
Cosimo Bartoli
(1503-1572)
Parte Prima
Atti del Convegno internazionale
Mantova, 18-19 novembre – Firenze, 20 novembre 2009
A cura di Francesco Paolo Fiore e Daniela Lamberini
Firenze, Leo S. Olschki, 2011
Recensione di Giovanni Mazzaferro
N.B. SU COSIMO BARTOLI SI VEDA ANCHE: Giovanni Mazzaferro, Libri rari e belle scoperte: il De Architectura di Vitruvio postillato da Cosimo Bartoli
La figura di Cosimo Bartoli (noto
principalmente per aver tradotto in volgare il De re aedificatoria di Leon Battista Alberti e per la
collaborazione redazionale nella pubblicazione di entrambe le edizioni delle Vite vasariane) è talmente ricca di
sfaccettature che, in tutta onestà, il rischio di smarrirsi è alto. Prova a
fare il punto della situazione questo
volume, che raccoglie gli atti di un convegno internazionale svoltosi fra
Mantova e Firenze nel 2009.
Il libro di riferimento su Cosimo
è senza dubbio una monografia redatta da Judith Bryce nel 1983 [1]. E proprio a
Judith Bryce, 25 anni dopo, tocca il compito di tenere la prolusione che apre
convegno e volume. Vi si ricorda innanzi tutto come l’attività letteraria di
Cosimo sia in realtà di triplice natura. Da un lato Bartoli è autore di alcune
opere, come una biografia di Federico Barbarossa, il Del modo di misurare le distantie (1564) [2], i Ragionamenti accademici sopra alcuni luoghi
difficili di Dante, con alcune inventioni e significati (1567), i Discorsi historici universali, redatti
probabilmente all’inizio degli anni cinquanta, ma pubblicati a Venezia nel
1569. Cosimo vive nella città lagunare come agente dei Medici fra il 1562 e il
1572, ed è lì appunto che pubblica la maggioranza delle sue opere. Daniela
Lamberini, che ha curato un saggio apposito in proposito, crede che anche il
codice manoscritto denominato Raccolta di
varie macchine e disegni di vasi antichi sia opera del Bartoli (pur essendo
il manoscritto anonimo) e che Cosimo avesse in mente la sua pubblicazione.
Accanto alle sue opere, vi è poi
tutta la serie (fondamentale) delle traduzioni. E qui bisognerà cominciare,
seguendo la cronologia, con la traduzione giovanile delle Institutiones Geometricae di Albrecht Dürer, sconosciuta quando la
Bryce scrisse la sua monografia nel 1983, e portata all’attenzione degli
studiosi da Giovanni Maria Fara [3]; ma ovviamente la parte del leone la fa la
trasposizione in volgare del De re
aedificatoria di Leon Battista Alberti (una prima edizione è pubblicata a
Firenze nel 1550 da Lorenzo Torrentino; una seconda è proposta a Venezia nel
1565 per i tipi di Francesco de Franceschi). Né possiamo tacere che nel 1568,
sempre a Venezia e sempre per merito del de Franceschi, escono a stampa i
quindici Opuscoli morali di Leon
Battista Alberti. Undici sono tradotti dal Bartoli dal latino al volgare; gli
altri quattro erano già in volgare in origine. Fra le undici traduzioni del
Bartoli si reperiscono anche il De pictura e il De statua, sicché è
legittimo dire che Bartoli traduce tutta la trattatistica d’arte albertiana
[4].
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Frontespizio della traduzione in volgare del De re aedificatoria di Leon Battista Alberti Firenze, 1550 Fonte: Wikimedia Commons |
Se poi si prendono in
considerazione i titoli in cui, a vario livello, Bartoli assume il ruolo del
moderno editor dobbiamo senza dubbio
ricordare le Vite vasariane
(nell’edizione torrentiniana, 1550 e in quella giuntina, 1568). Si aggiunge poi
In difesa della lingua italiana, e di
Dante, di Carlo Lenzoni. Lenzoni non era riuscito a completare la sua
fatica, e, in punto di morte (1551), aveva lasciato l’incombenza a
Pierfrancesco Giambullari. A sua volta anche il Giambullari era scomparso prima
che lo scritto andasse alle stampe, sicché il peso della pubblicazione era
finito sulle spalle di Cosimo. Da non trascurare infine il fatto che Francesco
Paolo Fiore ritiene che l’edizione del trattato di architettura di Sebastiano Serlio pubblicata a Venezia nel 1566, ed emendata sia per quanto riguarda il
formato sia per ciò che concerne il testo, sia opera anch’essa di Cosimo
Bartoli.
Tutta questa frenetica attività
editoriale, anzi – più in generale – tutta la vita di Cosimo ha una valenza
politica. Lo ricorda chiaramente Alessandro Nova nelle pagine conclusive del
volume: “per comprendere appieno la figura del Bartoli, la si deve inserire nel
contesto delle battaglie sostenute per fondare l’Accademia Fiorentina e per
promuovere la lingua volgare come strumento della ricerca scientifica, un
progetto che fu lucidamente perseguito, assistito e in parte imposto da quella
grande mente politica che fu Cosimo I. […] L’infaticabile attività di
traduttore del Bartoli […] non fu solo un fenomeno di erudizione e divulgazione
del sapere, ma fece parte di un disegno politico più vasto. […] La volontà di
codificare un lessico tecnico e architettonico, anche attraverso la difficile
opera di traduzione di un’opera capitale come il De re aedificatoria di Leon Battista Alberti – uscita nel 1550, ma
eseguita, a quanto pare, tra il 1543-44 e il 1546-47 – doveva essere inquadrata
all’interno della politica culturale del Duca di Firenze, consapevole del
potere garantitogli dal controllo sulla trasmissione del sapere. In questo
contesto allargato, uno dei grandi meriti del Bartoli fu quello di favorire,
attraverso l’opera di divulgazione in volgare delle opere di Leon Battista
Alberti, l’ingresso dell’architettura nella storia della questione della
lingua” (pp. 416-417).
Bartoli campione di
fiorentinismo, quindi; e campione soprattutto di lealtà nei confronti della
politica del Ducato (Granducato dal 1569). Tanto da trascorrere, ad esempio,
dieci anni a Venezia in quello che lui stesso definisce “esilio”, con il
compito ultimo di riferire quotidianamente di quanto accade in Repubblica, ivi
comprese mansioni di spionaggio (la corrispondenza coi Medici testimonia i
tentativi di far riprodurre le imbarcazioni veneziane in costruzione o alla fonda
in Arsenale). Dal dorato esilio Cosimo tornerà solo su intercessione di Vasari
presso il Granduca, e morirà appena qualche settimana dopo.
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Traduzione del De re aedificatoria di Leon Battista Alberti, Venezia, 1565 Fonte: http://www.gonnelli.it/it/asta-0013/alberti-leon-battista-larchitettura----trado.asp |
I saggi contenuti nel volume
Si elencano i saggi pubblicati
all’interno del volume. Di alcuni di essi si fornisce una breve descrizione.
Judith Bryce, Prolusione
Parte prima: Bartoli traduttore e
la trattatistica
Nicola Aricò, Il De re
aedificatoria secondo Cosimo Bartoli
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Traduzione del De re aedificatoria di Leon Battista Alberti, Venezia, 1565 Fonte: http://www.gonnelli.it/it/asta-0013/alberti-leon-battista-larchitettura----trado.asp |
L’autore ancora saldamente la
traduzione del De re aedificatoria
all’interno dell’esperienza dell’Accademia Fiorentina, creata nel 1541 e
diretta emanazione dell’Accademia degli Humidi (1540) di cui Bartoli faceva
parte. L’Accademia era di fatto controllata dal duca Cosimo I che nel concreto
ne stabiliva i programmi. Spiccava in particolare l’impegno a tradurre nella
lingua fiorentina testi di natura scientifica e architettonica, per permettere agli
operatori di avervi accesso anche senza conoscere il latino. La traduzione di
testi di architettura aveva poi un riscontro pratico nell’intensa attività di
natura edilizia (spesso rivolta all’ammodernamento e alla creazione di nuove
fortificazioni [5]) promossa dal duca nei suoi possedimenti. Il sostegno di
Cosimo alla politica medicea è evidente sin dal titolo attribuito alla sua
fatica: “L’Architettura di Leonbatista Alberti tradotta in lingua fiorentina da
Cosimo Bartoli…”.
Anzi, ad essere precisi, è
evidente sin dalla scelta dell’opera da tradurre. Non il latino Vitruvio, che
pure era oggetto di studi che avevano portato alla princeps latina alla fine del ‘400 e alla prima edizione italiana
(a cura del Cesariano) nel 1521, ma il fiorentinissimo Leon Battista Alberti,
anch’egli – nel secolo precedente – sostenitore della lingua volgare, tanto da
pubblicarne una Grammatichetta.
Non è corretto tuttavia parlare
di mera traduzione, e non solo in senso 'filosofico' (nessuna traduzione è mai la
trasposizione esatta dell’originale) ma perché qui è evidente che alla resa in
italiano dell’opera si accompagna anche un adattamento della medesima volto a
renderla attuale e “competitiva” sul mercato della trattatistica di
architettura. Non è possibile dimenticare, ad esempio, che fra 1537 e 1540 Serlio pubblica i primi due libri del suo trattato di architettura “inventando”
le illustrazioni a corredo del testo (la tavola riepilogativa degli ordini è
una sua invenzione). Per tali motivi l’opera di Bartoli si dispiega in tre
direzioni: a) tradurre il De re
aedificatoria dal latino di Alberti nel linguaggio delle botteghe
fiorentine, sovente trovandosi a dover fissare su carta un lessico nuovo; b)
rivedere in senso controriformato il sostanziale “ateismo” dell’Alberti (che
pure era un prete); c) creare un apparato iconografico che accentuasse lo
spirito didascalico dell’opera. Da ricordare peraltro che Bartoli pubblicò due
edizioni del trattato albertiano: una a Firenze, in folio, nel 1550 (con una
tiratura di 1500 copie rapidamente esaurite) e una seconda, in quarto, ovvero in
formato più ridotto e più economica, a Venezia nel 1565. In quest’ultima
occasione si trattò anche di revisionare e redistribuire l’apparato
iconografico proprio in virtù del diverso formato su cui si trovò a lavorare.
Francesco Paolo Fiore, L’edizione del Trattato di Sebastiano Serlio rivista da Cosimo Bartoli
Fiore fa riferimento in
particolare all’edizione del Trattato serliano pubblicata a Venezia da Francesco de Franceschi nel 1566 [6] Si tratta, a ben vedere, della medesima
operazione effettuata dallo stesso stampatore l’anno precedente per la
traduzione bartoliana del De re
aedificatoria. Il formato del trattato serliano – che comprende tutti i
volumi editi fino a quel momento, ovvero dal I al V e l’Extraordinario Libro –
si riduce dall’in folio al più contenuto
in quarto, con adattamento e
rielaborazione delle immagini, nonché interventi mirati di correzione
grammaticale del testo. Ma dove l’intervento appare più vistoso (se non altro
perché ‘dissonante’ rispetto al resto dell’opera) è nell’introduzione di una
terminologia lessicale che è quella della lingua delle botteghe fiorentine e il
conseguente abbandono di tutti i latinismi precedentemente inseriti nel testo
dal Serlio. Si è rilevato che la lingua utilizzata nella nuova edizione del
trattato serliano è quella della traduzione bartoliana del De re aedificatoria. E tuttavia non tutti hanno ritenuto questo un
argomento sufficiente per stabilire che Bartoli sia stato il revisore della
versione in questione. Fiore ne è convinto; non esclude per nulla che Bartoli
possa aver avuto dei collaboratori nel corso della sua permanenza veneziana, ma
ritiene di poter tranquillamente dare per scontato l’intervento dell’erudito
fiorentino per via delle correzioni lessicali e grammaticali “così attente e
calibrate… che pare necessario che un tale e impegnativo lavoro sia di mano
esperta e sicura, che anche perciò riteniamo essere quella di Cosimo Bartoli”
(pp. 48-49). Da ricordare infine che l’anno successivo (nel 1567) Francesco de Franceschi completò la sua personalissima operazione editoriale, riproponendo
questa volta in quarto la traduzione
di Vitruvio operata da Daniele Barbaro (la cui prima edizione era del 1556).
Anche se questa volta il testo di Barbaro non fu sottoposto alla trasformazione
lessicale volta all’utilizzo della lingua delle botteghe fiorentine, va detto
che de Franceschi si accreditò come l’editore dei trattati d’architettura in
edizione “economica”: l’Alberti bartoliano, Serlio ed infine il Vitruvio di
Barbaro.
Sabine Frommel, I Commentarii di
Varie Regoli e Dissegni di Architettura Civile e Militare di Alessandro
Farnese (Ms. 32.B.14, Cors. 663) e la fortuna del De re aedificatoria tradotto dal Bartoli
Ad essere preso in esame è il
manoscritto intitolato Commentarii di
Varie Regole e Dissegni di Architettura Civile e Militare con altre Istruzioni
e Precette [sic], conservato con segnatura Ms. 32.B.14 (Cors. 663) presso
la Biblioteca Corsiniana in Roma. Il manoscritto, di piccole dimensioni, è
ricondotto dall’autrice alla paternità di Alessandro III Farnese. L’autrice
presenta inoltre le note che seguono facendo presente che è in corso di stampa
(ricordiamo che il volume che stiamo recensendo è del 2011) l’edizione critica
del trattato. Ad essere onesti, alla fine del 2015 l’edizione critica non è
stata pubblicata. Sul sito internet della ricercatrice (la cui fama è
internazionale) compare una presentazione in pdf del progetto (largamente
debitrice a quanto scritto in questo suo saggio) in cui alcune parti del progetto
stesso sembrerebbero ancora non attribuite e, quindi, indurrebbero a pensare a
una pubblicazione non così imminente. Tutto questo per dire che il fatto che
l’autore dei Commentarii sia
Alessandro Farnese ci sembra corroborato da indizi un po’ labili. Frommel
abbina due circostanze note. Da un lato le conoscenze del Farnese in ambito
architettonico, ed in particolare in materia di architettura militare, sono
indubbie e testimoniate dalle fonti, così come è indubbio che Alessandro ebbe
come maestri architetti militari come il Paciotto e Francesco De Marchi, vere e
proprie autorità in fatto di fortificazioni “alla moderna”. D’altro lato la
natura del manoscritto induce a pensare che non si tratti della fase preliminare
alla pubblicazione di un trattato (e quindi porta ad escludere che si tratti
dell’opera di un architetto professionale), quanto piuttosto di uno zibaldone
architettonico in cui l’autore estrapola da vari trattati gli aspetti che più
lo colpiscono; ed effettua quest’operazione evidentemente man mano che ne viene
a conoscenza e li legge. L’autrice ritiene che i Commentarii siano dunque frutto di una sedimentazione trentennale,
che darebbe atto dell’interesse continuato dell’autore nei confronti della disciplina
architettonica. E che questo autore non possa che essere espressione di un
principe-architetto, con una straordinaria cultura in ambito di architettura
militare, ma anche civile e religiosa. Da qui l’attribuzione al Farnese.
Tre quarti dell’opera sono
dedicati all’architettura militare. Il resto copre invece argomenti di
architettura civile e religiosa. Nell’ambito dell’architettura civile – ed è
questo il motivo per cui il presente saggio compare in questo volume – appare evidente
che le fonti utilizzate dallo pseudo-Farnese sono quattro. In ordine
cronologico si tratta del De re
aedificatoria di Leon Battista Alberti nella traduzione in folio bartoliana
del 1550, I quattro libri di architettura
di Pietro Cataneo (1554), Vitruvio nella traduzione del Barbaro (1556) e il
trattato di architettura del Palladio (1570).
È manifesto come, nella sua
rielaborazione personale dei temi proposti da Alberti e tradotti da Bartoli
(rielaborazione che non segue l’ordine proposto nel De re aedificatoria) Farnese – o chi per lui – scarti i temi legati
all’antichità cercando piuttosto modelli legati all’architettura contemporanea
e in particolare allo studio di edifici civili ad uso del principe.
Parte seconda: La cultura
tecnico-scientifica e musicale
Marco Biffi, Il lessico tecnico di Cosimo Bartoli
L'edizione degli Opuscoli morali dell'Alberti curata da Bartoli e pubblicata a Venezia nel 1568 |
L’autore si interroga sul ruolo
effettivo di Cosimo Bartoli all’interno dell’Accademia Fiorentina: se cioè la
sua sia stata un’adesione convinta, ma tutto sommato passiva al programma di
traduzione in lingua volgare della letteratura scientifica propugnato da Cosimo
o se, e in che misura, Bartoli sia riuscito a indirizzare l’operato
dell’Accademia. Sui risultati ottenuti da Bartoli come traduttore di testi
scientifici non esiste dubbio alcuno: l’erudito fiorentino traduce oltre al De re aedificatoria anche 11 dei 15 Opuscoli morali albertiani fra i quali
spiccano il De pictura e il De statua, nonché opere di Boezio e
Orontio Finèo. Ma l’aspetto più interessante è senza dubbio costituito dalla
traduzione in giovane età delle Institutiones
Geometricae di Albrecht Dürer. Tale impresa, precedente alla nascita
dell’Accademia degli Humidi (1540) e alla sua trasformazione in Accademia Fiorentina
fa intendere come l’adesione al programma mediceo non sia d’occasione, ma
naturale sbocco a una propensione sviluppata in precedenza; e suggerisce che
“l’impostazione linguistica di Bartoli si materializzi e concretizzi già prima
della nascita dell’Accademia Fiorentina” (p. 96). Impossibile per Biffi non
citare Giovanni Nencioni, che è stato autore di studi pionieristici sulla
lingua dell’architettura umanistica e rinascimentale. Proprio Nencioni ha
dimostrato come, nel concreto, il lessico bartoliano aderisca a quello delle
botteghe fiorentine. “Una stretta aderenza […] che si delinea come la più
grande fedeltà del traduttore all’autore tradotto; o forse […] come la continuità dell’eredità di un
maestro: come Alberti aveva riscritto il trattato vitruviano usando una lingua
omogenea, eliminando i frequenti grecismi del testo antico per costruire una
lingua latina dell’architettura, così Bartoli riproduce la stessa operazione
per il fiorentino” (p. 100). L’operazione di Bartoli è coronata da temporaneo
successo (lo dimostra il rapido esaurimento delle copie della prima edizione
del 1550); in senso assoluto è tuttavia destinata a sconfitta. A fine secolo la
“questione della lingua architettonica” vede imporsi un lessico eclettico, che
attinge ai latinismi di Vitruvio e vi mescola lemmi di derivazione tecnica non
solo fiorentina, ma anche senese. E tuttavia è un’operazione eseguita in
maniera uniforme: Bartoli utilizza, nella sostanza, lo stesso tipo di lessico
in tutti i suoi testi in cui parla di architettura; e non è costruita in
laboratorio, ma attinge appunto a piene mani dalle botteghe fiorentine tanto
che i termini da lui utilizzati, pur divenuti periferici nella lingua
nazionale, continuano ad essere testimoniati per secoli in ambito locale.
Giovanni Maria Fara, Nuove considerazioni intorno a Cosimo Bartoli
traduttore di Albrecht Dürer
A Giovanni Maria Fara si deve il
merito di aver proposto per la prima volta al pubblico la traduzione del
Bartoli delle Institutiones Geometricae di Albrecht Dürer. Rimandiamo alla relativa recensione [7], pubblicata in
questo blog, così come a quella relativa ad Albrecht Dürer nelle fonti italiane antiche: 1508-1686 [8], opera dello stesso
autore, perché è nei due libri citati (come del resto nel presente contributo)
che si delinea uno snodo cruciale negli anni ’40 del 1500: l’abbandono di Albrecht
Dürer come figura di riferimento artistica del mondo fiorentino e il
contemporaneo decollo del “mito” di Michelangelo.
Michael Fend, Cosimo
Bartoli and the language of musical experience in sixteenth-century Italy
Fine Parte Prima
Vai alla Parte Seconda
NOTE
[1] Judith Bryce, Cosimo Bartoli (1503-1572). The Career of a Florentine Polymath,
Ginevra, Droz, 1983.
[2] Una discussione dell’opera
con presentazione di alcuni estratti che riguardano il solo rilevamento
planimetrico è fornita all’interno di Daniela Stroffolino, La città misurata. Tecniche e strumenti di rilevamento nei trattati a
stampa del Cinquecento, Roma, Salerno editore, 1999, presente nella
biblioteca Mazzaferro.
[3] Si veda in questo blog la
recensione a Albrecht Dürer – Cosimo Bartoli, Institutiones geometricae – I geometrici elementi di Alberto Duro,
a cura di Giovanni Maria Fara, Torino, Nino Aragno editore, 2008.
[4] Si veda Lucia Bertolini, Cosimo
Bartoli e gli Opuscoli morali
dell’Alberti in Nel cantiere degli
umanisti. Per Mariangela Regoliosi, a cura di L. Bertolini, D. Coppini, C.
Marsico. Firenze, Polistampa, 2014.
[5] Si veda in questo blog la
recensione a Daniela Lamberini, Il Sanmarino. Giovan Battista Belluzzi architetto militare e trattatista del Cinquecento, Firenze, Leo S. Olschki, 2007
[6] Si veda in questo blog
Manuela Morresi e Andrea Guerra, Les
rééditions vénitiennes des livres de Serlio nella seconda parte della
recensione a Sebastiano Serlio à Lyon.Architecture et imprimerie. Vol. I, a cura di Sylvie Deswarte Rosa. Anche
Morresi e Guerra ritengono che l’edizione veneziana del 1566 sia molto
probabilmente curata dal Bartoli.
[7] Si veda in questo blog Albrecht
Dürer, Institutiones geometricae - Cosimo Bartoli, I geometrici elementi di Alberto Durero, Nino Aragno editore,
2008.
[8] Giovanni Maria Fara. Albrecht Dürer nelle fonti italiane antiche: 1508-1686. Leo S. Olschki editore, 2014.
In merito alle traduzioni ed alle correzioni dei trattati dell'Alberti:
RispondiElimina13-9-1567
COSIMO BARTOLI IN VENEZIA A GIORGIO VASARI IN FIRENZE
Molto Magnifico messer Giorgio.
Io ebbi la lacca et il caval di cera, che tutto sta bene; e di più ebbi i vostri legni e si son dati a maestro Cristofano e pregatolo, che li intagli presto. Il che mi ha promesso di fare; e subito che li riarò, vi si
manderanno, che ho caro, siate venuto a fine di tale fatica; e ne aspetto una con desiderio.
Carissimo mi è che abbiate fatto già meza una istoria; e più dolce mi è, che il Principe ne sia satisfattissimo: il che è segno della diligenzia vostra. Tirate pur inanzi e non temete, che Dio vi somministrerrà forze e valore, acciò finiate sì grande et sì bella opera. Altro non ho che dirvi se non
ricordarvi che sono sempre vostro, e che io non mi sdimenticherò della fodera per vostra consorte.
State sano et amatemi. Io ho pur dato principio a fare stampare li opusculi di Leonbatista Alberti, che sono 15, raccolti, tradotti e corretti da me con tutta quella diligenzia che sarà possibile; e credo che per tutto questo altro mese saranno a buon porto, et voi ci arete qualche parte. Né altro.
Di Venezia alli 13 di settembre 1567.
Tutto vostro Cosimo Bartoli.
Al Molto Magnifico messer Giorgio Vasari, mio osservandissimo
Grazie mille!
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