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venerdì 25 marzo 2016

Edmond e Jules de Goncourt, Pittori francesi del secolo XVIII


English Version

Edmond e Jules de Goncourt
Pittori francesi del secolo XVIII

Traduzione di Orsola Nemi. Tit. orig.: L’art du dix-huitième siècle
Milano, Longanesi, 1956


Recensione di Luciano Mazzaferro

Fig. 1) Antoine Watteau, L'imbarco per Citera (prima versione), 1717, Parigi, Museo del Louvre
Fonte: Wikimedia Commons

[Nota di Giovanni e Francesco Mazzaferro: questo testo è la trascrizione di un manoscritto di nostro padre, Luciano Mazzaferro, in cui compare la recensione dell’opera. Il manoscritto risale grosso modo al 1995. Sono interventi redazionali a noi attribuibili la nota di aggiornamento bibliografico e i titoletti in grassetto dei singoli paragrafi].

Fig. 2) Antoine Watteau, L'imbarco per Citera, 1718, Berlino, Charlottenburg Palace
Fonte: Wikimedia Commons

La rivalutazione del Settecento francese

Appassionati di arti figurative, i fratelli Edmond (1822-1896) e Jules (1830-1870) de Goncourt s’interessarono sia di pittura contemporanea sia di quella prodotta nel secolo precedente, cioè nel Settecento. Nella sua Storia della critica d’arte, Lionello Venturi distingue nettamente tra i due gruppi di studi. Il suo giudizio è negativo finché vengono considerate le ricerche compiute e le valutazioni espresse dai due fratelli sugli artisti dell’epoca in cui vissero: “Gavarni… fu da loro preferito a Daumier, malgrado la sua potenza creatrice. Essi hanno preferito Decamps a Delacroix, Gustave Moreau a Manet. Non hanno compreso Courbet” ed Edmond, che pur è vissuto assai più di Jules ed è morto oltre vent’anni dopo la prima esposizione degli impressionisti, non è riuscito ad afferrare il rilievo fondamentale del nuovo movimento. Quando però il Venturi passa a considerare i lavori sulla pittura del Settecento, la sua valutazione cambia e si fa decisamente positiva: grazie al lavoro dei due letterati l’arte francese del XVIII secolo “ha ripreso il posto che le spetta nella storia dell’arte. I de Goncourt cioè ripararono un errore storico del romanticismo, e dopo di loro nessuno dubitò del valore artistico assoluto di Watteau, di Chardin e di Fragonard” [1].

Fig. 3) Antoine Watteau, All'insegna di Gersaint, 1720, Berlino, Charlottenburg Palace
Fonte: Wikimedia Commons

Fig. 4) Antoine Watteau, All'insegna di Gersaint (particolare)
Fonte: Wikimedia Commons

Edizioni francesi e traduzione italiana

Gli scritti sull’arte francese del Settecento comparvero, ad iniziare dal 1859, in dodici fascicoli, l’ultimo dei quali (Notules, additions, errata) uscito dopo la morte di Jules (1870). La seconda edizione, eseguita presso lo stampatore Rapilly, dispone il materiale in due volumi, il primo dei quali uscito nel 1873 e l’altro nel corso dell’anno successivo. Una terza edizione, rivista, ampliata e arricchita da illustrazioni, uscì in ottima veste tipografica presso A. Quantin di Parigi. Il richiamo di alcuni passi o brani qui presenti per la prima volta autorizza a sostenere che proprio la terza edizione (o, se davvero lo si vuole, un’altra successiva che derivi comunque da essa) sia servita di base per la traduzione effettuata da Orsola Nemi, la prima – per quanto mi risulti – in italiano. La Nemi, nata nel 1903 e deceduta a Lepanto nel 1985, lavorò presso case editrici, collaborò a quotidiani e ad altri periodici, si impegnò in diversi generi letterari (dalla poesia ai romanzi e alle fiabe) e rese in italiano opere francesi, come appunto queste pagine dei de Goncourt, ed inglesi. Si comprende immediatamente che sapeva tenere la penna in mano, come del resto s’intende che non era persona particolarmente versata nello studio della storia dell’arte.

La traduzione non è integrale: la Nemi ha tralasciato di considerare lo studio sui Saint Aubin e quelli su Gravelot, Cochin, Eisen, Jean Michel Moreau e Debucourt. Ha invece preso in esame i lavori concernenti sette artisti, vale a dire Watteau, Chardin, Boucher, Maurice Quentin de La Tour, Greuze, Fragonard e Prud’hon. Va inoltre tenuto presente che, dei sette pittori ora elencati, non si è fornito tutto il materiale incluso nella terza edizione francese che la Nemi doveva tenere sott’occhio; la traduttrice ha provveduto alla versione delle monografie propriamente dette e delle Notules, mentre ha escluso le altre pagine in cui si forniscono notizie ed elenchi sulle esposizioni, sulle incisioni e, per quanto riguarda La Tour, i lavori a pastello. L’inclusione delle Notules (che la Nemi ha reso con il termine di Annotazioni) permette di conoscere il contenuto di molte lettere, vari documenti e quegli scritti che, per il loro rilievo, ritroveremo elencati nella seconda parte di questa scheda; l’esclusione dell’altro materiale non consente invece di farsi un’idea su quel lavoro di riordinamento (prevalentemente eseguito, dopo la morte di Jules, da Edmond) che il Bazin considera un fatto significativo (“remarquable”) [2] giacché vi si ravvisano le avvisaglie e taluni elementi tipici di un’attività, ossia la catalogazione delle opere, poi largamente praticata dalla critica moderna.

Fig. 5) Jean-Baptiste Siméon Chardin, Bolle di sapone, dopo il 1739, Los Angeles County Museum of Art
Fonte: Wikimedia Commons

Le parti tradotte sono rese fedelmente o quasi. Ho compiuto un confronto tra il testo italiano e quello della terza edizione (una copia è disponibile nella biblioteca dell’Archiginnasio) e ho riscontrato per le sezioni prese in esame – ossia per le sette monografie e per le rispettive Notules - due sole omissioni di qualche rilievo. La prima interessa l’intera pagina 336 e la parte superiore di p. 337 del primo volume, naturalmente dell’edizione francese: quanto si è trascurato di rendere in italiano l’avremmo dovuto trovare, nel volume stampato da Longanesi, prima degli asterischi di p. 264. L’altra lacuna, meno ampia della precedente, ha provocato l’accorciamento della nota che nel testo tradotto compare col numero 15 nelle pp. 438-439.

La Nemi ha inoltre cambiato il titolo originale, rendendolo per la verità più aderente al testo; non si parla più genericamente d’ “arte”, ma di “pittori” e si specifica immediatamente che gli artisti considerati nella pubblicazione appartengono esclusivamente alla produzione francese. Non è il caso di far delle strepito di fronte al mutamento di titolo e neppur di fronte all’omissione di alcune monografie, di singoli capitoli e di qualche parte di minor rilievo, ma in verità dispiace che la Nemi non abbia avvertito la necessità d’inserire una sia pur breve introduzione per informarci dei criteri da lei seguiti e delle ragioni che possono averli consigliati o addirittura imposti. Le uniche righe inserite dalla traduttrice riguardano poche note, contraddistinte, come si costuma, con la sigla N.d.T. e compilate non per chiarire questioni di fondo o per illustrare le ragioni di talune scelte, ma per intrattenersi su cose alquanto marginali o per fornire indicazioni biografiche certamente utili, ma non sempre indispensabili.

Fig. 6) Jean-Baptiste Siméon Chardin, La ragazza col volano, 1741, Firenze, Galleria degli Uffizi
Fonte: Wikimedia Commons

Watteau

Il vuoto storico che si era creato attorno alla pittura del Settecento sorprende i Goncourt, li avvilisce ed adira. “Quando si comincia a parlare dell’arte del XVIII secolo” – leggo a p. 67 della traduzione italiana, alla quale d’ora in poi si farà riferimento, salvo diversa indicazione – “e ci si accosta alla memoria dei suoi artisti, si è presi, alle soglie di questo studio, da un sentimento di grande tristezza, da una specie di melanconica collera. Davanti a un tal prodigioso esempio di oblio, davanti all’eccesso di ingratitudine e all’insolenza del disprezzo che dimostrò la immediata posterità per il gran secolo d’arte di Luigi XV, si comincia a dubitare dei giudizi della Francia. Ci si domanda se la moda è tutto il nostro gusto, se il nostro orgoglio nazionale stesso, non dipenda, con la coscienza dei nostri giudizi, dalla moda. […] La Francia, per tutto un mezzo secolo, ha rifiutato di riconoscere artisti veramente nati da lei, maestri francesi, veri figli del suo spirito e del suo genio!” Ma, dopo tutto – si chiedono i due autori – “che cosa importa la moda? Prima di cent’anni, Watteau sarà riconosciuto universalmente come un maestro di prim’ordine” e non sarà più “necessario aver coraggio, per dire quel che diciamo ora, che Chardin fu un grande pittore” (p. 69). Sono profezie che hanno trovato conferma assai prima di quanto i de Goncourt avessero immaginato.

L’ammirazione per Watteau è sincera, commossa. Le sue sanguigne sono meravigliose, i suoi “disegni a tre matite” incantano. Tra le tele l’opera prediletta è L’imbarco per l’isola di Citera (figg. 1 e 2) “Che armonia in quelle lontananze soleggiate, in quelle montagne di neve rosea, in quelle acque a specchio del verde; e quei raggi di sole scorrenti sulle vesti color rosa, le vesti gialle, le gonne amaranto, le mantelline azzurre, le giubbe color gola di piccione, e i cagnolini bianchi a macchie color fuoco” (p. 62). La scelta del dipinto è sollecitata, oltre che dalle sue qualità stilistiche, anche da un indubbio intento di rivalsa polemica nei confronti di una critica ottusa e di un gusto corrotto. “L’imbarco a [n.d.r. rectius: per] Citera, capolavoro dei capolavori di Watteau, tela incantata dove lo spirito corre fra i personaggi come una fiamma tra i fiori, poema di luce che può sempre, in qualsiasi museo, essere accostato a qualsiasi quadro, sapete dove è sepolto, nascosto? In una sala di studio dell’Accademia, dove serve di bersaglio agli scherni e alle palline di pane dei fattorini di David” (p. 68). Eppure il Watteau è stato il maestro che ha ampiamente condizionato la pittura del suo secolo: “Tutti i quadri di Chardin, tutti i quadri del secolo che non sono consacrati ai greci e ai romani risuscitano le pose, gli atteggiamenti della testa, il gusto dell’acconciatura, il colorito, il disegno, la pennellata” di questo grande artista (p. 63).


Fragonard e Chardin


Fig. 7) Jean-Honoré Fragonard, Il bacio rubato, San Pietroburgo, Museo dell'Hermitage
Fonte: Wikimedia Commons

In Fragonard i de Goncourt scoprono “una natura felice di vivere, una gaiezza che sorvola sulla serietà della vita, una dolce ostinazione nel seguire la propria strada” e, inoltre, un amore per “un’esistenza facile, senza sforzi…” (p. 273). Ed ecco Chardin, “il grande pittore della natura morta” (p. 73). Questo genere, considerato secondario, è stato da lui innalzato “alle più alte e più meravigliose condizioni dell’arte” (p. 74). “I fiori, la frutta, gli utensili, chi li dipinge come lui? Chi ha reso, come l’ha resa Chardin, la vita inanimata delle cose? Chi ha dato agli occhi una simile sensazione di presenza reale dell’oggetto?”. E poco più avanti: “Niente umilia i suoi pennelli. Non c’è pezzo di natura che egli disprezzi” (p. 75). Gli autori sono anche colpiti dalla capacità di dipingere le cose abituali del mondo borghese e i “personaggi che si trova a portata di mano” (p. 85). E commentano: “Chardin ama, fa di più, rispetta, lo si sente, quel che dipinge. Quindi, quell’aura di purezza che avvolge i suoi personaggi, quel profumo di onestà che si respira nei suoi interni e che sembra uscire da tutti gli angoli delle sue tele, dalla collocazione dei mobili, dalla sobrietà della loro forma, dalla rusticità delle sedie, dalla nudità dei muri, dalla tranquillità delle linee intorno alla tranquillità delle persone” (p. 88).


Gli altri


Fig.8) François Boucher, La toeletta di Venere, 1751, New York, Metropiltan Museum of Art
Fonte: Wikimedia Commons

Su un piano senza dubbio inferiore si collocano gli altri artisti, ai quali tuttavia non si nega quel che a loro appartiene. Boucher è un “pittore originale e brillante”, al quale tuttavia mancano la qualità superiore e il tratto tipico dei grandi artisti. “Ha una maniera, non ha uno stile. Perciò è di tanto inferiore a Watteau col quale le persone della buona società lo nominano e l’accoppiano spesso e volentieri, come se esistesse una parità fra Boucher e il maestro che ha elevato lo spirito all’altezza dello stile. Volgarità elegante, questo è il segno di Boucher” (pp. 145-146). Prodigioso fisionomista, Maurice Quentin de La Tour “dipinge, rivelandola, la donna del suo tempo […] Pur lasciandole la sua cipria, i suoi nei e le sue mode, la innalza sopra all’amabile convenzione di cui abusano i ritrattisti di allora. Le toglie quell’aria di bambola svogliata che nella pittura corrente ne fanno il tipo vuoto, vacuo e volgare, che si immagina sia quello di una «pettegola»” (pp. 195-196). I suoi limiti vanno ricercati in vari punti, ma, più che altrove, una tormentata ricerca di princìpi e di regole che a poco a poco compromisero la “spontaneità del talento” (p. 198).


Fig. 9) Maurice Quentin de La Tour, Ritratto di Madame Pompadour, 1750 circa, Parigi, Museo del Louvre
Fonte: Wikimedia Commons

Greuze è definito “pittore dell’infanzia” ed "eccelle nel rappresentare quella bellezza femminile che si desta ancora incerta nei lineamenti della bambina” (p. 224). Ma nei grandi quadri sono visibili tutte le sue debolezze e le miserie di colore: “i bianchi bavosi, la gamma cromatica sorda e grigia a un tempo, la slavatura dei toni violetti e gola di piccione, l’indecisione dei rossi, gli azzurri sudici, la fiacchezza e il barbotage dei fondi, lo spessore delle ombre” (ivi).


Fig. 10) Jean-Baptiste Greuze, Testa di ragazza sorridente, 1765 circa, Vienna, Albertina
Fonte: Wikimedia Commons

E, infine, ecco Prud’hon, la cui figura viene delineata non solo per porne in evidenza le caratteristiche salienti, ma anche per ridimensionare con la presenza di questo pittore il ruolo rumoroso e inaccettabile di David. Di fronte al David accademico e interprete del neoclassicismo ortodosso, si pone appunto il Prud’hon che “non strappava a brandelli le bellezze dell’arte greca”, ma le ritrovava e le faceva rivivere nella propria anima: “l’intuizione era la sua scienza” (p. 320).


Le fonti dei de Goncourt

I de Goncourt utilizzarono varie fonti, documenti e lettere. Cito il materiale di maggior interesse riportato nelle pagine dedicate a Watteau, dove si rinviene una particolare ricchezza di voci:

CAYLUS, A. CLAUDE de; La vita di Antonio Watteau pittore di figure e di paesaggi, soggetti galanti e moderni (La vie d’Antoine Watteau peintre de figures et des paysages, sujets galants et modernes).
La vita, riportata nelle pp. 18-38, è stata letta il 3 febbraio 1748 all’Accademia Reale di pittura e scultura. Pierre Rosenberg [3] ricorda le tre versioni del testo: una malacopia di mano dello stesso Caylus ora conservata alla biblioteca della Sorbona, una trascrizione compiuta dal segretario di Caylus (che vi introdusse leggere modifiche) anch’essa alla Sorbona e, quindi, il testo presentato dai fratelli de Goncourt. Costoro forniscono a p. 17 alcune indicazioni sul modo, del tutto casuale, con cui reperirono il materiale. Altre notizie e qualche considerazione a p. 41.

COYPEL, CHARLES-ANTOINERisposta al signor conte di Caylus (Réponse faite à Monsieur le comte de Caylus…).
Parole pronunciate dopo la lettura dello scritto precedente, il 3 febbraio 1748. Qui nelle pp. 39-40. Per la collocazione del documento si rinvia al Rosenberg [4].

MARIETTE, PIERRE JEANNota manoscritta dell’Abecedario (Note manuscrite de l’Abecedario de Mariette). È conservata presso la Biblioteca Nazionale, Gabinetto delle Stampe. Contiene riserve sull’attività estetica di Watteau. Si estende da r. 37 di p. 393 a r. 30 della pagina successiva.

GERSAINT, EDME-FRANÇOIS; Sunto della vita di Antonio Watteau (Abrégé de la vie d’Antoine Watteau) posto nel Catalogue raisonné des diverses curiosités du Cabinet de feu M. Quentin de Lorangère – asta del 2 marzo 1744, pp. 172-188) (vedi anche fig. 3 e 4).
Molto vicino al Watteau, il mercante d’arte Gersaint compose dei cataloghi in occasione di vendite all’asta. Il testo di Gersaint è utilizzato in varie parti dello studio dei de Goncourt. Lo scritto di Gersaint è stato integralmente riprodotto nella raccolta di Rosenberg [5].

WATTEAU, ANTOINE; Lettere
Nella nota 21 che si estende da p. 390 a p. 392 sono trascritte quattro lettere di Watteau: tre indirizzate a Jean de Jullienne e la quarta al Gersaint. La prima reca il giorno e il mese (ma non l’anno) in cui fu scritta; le altre non portano alcuna indicazione di data.

CROZAT, PIERRE; Lettera a Rosalba Carriera
Viene riprodotta parte della lettera dell’11 agosto 1721 in cui Pierre Crozat annuncia la morte di Watteau. Il testo integrale della lettera figura in francese nel carteggio dell’artista veneziana [6]. 

VLEUGHELS, NICOLAS; Lettera a Rosalba Carriera
Viene utilizzata nella nota 23 una parte della lettera del 20 settembre 1719 che si può leggere nella sua interezza nel carteggio della Carriera [7].


NOTE

[Aggiornamento bibliografico] Rispetto al periodo in cui è stata scritta questa recensione non risultano essere intervenute nuove edizioni italiane dell’opera. L’interesse per i Goncourt, tuttavia, non è mai cessato. Ne sono state espressione l’edizione integrale dei Journals dei due fratelli, pubblicati da Nino Aragno fra 2007 e 2009 e La casa di un artista di Edmond de Goncourt, data alla stampe nel 2005 da Sellerio. Ci risulta invece la pubblicazione di una nuova edizione critica francese in due volumi dell’opera, curata da Jean-Louis Cabanès e pubblicata in due volumi dall’editore Du Lérot nel 2007.

[1] Si vedano Lionello Venturi, Storia della critica d’arte, Firenze, Edizioni U, 1945, p. 395 e Lionello Venturi, Storia della critica d’arte, 4° ed., Torino, Einaudi, 1964, p. 267.

[2] Si vedano Germain Bazin, Histoire de l’histoire de l’art, Parigi, Albin Michel, 1986 p. 481 e Germain Bazin, Storia della storia dell’arte, Napoli, Guida, 1993, p. 587).

[3] Si veda Pierre Rosenberg, Watteau. Le Vite antiche. Bologna, Nuova Alfa editoriale, 1991, p. 73.

[4] Pierre Rosenberg, Watteau… cit., p. 117.

[5] Pierre Rosenberg, Watteau… cit.

[6] Rosalba Carriera, Lettere, diari, frammenti, a cura di Bernardina Sani, Firenze, Leo S. Olschki, 1985, pp. 400-402.

[7] Rosalba Carriera, Lettere… cit., p. 359. 

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