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Edmond e Jules de Goncourt
Pittori francesi del secolo XVIII
Traduzione di Orsola Nemi. Tit. orig.: L’art du dix-huitième siècle
Milano, Longanesi, 1956
Recensione di Luciano Mazzaferro
[Aggiornamento bibliografico] Rispetto al periodo in cui è stata scritta questa recensione non risultano essere intervenute nuove edizioni italiane dell’opera. L’interesse per i Goncourt, tuttavia, non è mai cessato. Ne sono state espressione l’edizione integrale dei Journals dei due fratelli, pubblicati da Nino Aragno fra 2007 e 2009 e La casa di un artista di Edmond de Goncourt, data alla stampe nel 2005 da Sellerio. Ci risulta invece la pubblicazione di una nuova edizione critica francese in due volumi dell’opera, curata da Jean-Louis Cabanès e pubblicata in due volumi dall’editore Du Lérot nel 2007.
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Fig. 1) Antoine Watteau, L'imbarco per Citera (prima versione), 1717, Parigi, Museo del Louvre Fonte: Wikimedia Commons |
[Nota di Giovanni e Francesco Mazzaferro: questo testo è la trascrizione
di un manoscritto di nostro padre, Luciano Mazzaferro, in cui compare la
recensione dell’opera. Il manoscritto risale grosso modo al 1995. Sono
interventi redazionali a noi attribuibili la nota di aggiornamento
bibliografico e i titoletti in grassetto dei singoli paragrafi].
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Fig. 2) Antoine Watteau, L'imbarco per Citera, 1718, Berlino, Charlottenburg Palace Fonte: Wikimedia Commons |
La rivalutazione del Settecento francese
Appassionati di arti figurative,
i fratelli Edmond (1822-1896) e Jules (1830-1870) de Goncourt s’interessarono
sia di pittura contemporanea sia di quella prodotta nel secolo precedente, cioè
nel Settecento. Nella sua Storia della
critica d’arte, Lionello Venturi distingue nettamente tra i due gruppi di
studi. Il suo giudizio è negativo finché vengono considerate le ricerche
compiute e le valutazioni espresse dai due fratelli sugli artisti dell’epoca in
cui vissero: “Gavarni… fu da loro preferito a Daumier, malgrado la sua potenza
creatrice. Essi hanno preferito Decamps a Delacroix, Gustave Moreau a Manet.
Non hanno compreso Courbet” ed Edmond, che pur è vissuto assai più di Jules ed
è morto oltre vent’anni dopo la prima esposizione degli impressionisti, non è
riuscito ad afferrare il rilievo fondamentale del nuovo movimento. Quando però
il Venturi passa a considerare i lavori sulla pittura del Settecento, la sua
valutazione cambia e si fa decisamente positiva: grazie al lavoro dei due
letterati l’arte francese del XVIII secolo “ha ripreso il posto che le spetta
nella storia dell’arte. I de Goncourt cioè ripararono un errore storico del
romanticismo, e dopo di loro nessuno dubitò del valore artistico assoluto di
Watteau, di Chardin e di Fragonard” [1].
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Fig. 3) Antoine Watteau, All'insegna di Gersaint, 1720, Berlino, Charlottenburg Palace Fonte: Wikimedia Commons |
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Fig. 4) Antoine Watteau, All'insegna di Gersaint (particolare) Fonte: Wikimedia Commons |
Edizioni francesi e traduzione italiana
Gli scritti sull’arte francese
del Settecento comparvero, ad iniziare dal 1859, in dodici fascicoli, l’ultimo
dei quali (Notules, additions, errata)
uscito dopo la morte di Jules (1870). La seconda edizione, eseguita presso lo
stampatore Rapilly, dispone il materiale in due volumi, il primo dei quali
uscito nel 1873 e l’altro nel corso dell’anno successivo. Una terza edizione,
rivista, ampliata e arricchita da illustrazioni, uscì in ottima veste tipografica
presso A. Quantin di Parigi. Il richiamo di alcuni passi o brani qui presenti
per la prima volta autorizza a sostenere che proprio la terza edizione (o, se
davvero lo si vuole, un’altra successiva che derivi comunque da essa) sia
servita di base per la traduzione effettuata da Orsola Nemi, la prima – per
quanto mi risulti – in italiano. La Nemi, nata nel 1903 e deceduta a Lepanto
nel 1985, lavorò presso case editrici, collaborò a quotidiani e ad altri
periodici, si impegnò in diversi generi letterari (dalla poesia ai romanzi e
alle fiabe) e rese in italiano opere francesi, come appunto queste pagine dei
de Goncourt, ed inglesi. Si comprende immediatamente che sapeva tenere la penna
in mano, come del resto s’intende che non era persona particolarmente versata
nello studio della storia dell’arte.
La traduzione non è integrale: la
Nemi ha tralasciato di considerare lo studio sui Saint Aubin e quelli su
Gravelot, Cochin, Eisen, Jean Michel Moreau e Debucourt. Ha invece preso in
esame i lavori concernenti sette artisti, vale a dire Watteau, Chardin,
Boucher, Maurice Quentin de La Tour, Greuze, Fragonard e Prud’hon. Va inoltre
tenuto presente che, dei sette pittori ora elencati, non si è fornito tutto il
materiale incluso nella terza edizione francese che la Nemi doveva tenere
sott’occhio; la traduttrice ha provveduto alla versione delle monografie
propriamente dette e delle Notules,
mentre ha escluso le altre pagine in cui si forniscono notizie ed elenchi sulle
esposizioni, sulle incisioni e, per quanto riguarda La Tour, i lavori a
pastello. L’inclusione delle Notules
(che la Nemi ha reso con il termine di Annotazioni)
permette di conoscere il contenuto di molte lettere, vari documenti e quegli
scritti che, per il loro rilievo, ritroveremo elencati nella seconda parte di
questa scheda; l’esclusione dell’altro materiale non consente invece di farsi
un’idea su quel lavoro di riordinamento (prevalentemente eseguito, dopo la
morte di Jules, da Edmond) che il Bazin considera un fatto significativo
(“remarquable”) [2] giacché vi si ravvisano le avvisaglie e taluni elementi
tipici di un’attività, ossia la catalogazione delle opere, poi largamente
praticata dalla critica moderna.
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Fig. 5) Jean-Baptiste Siméon Chardin, Bolle di sapone, dopo il 1739, Los Angeles County Museum of Art Fonte: Wikimedia Commons |
Le parti tradotte sono rese
fedelmente o quasi. Ho compiuto un confronto tra il testo italiano e quello
della terza edizione (una copia è disponibile nella biblioteca
dell’Archiginnasio) e ho riscontrato per le sezioni prese in esame – ossia per
le sette monografie e per le rispettive Notules
- due sole omissioni di qualche rilievo. La prima interessa l’intera pagina 336
e la parte superiore di p. 337 del primo volume, naturalmente dell’edizione
francese: quanto si è trascurato di rendere in italiano l’avremmo dovuto
trovare, nel volume stampato da Longanesi, prima degli asterischi di p. 264.
L’altra lacuna, meno ampia della precedente, ha provocato l’accorciamento della
nota che nel testo tradotto compare col numero 15 nelle pp. 438-439.
La Nemi ha inoltre cambiato il
titolo originale, rendendolo per la verità più aderente al testo; non si parla
più genericamente d’ “arte”, ma di “pittori” e si specifica immediatamente che
gli artisti considerati nella pubblicazione appartengono esclusivamente alla
produzione francese. Non è il caso di far delle strepito di fronte al mutamento
di titolo e neppur di fronte all’omissione di alcune monografie, di singoli
capitoli e di qualche parte di minor rilievo, ma in verità dispiace che la Nemi
non abbia avvertito la necessità d’inserire una sia pur breve introduzione per
informarci dei criteri da lei seguiti e delle ragioni che possono averli
consigliati o addirittura imposti. Le uniche righe inserite dalla traduttrice
riguardano poche note, contraddistinte, come si costuma, con la sigla N.d.T. e
compilate non per chiarire questioni di fondo o per illustrare le ragioni di
talune scelte, ma per intrattenersi su cose alquanto marginali o per fornire
indicazioni biografiche certamente utili, ma non sempre indispensabili.
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Fig. 6) Jean-Baptiste Siméon Chardin, La ragazza col volano, 1741, Firenze, Galleria degli Uffizi Fonte: Wikimedia Commons |
Watteau
Il vuoto storico che si era
creato attorno alla pittura del Settecento sorprende i Goncourt, li avvilisce
ed adira. “Quando si comincia a parlare dell’arte del XVIII secolo” – leggo a
p. 67 della traduzione italiana, alla quale d’ora in poi si farà riferimento,
salvo diversa indicazione – “e ci si accosta alla memoria dei suoi artisti, si
è presi, alle soglie di questo studio, da un sentimento di grande tristezza, da
una specie di melanconica collera. Davanti a un tal prodigioso esempio di
oblio, davanti all’eccesso di ingratitudine e all’insolenza del disprezzo che
dimostrò la immediata posterità per il gran secolo d’arte di Luigi XV, si
comincia a dubitare dei giudizi della Francia. Ci si domanda se la moda è tutto
il nostro gusto, se il nostro orgoglio nazionale stesso, non dipenda, con la
coscienza dei nostri giudizi, dalla moda. […] La Francia, per tutto un mezzo
secolo, ha rifiutato di riconoscere artisti veramente nati da lei, maestri
francesi, veri figli del suo spirito e del suo genio!” Ma, dopo tutto – si
chiedono i due autori – “che cosa importa la moda? Prima di cent’anni, Watteau
sarà riconosciuto universalmente come un maestro di prim’ordine” e non sarà più
“necessario aver coraggio, per dire quel che diciamo ora, che Chardin fu un
grande pittore” (p. 69). Sono profezie che hanno trovato conferma assai prima
di quanto i de Goncourt avessero immaginato.
L’ammirazione per Watteau è
sincera, commossa. Le sue sanguigne sono meravigliose, i suoi “disegni a tre
matite” incantano. Tra le tele l’opera prediletta è L’imbarco per l’isola di Citera (figg. 1 e 2) “Che armonia in quelle lontananze
soleggiate, in quelle montagne di neve rosea, in quelle acque a specchio del
verde; e quei raggi di sole scorrenti sulle vesti color rosa, le vesti gialle,
le gonne amaranto, le mantelline azzurre, le giubbe color gola di piccione, e i
cagnolini bianchi a macchie color fuoco” (p. 62). La scelta del dipinto è
sollecitata, oltre che dalle sue qualità stilistiche, anche da un indubbio
intento di rivalsa polemica nei confronti di una critica ottusa e di un gusto
corrotto. “L’imbarco a [n.d.r. rectius: per] Citera, capolavoro dei capolavori di Watteau, tela incantata dove
lo spirito corre fra i personaggi come una fiamma tra i fiori, poema di luce
che può sempre, in qualsiasi museo, essere accostato a qualsiasi quadro, sapete
dove è sepolto, nascosto? In una sala di studio dell’Accademia, dove serve di
bersaglio agli scherni e alle palline di pane dei fattorini di David” (p. 68). Eppure
il Watteau è stato il maestro che ha ampiamente condizionato la pittura del suo
secolo: “Tutti i quadri di Chardin, tutti i quadri del secolo che non sono
consacrati ai greci e ai romani risuscitano le pose, gli atteggiamenti della
testa, il gusto dell’acconciatura, il colorito, il disegno, la pennellata” di
questo grande artista (p. 63).
Fragonard e Chardin
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Fig. 7) Jean-Honoré Fragonard, Il bacio rubato, San Pietroburgo, Museo dell'Hermitage Fonte: Wikimedia Commons |
In Fragonard i de Goncourt
scoprono “una natura felice di vivere, una gaiezza che sorvola sulla serietà
della vita, una dolce ostinazione nel seguire la propria strada” e, inoltre, un
amore per “un’esistenza facile, senza sforzi…” (p. 273). Ed ecco Chardin, “il
grande pittore della natura morta” (p. 73). Questo genere, considerato
secondario, è stato da lui innalzato “alle più alte e più meravigliose
condizioni dell’arte” (p. 74). “I fiori, la frutta, gli utensili, chi li
dipinge come lui? Chi ha reso, come l’ha resa Chardin, la vita inanimata delle
cose? Chi ha dato agli occhi una simile sensazione di presenza reale
dell’oggetto?”. E poco più avanti: “Niente umilia i suoi pennelli. Non c’è
pezzo di natura che egli disprezzi” (p. 75). Gli autori sono anche colpiti
dalla capacità di dipingere le cose abituali del mondo borghese e i “personaggi
che si trova a portata di mano” (p. 85). E commentano: “Chardin ama, fa di più,
rispetta, lo si sente, quel che dipinge. Quindi, quell’aura di purezza che
avvolge i suoi personaggi, quel profumo di onestà che si respira nei suoi
interni e che sembra uscire da tutti gli angoli delle sue tele, dalla
collocazione dei mobili, dalla sobrietà della loro forma, dalla rusticità delle
sedie, dalla nudità dei muri, dalla tranquillità delle linee intorno alla
tranquillità delle persone” (p. 88).
Gli altri
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Fig.8) François Boucher, La toeletta di Venere, 1751, New York, Metropiltan Museum of Art Fonte: Wikimedia Commons |
Su un piano senza dubbio
inferiore si collocano gli altri artisti, ai quali tuttavia non si nega quel
che a loro appartiene. Boucher è un “pittore originale e brillante”, al quale
tuttavia mancano la qualità superiore e il tratto tipico dei grandi artisti.
“Ha una maniera, non ha uno stile. Perciò è di tanto inferiore a Watteau col
quale le persone della buona società lo nominano e l’accoppiano spesso e
volentieri, come se esistesse una parità fra Boucher e il maestro che ha
elevato lo spirito all’altezza dello stile. Volgarità elegante, questo è il
segno di Boucher” (pp. 145-146). Prodigioso fisionomista, Maurice Quentin de La
Tour “dipinge, rivelandola, la donna del suo tempo […] Pur lasciandole la sua
cipria, i suoi nei e le sue mode, la innalza sopra all’amabile convenzione di
cui abusano i ritrattisti di allora. Le toglie quell’aria di bambola svogliata
che nella pittura corrente ne fanno il tipo vuoto, vacuo e volgare, che si
immagina sia quello di una «pettegola»” (pp. 195-196). I suoi limiti vanno
ricercati in vari punti, ma, più che altrove, una tormentata ricerca di
princìpi e di regole che a poco a poco compromisero la “spontaneità del
talento” (p. 198).
Greuze è definito “pittore dell’infanzia” ed "eccelle nel rappresentare quella bellezza femminile che si desta ancora incerta nei lineamenti della bambina” (p. 224). Ma nei grandi quadri sono visibili tutte le sue debolezze e le miserie di colore: “i bianchi bavosi, la gamma cromatica sorda e grigia a un tempo, la slavatura dei toni violetti e gola di piccione, l’indecisione dei rossi, gli azzurri sudici, la fiacchezza e il barbotage dei fondi, lo spessore delle ombre” (ivi).
E, infine, ecco Prud’hon, la cui figura viene delineata non solo per porne in evidenza le caratteristiche salienti, ma anche per ridimensionare con la presenza di questo pittore il ruolo rumoroso e inaccettabile di David. Di fronte al David accademico e interprete del neoclassicismo ortodosso, si pone appunto il Prud’hon che “non strappava a brandelli le bellezze dell’arte greca”, ma le ritrovava e le faceva rivivere nella propria anima: “l’intuizione era la sua scienza” (p. 320).
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Fig. 9) Maurice Quentin de La Tour, Ritratto di Madame Pompadour, 1750 circa, Parigi, Museo del Louvre Fonte: Wikimedia Commons |
Greuze è definito “pittore dell’infanzia” ed "eccelle nel rappresentare quella bellezza femminile che si desta ancora incerta nei lineamenti della bambina” (p. 224). Ma nei grandi quadri sono visibili tutte le sue debolezze e le miserie di colore: “i bianchi bavosi, la gamma cromatica sorda e grigia a un tempo, la slavatura dei toni violetti e gola di piccione, l’indecisione dei rossi, gli azzurri sudici, la fiacchezza e il barbotage dei fondi, lo spessore delle ombre” (ivi).
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Fig. 10) Jean-Baptiste Greuze, Testa di ragazza sorridente, 1765 circa, Vienna, Albertina Fonte: Wikimedia Commons |
E, infine, ecco Prud’hon, la cui figura viene delineata non solo per porne in evidenza le caratteristiche salienti, ma anche per ridimensionare con la presenza di questo pittore il ruolo rumoroso e inaccettabile di David. Di fronte al David accademico e interprete del neoclassicismo ortodosso, si pone appunto il Prud’hon che “non strappava a brandelli le bellezze dell’arte greca”, ma le ritrovava e le faceva rivivere nella propria anima: “l’intuizione era la sua scienza” (p. 320).
Le fonti dei de Goncourt
I de Goncourt utilizzarono varie
fonti, documenti e lettere. Cito il materiale di maggior interesse riportato
nelle pagine dedicate a Watteau, dove si rinviene una particolare ricchezza di
voci:
CAYLUS, A. CLAUDE de; La vita
di Antonio Watteau pittore di figure e di paesaggi, soggetti galanti e moderni
(La vie d’Antoine Watteau peintre de
figures et des paysages, sujets galants et modernes).
La vita, riportata nelle pp.
18-38, è stata letta il 3 febbraio 1748 all’Accademia Reale di pittura e
scultura. Pierre Rosenberg [3] ricorda le tre versioni del testo: una malacopia
di mano dello stesso Caylus ora conservata alla biblioteca della Sorbona, una
trascrizione compiuta dal segretario di Caylus (che vi introdusse leggere
modifiche) anch’essa alla Sorbona e, quindi, il testo presentato dai fratelli
de Goncourt. Costoro forniscono a p. 17 alcune indicazioni sul modo, del tutto
casuale, con cui reperirono il materiale. Altre notizie e qualche
considerazione a p. 41.
COYPEL, CHARLES-ANTOINE; Risposta al signor conte di Caylus (Réponse faite à Monsieur le comte de Caylus…).
Parole pronunciate dopo la
lettura dello scritto precedente, il 3 febbraio 1748. Qui nelle pp. 39-40. Per
la collocazione del documento si rinvia al Rosenberg [4].
MARIETTE, PIERRE JEAN; Nota manoscritta dell’Abecedario (Note manuscrite de l’Abecedario de Mariette).
È conservata presso la Biblioteca Nazionale, Gabinetto delle Stampe. Contiene
riserve sull’attività estetica di Watteau. Si estende da r. 37 di p. 393 a r.
30 della pagina successiva.
GERSAINT, EDME-FRANÇOIS; Sunto
della vita di Antonio Watteau (Abrégé
de la vie d’Antoine Watteau) posto nel Catalogue
raisonné des diverses curiosités du Cabinet de feu M. Quentin de Lorangère –
asta del 2 marzo 1744, pp. 172-188) (vedi anche fig. 3 e 4).
Molto vicino al Watteau, il
mercante d’arte Gersaint compose dei cataloghi in occasione di vendite
all’asta. Il testo di Gersaint è utilizzato in varie parti dello studio dei de
Goncourt. Lo scritto di Gersaint è stato integralmente riprodotto nella
raccolta di Rosenberg [5].
WATTEAU, ANTOINE; Lettere
Nella nota 21 che si estende da
p. 390 a p. 392 sono trascritte quattro lettere di Watteau: tre indirizzate a
Jean de Jullienne e la quarta al Gersaint. La prima reca il giorno e il mese
(ma non l’anno) in cui fu scritta; le altre non portano alcuna indicazione di
data.
CROZAT, PIERRE; Lettera a
Rosalba Carriera
Viene riprodotta parte della
lettera dell’11 agosto 1721 in cui Pierre Crozat annuncia la morte di Watteau.
Il testo integrale della lettera figura in francese nel carteggio dell’artista
veneziana [6].
VLEUGHELS, NICOLAS; Lettera a
Rosalba Carriera
Viene utilizzata nella nota 23
una parte della lettera del 20 settembre 1719 che si può leggere nella sua
interezza nel carteggio della Carriera [7].
NOTE
[Aggiornamento bibliografico] Rispetto al periodo in cui è stata scritta questa recensione non risultano essere intervenute nuove edizioni italiane dell’opera. L’interesse per i Goncourt, tuttavia, non è mai cessato. Ne sono state espressione l’edizione integrale dei Journals dei due fratelli, pubblicati da Nino Aragno fra 2007 e 2009 e La casa di un artista di Edmond de Goncourt, data alla stampe nel 2005 da Sellerio. Ci risulta invece la pubblicazione di una nuova edizione critica francese in due volumi dell’opera, curata da Jean-Louis Cabanès e pubblicata in due volumi dall’editore Du Lérot nel 2007.
[1] Si vedano Lionello Venturi, Storia della critica d’arte, Firenze,
Edizioni U, 1945, p. 395 e Lionello Venturi, Storia della critica d’arte, 4° ed., Torino, Einaudi, 1964, p. 267.
[2] Si vedano Germain Bazin, Histoire de l’histoire de l’art, Parigi,
Albin Michel, 1986 p. 481 e Germain Bazin, Storia
della storia dell’arte, Napoli, Guida, 1993, p. 587).
[3] Si veda Pierre Rosenberg, Watteau. Le Vite antiche. Bologna, Nuova
Alfa editoriale, 1991, p. 73.
[4] Pierre Rosenberg, Watteau… cit., p. 117.
[5] Pierre Rosenberg, Watteau… cit.
[6] Rosalba Carriera, Lettere, diari, frammenti, a cura di
Bernardina Sani, Firenze, Leo S. Olschki, 1985, pp. 400-402.
[7] Rosalba Carriera, Lettere… cit., p. 359.
[7] Rosalba Carriera, Lettere… cit., p. 359.
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