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Paul Westheim,
Confessioni di artisti.
Lettere, diari ed osservazioni di artisti contemporanei.
Edizione dei Propilei, Berlino, 1925, 359 pagine
Recensione di Francesco Mazzaferro
Parte Seconda
[Versione originale: marzo 2016 - nuova versione: aprile 2019]
Fig. 2) La pubblicità delle Confessioni di artista di Paul Westheim.
(Fonte: Andreas Zeising, From the artist confession to the artist interview)
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La selezione degli artisti
A novant’anni di distanza
dalla pubblicazione delle Confessioni, ciò che colpisce il lettore è la volontà
di Westheim di fornire un’antologia i cui orizzonti vadano molto al di là della
Germania, in termini di stili, discipline e origine geografica degli artisti. “A partire da Marées in Germania e Cézanne in
Francia – scrive l’autore nella
prefazione – il presente volume contiene
esternazioni letterarie d’artisti delle ultime due generazioni, di pittori, scultori, architetti e, come rappresentante
della nuova forma d’arte, di Charlie Chaplin. Sono rappresentate tutte le
‘direzioni’: i tedesco-romani, gli impressionisti, i neo-impressionisti, i
cubisti, i futuristi, gli espressionisti, i veristi, i puristi, i suprematisti
e i costruttivisti. Sono egualmente rappresentati artisti di quasi tutti i
Paesi: abbiamo raccolto contributi dalla Germania, la Francia, la Russia, l’Italia,
l’Austria, la Cecoslovacchia, la Svizzera, l’Olanda, il Belgio, la Lettonia e
l’America. Se, grazie a questa composizione, fossimo riusciti a cogliere una
documentazione dei tempi, un contributo alle loro caratteristiche artistiche,
avremmo raggiunto le nostre intenzioni.” [41]
Vengono pubblicate
testimonianze scritte non solo di artisti figurativi, ma anche di architetti
(il secessionista viennese Joseph Maria Olbrich, i razionalisti tedeschi Hans
Poelzig, Bruno Taut e Otto Bartning, l’americano Franz Lloyd Wright). Si
trovano contributi di caricaturisti (Rudolf Wilke e Walter Trier, illustratori
delle riviste tra loro rivali Jugend
e Simplicissimus), e come si è già detto si trova spazio (anche se una sola pagina)
per Charlie Chaplin, come rappresentante della nuova arte, il cinema.
Un aspetto sorprendente
(quando si passa a prendere in considerazione le nazionalità degli autori) è
l’asimmetria riscontrabile in termini di notorietà odierna fra artisti
stranieri, soprattutto francesi (ed europei in generale), e tedeschi.
Per illustrare
quest’asimmetria, è sufficiente elencare gli artisti al di fuori del mondo
tedesco, nell’ordine in cui compaiono nelle Confessioni:
Sisley, Rodin, Ensor, Cézanne, Gauguin, Redon, van Gogh, Signac, Rousseau il
Doganiere, Matisse, Picasso, Braque, Gris, Derain, de Vlaminck, Laurecin,
Chagall, Marinetti, Kogan, de Chirico, Čapek, Léger, Gleizes, Zāle, Puni,
Ozenfant e Jeanneret (ovvero Le Corbusier), Malevič, Altman e Lissitzky. È
evidente che nel 1925 Westheim aveva già un’idea consolidata del pantheon
dell’arte moderna, ed in particolare del suo nucleo storico francese. Mancano,
è vero, artisti statunitensi, a dimostrare che la visione dell’autore è ancora
molto eurocentrica. Sono invece ben rappresentate le più recenti avanguardie
dell’Europa centrale ed orientale (Josef Čapek, Kārlis Zāle) e russe (oltre a Malevič,
anche Ivan Puni, Natan Altman ed Eliezer Lissitzky; ad esse si deve aggiungere
Kandinsky, che pur scrivendo in tedesco, era anagraficamente un russo). Anche
oggi, comunque, questa lista potrebbe (sia pur con qualche aggiustamento)
essere il nucleo centrale di un’antologia di fonti di storia dell’arte moderna
in Europa.
Anche tra gli autori di
lingua tedesca vi sono nomi che oggi garantirebbero il successo di una
antologia sulla letteratura artistica tedesca del periodo ‘moderno classico’:
il già citato von Marées, Hans Thoma, Max Liebermann, Lovis Corinth, Ferdinand
Hodler (svizzero tedesco, anche se i testi citati sono in francese), Wassily
Kandinsky (russo, come si è appena detto, ma i suoi testi sono in tedesco),
August Macke, Paula Modersohn, Ernst Ludwig Kirchner, Emil Nolde, Max Pechstein, Oskar Kokoschka e Alfred Kubin (entrambi austriaci), Georg Grosz e Conrad
Felixmüller.
Eppure, diversi testi
tedeschi appartengono ad artisti che oggi sono sostanzialmente sconosciuti al
grande pubblico, potendo al massimo ambire a una notorietà locale legata alle
città o alle regioni di origine. La loro inclusione nell’antologia è motivo di
grande interesse, proprio perché rivela un’immagine dell’arte moderna della
Germania che non corrisponde più a quella attuale.
Ecco i nomi di questi
artisti oggi considerati di ‘seconda linea’, con alcuni sommari dati
biografici: Curt Hermann (1854-1929) pittore neo-impressionista e membro
fondatore della secessione di Berlino; Paul Adolf Seehaus (1891-1919), pittore
espressionista renano; William Morgner (1891-1917), pittore espressionista
della Vestfalia; Ludwig Meidner (1884-1966), pittore espressionista attivo a
Berlino; il russo-tedesco Robert Genin (1884-1941), pittore ed illustratore,
attivo a Berlino; Friedrich Ahlers-Hestermann (1883-1973), pittore
espressionista attivo ad Amburgo; Rudolf Levy (1875-1944), pittore
espressionista renano; Rudolf Großmann (1882-1941), pittore ed illustratore
membro della secessione di Berlino; Ernesto de Fiori (1884-1945) di origini
italiane, scultore e membro della Nuova Oggettività; Otto Pankok (1893-1966),
disegnatore ispirato alla Nuova Oggettività; e Rudolf Belling (1886-1972),
scultore attivo nei gruppi artistici rivoluzionari a Berlino nel 1919.
Come si è già detto nella
Parte Prima, questi nomi testimoniano una battaglia che Westheim ha condotto in
quegli anni, ma che, in definitiva, ha perso: quella di indirizzare l’arte
tedesca verso una forma più attenuata, meno radicale, forse più francese, di
arte moderna, orientata al naturalismo, che confluisse con quelle forme più
classiche che oggi vengono collocate nell’ambito della Nuova Oggettività, ma
che allora erano spesso chiamate ‘verismo’ e ‘purismo’, oggi termini caduti in
disuso in pittura moderna.
Alcune assenze importanti
L’antologia di Westheim
raccoglie gli scritti delle due generazioni che precedono il 1925. Ci si deve
chiedere perché gli scritti di alcuni degli artisti che oggi vengono
considerati come di riferimento nel periodo 1885-1925 non vi compaiano.
L’assenza del saggio Malerei und Zeichnung (Pittura e disegno), che Max Klinger pubblica nel 1891, e del suo
manuale Das Erlernen der Malerei
(Apprendere la pittura) del 1908, si può spiegare facilmente con il vero e
proprio ostracismo operato in Germania nei confronti del pittore, scultore ed
incisore secessionista (che pur era stato considerato, almeno per alcuni
decenni, il maggiore artista della storia tedesca di sempre). Subito dopo la
sua scomparsa nel 1920, lo storico dell’arte Meier-Graefe aveva espresso giudizi durissimi nei confronti di Klinger. Westheim è parte attiva del ripudio
dell’artista: non ne sopporta l’incrocio tra simbolismo e forte riferimento ai
classici greci e latini; non è quello il classicismo cui egli aspira.
Del resto, a parte quella
di Berlino, Westheim non nutre grande simpatia per le secessioni. L’antologia
non presenta riferimenti alle poesie ed agli aforismi degli artisti della
secessione viennese (Klimt, Schiele), anche se vi sono alcune lettere di
Kokoschka sull’amore feticista per Alma Mahler (Westheim aveva dedicato una
monografia all’artista austriaco nel 1918) e dell’architetto Josef Maria
Albrichs (che disegnò il palazzo della Secessione di Vienna). Mancano anche
documenti che testimonino la secessione di Monaco.
Tra i maggiori artisti
tedeschi dei decenni successivi mancano i testi di Max Beckmann, Otto Dix, Max
Ernst, Karl Hofer, Paul Klee, Käthe Kollwitz e Franz Marc. In alcuni casi, le
assenze sono clamorose: non viene incluso nell’antologia, ad esempio, Der Almanach „Der Blaue Reiter“ (l’Almanacco
del cavaliere azzurro) di Kandinsky e Franz Marc del 1912. In altri casi la
mancanza di testi oggi considerati fondamentali è inevitabile, poiché essi
compariranno solamente negli anni ‘40 e ‘50: ad esempio, Tagebuchblätter und Briefe (Diari e lettere) di Käthe Kollwitz
nel 1948, Erinnerungen eines Malers (Memorie di un pittore) di Karl Hofer nel 1953, ed i Tagebücher (Diari) di Klee nel 1957. Anche gli imponenti diari di
Nolde (autore pur presente, grazie ai testi biografici dal tono molto intimo,
redatti dall’amico Hans Fehr) compaiono solamente tra il 1931 ed il 1967. Le Briefe (Lettere) di Dix vengono
pubblicate addirittura nel 2013.
Ma alcune assenze non
possono essere spiegate col fatto che i testi relativi non sono ancora stati
pubblicati: di Beckmann erano già state edite, ad esempio, le Briefe im Kriege (Lettere dalla guerra)
addirittura nel 1916, col conflitto ancora in corso, e molti saggi d’estetica.
In realtà, quell’assenza è dovuta ad un’insopprimibile antipatia: in un
articolo intitolato “Beckmann: il vero
espressionismo”, Westheim lo paragona ad Holbein (un altro ‘artista
maledetto’, a suo parere) per tratteggiare il ritratto di un uomo indemoniato,
fanatico, egocentrico, nevrotico. Il termine ‘espressionismo’ è in genere definito da Westheim come una categoria abusata, o per usare le sue parole, un cliché
“ambiguo, usato da troppi in direzioni tra loro divergenti” [42]. Il titolo
dell’articolo ha anche un sottile intento polemico: Westheim era accusato da
Walden – cfr. Parte Prima - di essere uno ‘pseudo-espressionista’, e dunque
l’espressione ‘vero-espressionista’ non può essere usata in modo del tutto
innocente. Anche Lutz Windhöfel dedica diverse pagine di un suo saggio alle
difficoltà nei rapporti personali ed estetici tra Westheim e Beckmann [43].
La lista delle assenze si
conclude infine con gli scritti di tutti gli artisti Dada (a partire da Arp e Ernst),
nessuno dei quali è incluso. Del resto, Westheim aveva un gusto
classicheggiante, concepiva l’arte come organizzazione della natura da parte
dell’artista, e non poteva non essere fortemente scettico nei confronti di un
movimento così iconoclastico.
Scelte orientate
Va peraltro detto che
anche quando alcuni artisti compaiono nell’antologia le scelte operate da
Westheim sembrano decisamente orientate a supportare il modello artistico che
vuole presentare al lettore. È assai significativo, a mio parere, che di
Kandinsky non compaiano passaggi tratti dal saggio fondamentale Über das Geistige in der Kunst (Lo spirituale nell’arte) del 1912 –
senz’altro il più importante manifesto dell’astrazione nel mondo tedesco – o da
uno qualsiasi dei suoi numerosi testi d’estetica di quegli anni. Vengono invece
pubblicate due paginette, sia pur molto belle, che il pittore scrive
appositamente per le Confessioni, nel
1923: sembrano voler confermare l’idea che sta alla base dell’estetica di
Westheim, e cioè che l’arte sia un momento d’incontro tra aspetti materiali e
spirituali. Di Kirchner si nota l’assenza del Manifesto di Die Brücke (Il Ponte) del 1906; compare invece una sola pagina, con
quattro aforismi non datati, completati dall’illustrazione di una pittura ad
olio (Der Mann, L’uomo) del 1914,
quando Il Ponte si era già sciolto.
È invece sorprendente
scoprire che uno degli autori cui si dedica maggior spazio sia Wilhelm Morgner,
non tanto perché l’espressionista della Vestfalia sia oggi di fatto dimenticato
al di fuori della cittadina di Soest, dove visse fino a quando fu arruolato
nella Prima Guerra Mondiale, cadendo sul fronte, ma soprattutto perché Morgner
(affiliato alla rivista Sturm e al
gruppo di Walden) era stato oggetto di stroncature pesantissime da parte di
Westheim. A guerra terminata, la vedova e l’amico Georg Tappert si erano
addirittura rivolti al critico con parole di rimprovero, rinfacciandogli il
dolore che le sue parole avevano provocato alla madre del pittore, dopo che il
figlio era venuto così tragicamente a mancare [46]. Ciò nonostante, ‘Pro e contro. Scritti critici sull’arte
contemporanea’ , pubblicato da Westheim nel 1923 conteneva ancora giudizi
durissimi sul defunto; da evidenze interne, appare a dire il vero chiaro che le
pagine riguardanti Morgner erano state scritte nei mesi direttamente precedenti
alla sua scomparsa in guerra [47]. Forse la decisione di pubblicare
nell’antologia del 1925 ben venti pagine di lettere inviate da Morgner dal
fronte all’amico Tappert (corredate da alcuni bei disegni) è una sorta di
risarcimento morale. Potrebbe trattarsi di un ripensamento, se non sull’opera
artistica almeno sulla personalità di Morgner, che ci racconta in alcune belle
pagine i sogni e gli incubi di una vita in trincea.
L'artista filosofo
Usando una suddivisione
in tipi secondo la categoria weberiana, possiamo identificarne diversi
all’interno delle Confessioni:
l’artista filosofo, l’artista fanciullo, l’artista maledetto, l’artista turbato
e quello pragmatico.
L’antologia non può che
aprirsi con le Lettere (Briefe) di Hans von Marées (1837-1887),
pittore romantico molto influenzato dall’idealismo che si trasferì a Roma negli
anni ‘70 e lì morì cinquantenne a causa della malaria che aveva contratto negli
acquitrini della campagna romana. L’epistolario, pubblicato postumo nel 1920 (e
dunque disponibile solamente qualche anno prima) contiene soprattutto
lettere allo scultore e teorico dell’arte Adolf von Hildebrand e al critico d’arte Konrad Fiedler: sono entrambi due pietre miliari dell’estetica
tardo-ottocentesca tedesca, ed in particolare della cosiddetta teoria della
forma. Dunque, quell’epistolario rappresenta per il lettore di Weimar
consapevole dei grandi orientamenti dell’estetica tedesca il punto ideale per iniziare
il percorso di lettura.
Il 22 gennaio 1882, il
pittore scrive a Fiedler di aver riflettuto sulla natura di arte e filosofia e
su quel che le distingue: “Per essere
precisi, l’aspirazione intera dell’artista non origina, come nel filosofo,
nella ricerca della verità per il bene della verità e tende invece a poter
soddisfare i propri istinti naturali.” [48] Fiedler, nella sua risposta,
deve essere sorpreso ed il pittore subito corregge il tiro, appena una
settimana dopo, sia pur difendendo l’indipendenza dell’artista: “Già dall’inizio del mio scritto odierno
debbo notare che nella mia ultima lettera mi sono espresso in modo del tutto
sbagliato, e questo succederà certamente ancora. Avrei dovuto lasciar da parte
la parola verità. (…) E tuttavia, per comprendere l’essenza dell’arte, credo
sia assolutamente necessario comprendere soprattutto l’artista, giacché senza
di lui non vi è arte alcuna. (…) Un artista nato è colui al quale la natura ha
messo un ideale nell’anima, e quest’ideale rappresenta in lui il ruolo della
verità; in tale ideale egli crede; l’obiettivo della sua vita è divenuto quello
di portare l’ideale allo stato della coscienza più pura, in modo che si possa
mostrare agli altri.” [49]. Quell’ideale non si può descrivere a parole:
l’artista lo può solamente rivelare con i propri strumenti, nel caso di von
Marées attraverso la pittura.
È un pittore della
Secessione berlinese, Curt Herrmann (1854-1929), ad affrontare successivamente
il tema della differenza tra arte e filosofia. Hermann, accademico a Berlino, e
presidente della cosiddetta “Libera Secessione” (Freie Sezession), ovvero dell'ala più conservatrice dei
secessionisti berlinesi dopo le varie scissioni degli anni ‘10, tiene nel marzo
1920 una conferenza sulla “Scienza dell’artista” (Die Wissenschaft des Künstlers). Il testo è pubblicato per la prima
volta nelle Confessioni. “La componente primaria nell’arte è sempre il
sentimento, l’impulso a creare simboli per rappresentare i fenomeni di questo
mondo, comprendere come essi si specchino nello spirito umano, e da loro saper
far emergere creazioni nuove. La fantasia è la madre dell’arte, mentre la
capacità manuale è la sua base. La ‘scienza dell’artista’ è però una somma
illimitata di conoscenze delle più differenti discipline umanistiche, che
aiutano chi ha una predisposizione all’arte a penetrare ancor più profondamente
nel processo creativo della natura e negli aspetti etici ed estetici di questo
mondo. Chi è in grado di coltivare queste scienze è filosofo e come tale può
essere artista o erudito. Nell’erudito questa scienza si condensa in una severa
e pura scienza umana; nell’artista diventa un sapere che lo rende capace di
creare.” [50] Westheim ci propone dunque Marées ed Herrmann come prototipi di artisti-filosofi, ancora
profondamente influenzati dalla cultura idealista ottocentesca.
Ad essi si aggiunge Vassilij
Kandinsky (1866-1944) che compila per Westheim un brevissimo scritto datato
aprile 1923, intitolato “Ieri, oggi,
domani”. È un testo teorico, che intende affermare la continuità di fondo
dell’arte, identificando movimenti opposti che sono destinati a convergere:
analisi e sintesi, materialismo e spiritualismo, metodo intuitivo e metodo
dottrinario, prassi e teoria. La prassi genera l’arte monumentale, la teoria
fornisce la base della scienza dell’arte. “Tutte
queste direzioni che sembrano una escludere l’altra si fondono in queste due
ultime finalità [nota del traduttore: prassi e teoria], che a loro volta si fondono in un obiettivo. Così le parole usate in
passato “oppure … o” vengono oggi sostituite dalla parola di domani “e”.”
[51] È l’obiettivo di una grande sintesi tra l’artista che dipinge e l’artista
che pensa; al tempo stesso è una reiterazione dei concetti di base della
dialettica estetica idealista.
Ma forse il più
intellettuale degli artisti nelle Confessioni
è, ancora in quegli anni, Conrad Felixmüller (1897-1977), uno dei padri della
Nuova Oggettività. Il suo scritto “Sull’Arte” (Über Kunst) del 1924 la definisce come “una questione storica, dal momento che è l’espressione della società
umana; il momento estetico è qui di importanza secondaria. Ancor più in questi
momenti di crisi economica, di crisi spirituale. Necessità e miseria rendono
reali pensieri e sentimenti, e la loro interpretazione è oggettiva, breve ed
accentuata. Idee provenienti dall’economia, politica, religione e dalle scienze
tecniche influiscono continuamente sul carattere della nostra arte, le danno il
marchio dello scioglimento oppure del rinnovamento, della rivoluzione oppure
dell’infatuazione romantica. (…) L’uomo è posto consapevolmente al centro
dell’arte: al suo interno l’uomo non può più essere un’apparizione che non deve
dar alcun conto di sé e non è segnata da limiti, ma la sua presenza deve essere
contraddistinta dall’assunzione di una completa responsabilità sociale.” [52]
Se in Felixmüller vi sono
elementi che ancora richiamano l’estetica romantica tedesca (come il ricorrente
concetto della pittura come atto di volontà, ovvero Kunstwollen), con lui diviene evidente il tempo che è trascorso dal
carteggio Marées-Fiedler, nel corso di sole due generazioni: “L’arte diviene azione indirizzata ad un
fine, e quanto più lo diviene, tanto più perde l’elemento esoterico di stili
lontani dal tempo e dal mondo e di visioni soggettive delle cose, per
cimentarsi allo stesso tempo sempre più con la nostra vita quotidiana.” [53]
L'artista fanciullo
Alla tesi idealista e
romantica di un artista capace di cogliere la verità delle cose nel profondo
del proprio animo corrisponde l’idea che il suo spirito originario si sia
formato negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza. L’infanzia non è dunque
solamente ricordo, ma anche momento formativo originario dello spirito
dell’artista. Si spiegano in tal modo i numerosi passaggi che Westheim include
sui ricordi d’infanzia degli artisti, con pagine liriche dell’impressionista tedesco Lovis Corinth (1858-1925), del simbolista francese Odilon Redon
(1840-1916), e dei bielorussi Marc Chagall (1887-1985) e Robert Genin (1884
–1941).
Coglie il punto centrale
Maurice de Vlaminck (1856-1958) nel 1921: “Io
guardo con molta diffidenza al pensiero
razionale. Il mio sforzo è quello di ritrovarmi nelle profondità dell’inconscio
e nelle pulsioni che là si nascondono. (…) Continuo a guardare le cose ancor oggi con gli occhi di un bambino.
Nonostante sia oggi un uomo di 45 anni, i miei pensieri estetici più elevati si
basano sulle stesse ragioni di quelli della mia infanzia: una strada nel bosco,
la strada di campagna (…), una riva sul fiume, una casa che si rispecchia
nell’acqua, il profilo di una nave, una casa sul ciglio della strada, un cielo
con nuvole nere, un cielo con nuvole rosa.” [54] Il pittore fauve francese ricorda la visita ad una
mostra di van Gogh, quando era adolescente: “Il mio animo era stravolto, e provai la necessità di piangere di gioia
e disperazione. Quel giorno amai van Gogh più di quanto amassi mio padre.”
[55]
L'artista maledetto
Le Confessioni contengono alcune pagine personali di Paul Gauguin
(1848-1903), Vincent Van Gogh (1853-1890), Henri Rousseau (1844-1910) e Marie
Laurencin (1883-1956), tutte centrate sulle difficoltà (e l’impossibilità)
dell’artista nel farsi comprendere.
Le lettere di Gauguin al
pittore e collezionista Georges-Daniel de Monfreid (1856-1929), pubblicate in
Francia nel 1918 ed in Germania nel 1920, raccontano delle difficoltà
quotidiane: “Sono stato davvero molto
malato. Pensi, ho dovuto fare trasfusioni, un quarto di litro per giorno –
insopportabile. Cerotti di mostarda lungo le gambe, ventose sul petto, non
mancava proprio nulla. Il medico all’ospedale era abbastanza preoccupato e
pensava io fossi ormai spacciato. (…) Adesso vivo come un selvaggio, il mio
corpo è nudo se non nelle parti intime.” [56] Sono pagine in cui il lettore si confronta con la disperazione di un uomo solo, privo di sostentamento,
ed in pericolo costante di vita.
Van Gogh scrive al
fratello Theo di essere preoccupato perché non vuole far sapere al padre di
vivere in povertà. Del resto “dal mio
punto di vista io sono spesso molto ricco, non in denaro ma (anche non se non
tutti i giorni) ricco perché ho trovato il mio lavoro, ovvero ho qualcosa al
quale posso dedicare anima e corpo e che dà entusiasmo e significato alla mia
vita.” [57] Rousseau scrive invece il 1 luglio 1909 a Guillaume Apollinaire
chiedendogli soldi in prestito per pagare vestiti e scarpe, spiegando di non
essere riuscito a guadagnare nulla nell’ultimo anno [58]. Di Marie Laurencin si riporta la poesia “Il
calmante” per la rivista Dada del 1917: “Più
che annoiata / Triste / Più che triste / Infelice / Più che infelice / Sofferente / Più
che sofferente / Abbandonata / Più che abbandonata / Sola al mondo / Più che sola al
mondo / Esiliata / Più che esiliata /Morta / Più che morta / Dimenticata.” [59]
L'artista e le sue turbe
Le pagine di Alfred Kubin
(1877-1959) si aprono con l’affermazione: “La
vita è un sogno” [60]. E subito dopo: “Che
il creatore del sogno e la sua creazione, il sogno stesso, siano in qualche
modo in un rapporto d’identità è evidente soprattutto nel momento in cui si
sogna.” [61] Siamo nella Vienna patria della
psicologia moderna, e l’artista spiega: “Molti
dei miei disegni cercano di fissare i miei sogni. Quando mi sveglio rimangono
spesso solo tracce di essi nella mia memoria; queste macerie e frammenti sono
tutto ciò a cui ci si può tenere. Consideriamo il sogno come se fosse un
quadro; così come il sogno è composto, l’ho voluto consapevolmente disegnare
come artista e ne ho ricavato una soddisfazione maggiore, solo quando mi sono
deciso a combinare i frammenti appena riemersi in modo tale che formassero un
tutto” [62].
L'artista pragmatico
Se quello di Westheim –
come si è spiegato nella prima parte di questa nota – è un tentativo di
ricostruire i rapporti tra spiritualità tedesca e razionalismo francese,
cercando una sintesi prima di tutto filosofica tra le due correnti principali
del continente, egli riconosce che vi sono altre tradizioni che non si possono
ignorare. È del tutto in linea con il pragmatismo britannico la lettera di
Alfred Sisley (1839-1899) ad Adolphe Tavernier, critico d’arte ed amico del
pittore, datata 24 gennaio 1892 [63]. In essa l’impressionista si riferisce a
Turner per giustificare l’opposizione a qualsiasi teoria, e preferisce scrivere
quello che lui definisce un brevissimo corso pratico di paesaggismo.
Vent’anni dopo lo stesso
spirito riaffiora con gli scritti d’architettura di Franz Lloyd Wright
(1867-1959), in uno scritto tratto dal suo saggio “Studies and executed buildings” del 1910. È un inno
all’applicazione in architettura dello spirito democratico [64], e una forte
difesa del rifiuto di applicare modelli del passato (quelli europei
neo-rinascimentali) che – riducendo la vivibilità delle abitazioni dei cittadini
– segnino in ultima istanza una mancanza di rispetto per i loro veri interessi
e la loro libertà. [65]
Fine della Parte Seconda
Vai alla Parte Terza
NOTE
[41] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse: Briefe, Tagebücher, Betrachtungen heutiger Künstler, Berlino, Propyläen, 1923, pp. 359. Citazione alle pagine 9-10.
[42] Westheim, Paul – Für und Wider – Kritische Anmerkungen zur Kunst der Gegenwart … citato, pagine 98-104.
[43] Windhöfel, Lutz – Paul Westheim und Das Kunstblatt, citato, pp. 314-318
[44] Windhöfel, Lutz – Paul Westheim und Das Kunstblatt, citato, p. 102
[45] Windhöfel, Lutz – Paul Westheim und Das Kunstblatt, citato, pp. 239-241
[46] Windhöfel, Lutz – Paul Westheim und Das Kunstblatt, citato, p.85
[47] Westheim, Paul – Kritische Anmerkungen zur Kunst der Gegenwart (Pro e contro – Saggi critici dell’arte contemporanea), Potsdam, Kiepenhauer Verlag, p. 194. L’articolo è pubblicato alle pagine 91-97.
[48] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 13.
[49] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, pp. 13-14.
[50] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 115.
[51] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 165.
[52] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 313.
[53] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 313.
[54] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 155.
[55] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 157.
[56] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 60.
[57] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 91.
[58] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 134.
[59] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 158.
[60] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 258
[61] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 258
[62] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 258
[63] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 30. Nelle Confessioni, data e destinatario della lettera non sono nominate. Il testo francese della lettera è disponibile su http://silartetaitconte.hautetfort.com/confidences-de-peintres-1/
[64] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 207.
[65] Westheim, Paul - Künstlerbekenntnisse, … citato, p. 208.
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