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lunedì 11 gennaio 2016

Chiara Battezzati. Carl Friedrich von Rumohr e l'arte nell'Italia settentrionale


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Chiara Battezzati
Carl Friedrich von Rumohr e l’arte nell’Italia settentrionale


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Concorso. Arti e lettere, 2009, n. III


Giulio Romano, La caduta dei Giganti (particolare), Mantova, Palazzo The. Cit. p. 30
Fonte: http://www.arteworld.it/analisi-iconografica-sala-dei-giganti-di-giulio-romano/


N.B. Su Carl Friedrich von Rumohr si veda in questo blog anche: Carl Friedrich von Rumohr, Drey Reisen nach Italien. [Tre viaggi in Italia], Lipsia, F. A. Brockhaus, 1832



Non conosco una parola di tedesco, motivo per cui accolgo sempre come una benedizione le traduzioni degli scritti degli storici dell’arte di origine germanica. Non sono certo io a scoprire l’importanza della tradizione che, dalle opere di Johann Dominicus Fiorillo, passando per conoscitori come Rumohr, Passavant, Waagen, Otto Mündler rilegge in maniera decisiva la storia dell’arte italiana, finendo per contribuire a stabile una visione che è poi quella codificata da Jacob Burckhardt. Faccio solo presente che le traduzioni italiane di queste opere sono, di fatto, rarissime, e non permettono quindi allo studioso di effettuare quel lavoro di ‘anamnesi’ sull’opera d’arte che in maniera così chiara Giovanni Agosti definisce come necessario nella sua introduzione al Passavant di Alfonso Litta [1].


Bernardino Luini, Sposalizio della Vergine, Saronno, Santuario della Beata Vergine dei Miracoli. Cit. p. 38
Fonte: Wikimedia Commons

Di particolare interesse è, dunque, questo numero monografico della rivista ‘Concorso. Arti e lettere’ in cui Chiara Battezzati presenta un’antologia degli scritti del barone Carl Friedrich von Rumohr (1785-1843) sull’arte nell’Italia settentrionale. Con Rumohr, peraltro, stiamo parlando di una figura di snodo nella storia della critica d’arte. Non è un caso che Schlosser lo consideri un maestro:  l’attenzione che pone nei confronti delle fonti documentarie e della ricerca d’archivio sono pietre miliari che gli derivano dagli insegnamenti di Fiorillo e che a sua volta condizioneranno non solo la scuola tedesca, ma anche il mondo degli studiosi italiani. È difficile non pensare, ad esempio, a un’influenza diretta di Rumohr sulle ricerche d’archivio di Gaetano e Carlo Milanesi [2]; ed è invece assai facile ritenere che tale influsso abbia avuto come incubatore gli ambienti fiorentini del Gabinetto Viesseux, dove Gaetano Milanesi lavorò e dove erano stati tradotti da Antonio Benci alcuni scritti di Rumohr per essere pubblicati sull’Antologia. Il barone tedesco abbina al lavoro d’archivio capacità non comuni di conoscitore, che lo portano ad attribuzioni non banali e a volte sottovalutate dalla critica proprio perché i suoi testi non sono disponibili in lingua. Ne è un esempio, nel lavoro di Chiara Battezzati, l’attribuzione della Madonna del velo della cappella di San Giorgio nella milanese chiesa di S. Ambrogio, che lo studioso riferisce al Figino (attribuzione dimenticata e definitivamente chiarita e confermata solo nel 1997). È in virtù delle sue doti di conoscitore che Rumohr conoscerà e sarà un punto di riferimento anche per Giovanni Morelli, sicché, volendo mantenere una dicotomia ampiamente abusata, possiamo dire che, rispetto alla critica d’arte italiana dell’Ottocento, il barone sassone risulta essere decisivo sia per il filone della ricerca d’archivio (Milanesi) sia per quello dell’attribuzionismo (Morelli).


Gaudenzio Ferrari, Ultima Cena, Milano, Santa Maria della Passione. Cit. p. 39
Fonte: Maurizio Ongaro tramite Wikimedia Commons

In Italia

In realtà, Carl Friedrich von Rumohr non ha mai scritto un testo organico sull’arte dell’Italia settentrionale. Riassumiamo la cronologia: lo studioso visita l’Italia in diverse occasioni. La prima va dal 1805 al 1806. Si tratta del consueto viaggio di formazione nella nostra penisola, in cui Carl Friedrich frequenta inevitabilmente il circolo dei Nazareni. Il secondo non è un viaggio; è una scelta di vita. Rumohr vive in Italia, fra Siena e Firenze, quasi cinque anni, fra il 1816 e il 1821. Si dedica alle ricerche d’archivio e allo studio dei primitivi: “grazie alla ricerca documentaria Rumohr è il primo studioso ad applicare un metodo rigoroso, meno ingenuo e non soggettivo, allo studio e alla riscoperta della pittura italiana tra Trecento e Quattrocento” (p. 15). La conversione al cattolicesimo sembra quasi un passaggio obbligato nel percorso di comprensione della pittura italiana degli antichi maestri. Il terzo viaggio comincia nel 1828. Alla fine dell’anno Rumohr si trasferisce (malvolentieri) a Milano perché Federico Guglielmo di Prussia, principe ereditario – che ha visitato l’Italia pochi mesi prima – è interessato all’acquisto di un quadro attribuito a Raffaello, e incarica Carl Friedrich di verificarne l’effettiva paternità. Lo studioso non esita a giudicarlo un centone raffazzonato, di scuola senz’altro lombarda, ma coglie l’occasione per visionare altre opere e acquistarne alcune per conto del museo di Berlino. Pur non facendo parte dell’organigramma, Rumohr collabora infatti con Gustav Waagen, direttore del museo, per il completamento della collezione della galleria d’arte. Un ultimo viaggio, di cui sappiamo davvero poco, è del 1841.

Il risultato senza dubbio più noto degli studi di Rumohr sono le Italienischen Forschungen (Ricerche italiane) pubblicate in tre volumi fra 1827 e 1831. Tuttora inedite in italiano, lo studioso vi raccoglie la summa delle sue ricerche d’archivio con particolare riferimento all’arte del Tre e Quattrocento nel centro Italia, fino a Raffaello.  Di particolare interesse, ai fini della presente opera, sono i Drey Reisen nach Italien, pubblicati nel 1832. Si tratta di fatto di un volume di memorie che riguarda i viaggi italiani del 1805-6, del 1816-21 e del 1828-29.


Andrea Previtali, Polittico, Bergamo, Chiesa di Santo Spirito. Cit. p. 42
Fonte: Wikimedia Commons

In questo volume

L’opera di Chiara Battezzati si giova innanzi tutto di una brillante introduzione iniziale ed è poi giocata di fatto su due registri. Nel primo (pp. 25-50) viene presentata la scelta antologica degli scritti di Rumohr. I passi sono tratti dai Drey Reisen nach Italien, e riguardano le sole pagine in cui lo studioso parla della sua presenza soprattutto in Lombardia. Per meglio chiarire: i Drey Reisen presentano un Rumohr che ha a che fare con l’arte dell’Italia settentrionale solo in occasione del primo (1805-1806) e del terzo viaggio (1828-1829). Specie in quest’occasione i giudizi si fanno più articolati per via del soggiorno di qualche mese a Milano, nei primi mesi del ’29, per stabilire se il presunto Raffaello offerto a Federico Guglielmo sia autentico. Nulla invece vien detto in occasione del quinquennio che va dal 1816 al 1821, semplicemente perché il barone non si interessa dell’argomento. Trattandosi del periodo più fruttuoso, per quanto riguarda gli studi italiani risulta davvero sconcertante (vedi oltre) che proprio da noi sia di fatto ignoto. Le ultimissime pagine dell’antologia presentano invece un articolo che Rumohr fece pubblicare nel 1837 col titolo Gemälde von Moretto sul numero di luglio della rivista tedesca Echo e rientrano nell’ambito del processo di riscoperta ottocentesco dell’artista bresciano.

Il secondo registro è rappresentato dalle note (pp. 50-98) perché lì Battezzati ha inserito non solo la fortuna critica di ciascun opera citata nel testo, a volte formulando ipotesi sull’attuale collocazione ed altre (non potendo farlo) fornendo contributi per un futura identificazione; ma anche per via del fatto che sono presentati i testi delle lettere tratte dall’epistolario di Rumohr (soprattutto a Christian Bunsen, ambasciatore prussiano presso la Santa Sede). A chi voglia rendersi conto di persona della ricchezza del materiale offerto proprio in questo secondo registro consiglio di leggere la nota 45, in cui si fa il punto della situazione sullo pseudo-Raffaello visionato dallo studioso e oggi disperso. Sarebbe stato facile cavarsela dicendo che, ad oggi, è smarrito. Battezzati va all’Archivio Storico di Brera e cerca fra le richieste di esportazioni dei collezionisti milanesi. Ciò le permette di individuare in alcune carte del 1850 il probabile segnale di un’imminente esportazione da parte dei proprietari. Non si tratta certamente di un dato che permetta oggi di giungere al ritrovamento, ma l’idea alla base dell’opera è che o si è tutti Bernard Berenson oppure il lavoro di recupero delle attribuzioni è sempre più legato al lavoro di recupero della documentazione archivistica, e quindi della storia di un quadro nei suoi diversi passaggi di proprietà. La storia delle fonti è sempre più storia del collezionismo, e l’autrice lo sa bene.


Giovanni Battista Moroni, Ritratto virile (Gian Girolamo Grumelli?), Bergamo, Collezione Moroni. Cit. p. 42
Fonte: http://www.artribune.com/


Nella Repubblica dei conoscitori

Uno degli aspetti più sorprendenti delle pagine di Rumohr è la facilità con cui quest’uomo si inserisce nell’ambito dell’ambiente culturale e collezionistico milanese, riuscendo in pochi giorni ad avere accesso a tutti i salotti più importanti dell’alta borghesia e della nobiltà milanese da un lato e a frequentare gli eruditi locali dall’altro. Naturalmente possiamo presumere che avere un mandato (sia pur informale) da parte del principe di Prussia sia un bel lasciapassare; ma è chiaro che lo studioso fa parte di quella che ormai non è una Repubblica delle lettere, ma si è trasformata in una Repubblica dei conoscitori, in cui si stagliano figure di statura europea che agiscono molto spesso per completare le collezioni dei nascenti musei europei. Rumohr è una delle più precoci. Stare a stabilire quali siano le caratteristiche di questa Repubblica non è certo mio compito. L’errore più grave che si possa fare, del resto, è pensare che i conoscitori siano tutti uguali. E tuttavia alcuni elementi di fondo ci sono e credo di potervi accennare: si va da un rapporto (spesso giovanile) con il mondo dei nazareni (che non sempre vuol dire adesione, ma sicuramente comporta la rivalutazione dell’arte prima di Raffaello, anche solo da un punto di vista tecnico) alla profonda conoscenza delle regole del mercato dell’arte (e delle figure spesso discutibili che lo frequentano e che lo inquinano) e all’attenzione per le questioni legate all’esposizione di un quadro nei musei nascenti. Naturalmente l’elemento che tutti i conoscitori hanno in comune è l’ispezione oculare delle opere, e la definizione di un’attribuzione sulla base di confronti stilistici; il confronto preventivo con le fonti letterarie è un’esigenza avvertita, ma non in eguale misura e non da tutti (così come del resto non sempre ci si fida di eventuali firme apposte sulle tele).

Moretto da Brescia, Santa Giustina da Padova e un donatore, Vienna, Kunsthistorisches Museum. Cfr. p. 48.
Fonte: Wikimedia Commons

Rumohr ed Eastlake

Tutto ciò premesso può succedere quindi, che, per questione di gusto personale, artisti ritenuti di poco valore da alcuni siano invece abbondantemente rivalutati da altri. Sono aspetti a cui pensavo mentre leggevo le pagine di Rumohr e le paragonavo idealmente ai giudizi espressi da Eastlake nei suoi taccuini italiani [3]. Segnalo in proposito alcuni esempi: il giudizio di Rumohr sulla pittura lombarda del Quattrocento e del Cinquecento è assai severo: “In generale sembra che a Milano l’indirizzo di osservazione e di ricerca di Lionardo non abbia impresso una spinta né decisiva né importante ai pittori locali… Esaminai inoltre tutti i maestri davvero miseri dell’antica scuola lombarda a Pavia, Milano e ovunque, dove essi si trovavano… Da alcuni decenni, a noi conoscitori, rendono la vita abbastanza amara, a causa di questo grandissimo numero di pittori simili, deboli, senza carattere, che sono stati portati a fama dal patriottismo locale e, su questa base, da Lanzi” (p. 41). Eastlake non opera un giudizio così generico e semmai si dimostra più attento alla tecnica di esecuzione. Non vi è dubbio tuttavia che lo scopo dei loro viaggi sia identico: stabilire quali quadri siano “eleggibili” o “non eleggibili” per un eventuale acquisto da parte dei rispettivi musei (Berlino e Londra). Ciò non toglie che quando il giudizio si declina su singole opere si possano registrare consonanze o diversità di giudizi. Rumohr giudica acido e sgraziato Carlo Crivelli, mentre trent’anni dopo Eastlake ne fa incetta per la sua National Gallery; in compenso i due la pensano alla stessa maniera su Lorenzo Lotto, bocciandolo senz’appello: “Un ben più sgradevole pittore di questa scuola – scrive Rumohr – è Lorenzo Lotto così manierato che non si capisce come si sia potuto solo sopportare dal 1510 al 25 [n.d.r. la sua presenza a Bergamo] un tipo del genere senza lapidarlo” (pp. 43-44). Chiaramente considerato appartenente al mondo veneto è il Moroni, che il barone tedesco definisce “il più straordinario di tutti i ritrattisti... I suoi dipinti storici sono deboli e già manierati. Invece i suoi ritratti sono sempre buoni, e talvolta impareggiabili” (p. 42). Allo stesso modo veneto è considerato il Moretto, per cui si trovano solo elogi: “uno dei disegnatori più eccezionali del suo tempo e, nella scuola veneziana, assolutamente il migliore” (p. 47). In tutti i giudizi espressi appare comunque evidente che le attribuzioni, gli elogi, le critiche sono mosse in perfetta buona fede. Rumohr (e in questo il paragone con Eastlake è assolutamente pertinente) è soprattutto un operatore onesto, che si muove con sincera devozione alla causa che gli è stata affidata e si dimostra semmai estremamente sospettoso nei confronti dei suoi interlocutori italiani, ben sapendo – a suo dire – come essi si comportino per spuntare una vendita.


NOTE

[1] Si veda in questo blog Johann David Passavant, Contributi alla storia delle antiche scuole di pittura in Lombardia (1838), a cura di Alfonso Litta. Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2015.

[2] Si veda in questo blog Piergiacomo Petrioli. Gaetano Milanesi. Erudizione e storia dell’arte in Italia nell’Ottocento. Profilo e carteggio artistico. Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2004 [ma estate 2005].

[3] Si veda in questo blog Susanna Avery Quash. The Travel Notebooks of Sir Charles Lock Eastlake. The Walpole Society, 2011.

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