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venerdì 15 gennaio 2016

Cosimo Bartoli (1503-1572). A cura di Francesco Paolo Fiore e Daniela Lamberini. Parte Prima


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Cosimo Bartoli
(1503-1572)

Parte Prima

Atti del Convegno internazionale
Mantova, 18-19 novembre – Firenze, 20 novembre 2009

A cura di Francesco Paolo Fiore e Daniela Lamberini

Firenze, Leo S. Olschki, 2011

Recensione di Giovanni Mazzaferro

N.B. SU COSIMO BARTOLI SI VEDA ANCHE: Giovanni Mazzaferro, Libri rari e belle scoperte: il De Architectura di Vitruvio postillato da Cosimo Bartoli



La figura di Cosimo Bartoli (noto principalmente per aver tradotto in volgare il De re aedificatoria di Leon Battista Alberti e per la collaborazione redazionale nella pubblicazione di entrambe le edizioni delle Vite vasariane) è talmente ricca di sfaccettature che, in tutta onestà, il rischio di smarrirsi è alto. Prova a fare il  punto della situazione questo volume, che raccoglie gli atti di un convegno internazionale svoltosi fra Mantova e Firenze nel 2009.

Il libro di riferimento su Cosimo è senza dubbio una monografia redatta da Judith Bryce nel 1983 [1]. E proprio a Judith Bryce, 25 anni dopo, tocca il compito di tenere la prolusione che apre convegno e volume. Vi si ricorda innanzi tutto come l’attività letteraria di Cosimo sia in realtà di triplice natura. Da un lato Bartoli è autore di alcune opere, come una biografia di Federico Barbarossa, il Del modo di misurare le distantie (1564) [2], i Ragionamenti accademici sopra alcuni luoghi difficili di Dante, con alcune inventioni e significati (1567), i Discorsi historici universali, redatti probabilmente all’inizio degli anni cinquanta, ma pubblicati a Venezia nel 1569. Cosimo vive nella città lagunare come agente dei Medici fra il 1562 e il 1572, ed è lì appunto che pubblica la maggioranza delle sue opere. Daniela Lamberini, che ha curato un saggio apposito in proposito, crede che anche il codice manoscritto denominato Raccolta di varie macchine e disegni di vasi antichi sia opera del Bartoli (pur essendo il manoscritto anonimo) e che Cosimo avesse in mente la sua pubblicazione.

Accanto alle sue opere, vi è poi tutta la serie (fondamentale) delle traduzioni. E qui bisognerà cominciare, seguendo la cronologia, con la traduzione giovanile delle Institutiones Geometricae di Albrecht Dürer, sconosciuta quando la Bryce scrisse la sua monografia nel 1983, e portata all’attenzione degli studiosi da Giovanni Maria Fara [3]; ma ovviamente la parte del leone la fa la trasposizione in volgare del De re aedificatoria di Leon Battista Alberti (una prima edizione è pubblicata a Firenze nel 1550 da Lorenzo Torrentino; una seconda è proposta a Venezia nel 1565 per i tipi di Francesco de Franceschi). Né possiamo tacere che nel 1568, sempre a Venezia e sempre per merito del de Franceschi, escono a stampa i quindici Opuscoli morali di Leon Battista Alberti. Undici sono tradotti dal Bartoli dal latino al volgare; gli altri quattro erano già in volgare in origine. Fra le undici traduzioni del Bartoli si reperiscono anche il De pictura e il De statua, sicché è legittimo dire che Bartoli traduce tutta la trattatistica d’arte albertiana [4].


Frontespizio della traduzione in volgare del De re aedificatoria di Leon Battista Alberti
Firenze, 1550
Fonte: Wikimedia Commons

Se poi si prendono in considerazione i titoli in cui, a vario livello, Bartoli assume il ruolo del moderno editor dobbiamo senza dubbio ricordare le Vite vasariane (nell’edizione torrentiniana, 1550 e in quella giuntina, 1568). Si aggiunge poi In difesa della lingua italiana, e di Dante, di Carlo Lenzoni. Lenzoni non era riuscito a completare la sua fatica, e, in punto di morte (1551), aveva lasciato l’incombenza a Pierfrancesco Giambullari. A sua volta anche il Giambullari era scomparso prima che lo scritto andasse alle stampe, sicché il peso della pubblicazione era finito sulle spalle di Cosimo. Da non trascurare infine il fatto che Francesco Paolo Fiore ritiene che l’edizione del trattato di architettura di Sebastiano Serlio pubblicata a Venezia nel 1566, ed emendata sia per quanto riguarda il formato sia per ciò che concerne il testo, sia opera anch’essa di Cosimo Bartoli.

Tutta questa frenetica attività editoriale, anzi – più in generale – tutta la vita di Cosimo ha una valenza politica. Lo ricorda chiaramente Alessandro Nova nelle pagine conclusive del volume: “per comprendere appieno la figura del Bartoli, la si deve inserire nel contesto delle battaglie sostenute per fondare l’Accademia Fiorentina e per promuovere la lingua volgare come strumento della ricerca scientifica, un progetto che fu lucidamente perseguito, assistito e in parte imposto da quella grande mente politica che fu Cosimo I. […] L’infaticabile attività di traduttore del Bartoli […] non fu solo un fenomeno di erudizione e divulgazione del sapere, ma fece parte di un disegno politico più vasto. […] La volontà di codificare un lessico tecnico e architettonico, anche attraverso la difficile opera di traduzione di un’opera capitale come il De re aedificatoria di Leon Battista Alberti – uscita nel 1550, ma eseguita, a quanto pare, tra il 1543-44 e il 1546-47 – doveva essere inquadrata all’interno della politica culturale del Duca di Firenze, consapevole del potere garantitogli dal controllo sulla trasmissione del sapere. In questo contesto allargato, uno dei grandi meriti del Bartoli fu quello di favorire, attraverso l’opera di divulgazione in volgare delle opere di Leon Battista Alberti, l’ingresso dell’architettura nella storia della questione della lingua” (pp. 416-417).

Bartoli campione di fiorentinismo, quindi; e campione soprattutto di lealtà nei confronti della politica del Ducato (Granducato dal 1569). Tanto da trascorrere, ad esempio, dieci anni a Venezia in quello che lui stesso definisce “esilio”, con il compito ultimo di riferire quotidianamente di quanto accade in Repubblica, ivi comprese mansioni di spionaggio (la corrispondenza coi Medici testimonia i tentativi di far riprodurre le imbarcazioni veneziane in costruzione o alla fonda in Arsenale). Dal dorato esilio Cosimo tornerà solo su intercessione di Vasari presso il Granduca, e morirà appena qualche settimana dopo.  

Traduzione del De re aedificatoria di Leon Battista Alberti, Venezia, 1565
Fonte: http://www.gonnelli.it/it/asta-0013/alberti-leon-battista-larchitettura----trado.asp



I saggi contenuti nel volume

Si elencano i saggi pubblicati all’interno del volume. Di alcuni di essi si fornisce una breve descrizione.

Judith Bryce, Prolusione

Parte prima: Bartoli traduttore e la trattatistica

Nicola Aricò, Il De re aedificatoria secondo Cosimo Bartoli


Traduzione del De re aedificatoria di Leon Battista Alberti, Venezia, 1565
Fonte: http://www.gonnelli.it/it/asta-0013/alberti-leon-battista-larchitettura----trado.asp 

L’autore ancora saldamente la traduzione del De re aedificatoria all’interno dell’esperienza dell’Accademia Fiorentina, creata nel 1541 e diretta emanazione dell’Accademia degli Humidi (1540) di cui Bartoli faceva parte. L’Accademia era di fatto controllata dal duca Cosimo I che nel concreto ne stabiliva i programmi. Spiccava in particolare l’impegno a tradurre nella lingua fiorentina testi di natura scientifica e architettonica, per permettere agli operatori di avervi accesso anche senza conoscere il latino. La traduzione di testi di architettura aveva poi un riscontro pratico nell’intensa attività di natura edilizia (spesso rivolta all’ammodernamento e alla creazione di nuove fortificazioni [5]) promossa dal duca nei suoi possedimenti. Il sostegno di Cosimo alla politica medicea è evidente sin dal titolo attribuito alla sua fatica: “L’Architettura di Leonbatista Alberti tradotta in lingua fiorentina da Cosimo Bartoli…”.

Anzi, ad essere precisi, è evidente sin dalla scelta dell’opera da tradurre. Non il latino Vitruvio, che pure era oggetto di studi che avevano portato alla princeps latina alla fine del ‘400 e alla prima edizione italiana (a cura del Cesariano) nel 1521, ma il fiorentinissimo Leon Battista Alberti, anch’egli – nel secolo precedente – sostenitore della lingua volgare, tanto da pubblicarne una Grammatichetta.

Non è corretto tuttavia parlare di mera traduzione, e non solo in senso 'filosofico' (nessuna traduzione è mai la trasposizione esatta dell’originale) ma perché qui è evidente che alla resa in italiano dell’opera si accompagna anche un adattamento della medesima volto a renderla attuale e “competitiva” sul mercato della trattatistica di architettura. Non è possibile dimenticare, ad esempio, che fra 1537 e 1540 Serlio pubblica i primi due libri del suo trattato di architettura “inventando” le illustrazioni a corredo del testo (la tavola riepilogativa degli ordini è una sua invenzione). Per tali motivi l’opera di Bartoli si dispiega in tre direzioni: a) tradurre il De re aedificatoria dal latino di Alberti nel linguaggio delle botteghe fiorentine, sovente trovandosi a dover fissare su carta un lessico nuovo; b) rivedere in senso controriformato il sostanziale “ateismo” dell’Alberti (che pure era un prete); c) creare un apparato iconografico che accentuasse lo spirito didascalico dell’opera. Da ricordare peraltro che Bartoli pubblicò due edizioni del trattato albertiano: una a Firenze, in folio, nel 1550 (con una tiratura di 1500 copie rapidamente esaurite) e una seconda, in quarto, ovvero in formato più ridotto e più economica, a Venezia nel 1565. In quest’ultima occasione si trattò anche di revisionare e redistribuire l’apparato iconografico proprio in virtù del diverso formato su cui si trovò a lavorare.


Francesco Paolo Fiore, L’edizione del Trattato di Sebastiano Serlio rivista da Cosimo Bartoli

Fiore fa riferimento in particolare all’edizione del Trattato serliano pubblicata a Venezia da Francesco de Franceschi nel 1566 [6] Si tratta, a ben vedere, della medesima operazione effettuata dallo stesso stampatore l’anno precedente per la traduzione bartoliana del De re aedificatoria. Il formato del trattato serliano – che comprende tutti i volumi editi fino a quel momento, ovvero dal I al V e l’Extraordinario Libro – si riduce dall’in folio al più contenuto in quarto, con adattamento e rielaborazione delle immagini, nonché interventi mirati di correzione grammaticale del testo. Ma dove l’intervento appare più vistoso (se non altro perché ‘dissonante’ rispetto al resto dell’opera) è nell’introduzione di una terminologia lessicale che è quella della lingua delle botteghe fiorentine e il conseguente abbandono di tutti i latinismi precedentemente inseriti nel testo dal Serlio. Si è rilevato che la lingua utilizzata nella nuova edizione del trattato serliano è quella della traduzione bartoliana del De re aedificatoria. E tuttavia non tutti hanno ritenuto questo un argomento sufficiente per stabilire che Bartoli sia stato il revisore della versione in questione. Fiore ne è convinto; non esclude per nulla che Bartoli possa aver avuto dei collaboratori nel corso della sua permanenza veneziana, ma ritiene di poter tranquillamente dare per scontato l’intervento dell’erudito fiorentino per via delle correzioni lessicali e grammaticali “così attente e calibrate… che pare necessario che un tale e impegnativo lavoro sia di mano esperta e sicura, che anche perciò riteniamo essere quella di Cosimo Bartoli” (pp. 48-49). Da ricordare infine che l’anno successivo (nel 1567) Francesco de Franceschi completò la sua personalissima operazione editoriale, riproponendo questa volta in quarto la traduzione di Vitruvio operata da Daniele Barbaro (la cui prima edizione era del 1556). Anche se questa volta il testo di Barbaro non fu sottoposto alla trasformazione lessicale volta all’utilizzo della lingua delle botteghe fiorentine, va detto che de Franceschi si accreditò come l’editore dei trattati d’architettura in edizione “economica”: l’Alberti bartoliano, Serlio ed infine il Vitruvio di Barbaro.


Sabine Frommel, I Commentarii di Varie Regoli e Dissegni di Architettura Civile e Militare di Alessandro Farnese (Ms. 32.B.14, Cors. 663) e la fortuna del De re aedificatoria tradotto dal Bartoli


Otto van Veen, Ritratto di Alessandro Farnese, 1592
Fonte: Wikimedia Commons

Ad essere preso in esame è il manoscritto intitolato Commentarii di Varie Regole e Dissegni di Architettura Civile e Militare con altre Istruzioni e Precette [sic], conservato con segnatura Ms. 32.B.14 (Cors. 663) presso la Biblioteca Corsiniana in Roma. Il manoscritto, di piccole dimensioni, è ricondotto dall’autrice alla paternità di Alessandro III Farnese. L’autrice presenta inoltre le note che seguono facendo presente che è in corso di stampa (ricordiamo che il volume che stiamo recensendo è del 2011) l’edizione critica del trattato. Ad essere onesti, alla fine del 2015 l’edizione critica non è stata pubblicata. Sul sito internet della ricercatrice (la cui fama è internazionale) compare una presentazione in pdf del progetto (largamente debitrice a quanto scritto in questo suo saggio) in cui alcune parti del progetto stesso sembrerebbero ancora non attribuite e, quindi, indurrebbero a pensare a una pubblicazione non così imminente. Tutto questo per dire che il fatto che l’autore dei Commentarii sia Alessandro Farnese ci sembra corroborato da indizi un po’ labili. Frommel abbina due circostanze note. Da un lato le conoscenze del Farnese in ambito architettonico, ed in particolare in materia di architettura militare, sono indubbie e testimoniate dalle fonti, così come è indubbio che Alessandro ebbe come maestri architetti militari come il Paciotto e Francesco De Marchi, vere e proprie autorità in fatto di fortificazioni “alla moderna”. D’altro lato la natura del manoscritto induce a pensare che non si tratti della fase preliminare alla pubblicazione di un trattato (e quindi porta ad escludere che si tratti dell’opera di un architetto professionale), quanto piuttosto di uno zibaldone architettonico in cui l’autore estrapola da vari trattati gli aspetti che più lo colpiscono; ed effettua quest’operazione evidentemente man mano che ne viene a conoscenza e li legge. L’autrice ritiene che i Commentarii siano dunque frutto di una sedimentazione trentennale, che darebbe atto dell’interesse continuato dell’autore nei confronti della disciplina architettonica. E che questo autore non possa che essere espressione di un principe-architetto, con una straordinaria cultura in ambito di architettura militare, ma anche civile e religiosa. Da qui l’attribuzione al Farnese.

Tre quarti dell’opera sono dedicati all’architettura militare. Il resto copre invece argomenti di architettura civile e religiosa. Nell’ambito dell’architettura civile – ed è questo il motivo per cui il presente saggio compare in questo volume – appare evidente che le fonti utilizzate dallo pseudo-Farnese sono quattro. In ordine cronologico si tratta del De re aedificatoria di Leon Battista Alberti nella traduzione in folio bartoliana del 1550, I quattro libri di architettura di Pietro Cataneo (1554), Vitruvio nella traduzione del Barbaro (1556) e il trattato di architettura del Palladio (1570).

È manifesto come, nella sua rielaborazione personale dei temi proposti da Alberti e tradotti da Bartoli (rielaborazione che non segue l’ordine proposto nel De re aedificatoria) Farnese – o chi per lui – scarti i temi legati all’antichità cercando piuttosto modelli legati all’architettura contemporanea e in particolare allo studio di edifici civili ad uso del principe.


Parte seconda: La cultura tecnico-scientifica e musicale

Marco Biffi, Il lessico tecnico di Cosimo Bartoli


L'edizione degli Opuscoli morali dell'Alberti curata da Bartoli e pubblicata a Venezia nel 1568

L’autore si interroga sul ruolo effettivo di Cosimo Bartoli all’interno dell’Accademia Fiorentina: se cioè la sua sia stata un’adesione convinta, ma tutto sommato passiva al programma di traduzione in lingua volgare della letteratura scientifica propugnato da Cosimo o se, e in che misura, Bartoli sia riuscito a indirizzare l’operato dell’Accademia. Sui risultati ottenuti da Bartoli come traduttore di testi scientifici non esiste dubbio alcuno: l’erudito fiorentino traduce oltre al De re aedificatoria anche 11 dei 15 Opuscoli morali albertiani fra i quali spiccano il De pictura e il De statua, nonché opere di Boezio e Orontio Finèo. Ma l’aspetto più interessante è senza dubbio costituito dalla traduzione in giovane età delle Institutiones Geometricae di Albrecht Dürer. Tale impresa, precedente alla nascita dell’Accademia degli Humidi (1540) e alla sua trasformazione in Accademia Fiorentina fa intendere come l’adesione al programma mediceo non sia d’occasione, ma naturale sbocco a una propensione sviluppata in precedenza; e suggerisce che “l’impostazione linguistica di Bartoli si materializzi e concretizzi già prima della nascita dell’Accademia Fiorentina” (p. 96). Impossibile per Biffi non citare Giovanni Nencioni, che è stato autore di studi pionieristici sulla lingua dell’architettura umanistica e rinascimentale. Proprio Nencioni ha dimostrato come, nel concreto, il lessico bartoliano aderisca a quello delle botteghe fiorentine. “Una stretta aderenza […] che si delinea come la più grande fedeltà del traduttore all’autore tradotto; o forse […]  come la continuità dell’eredità di un maestro: come Alberti aveva riscritto il trattato vitruviano usando una lingua omogenea, eliminando i frequenti grecismi del testo antico per costruire una lingua latina dell’architettura, così Bartoli riproduce la stessa operazione per il fiorentino” (p. 100). L’operazione di Bartoli è coronata da temporaneo successo (lo dimostra il rapido esaurimento delle copie della prima edizione del 1550); in senso assoluto è tuttavia destinata a sconfitta. A fine secolo la “questione della lingua architettonica” vede imporsi un lessico eclettico, che attinge ai latinismi di Vitruvio e vi mescola lemmi di derivazione tecnica non solo fiorentina, ma anche senese. E tuttavia è un’operazione eseguita in maniera uniforme: Bartoli utilizza, nella sostanza, lo stesso tipo di lessico in tutti i suoi testi in cui parla di architettura; e non è costruita in laboratorio, ma attinge appunto a piene mani dalle botteghe fiorentine tanto che i termini da lui utilizzati, pur divenuti periferici nella lingua nazionale, continuano ad essere testimoniati per secoli in ambito locale.


Giovanni Maria Fara, Nuove considerazioni intorno a Cosimo Bartoli traduttore di Albrecht Dürer

La prima edizione dell'opera (2008), a cura di Giovanni Maria Fara

A Giovanni Maria Fara si deve il merito di aver proposto per la prima volta al pubblico la traduzione del Bartoli delle Institutiones Geometricae di Albrecht Dürer. Rimandiamo alla relativa recensione [7], pubblicata in questo blog, così come a quella relativa ad Albrecht Dürer nelle fonti italiane antiche: 1508-1686 [8], opera dello stesso autore, perché è nei due libri citati (come del resto nel presente contributo) che si delinea uno snodo cruciale negli anni ’40 del 1500: l’abbandono di Albrecht Dürer come figura di riferimento artistica del mondo fiorentino e il contemporaneo decollo del “mito” di Michelangelo.

Michael Fend, Cosimo Bartoli and the language of musical experience in sixteenth-century Italy



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NOTE

[1] Judith Bryce, Cosimo Bartoli (1503-1572). The Career of a Florentine Polymath, Ginevra, Droz, 1983.

[2] Una discussione dell’opera con presentazione di alcuni estratti che riguardano il solo rilevamento planimetrico è fornita all’interno di Daniela Stroffolino, La città misurata. Tecniche e strumenti di rilevamento nei trattati a stampa del Cinquecento, Roma, Salerno editore, 1999, presente nella biblioteca Mazzaferro.

[3] Si veda in questo blog la recensione a Albrecht Dürer – Cosimo Bartoli, Institutiones geometricae – I geometrici elementi di Alberto Duro, a cura di Giovanni Maria Fara, Torino, Nino Aragno editore, 2008.

[4] Si veda Lucia Bertolini, Cosimo Bartoli e gli Opuscoli morali dell’Alberti in Nel cantiere degli umanisti. Per Mariangela Regoliosi, a cura di L. Bertolini, D. Coppini, C. Marsico. Firenze, Polistampa, 2014.

[5] Si veda in questo blog la recensione a Daniela Lamberini, Il Sanmarino. Giovan Battista Belluzzi architetto militare e trattatista del Cinquecento, Firenze, Leo S. Olschki, 2007

[6] Si veda in questo blog Manuela Morresi e Andrea Guerra, Les rééditions vénitiennes des livres de Serlio nella seconda parte della recensione a Sebastiano Serlio à Lyon.Architecture et imprimerie. Vol. I, a cura di Sylvie Deswarte Rosa. Anche Morresi e Guerra ritengono che l’edizione veneziana del 1566 sia molto probabilmente curata dal Bartoli.

[7] Si veda in questo blog Albrecht Dürer, Institutiones geometricae - Cosimo Bartoli, I geometrici elementi di Alberto Durero, Nino Aragno editore, 2008.

[8] Giovanni Maria Fara. Albrecht Dürer nelle fonti italiane antiche: 1508-1686. Leo S. Olschki editore, 2014.






2 commenti:

  1. In merito alle traduzioni ed alle correzioni dei trattati dell'Alberti:

    13-9-1567
    COSIMO BARTOLI IN VENEZIA A GIORGIO VASARI IN FIRENZE
    Molto Magnifico messer Giorgio.
    Io ebbi la lacca et il caval di cera, che tutto sta bene; e di più ebbi i vostri legni e si son dati a maestro Cristofano e pregatolo, che li intagli presto. Il che mi ha promesso di fare; e subito che li riarò, vi si
    manderanno, che ho caro, siate venuto a fine di tale fatica; e ne aspetto una con desiderio.
    Carissimo mi è che abbiate fatto già meza una istoria; e più dolce mi è, che il Principe ne sia satisfattissimo: il che è segno della diligenzia vostra. Tirate pur inanzi e non temete, che Dio vi somministrerrà forze e valore, acciò finiate sì grande et sì bella opera. Altro non ho che dirvi se non
    ricordarvi che sono sempre vostro, e che io non mi sdimenticherò della fodera per vostra consorte.
    State sano et amatemi. Io ho pur dato principio a fare stampare li opusculi di Leonbatista Alberti, che sono 15, raccolti, tradotti e corretti da me con tutta quella diligenzia che sarà possibile; e credo che per tutto questo altro mese saranno a buon porto, et voi ci arete qualche parte. Né altro.
    Di Venezia alli 13 di settembre 1567.
    Tutto vostro Cosimo Bartoli.
    Al Molto Magnifico messer Giorgio Vasari, mio osservandissimo

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