Pagine

venerdì 11 marzo 2016

Paul Westheim, Confessioni di artisti. Lettere, diari ed osservazioni di artisti contemporanei (1925). Parte Seconda


English Version

Paul Westheim,
Confessioni di artisti.
Lettere, diari ed osservazioni di artisti contemporanei.


Edizione dei Propilei, Berlino, 1925, 359 pagine

Recensione di Francesco Mazzaferro
Parte Seconda


[Versione originale: marzo 2016 - nuova versione: aprile 2019]


Fig. 2) La pubblicità delle Confessioni di artista di Paul Westheim.
(Fonte: Andreas Zeising, From the artist confession to the artist interview)
Torna alla Parte Prima


La selezione degli artisti

A novant’anni di distanza dalla pubblicazione delle Confessioni, ciò che colpisce il lettore è la volontà di Westheim di fornire un’antologia i cui orizzonti vadano molto al di là della Germania, in termini di stili, discipline e origine geografica degli artisti. “A partire da Marées in Germania e Cézanne in Francia scrive l’autore nella prefazione – il presente volume contiene esternazioni letterarie d’artisti delle ultime due generazioni, di pittori, scultori, architetti e, come rappresentante della nuova forma d’arte, di Charlie Chaplin. Sono rappresentate tutte le ‘direzioni’: i tedesco-romani, gli impressionisti, i neo-impressionisti, i cubisti, i futuristi, gli espressionisti, i veristi, i puristi, i suprematisti e i costruttivisti. Sono egualmente rappresentati artisti di quasi tutti i Paesi: abbiamo raccolto contributi dalla Germania, la Francia, la Russia, l’Italia, l’Austria, la Cecoslovacchia, la Svizzera, l’Olanda, il Belgio, la Lettonia e l’America. Se, grazie a questa composizione, fossimo riusciti a cogliere una documentazione dei tempi, un contributo alle loro caratteristiche artistiche, avremmo raggiunto le nostre intenzioni.” [41]

Vengono pubblicate testimonianze scritte non solo di artisti figurativi, ma anche di architetti (il secessionista viennese Joseph Maria Olbrich, i razionalisti tedeschi Hans Poelzig, Bruno Taut e Otto Bartning, l’americano Franz Lloyd Wright). Si trovano contributi di caricaturisti (Rudolf Wilke e Walter Trier, illustratori delle riviste tra loro rivali Jugend e Simplicissimus), e come si è già detto si trova spazio (anche se una sola pagina) per Charlie Chaplin, come rappresentante della nuova arte, il cinema.

Un aspetto sorprendente (quando si passa a prendere in considerazione le nazionalità degli autori) è l’asimmetria riscontrabile in termini di notorietà odierna fra artisti stranieri, soprattutto francesi (ed europei in generale), e tedeschi.

Per illustrare quest’asimmetria, è sufficiente elencare gli artisti al di fuori del mondo tedesco, nell’ordine in cui compaiono nelle Confessioni: Sisley, Rodin, Ensor, Cézanne, Gauguin, Redon, van Gogh, Signac, Rousseau il Doganiere, Matisse, Picasso, Braque, Gris, Derain, de Vlaminck, Laurecin, Chagall, Marinetti, Kogan, de Chirico, Čapek, Léger, Gleizes, Zāle, Puni, Ozenfant e Jeanneret (ovvero Le Corbusier), Malevič, Altman e Lissitzky. È evidente che nel 1925 Westheim aveva già un’idea consolidata del pantheon dell’arte moderna, ed in particolare del suo nucleo storico francese. Mancano, è vero, artisti statunitensi, a dimostrare che la visione dell’autore è ancora molto eurocentrica. Sono invece ben rappresentate le più recenti avanguardie dell’Europa centrale ed orientale (Josef Čapek, Kārlis Zāle) e russe (oltre a Malevič, anche Ivan Puni, Natan Altman ed Eliezer Lissitzky; ad esse si deve aggiungere Kandinsky, che pur scrivendo in tedesco, era anagraficamente un russo). Anche oggi, comunque, questa lista potrebbe (sia pur con qualche aggiustamento) essere il nucleo centrale di un’antologia di fonti di storia dell’arte moderna in Europa.

Anche tra gli autori di lingua tedesca vi sono nomi che oggi garantirebbero il successo di una antologia sulla letteratura artistica tedesca del periodo ‘moderno classico’: il già citato von Marées, Hans Thoma, Max Liebermann, Lovis Corinth, Ferdinand Hodler (svizzero tedesco, anche se i testi citati sono in francese), Wassily Kandinsky (russo, come si è appena detto, ma i suoi testi sono in tedesco), August Macke, Paula Modersohn, Ernst Ludwig Kirchner, Emil Nolde, Max Pechstein, Oskar Kokoschka e Alfred Kubin (entrambi austriaci), Georg Grosz e Conrad Felixmüller.

Eppure, diversi testi tedeschi appartengono ad artisti che oggi sono sostanzialmente sconosciuti al grande pubblico, potendo al massimo ambire a una notorietà locale legata alle città o alle regioni di origine. La loro inclusione nell’antologia è motivo di grande interesse, proprio perché rivela un’immagine dell’arte moderna della Germania che non corrisponde più a quella attuale.

Ecco i nomi di questi artisti oggi considerati di ‘seconda linea’, con alcuni sommari dati biografici: Curt Hermann (1854-1929) pittore neo-impressionista e membro fondatore della secessione di Berlino; Paul Adolf Seehaus (1891-1919), pittore espressionista renano; William Morgner (1891-1917), pittore espressionista della Vestfalia; Ludwig Meidner (1884-1966), pittore espressionista attivo a Berlino; il russo-tedesco Robert Genin (1884-1941), pittore ed illustratore, attivo a Berlino; Friedrich Ahlers-Hestermann (1883-1973), pittore espressionista attivo ad Amburgo; Rudolf Levy (1875-1944), pittore espressionista renano; Rudolf Großmann (1882-1941), pittore ed illustratore membro della secessione di Berlino; Ernesto de Fiori (1884-1945) di origini italiane, scultore e membro della Nuova Oggettività; Otto Pankok (1893-1966), disegnatore ispirato alla Nuova Oggettività; e Rudolf Belling (1886-1972), scultore attivo nei gruppi artistici rivoluzionari a Berlino nel 1919.

Come si è già detto nella Parte Prima, questi nomi testimoniano una battaglia che Westheim ha condotto in quegli anni, ma che, in definitiva, ha perso: quella di indirizzare l’arte tedesca verso una forma più attenuata, meno radicale, forse più francese, di arte moderna, orientata al naturalismo, che confluisse con quelle forme più classiche che oggi vengono collocate nell’ambito della Nuova Oggettività, ma che allora erano spesso chiamate ‘verismo’ e ‘purismo’, oggi termini caduti in disuso in pittura moderna.


Alcune assenze importanti

L’antologia di Westheim raccoglie gli scritti delle due generazioni che precedono il 1925. Ci si deve chiedere perché gli scritti di alcuni degli artisti che oggi vengono considerati come di riferimento nel periodo 1885-1925 non vi compaiano. L’assenza del saggio Malerei und Zeichnung (Pittura e disegno), che Max Klinger pubblica nel 1891, e del suo manuale Das Erlernen der Malerei (Apprendere la pittura) del 1908, si può spiegare facilmente con il vero e proprio ostracismo operato in Germania nei confronti del pittore, scultore ed incisore secessionista (che pur era stato considerato, almeno per alcuni decenni, il maggiore artista della storia tedesca di sempre). Subito dopo la sua scomparsa nel 1920, lo storico dell’arte Meier-Graefe aveva espresso giudizi durissimi nei confronti di Klinger. Westheim è parte attiva del ripudio dell’artista: non ne sopporta l’incrocio tra simbolismo e forte riferimento ai classici greci e latini; non è quello il classicismo cui egli aspira. 

Del resto, a parte quella di Berlino, Westheim non nutre grande simpatia per le secessioni. L’antologia non presenta riferimenti alle poesie ed agli aforismi degli artisti della secessione viennese (Klimt, Schiele), anche se vi sono alcune lettere di Kokoschka sull’amore feticista per Alma Mahler (Westheim aveva dedicato una monografia all’artista austriaco nel 1918) e dell’architetto Josef Maria Albrichs (che disegnò il palazzo della Secessione di Vienna). Mancano anche documenti che testimonino la secessione di Monaco.

Tra i maggiori artisti tedeschi dei decenni successivi mancano i testi di Max Beckmann, Otto Dix, Max Ernst, Karl Hofer, Paul Klee, Käthe Kollwitz e Franz Marc. In alcuni casi, le assenze sono clamorose: non viene incluso nell’antologia, ad esempio, Der Almanach „Der Blaue Reiter“ (l’Almanacco del cavaliere azzurro) di Kandinsky e Franz Marc del 1912. In altri casi la mancanza di testi oggi considerati fondamentali è inevitabile, poiché essi compariranno solamente negli anni ‘40 e ‘50: ad esempio, Tagebuchblätter und Briefe (Diari e lettere) di Käthe Kollwitz nel 1948, Erinnerungen eines Malers (Memorie di un pittore) di Karl Hofer nel 1953, ed i Tagebücher (Diari) di Klee nel 1957. Anche gli imponenti diari di Nolde (autore pur presente, grazie ai testi biografici dal tono molto intimo, redatti dall’amico Hans Fehr) compaiono solamente tra il 1931 ed il 1967. Le Briefe (Lettere) di Dix vengono pubblicate addirittura nel 2013.

Ma alcune assenze non possono essere spiegate col fatto che i testi relativi non sono ancora stati pubblicati: di Beckmann erano già state edite, ad esempio, le Briefe im Kriege (Lettere dalla guerra) addirittura nel 1916, col conflitto ancora in corso, e molti saggi d’estetica. In realtà, quell’assenza è dovuta ad un’insopprimibile antipatia: in un articolo intitolato “Beckmann: il vero espressionismo”, Westheim lo paragona ad Holbein (un altro ‘artista maledetto’, a suo parere) per tratteggiare il ritratto di un uomo indemoniato, fanatico, egocentrico, nevrotico. Il termine ‘espressionismo’ è in genere definito da Westheim come una categoria abusata, o per usare le sue parole, un cliché “ambiguo, usato da troppi in direzioni tra loro divergenti” [42]. Il titolo dell’articolo ha anche un sottile intento polemico: Westheim era accusato da Walden – cfr. Parte Prima - di essere uno ‘pseudo-espressionista’, e dunque l’espressione ‘vero-espressionista’ non può essere usata in modo del tutto innocente. Anche Lutz Windhöfel dedica diverse pagine di un suo saggio alle difficoltà nei rapporti personali ed estetici tra Westheim e Beckmann [43].

Continuiamo con le assenze: nell’antologia mancano importanti saggi di Klee, come la Schöpferische Konfession, ovvero la Confessione creatrice del 1920, che aveva già avuto un impatto enorme sull’arte e l’estetica tedesca, conducendo l’espressionismo verso l’astrazione in senso mistico. Qui la spiegazione è più complessa. Abbiamo già visto, in altri post in questo blog, che negli anni monacensi l’ancora sconosciuto Paul Klee muta più volte il proprio stile avvicinandosi progressivamente all’espressionismo: è Walden (che lo include in mostre collettive a Berlino e di cui è grande amico) ad incoraggiarlo in quella direzione. Dalla corrispondenza di Klee si capisce che nel 1917, quando viene fondato il Kunstblatt, Klee non è del tutto convinto dal progetto editoriale di Westheim [44]. Fra 1920 e 1921, quando raggiunge il successo e compaiono le prime monografie a lui dedicate, Klee è molto abile nel controllare l’immagine che dà di sé attraverso i critici d’arte: utilizza i suoi diari (ancora inediti) per fornire materiali a critici a lui amici (von Wedderkop, Leopold Zahn e Wilhelm Hausenstein). In questo contesto, Klee decide di non legarsi né a Walden né a Westheim e di firmare un contratto generale di procura con il monacense Hans Goltz, che gli organizza la prima retrospettiva nel 1920; l’anno dopo ottiene l’insegnamento alla Bauhaus ed in tal modo ottiene l’indipendenza commerciale. E tuttavia, Lutz Windelhöfel spiega nel suo saggio [45] che Westheim proprio non riesce ad accettare l’idea che Klee non lo abbia scelto e la linea editoriale della rivista che dirige lo fa intendere assai bene: ancora nel luglio 1919 esce un numero speciale del Kunstblatt dedicato all’artista, ma nel 1920 la retrospettiva organizzata da Goltz viene completamente ignorata: nessuna recensione, nessuna immagine. Di Klee si tornerà a parlare nel Kunstblatt solamente nel 1929. Ancora una volta la Repubblica di Weimar ci appare come una società litigiosa ed ingovernabile in cui critici e artisti si alleano o si combattono in un’autentica guerra fra bande.

La lista delle assenze si conclude infine con gli scritti di tutti gli artisti Dada (a partire da Arp e Ernst), nessuno dei quali è incluso. Del resto, Westheim aveva un gusto classicheggiante, concepiva l’arte come organizzazione della natura da parte dell’artista, e non poteva non essere fortemente scettico nei confronti di un movimento così iconoclastico.


Scelte orientate

Va peraltro detto che anche quando alcuni artisti compaiono nell’antologia le scelte operate da Westheim sembrano decisamente orientate a supportare il modello artistico che vuole presentare al lettore. È assai significativo, a mio parere, che di Kandinsky non compaiano passaggi tratti dal saggio fondamentale Über das Geistige in der Kunst (Lo spirituale nell’arte) del 1912 – senz’altro il più importante manifesto dell’astrazione nel mondo tedesco – o da uno qualsiasi dei suoi numerosi testi d’estetica di quegli anni. Vengono invece pubblicate due paginette, sia pur molto belle, che il pittore scrive appositamente per le Confessioni, nel 1923: sembrano voler confermare l’idea che sta alla base dell’estetica di Westheim, e cioè che l’arte sia un momento d’incontro tra aspetti materiali e spirituali. Di Kirchner si nota l’assenza del Manifesto di Die Brücke (Il Ponte) del 1906; compare invece una sola pagina, con quattro aforismi non datati, completati dall’illustrazione di una pittura ad olio (Der Mann, L’uomo) del 1914, quando Il Ponte si era già sciolto.

È invece sorprendente scoprire che uno degli autori cui si dedica maggior spazio sia Wilhelm Morgner, non tanto perché l’espressionista della Vestfalia sia oggi di fatto dimenticato al di fuori della cittadina di Soest, dove visse fino a quando fu arruolato nella Prima Guerra Mondiale, cadendo sul fronte, ma soprattutto perché Morgner (affiliato alla rivista Sturm e al gruppo di Walden) era stato oggetto di stroncature pesantissime da parte di Westheim. A guerra terminata, la vedova e l’amico Georg Tappert si erano addirittura rivolti al critico con parole di rimprovero, rinfacciandogli il dolore che le sue parole avevano provocato alla madre del pittore, dopo che il figlio era venuto così tragicamente a mancare [46]. Ciò nonostante, ‘Pro e contro. Scritti critici sull’arte contemporanea’ , pubblicato da Westheim nel 1923 conteneva ancora giudizi durissimi sul defunto; da evidenze interne, appare a dire il vero chiaro che le pagine riguardanti Morgner erano state scritte nei mesi direttamente precedenti alla sua scomparsa in guerra [47]. Forse la decisione di pubblicare nell’antologia del 1925 ben venti pagine di lettere inviate da Morgner dal fronte all’amico Tappert (corredate da alcuni bei disegni) è una sorta di risarcimento morale. Potrebbe trattarsi di un ripensamento, se non sull’opera artistica almeno sulla personalità di Morgner, che ci racconta in alcune belle pagine i sogni e gli incubi di una vita in trincea.

Insomma, è chiaro che le Confessioni sono un’occasione per il critico di far conoscere in modo sistematico il proprio pensiero sull’arte tedesca dei suoi tempi, facendo pagare con l’esclusione chi non la pensa come lui, dando molto risalto ad artisti che (con il senno di poi) non sono passati alla storia e cogliendo l’occasione per ripensare alcuni suoi giudizi del passato, forse troppo drastici. In ogni caso, se il percorso dell’arte tedesca si fosse arrestato al momento della pubblicazione delle Confessioni e se l’interpretazione di Westheim si fosse affermata come nuovo canone interpretativo, il senso dell’arte tedesca del primo quarto del ventesimo secolo non sarebbe stato necessariamente quello che oggi è universalmente conosciuto.


L'artista filosofo

Usando una suddivisione in tipi secondo la categoria weberiana, possiamo identificarne diversi all’interno delle Confessioni: l’artista filosofo, l’artista fanciullo, l’artista maledetto, l’artista turbato e quello pragmatico.

L’antologia non può che aprirsi con le Lettere (Briefe) di Hans von Marées (1837-1887), pittore romantico molto influenzato dall’idealismo che si trasferì a Roma negli anni ‘70 e lì morì cinquantenne a causa della malaria che aveva contratto negli acquitrini della campagna romana. L’epistolario, pubblicato postumo nel 1920 (e dunque disponibile solamente qualche anno prima)  contiene soprattutto lettere allo scultore e teorico dell’arte Adolf von Hildebrand e al critico d’arte Konrad Fiedler: sono entrambi due pietre miliari dell’estetica tardo-ottocentesca tedesca, ed in particolare della cosiddetta teoria della forma. Dunque, quell’epistolario rappresenta per il lettore di Weimar consapevole dei grandi orientamenti dell’estetica tedesca il punto ideale per iniziare il percorso di lettura.

Il 22 gennaio 1882, il pittore scrive a Fiedler di aver riflettuto sulla natura di arte e filosofia e su quel che le distingue: “Per essere precisi, l’aspirazione intera dell’artista non origina, come nel filosofo, nella ricerca della verità per il bene della verità e tende invece a poter soddisfare i propri istinti naturali.” [48] Fiedler, nella sua risposta, deve essere sorpreso ed il pittore subito corregge il tiro, appena una settimana dopo, sia pur difendendo l’indipendenza dell’artista: “Già dall’inizio del mio scritto odierno debbo notare che nella mia ultima lettera mi sono espresso in modo del tutto sbagliato, e questo succederà certamente ancora. Avrei dovuto lasciar da parte la parola verità. (…) E tuttavia, per comprendere l’essenza dell’arte, credo sia assolutamente necessario comprendere soprattutto l’artista, giacché senza di lui non vi è arte alcuna. (…) Un artista nato è colui al quale la natura ha messo un ideale nell’anima, e quest’ideale rappresenta in lui il ruolo della verità; in tale ideale egli crede; l’obiettivo della sua vita è divenuto quello di portare l’ideale allo stato della coscienza più pura, in modo che si possa mostrare agli altri.” [49]. Quell’ideale non si può descrivere a parole: l’artista lo può solamente rivelare con i propri strumenti, nel caso di von Marées attraverso la pittura.

È un pittore della Secessione berlinese, Curt Herrmann (1854-1929), ad affrontare successivamente il tema della differenza tra arte e filosofia. Hermann, accademico a Berlino, e presidente della cosiddetta “Libera Secessione” (Freie Sezession), ovvero dell'ala più conservatrice dei secessionisti berlinesi dopo le varie scissioni degli anni ‘10, tiene nel marzo 1920 una conferenza sulla “Scienza dell’artista” (Die Wissenschaft des Künstlers). Il testo è pubblicato per la prima volta nelle Confessioni. “La componente primaria nell’arte è sempre il sentimento, l’impulso a creare simboli per rappresentare i fenomeni di questo mondo, comprendere come essi si specchino nello spirito umano, e da loro saper far emergere creazioni nuove. La fantasia è la madre dell’arte, mentre la capacità manuale è la sua base. La ‘scienza dell’artista’ è però una somma illimitata di conoscenze delle più differenti discipline umanistiche, che aiutano chi ha una predisposizione all’arte a penetrare ancor più profondamente nel processo creativo della natura e negli aspetti etici ed estetici di questo mondo. Chi è in grado di coltivare queste scienze è filosofo e come tale può essere artista o erudito. Nell’erudito questa scienza si condensa in una severa e pura scienza umana; nell’artista diventa un sapere che lo rende capace di creare.” [50] Westheim ci propone dunque Marées ed Herrmann come  prototipi di artisti-filosofi, ancora profondamente influenzati dalla cultura idealista ottocentesca.

Ad essi si aggiunge Vassilij Kandinsky (1866-1944) che compila per Westheim un brevissimo scritto datato aprile 1923, intitolato “Ieri, oggi, domani”. È un testo teorico, che intende affermare la continuità di fondo dell’arte, identificando movimenti opposti che sono destinati a convergere: analisi e sintesi, materialismo e spiritualismo, metodo intuitivo e metodo dottrinario, prassi e teoria. La prassi genera l’arte monumentale, la teoria fornisce la base della scienza dell’arte. “Tutte queste direzioni che sembrano una escludere l’altra si fondono in queste due ultime finalità [nota del traduttore: prassi e teoria], che a loro volta si fondono in un obiettivo. Così le parole usate in passato “oppure … o” vengono oggi sostituite dalla parola di domani “e”.” [51] È l’obiettivo di una grande sintesi tra l’artista che dipinge e l’artista che pensa; al tempo stesso è una reiterazione dei concetti di base della dialettica estetica idealista.

Ma forse il più intellettuale degli artisti nelle Confessioni è, ancora in quegli anni, Conrad Felixmüller (1897-1977), uno dei padri della Nuova Oggettività. Il suo scritto “Sull’Arte” (Über Kunst) del 1924 la definisce come “una questione storica, dal momento che è l’espressione della società umana; il momento estetico è qui di importanza secondaria. Ancor più in questi momenti di crisi economica, di crisi spirituale. Necessità e miseria rendono reali pensieri e sentimenti, e la loro interpretazione è oggettiva, breve ed accentuata. Idee provenienti dall’economia, politica, religione e dalle scienze tecniche influiscono continuamente sul carattere della nostra arte, le danno il marchio dello scioglimento oppure del rinnovamento, della rivoluzione oppure dell’infatuazione romantica. (…) L’uomo è posto consapevolmente al centro dell’arte: al suo interno l’uomo non può più essere un’apparizione che non deve dar alcun conto di sé e non è segnata da limiti, ma la sua presenza deve essere contraddistinta dall’assunzione di una completa responsabilità sociale.” [52]

Se in Felixmüller vi sono elementi che ancora richiamano l’estetica romantica tedesca (come il ricorrente concetto della pittura come atto di volontà, ovvero Kunstwollen), con lui diviene evidente il tempo che è trascorso dal carteggio Marées-Fiedler, nel corso di sole due generazioni: “L’arte diviene azione indirizzata ad un fine, e quanto più lo diviene, tanto più perde l’elemento esoterico di stili lontani dal tempo e dal mondo e di visioni soggettive delle cose, per cimentarsi allo stesso tempo sempre più con la nostra vita quotidiana.” [53]



L'artista fanciullo

Alla tesi idealista e romantica di un artista capace di cogliere la verità delle cose nel profondo del proprio animo corrisponde l’idea che il suo spirito originario si sia formato negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. L’infanzia non è dunque solamente ricordo, ma anche momento formativo originario dello spirito dell’artista. Si spiegano in tal modo i numerosi passaggi che Westheim include sui ricordi d’infanzia degli artisti, con pagine liriche dell’impressionista tedesco Lovis Corinth (1858-1925), del simbolista francese Odilon Redon (1840-1916), e dei bielorussi Marc Chagall (1887-1985) e Robert Genin (1884 –1941). 

Coglie il punto centrale Maurice de Vlaminck (1856-1958) nel 1921: “Io guardo con molta diffidenza al pensiero razionale. Il mio sforzo è quello di ritrovarmi nelle profondità dell’inconscio e nelle pulsioni che là si nascondono. (…) Continuo a guardare le cose ancor oggi con gli occhi di un bambino. Nonostante sia oggi un uomo di 45 anni, i miei pensieri estetici più elevati si basano sulle stesse ragioni di quelli della mia infanzia: una strada nel bosco, la strada di campagna (…), una riva sul fiume, una casa che si rispecchia nell’acqua, il profilo di una nave, una casa sul ciglio della strada, un cielo con nuvole nere, un cielo con nuvole rosa.” [54] Il pittore fauve francese ricorda la visita ad una mostra di van Gogh, quando era adolescente: “Il mio animo era stravolto, e provai la necessità di piangere di gioia e disperazione. Quel giorno amai van Gogh più di quanto amassi mio padre.” [55]


L'artista maledetto

Le Confessioni contengono alcune pagine personali di Paul Gauguin (1848-1903), Vincent Van Gogh (1853-1890), Henri Rousseau (1844-1910) e Marie Laurencin (1883-1956), tutte centrate sulle difficoltà (e l’impossibilità) dell’artista nel farsi comprendere.

Le lettere di Gauguin al pittore e collezionista Georges-Daniel de Monfreid (1856-1929), pubblicate in Francia nel 1918 ed in Germania nel 1920, raccontano delle difficoltà quotidiane: “Sono stato davvero molto malato. Pensi, ho dovuto fare trasfusioni, un quarto di litro per giorno – insopportabile. Cerotti di mostarda lungo le gambe, ventose sul petto, non mancava proprio nulla. Il medico all’ospedale era abbastanza preoccupato e pensava io fossi ormai spacciato. (…) Adesso vivo come un selvaggio, il mio corpo è nudo se non nelle parti intime.” [56] Sono pagine in cui il lettore si confronta con la disperazione di un uomo solo, privo di sostentamento, ed in pericolo costante di vita.

Van Gogh scrive al fratello Theo di essere preoccupato perché non vuole far sapere al padre di vivere in povertà. Del resto “dal mio punto di vista io sono spesso molto ricco, non in denaro ma (anche non se non tutti i giorni) ricco perché ho trovato il mio lavoro, ovvero ho qualcosa al quale posso dedicare anima e corpo e che dà entusiasmo e significato alla mia vita.” [57] Rousseau scrive invece il 1 luglio 1909 a Guillaume Apollinaire chiedendogli soldi in prestito per pagare vestiti e scarpe, spiegando di non essere riuscito a guadagnare nulla nell’ultimo anno [58].  Di Marie Laurencin si riporta la poesia “Il calmante” per la rivista Dada del 1917: “Più che annoiata / Triste / Più che triste / Infelice / Più che infelice / Sofferente / Più che sofferente / Abbandonata / Più che abbandonata / Sola al mondo / Più che sola al mondo / Esiliata / Più che esiliata /Morta / Più che morta / Dimenticata.” [59]



L'artista e le sue turbe

Le pagine di Alfred Kubin (1877-1959) si aprono con l’affermazione: “La vita è un sogno” [60]. E subito dopo: “Che il creatore del sogno e la sua creazione, il sogno stesso, siano in qualche modo in un rapporto d’identità è evidente soprattutto nel momento in cui si sogna.”  [61] Siamo nella Vienna patria della psicologia moderna, e l’artista spiega: “Molti dei miei disegni cercano di fissare i miei sogni. Quando mi sveglio rimangono spesso solo tracce di essi nella mia memoria; queste macerie e frammenti sono tutto ciò a cui ci si può tenere. Consideriamo il sogno come se fosse un quadro; così come il sogno è composto, l’ho voluto consapevolmente disegnare come artista e ne ho ricavato una soddisfazione maggiore, solo quando mi sono deciso a combinare i frammenti appena riemersi in modo tale che formassero un tutto” [62].


L'artista pragmatico

Se quello di Westheim – come si è spiegato nella prima parte di questa nota – è un tentativo di ricostruire i rapporti tra spiritualità tedesca e razionalismo francese, cercando una sintesi prima di tutto filosofica tra le due correnti principali del continente, egli riconosce che vi sono altre tradizioni che non si possono ignorare. È del tutto in linea con il pragmatismo britannico la lettera di Alfred Sisley (1839-1899) ad Adolphe Tavernier, critico d’arte ed amico del pittore, datata 24 gennaio 1892 [63]. In essa l’impressionista si riferisce a Turner per giustificare l’opposizione a qualsiasi teoria, e preferisce scrivere quello che lui definisce un brevissimo corso pratico di paesaggismo. 

Vent’anni dopo lo stesso spirito riaffiora con gli scritti d’architettura di Franz Lloyd Wright (1867-1959), in uno scritto tratto dal suo saggio “Studies and executed buildings” del 1910. È un inno all’applicazione in architettura dello spirito democratico [64], e una forte difesa del rifiuto di applicare modelli del passato (quelli europei neo-rinascimentali) che – riducendo la vivibilità delle abitazioni dei cittadini – segnino in ultima istanza una mancanza di rispetto per i loro veri interessi e la loro libertà. [65]

Fine della Parte Seconda
Vai alla Parte Terza 


NOTE

[41] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse: Briefe, Tagebücher, Betrachtungen heutiger Künstler, Berlino, Propyläen, 1923, pp. 359. Citazione alle pagine 9-10.

[42] Westheim, Paul – Für und Wider – Kritische Anmerkungen zur Kunst der Gegenwart … citato, pagine 98-104.

[43] Windhöfel, Lutz – Paul Westheim und Das Kunstblatt, citato, pp. 314-318

[44] Windhöfel, Lutz – Paul Westheim und Das Kunstblatt, citato, p. 102

[45] Windhöfel, Lutz – Paul Westheim und Das Kunstblatt, citato, pp. 239-241

[46] Windhöfel, Lutz – Paul Westheim und Das Kunstblatt, citato, p.85

[47] Westheim, Paul – Kritische Anmerkungen zur Kunst der Gegenwart (Pro e contro – Saggi critici dell’arte contemporanea), Potsdam, Kiepenhauer Verlag, p. 194. L’articolo è pubblicato alle pagine 91-97. 

[48] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 13.

[49] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, pp. 13-14.

[50] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 115.

[51] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 165.

[52] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 313.

[53] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 313.

[54] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 155.

[55] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 157.

[56] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 60.

[57] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 91.

[58] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 134.

[59] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 158.

[60] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 258

[61] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 258

[62] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 258

[63] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 30. Nelle Confessioni, data e destinatario della lettera non sono nominate. Il testo francese della lettera è disponibile su http://silartetaitconte.hautetfort.com/confidences-de-peintres-1/

[64] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 207.

[65] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 208.



Nessun commento:

Posta un commento