il critico
ponga la domanda: Che cosa deve fare l’artista? Molto più importante sarebbe la
domanda: che cosa vuole l’artista?” E quel critico innovatore continua in modo
non meno chiaro: “Ogni nuovo genio dell’arte deve essere giudicato sulla base
dell’estetica che egli stesso ha prodotto.” Il giorno in cui queste parole sono
state messe per iscritto, è cambiato radicalmente nella giusta direzione, dalla
sera alla mattina, il corso dell’estetica.” [53]
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Fig. 32) Max Liebermann, Sansone e Dalila, 1902 |
È
solamente la generazione seguente (quella di Feuerbach e Marées in Germania,
Delacroix e Fromentin in Francia) ad acquisire la piena proprietà di linguaggio
e la capacità di sintesi che rendono le loro lettere documenti necessari alla
comprensione dell’opera d’arte. “Già alla
metà del secolo scorso, quell’estetica si era conquistata una posizione
vincente. Questi maestri erano partiti dalla creazione, e dunque dal loro
proprio lavoro, che era sorto come manifestazione del loro inconsapevole
impulso creatore, ed avevano trovato parole chiare e naturali per spiegarsi
nella riflessione sulle questioni artistiche. Per tutte queste ragioni le loro
lettere ci sembrano ancor più importanti dei testi critici che illustrano la
loro arte” [54]. È l’epoca in cui gli artisti hanno capacità di
elaborazione autonoma nel pensiero estetico (lo scultore Adolf von Hildebrandt,
con il suo saggio Il problema della forma,
diviene addirittura il protagonista dell’evoluzione della teoria del bello in
Germania) e persino nel campo della politica culturale dunque si ricorre a loro
(nel mondo tedesco Thoma, Trübner, Hodler, Segantini, Liebermann; in quello
inglese Whistler) per poter orientare il dibattito sull’arte. “Non vi è dubbio che in tal modo si sia dato
all’artista un potere che prima non aveva. […] Si giustifica così che
contributi e proteste degli artisti siano ormai sicuramente destinati ad
attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e che, quando si discutono
importanti questioni d’arte, si corra a raccogliere il punto di vista di
artisti importanti. È il caso di Courbet, quando scrisse ai soldati tedeschi, e
di Monet, con il suo appello affinché l’Olympia di Manet fosse accolta al
Louvre” [55].
Nel
momento in cui Uhde-Bernays cerca di ricostruire attraverso la sua raccolta di
lettere un sistema organico per interpretare la creazione artistica, l’elemento
unificante più forte che egli identifica è quello del valore assoluto della
medesima creazione artistica come atto individuale: “è il credo estasiante e assoluto nella grandezza del fatto artistico”
[56]. Egli ammette che esistono alcuni elementi originari comuni alla creazione
artistica: “Nel quadro della storia dello
sviluppo dell’arte, l’origine della grandezza del fatto artistico è pervasa da
inauditi desideri e spinte passionali, ma può essere sempre collegata allo
stesso o al simile. (…) Guardando in
lontananza, scrutiamo i più forti frangenti passati della storia dello spirito
ed i loro legami presenti con noi. Lo facciamo per poter percepire la loro
regolarità” [57]. Tali elementi consentono di stabilire linee di continuità
e permettono ad esempio allo storico dell’arte contemporaneo di attribuire a
Velázquez ed a Rembrandt la paternità di alcuni aspetti fondamentali della
sensibilità illuminista: e tuttavia lo sforzo di teorici come Gustav Theodor
Fechner di elaborare una teoria della psicologia sperimentale come forma
unificante del pensiero estetico è, a suo parere, destinato a fallire [58].
Oltre
allo schematismo, un altro rischio mette in pericolo la riscoperta dello
spirito: è l’eccesso di soggettività: “È bello accettare che una soggettività
definita dalla specificità dell’esperienza, e partecipe ai migliori, possa
condurre allo sviluppo dell’individualità umana nel quadro della misura che è
naturalmente data alle persone, in una saggia autolimitazione, e non al di là,
come purtroppo quasi sempre viene bramato dai folli” [59].
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Fig. 34) Hans Thoma, Apollo e Marsia, 1888 |
Il culto dello spirito ed il rifiuto di criteri
interpretativi uniformi
Ogni
lettera, secondo Uhde-Bernays, esprime la personalità del suo
autore, ma è al tempo stesso una manifestazione di volontà individuale di natura etica.
Sono elementi che rendono impossibile ricondurre la singola lettera a criteri
generali: nell’introduzione si chiede dunque al lettore (che pure potrà verificare
en passant l’esistenza di elementi
tra loro comuni) di separare quel che è individuale da quel che è universale. “E, grazie alla concordante esemplarità
ideale di questo credo, le confessioni estetiche si tramutano in cognizioni
etiche, la cui rivelazione permette, a sua volta, di liberare ciò che separa da
quel che unisce, di scoprire le discontinuità in ciò che è già concluso, e di
separare i singoli, chiamandoli fuori da lunghi cortei” [60]. “I contrasti del talento, del carattere e
specialmente dei giudizi sottomessi a stati d’animo soggettivi, emotivi ed
altalenanti, non meno che le differenze di ‘clima’ hanno fin da principio reso
impossibile il tentativo di raggiungere una sintesi che comprendesse la
ricchezza di tutti i punti di vista sull’arte. Eppure siamo partiti dal loro
principio fondamentale, l’ingenua fede nella grandezza del fatto artistico. Già
dalle prime pagine che seguiranno diverrà immediatamente evidente che è inutile
prendere questo principio a base di un sistema estetico. Ed infatti tra
Dürer, Michelangelo e Rubens si frappongono abissi insormontabili per ogni
desiderio di tipo speculativo, che cerchi un’unificazione al di là della sua
verità primitiva ed al tempo stesso infinita. Meravigliosa la fausta
benedizione di tale ostinazione d’artista, che i tre grandi maestri rivelano
nelle loro lettere!” [61]
Le
lettere consentono dunque di imparare a “saper vedere” perché consentono di
documentare le caratteristiche personali dell’interazione tra processo creativo
e contenuto della creazione artistica.
“Le lettere
– anche quando si esprimono sul generale, sull’eterno – portano alla luce in
modo chiaro e puro le preferenze intime delle individualità artistiche, facendo
uso di questo speciale genere letterario. L’essenza di questi pittori,
architetti, scultori e grafici si deve dunque presentare a noi così come se le
lettere rispecchiassero le loro opere. L‘impenetrabile effetto reciproco tra la
silenziosa presenza di tali opere e la parola scritta riesce a fornirci la più alta
rappresentazione della grandezza e della ricchezza, della libertà e dell’esito
delle diverse personalità.” [62]
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Fig. 36) Wilhelm Trübner, Un moro che fuma, 1873 |
INTRODUZIONE ALLE 'LETTERE D'ARTISTI SULL'ARTE'
Con questa raccolta si è portato a termine lo
sforzo di raccogliere ed ordinare lettere di artisti nel corso di un mezzo
millennio di massima tensione spirituale, a condizione che esse abbiano un
prevalente interesse estetico invece che biografico. Sono lettere che, al di là
dalla testimonianza storica, fanno diretto riferimento al rapporto che i
singoli maestri ebbero nei confronti della creazione artistica propria o
altrui; lettere che – anche quando si esprimono sul generale, sull’eterno – portano
alla luce in modo chiaro e puro le preferenze intime delle individualità
artistiche, facendo uso di questo speciale genere letterario. L’essenza di
questi pittori, architetti, scultori e grafici si deve dunque presentare a noi
così come se le lettere rispecchiassero le loro opere. L‘impenetrabile effetto
reciproco tra la silenziosa presenza di tali opere e la parola scritta riesce a
fornirci la più alta rappresentazione della grandezza e della ricchezza, della
libertà e dell’esito delle diverse personalità. Di là dalla felicità e dal
dolore terreno, lontano dal trambusto della battaglia il cui urlo è ormai
ammutolito, noi percorriamo una via che ci conduce su vette maestose. Ormai
giunti alla meta, ne contempliamo il percorso unitario, allo stesso tempo
sconcertati e commossi. Ed infatti, nonostante la differenza dei convincimenti,
nonostante il dissenso delle ambizioni (che comunque coincidono sempre con indirizzo
ed energia del talento che loro appartengono), è proprio un sentimento comune e
profondo, un sentimento inesplorabile come la definizione del genio, ad unire
gli artisti di cui incontreremo in seguito i frutti: è il credo estasiante e
assoluto nella grandezza del fatto artistico. E, grazie alla concordante
esemplarità ideale di questo credo, le confessioni estetiche si tramutano in
cognizioni etiche, la cui rivelazione permette, a sua volta, di liberare ciò
che separa da quel che unisce, di scoprire le discontinuità in ciò che è già
concluso, e di distinguere i singoli, chiamandoli fuori da lunghi cortei. Si può
dimostrare in tal modo e senza difficoltà che la giustificazione –
straordinariamente singolare, ed espressa con pieno sentimento – della forza vitale capace di generare arte
si presenta sempre come la sommatoria di innumerevoli giudizi soggettivi di
valore. Ed infatti, nel quadro della storia dello sviluppo dell’arte, l’origine
della grandezza del fatto artistico è pervasa da inauditi desideri e spinte
passionali, ma può essere sempre collegata allo stesso o al simile. Ma
l’osservazione dell’unità nella molteplicità, della molteplicità nell’unità
delle dichiarazioni epistolari degli artisti figurativi ci conduce in una
posizione di pura contemplazione. Gli artisti si trovano sempre un passo di là
da tale origine comune. Guardando in lontananza, scrutiamo i più forti
frangenti passati della storia dello spirito ed i loro legami presenti con noi.
Lo facciamo per poter percepire la loro regolarità.
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Fig. 37) Johann Sperl, Il ritorno dalla chiesa a Berbling, senza indicazione di data |
Viviamo oggi in un periodo di convincimento e
formazione spirituale che – sia esso un segno di forza o di debolezza – nella
propria impostazione critica preferisce effettivamente, e vuol far valere quasi
esclusivamente, i giudizi di valore individuali. Ed infatti il successo
letterario sembra essere divenuto del tutto dipendente dalla capacità, accentuata
fino al paradosso, di portare in scena anche lo cose più semplici sotto
un’altra luce. Un’epoca come la nostra, dove le forze della demagogia rigettano
anche le più alte prestazioni potenziali delle individualità, deve pur cercare
un elemento corrispondente che le possa sostituire. Si trascura che un giudizio
soggettivo è permesso solamente al maestro che si è guadagnato tale diritto
grazie alla sicurezza oggettiva del carattere, dunque grazie ai fatti. La base
formativa su cui si è potuta educare una nuova generazione si è posta una
generazione fa, quando una riconoscenza splendidamente riverente sosteneva
ancora i templi della cultura tedesca, che oggi giacciono in rovina; allora la
silenziosa operosità degli studiosi dell’epoca dei nostri padri si trasferì in
modo riflessi su altri percorsi e fu solita utilizzare abitualmente
l’intelletto per formarsi un’opinione. Allora ad una gioventù piena di speranza
(che finalmente aveva guadagnato accesso alla natura stessa, alla visione della
vitalità e che dall’arte impressionista aveva formato un suo modo di pensare
impressionista, e che piena di giubilo aveva deriso tutte le negazioni di
Schopenhauer o di Nietzsche) si rivelò l’idea della grandezza del fatto
artistico in modo più chiaro di quanto sia mai stato il caso successivamente,
nonostante tutti gli altisonanti discorsi contrari. Un entusiasmo traboccante,
che scoprì l’esempio più alto in Goethe e nella sua opera connessa
all’esistenza dell’uomo, superò ogni dogmatica estetica e scoprì che il maestro
dell’arte è la guida migliore e più sicura in tutte le cose d’arte, e che il suo
linguaggio personale non è fatto di frasi sensazionali, ma trasmette le
pulsioni interiori più forti. Da allora tutti coloro che hanno anelato ad
entrare nel vero santuario dell’arte hanno ascoltato con attenzione le
dichiarazioni scritte degli artisti.
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Fig. 38) Adolph von Menzel, Parete dello studio, 1872 |
Diversi pittori hanno fatto ricorso con successo
alla penna e scritto libri sull'arte. Il modo di esprimere la storia dell’arte
negli ultimi trent’anni è in molti aspetti dipendente dall’influsso del riavvicinamento
intimo tra scrittori ed artisti. Resta incerto se allora anche l’attenzione ai
giudizi soggettivi abbia forse causato l’atteggiamento imprudente di perdersi
nella presunzione dell’eccessiva soggettività. I maestri dell’arte furono
considerati immediatamente come dominatori e solamente a loro era permesso quel
che piaceva, senza che i loro sostenitori fossero marchiati dall’accusa del
culto dell’autorità, dietro il quale si cela l’ignoranza. È bello accettare che
una soggettività definita dalla specificità dell’esperienza, e partecipe ai
migliori, possa condurre allo sviluppo dell’individualità umana nel quadro della
misura che è naturalmente data alle persone, in una saggia autolimitazione, e
non al di là, come purtroppo quasi sempre viene bramato dai folli.
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Fig. 39) Carl Spitzweg, Linz sul Danubio, 1838 |
Il diritto ad un giudizio soggettivo che meriti di
essere ascoltato, gli artisti lo hanno osato rivendicare molto tardi. Perciò da
loro abbiamo ricevuto comunicazioni significative solamente centocinquanta o
duecento anni dopo che il primo “uomo moderno”, il poeta Francesco Petrarca,
aveva iniziato nelle sue lettere a riportare in forma di monologo ai suoi amici
– in cosciente corrispondenza con la vita e gli avvenimenti del giorno – quel
che di gioioso e di doloroso accadeva nel mondo e gli forniva l’ispirazione
poetica. Lo faceva non per piacere loro, ma al fine della liberazione della
propria anima (“quidquid loquor
non tui instructio, sed levamen animae meae est”). A lui si unirono numerosi umanisti italiani che svilupparono la dizione
artistica di uno stile epistolare proprio, in cui si annunciavano
vicendevolmente, in modo arguto, le vicende delle loro pratiche terrene,
frammiste a giochi ed intrattenimenti letterari. Erano gli antenati delle confessions esthétiques d’uso presso tutti i maggiori
scrittori fino al diciannovesimo secolo. Non un solo pittore del Rinascimento
si è mai occupato di un tale accattivante passatempo. In questa notevole
differenza i grandi artisti fiorentini del Quattro e Cinquecento non sono pari
ai poeti e filosofi loro contemporanei; non sono altro che semplici artigiani e
null’altro vogliono essere. Tanto più evidenti si mostrano, nei pochi testi
scritti che di loro ci sono pervenuti, gli sfoghi occasionali del loro orgoglio
d’artista ed i segnali della partecipazione umana, dell’umore dell’anima, che
nelle lettere piene di temperamento di Michelangelo si elevano in maniera molto
più tragica che nelle molte fredde rubriche degli umanisti. La superiorità
della forma convenzionale ci si presenta per la prima volta solo nella
corrispondenza di Giorgio Vasari.
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Fig. 40) Wilhelm Leibl, Ragazza con fazzoletto bianco, 1876 circa |
Questa sobrietà dell’espressione è il motivo per
il quale non è giunta a noi alcuna
dichiarazione scritta di molti maestri dai quali vorremmo udire con attenzione particolare un chiarimento preciso sulla loro opera, ma soltanto alcune ricevute insignificanti o conferme
di commissioni, certamente di grande valore come documenti ed autografi, ma
senza pregio alcuno per poter penetrare nel loro intimo. Ci manca purtroppo un
vero dialogo, che soddisfi l’animo, così come noi vorremmo condurre con i
maestri dell’altare di Colmar o degli affreschi del municipio di Basilea, con
Mathias Grünewald e Hans Holbein. È uno sforzo inutile cercare di conoscere
dalle lettere quel che Vermeer van Delft e i maestri minori olandesi, e
addirittura Velazquez, Murillo, Goya abbiano pensato sulla prassi e sulla
teoria delle belle arti, che cosa Chardin e Fragonard abbiano forse provato
nella visita dei Salons o di che cosa si siano occupati architetti del rango di
Cuvilliès e Fischer von Erlach nei loro viaggi di studio. Fedeli al
comandamento “produci, artista, non parlare”, fino all’inizio dell’epoca
moderna molti dei migliori maestri dell’arte hanno ostinatamente taciuto. E
persino ai giorni nostri – quando per altre ragioni lo scrivere lettere va solo
in casi del tutto eccezionali oltre i limiti più stretti della comunicazione
d’affari – il miglioramento dei
collegamenti, grazie all’ampliamento dei trasporti, non è riuscito a superare la
resistenza che alcuni irriducibili “non-scrittori di lettere” (Erzunbriefschreiber) oppongono allo scambio scritto. Nell'epoca nostra del telefono e
della macchina da scrivere, che comunque hanno preparato la fine dell’arte
della corrispondenza, è in ogni caso comprensibile che all’artista che non sente in sé un impulso particolare a rilasciare proclami artistici sub specie
aeternitatis in forma di lettera, sia
passata la voglia di utilizzare il tempo libero per raccontare
confidenzialmente agli amici il contenuto ed il progresso dell’opera di una
vita. Se si trovano però tali lettere, esse sono espressioni occasionali di grandissimo fascino e del massimo valore da un punto di vista umano, artistico e
letterario. Sono allora quegli esempi di lettere di cui parla una volta Alfred
de Vigny nel suo diario: “Ogni bella lettera è un quadro, è un ritratto sia del
mittente sia del destinatario. Ed infatti in modo del tutto inconsapevole faremo
sempre dipendere il nostro stile dal carattere del destinatario e anche da quel
che egli attende da noi."
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Fig. 41) Anselm Feuerbach, Dante e le nobildonne a Ravenna, 1858 |
Nei “quadri”, secondo la definizione di Vigny,
dovremmo ricercare lo spirito tipico e proprio che caratterizza il temperamento
ed il talento dell’artista. Da lungo tempo un’estetica d’indirizzo psicologico
si è proposta di confrontare su questo punto le nozioni teoriche sopravvissute
dall’antichità con le reali costanti interne della creazione artistica, di
raffrontare il personale all’assoluto. Pur partendo dal presente e dalle sue
esigenze, nel suo metodo tale estetica è sempre più risalita alle origini ed ha
dunque percorso quella stessa via a ritroso intrapresa dai primi sostenitori
del movimento impressionista, quando osarono lodare venti anni fa Velázquez e
Rembrandt come predecessori di quest'arte (nonostante il biasimo che
ricevettero da storici dell’arte ormai superati). Mentre tuttavia gli studiosi
d’arte, indirizzati in una direzione precisa da un punto di partenza preciso,
raggiungevano la loro meta senza fatica, i filosofi – confusi dalla varietà
della materia – non sono riusciti a raccapezzarsi, e neppure alle tesi di [Gustav Theodor] Fechner (tesi più concepite spiritualmente che acquisite in modo
sistematico) è riuscito ridurre ad una formula soddisfacente l’infinità dei
problemi dell’esperienza artistica. I contrasti del talento, del carattere e
specialmente dei giudizi sottomessi a stati d’animo soggettivi, emotivi ed
altalenanti, non meno che le differenze di ‘clima’ hanno fin da principio reso
impossibile il tentativo di raggiungere una sintesi che comprendesse la
ricchezza di tutti i punti di vista sull’arte. Eppure siamo partiti dal loro
principio fondamentale, l’ingenua fede nella grandezza del fatto artistico. Già
dalle prime pagine che seguiranno diverrà immediatamente evidente che è inutile
prendere questo principio alla base di un sistema estetico. Ed infatti tra
Dürer, Michelangelo e Rubens si frappongono abissi insormontabili per ogni
desiderio di tipo speculativo che cerchi un’unificazione al di là della sua
verità primitiva ed al tempo stesso infinita. Meravigliosa la fausta
benedizione di tale ostinazione d’artista, che i tre grandi maestri rivelano
nelle loro lettere!
E tuttavia, subito dopo il loro tempo, una nuova
epoca si sarebbe inaugurata, che si estenderà per oltre un secolo e renderà l’artista
invidioso delle corone di alloro del poeta e del filosofo e vorrà anzi cancellare
la linea di confine tra entrambi i campi ben distinti, la poesia e la pittura. Da
un lato s’impose la dottrina dell’ ‘ut pictura poesis’, e dall’altro si
manifestò l’esigenza accademica che l’artista fosse anche in condizione di
poter delineare in un trattato compilato ai fini dell’insegnamento quel che aveva
creato come pittore, scultore o architetto. Venne alla ribalta la questione
dell’apprendibilità dell’arte, indipendentemente dal talento. È un segno
evidente che si era ormai imposta una mediocrità ad uso e consumo delle neonate
Accademie. Persino l’efficace percezione dell’arte di Nicolas Poussin diveniva
a volta pura forma ripetitiva, e solamente in rari casi eccezionali il suo
interesse umano ebbe il sopravvento sulle istruzioni d’uso pedagogico che egli
propose. Ancora più a lungo che in Francia, dove lo scultore Falconet osò
sfidare, come brillante esteta, un Diderot, questa forma di comunicazione
impersonale si è conservata in Germania ed in Svizzera. Una forma di didattica
impersonale si impose addirittura nel genere della pittura di paesaggio, genere
artistico tra tutti più lontano da ogni teoria. E in reazione ai biasimi ed
ammonimenti dei poeti e pittori romantici, spesso pur avvolti nei veli di una
mistica sognante, ci si decise solo dopo aver superato molti pregiudizi ed
errori ben radicati ad acquisire la padronanza della dialettica del
diciottesimo secolo, che continuerà nel classicismo. La divergenza dei punti di
vista si mostrerà nel modo più evidente nel confronto tra le lettere scritte da
Maler Müller e Peter Cornelius, Asmus Carstensen e Philipp Otto Runge. Ma man
mano, sia pur lentamente, e provenendo da Gran Bretagna e Francia, si compì la
liberazione dello spirito dell’artista dai vincoli delle prescrizioni estetiche
che davano chiaramente la priorità agli eruditi sugli artisti. Allora le
orgogliose guide dell’arte del diciannovesimo secolo si presentarono come eroi
di una nuova estetica, basata sull’effetto decisivo della personalità artistica.
Già alla metà del secolo scorso, quell’estetica si era conquistata una
posizione vincente. Questi maestri erano partiti dalla creazione, e dunque dal
loro proprio lavoro, che era sorto come manifestazione del loro inconsapevole
impulso creatore, ed avevano trovato parole chiare e naturali per spiegarsi
nella riflessione sulle questioni artistiche. Per tutte queste ragioni le loro
lettere ci sembrano ancor più importanti dei testi critici che illustrano la loro
arte. Il talento straordinario a riprodurre il contenuto delle loro opinioni
sull’arte in un’analisi chiara, così come è stato dato in dote a Feuerbach e
Marées, a Stauffer e Hildebrand, attribuisce a tutto quel che noi possediamo di
loro in forma scritta un rango di valore altissimo nel campo dell’educazione al
saper vedere l’opera d’arte. A questi tedeschi corrisponde un gruppo scelto di
pittori francesi, con a capo Delacroix e Fromentin, che ebbero possibilità di
vivere un’atmosfera d’educazione nella Parigi del Secondo Impero, come mai si
era fatto prima, e di fruire dunque pienamente dei due fattori fondamentali di
una nobile cultura: buon gusto e conoscenza. Proprio per queste ragioni, come
una volta ha scritto Delacroix, essi potevano dire di usare la penna ancor più
facilmente di pennello e tavolozza. Essi hanno svolto un compito enorme per la
comprensione dell’arte. Entrambi i potenti fulcri di diffusione della vita
artistica, Roma e Parigi, fanno da sfondo in una concretezza inaudita agli istinti
artistici di molti pittori, che si esprimono chiaramente nei loro desideri,
piani, speranze, e addirittura dubbi. Ogni confronto sarebbe arbitrario. Solo
una cosa io posso dire sulla base della mia esperienza: nelle lettere di
Delacroix (come in seguito in quelle di Vincent van Gogh) s’incarna nel modo
più chiaro la fiamma indivisibile di un entusiasmo che riflette un’eccitazione
spirituale della massima sensibilità. Col passare degli anni la sua forza,
libera da ogni limitazione letteraria che ne raffreddasse il calore, si è ancor
più rafforzata, come se vivesse di energia propria. Solamente il fanatismo
profetico di van Gogh è stato capace di oltrepassare l’esigenza di esternazione
di Delacroix, in cui pure si manifestano sacrificio e pudore.
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Fig. 42) Hans Thoma, Il girotondo, 1884 |
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Fig. 43) Giovanni Segantini, La punizione delle lussuriose, 1891 |
E dunque nel corso di un solo secolo si è
materializzata una valutazione opposta del giudizio critico della scienza ed un
ribaltamento dell’opinione generale. Ancora Friedrich Schlegel, al quale non si
può fare certo rimprovero di avere idee reazionarie, aveva chiesto una
‘normativa’ estetica. Così fondamentalmente egli aveva frainteso la frase di
Winckelmann sull’imitazione, da intendere invece come emulazione, dell’antico.
È stato Heinrich Heine, nell’introduzione alla sua ampia discussione del Salon del
1831, ad aver espresso un’opinione contraria allo Schlegel: “Il maggior errore
consiste nel fatto che il critico ponga la domanda: Che cosa deve fare
l’artista? Molto più importante sarebbe la domanda: che cosa vuole l’artista?”
E quel critico innovatore continua in modo non meno chiaro: “Ogni nuovo genio
dell’arte deve essere giudicato sulla base dell’estetica che egli stesso ha
prodotto.” Il giorno in cui queste parole sono state messe per iscritto, è
cambiato radicalmente nella giusta direzione, dalla sera alla mattina, il corso
dell’estetica. La libertà della creazione artistica non sopporta alcuna
obiezione che possa basarsi su considerazioni scientifiche e non al tempo
stesso sull’esperienza di vita. Anche questo segno caratterizza la maggioranza
delle lettere d’artista qui di seguito. Ed al lettore attento diverranno
inoltre evidenti altri paralleli e motivi convergenti dell’attività e
dell’impostazione degli artisti, in particolare nei vari resoconti con cui i
diversi maestri descrivono il loro arrivo a Roma, o nelle memorie scritte per
l’insegnamento nelle accademie. Le differenze tra le nazioni divengono chiare
nelle lettere che Dannecker scrisse a Schiller e David d’Angers a Goethe. Ancor
più forte e più emozionante di questi modesti suggerimenti, contenuti nelle
‘Lettere d’artisti sull’arte’ e mostrati en passant, rimarrà il pensiero sempre più saldo nella nostra coscienza di quanto
noi si debba alla parola degli artisti per la comprensione del legame organico
tra processo e contenuto della creazione artistica, e di quanto poco noi
potremmo vedere se tale parola non ci avesse aperto gli occhi, interpretando ed
insegnando in modo benevolo.
POSTFAZIONE ALLE 'LETTERE DI ARTISTI SULL'ARTE' (pagine 933-934)
Può essere
interessante per qualche lettore poter ricevere qualche informazione più
accurata sulla “preparazione” (come si soleva dire nell’ ‘ars poetica’ del
diciassettesimo secolo) di questo libro. Partendo dal desiderio di preparare
una nuova edizione delle Lettere d’artisti di [Ernst]
Guhl, si è manifestato il desiderio di ridurne e di ampliarne al tempo stesso
le dimensioni, prima lavorando all’estensione delle lettere fino ad oggi, e poi
selezionando i documenti degli artisti non secondo la loro importanza storica e
biografica, ma sulla base del loro contenuto estetico-artistico.
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Fig. 45) Frontespizio del primo volume delle Lettere d’artisti di Ernst Guhl, 1853 |
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Fig. 46) La seconda edizione della raccolta di Lettere d’artisti di Guhl, rivista ed ampliata da Adolf Rosenberg nel 1879 |
Questo obiettivo ha
definito in primo e – con pochissime eccezioni – esclusivo luogo l’inclusione
delle lettere d’artista nella presente raccolta. Ovviamente, a causa di questo
desiderio, crebbero il compito e l’entusiasmo del curatore, che deve
riconoscere con gratitudine che la felice conclusione di quest’impresa è stata
possibile grazie all’ampio ed amichevole sostegno di numerose biblioteche,
compagni di studio e collezionisti.
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Fig. 47) Inventaire des autographes et des documents historiques composant la collection de M. Benjamin Fillon, 1878 |
Cinque sesti delle lettere pubblicate da Guhl sono dunque uscite dal primo capitolo. Per la parte successiva, che comprende la fine del diciassettesimo e l’intero diciottesimo secolo, non esisteva alcun lavoro precedente cui ispirarsi. Qui ho potuto rintracciare il materiale soprattutto grazie ai grandi cataloghi di collezioni autografe francesi (come gli inventari di Fillon e Bovet) e poi grazie all’esemplare completezza delle pubblicazioni archivistiche francesi alla Biblioteca di Stato di Monaco; per la Germania ho esaminato minuziosamente i cataloghi di autografi, e poi lavorato sistematicamente sul Grundriss zur deutschen Literaturgeschichte di Goedeke, il Lessico degli artisti di Thieme-Becker e numerose monografie.
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Fig. 48) La collezione di Lettere d’artisti del diciottesimo secolo, edite dall’editore Cassirer di Berlino nel 1913 |
Per il diciannovesimo secolo mi
hanno offerto una solida base le ‘Lettere d’artista’ collezionate in bella
forma dall’editore Bruno Cassirer. La mia eccellente biblioteca, che raccoglie
quasi tutte le monografie disponibili su artisti del diciannovesimo secolo, ha
originato una quantità addirittura eccessiva di lettere, costringendomi a dover
fare una selezione di quanto era presente. L’editore ha riservato fin
dall’inizio del suo lavoro particolare attenzione ad ogni elemento che potesse
completare la collezione. Il desiderio di trarre materiale sconosciuto o
difficile da reperire presso collezioni dimenticate si è fatto esaudire
solamente nelle ultime sezioni del libro. È certo che in archivi e biblioteche
all’estero giacciano dimenticati tesori che potrebbero arricchire
fondamentalmente le nostre conoscenze. Anche i ricercatori più seri devono però
ammettere che – soprattutto per gli artisti italiani del Rinascimento – gli
sforzi della ricerca non hanno dato i frutti sperati.
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Fig. 49) Un compendio delle Lettere d’artisti del Rinascimento di Guhl, curato da Wilhelm Miessner nel 1913 |
Indicazioni preziosissime mi sono
giunte da due volumi: Hermann Popps, L’estetica dei pittori (Strasburgo
1902) e Arréat, Psychologie du peintre
(Parigi, 1893). Soprattutto nel secondo libro ho cercato le fonti degli
interventi degli artisti francesi contemporanei. Il vero compito dell’editore è
stato però quello di avviare la ricerca del materiale secondo un canone che
prescindesse dalla presenza o dall’assenza della documentazione. In una
corrispondenza ininterrotta di circa mezzo anno ho cercato di seguire il nodo
attorcigliato e nascosto della letteratura artistica, senza purtroppo essere
sempre in grado di raggiungere gli aspetti rilevanti. E tuttavia, su alcune
centinaia di richieste, due sole sono rimaste senza risposta, ed una sola
richiesta è stata rigettata. Ed al contrario, in una intera serie di casi,
colleghi che debbo qui ringraziare in modo particolare hanno rinunciato alla
propria pubblicazione di lettere che era già pronta o hanno autorizzato che io
potessi pubblicarle in anticipo.
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Fig. 50) Un’edizione negli anni della Guerra: Lettere europee d’artisti: Confessioni sullo spirito, del 1941 |
Ancora una volta si deve qui ricordare che l’assenza di lettere di alcuni artisti di primissimo piano si spiega con il fatto che appunto non hanno scritto lettere sull’arte. Solamente dopo aver verificato con insistenza con conoscitori ed amici intimi degli artisti abbiamo dovuto rinunciare. La redazione finale è avvenuta sulla base del principio, giustificato da un punto di vista scientifico e del tutto indicato sulla base della dimensione prevista per il volume, che in primo luogo i migliori scrittori di lettere fossero presi in considerazione con più lettere e che, dopo di loro, tutti i contemporanei altrimenti importanti fossero rappresentati da una o due lettere, a seconda del loro significato. Si è così ottenuto che il numero di 350 lettere non fosse superato e che si potesse comunque formare nell’animo del lettore un’immagine completa dello sviluppo letterario-estetico delle mutazioni delle opinioni degli artisti dall’epoca del Rinascimento fino ai giorni nostri.
NOTE
[47] Uhde-Bernays Hermann, Künstlerbriefe über
Kunst. Bekenntnisse von Malern, Architekten und Bildhauern aus fünf
Jahrhunderten, Mit sechzig Selbstbildnissen und den Künstler-Unterschriften, Verlag von Wolfgang Jess, Dresden, 1926, 967. Citazione alle pagine 10-11.
[48] Uhde-Bernays
Hermann, Künstlerbriefe über Kunst ... (citato), p. 9.
[49] Guhl,
Ernst - Künstler - Briefe. Übersetzt und erläutert, Berlino, Trautwein, 1853. Il testo completo è disponibile all’indirizzo https://archive.org/details/kunstlerbriefe01guhl
[50] Guhl,
Ernst - Künstler-Briefe. Band 2, Kunst und Künstler des siebzehnten Jahrhunderts,
Berlino, Guttentag, 1856. Il testo
completo è disponibile all’indirizzo
https://archive.org/details/kunstlerbriefe02guhl
https://archive.org/details/kunstlerbriefe02guhl
[51] Uhde-Bernays Hermann, Künstlerbriefe über
Kunst ... (citato), p. 11.
[52] Uhde-Bernays Hermann, Künstlerbriefe über
Kunst ... (citato), p. 15.
[53] Uhde-Bernays Hermann, Künstlerbriefe über
Kunst ... (citato), p. 19.
[54] Uhde-Bernays Hermann, Künstlerbriefe über
Kunst ... (citato), p. 16.
[55] Uhde-Bernays Hermann, Künstlerbriefe über
Kunst ... (citato), p.18.
[56] Uhde-Bernays Hermann, Künstlerbriefe über
Kunst ... (citato), p. 7.
[57] Uhde-Bernays Hermann, Künstlerbriefe über
Kunst ... (citato), p. 8.
[58] Uhde-Bernays Hermann, Künstlerbriefe über
Kunst ... (citato), p. 14.
[59] Uhde-Bernays Hermann, Künstlerbriefe über
Kunst ... (citato), p. 10.
[60] Uhde-Bernays Hermann, Künstlerbriefe über
Kunst ... (citato), pp.7-8.
[61] Uhde-Bernays Hermann, Künstlerbriefe über
Kunst ... (citato), p. 15.
[62] Uhde-Bernays Hermann, Künstlerbriefe über
Kunst ... (citato), p.7.
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